Parma, mazzetta al prosciutto

Settimanadi grandi numeri a Criminopoli. Dal 22 al 28 gennaio si contano 40 indagati per corruzione. Ottima la media: 3,5 indagati ogni 24 ore. Tra questi un magistrato arrestato ieri a Brindisi. Totale dall’inizio dell’anno: 60 (la media è 2,1 al giorno). Il premio mazzetta della settimana va a Serafina La Placa, poliziotta dell’ufficio immigrazione di Parma, incastrata dai suoi colleghi, con suo marito, perché favoriva alcuni immigrati nell’ottenere i permessi di soggiorno. Tariffario: dai 100 ai 500 euro per pratica. Motivo della premiazione: in un’intercettazione si lamenta perché un suo “cliente” 2 anni prima le avrebbe dato un prosciutto e quest’anno, invece, niente. Pubblicata ieri la classifica di Trasparency international sulla percezione della corruzione in 180 Paesi: l’Italia è 52esima. Fronte mafie: questa settimana 45 indagati (272 dall’inizio dell’anno, 9,7 al giorno). 124 i milioni – tra contanti e beni immobili – confiscati dai carabinieri. Stroncata la nascita di tre nuovi clan tra Sicilia, Lazio e Campania.

 

Mail box

 

Stavolta Scanzi è stato ingeneroso col premier

Ho trovato molto ingenerosa la critica a Conte da parte del solito Scanzi ospite della Gruber per non essere riuscito a trovare un gruppetto di “costruttori” che mettessero in sicurezza il governo, dimenticando con chi avrebbe avuto a che fare: un branco di pescecani che, al solo nominare senso di responsabilità e legalità, mettono mano alla fondina. Caro Scanzi, cosa avrebbe dovuto fare? Rimangiarsi il suo discorso alle Camere? Mettersi al loro livello?

Michele Lenti

 

Purtroppo, del mio intervento, lei non ha capito nulla. Anzi meno. La mia critica non era certo a Conte, ma ai gruppi di Pd e M5S che (a mio avviso) non stanno cercando con convinzione i “costruttori” al Senato. Se il Pd volesse, il 70% dei senatori di Italia Viva (tolti i casi irrecuperabili) tornerebbe subito all’ovile. Cioè al Pd. Ma non tornano. E perché? Perché larga parte di Pd (Marcucci è capogruppo…) e una non piccola parte del M5S stanno facendo ben poco per salvare Conte. Da qui il risultato – a oggi – pietoso, imbarazzante e ridicolo delle trattative.

Conte non è l’incapace della situazione: è l’agnello sacrificale. Quello che tutti a parole dicono di difendere, ma che in realtà viene lasciato da buona parte (non tutta) degli alleati alla mitraglia. Lo capirebbe chiunque. Fusani e De Angelis a parte.

Andrea Scanzi

 

Come si spiega il vasto consenso della Lega?

Dopo il Papeete, i decreti Sicurezza, le dichiarazioni di tutto e del suo contrario a giorni alterni da parte di Salvini, lo sfascio della sanità lombarda degli incapaci e mentitori seriali Fontana e Gallera, l’antieuropeismo isolazionista, perché, in base ai sondaggi più recenti, il 24% degli elettori italiani sarebbe ancora disponibile a votare Lega?

Alessandro Carminati

 

Caro Alessandro, è dura, per chi ha creduto in qualcuno, ammettere di essersi clamorosamente sbagliato. È già consolante il fatto che costui sia sceso dal 35 al 22% nei sondaggi.

M. Trav.

 

Credo che l’unica speranza sia il Conte Ter

Conte serve, serve più del pane per noi italiani. Ha già le mani in pasta, ha contatti e confidenze. Non può essere sostituito adesso in piena emergenza pandemica. Già con lui che è molto serio, i contagi sono preoccupanti e così lo sono le conseguenze inevitabili su economia, scuola, lavoro. Voi che contate, fate in modo che resti!

Roberto Calò

 

Non c’è granché di centro nella “destra” italiana

Mi irrita leggere sul Fatto definire i partiti di opposizione come “centrodestra”. Lega, FI e FdI sono “destra”, di centro hanno ben poco e molto, invece, di fascista e reazionario.

Guido Bertolino

 

B. come capo di Stato è un amaro boccone

Caro Direttore, un’accorata preghiera, non titoli a caratteri cubitali: B. al Quirinale! Un’onda di disgusto penso pervada non solo i lettori del Fatto, ma ogni persona onesta che vede nella figura del capo dello Stato un soggetto al di sopra di ogni possibile illiceità. La figura di B. non solo non rientra nella categoria, ma solleva orrore solo al pensiero.

Susanna Di Ronzo

 

Cara Susanna, è meglio che tutti conoscano i rischi a cui l’Italia va incontro, non crede?

M. Trav.

 

La furbata di Casini: usò lo skipass della figlia

Piercasinando sciava con il Superski (nominativo) della figlia, tesserina da 6-700 euro sequestrata dalle parti di Cortina. Nel suo multidecennale fancazzismo, non sarebbe male ricordare questo suo nobile gesto.

Riccardo Menegatti

 

Milano, essere assessori alla Sanità dà alla testa

Viste le parole della Moratti, forse dovremmo scusarci con Gallera, è quella poltrona di assessore alla Sanità che, una volta seduti, li rende tutti così.

Stefano Tolomelli

 

E se i 5S reintegrassero chi è uscito dal partito?

Dato che c’è sempre il pericolo dei “responsabili” che sostituiscano Renzi e i suoi accoliti, perché i 5S non si mettono a operare il rientro di almeno una parte dei suoi 47 fuoriusciti? Potrebbero mantenere il governo fino alla fine della legislatura con meno pericoli?

Franco Paone

 

Caro Franco, condivido in pieno. Un’“amnistia” con restituzione forfettizzata e rateizzata dei versamenti omessi dovrebbe essere il primo atto del nuovo vertice del M5S che verrà eletto – si spera – tra breve.

M. Trav.

 

I NOSTRI ERRORI

L’altroieri la rubrica dei Programmi tv era completamente sbagliata: ce ne scusiamo con i lettori.

FQ

Meloni “Non piace solo al popolo”. “È anche colpa della sinistra snob”

Caro Padellaro, lei ha pienamente ragione quando dice che la Meloni è abile nell’identificarsi con le donne “del popolo”. Ma queste donne sanno quanto la Meloni piaccia anche alle mogli dei “palazzinari”, dei padroni delle cliniche e alle dame dell’”aristocrazia nera”? Si possono rappresentare con tutta questa disinvoltura mondi tanto diversi? Sicuramente si merita tutto questo una sinistra che perde la sua base elettorale perché non riesce più a dare voce alle categorie più deboli, ma questo basta per considerare Fratelli d’Italia una destra sociale? Arroccarsi su una presunta superiorità intellettuale della sinistra risulta solo fastidioso e controproducente: non sarebbe invece preferibile, almeno da parte di noi donne, esprimere con decisione le nostre riserve sulla mancata coerenza e onestà intellettuale e non, a prescindere dalle idee politiche? Invece molte di noi, anche quelle che con la Meloni non hanno niente a che spartire, sembrano in fondo lusingate dal vedere finalmente una donna come leader di un partito. Ma in questo caso si tratta di vero potere femminile, o solo di una “delega” da parte di uomini che continuano a trattarci come uno strumento? Ed è poi così vero che la Meloni sia migliore di Salvini? A me sembrano una degna dell’altro, lo conferma anche la spudoratezza con la quale donna Giorgia ora si dimostra sdegnata dall’intervento dei cosiddetti “responsabili”. Una signora che ha partecipato a governi ampiamente “responsabilizzati” e che ora imbarcherebbe chiunque le porti voti. Da che pulpito?!?

Enza Ferro

 

Cara Enza, visto che sono d’accordo su quasi tutto il contenuto della sua bella lettera, le risponderò su un aspetto che mi lascia perplesso e che mi piacerebbe approfondire con lei: la logica del partito preso. Ne accenna a proposito della presunta “superiorità della sinistra”, un belletto di cui troppo spesso la sinistra (o ciò che ne resta) non riesce a liberarsi. Questione che a mio avviso andrebbe estesa al giudizio pregiudizialmente negativo che la medesima sinistra dà troppo spesso della destra e dei suoi leader. Che non possono rappresentare sempre, e per “partito preso”, una specie di male assoluto che miete milioni di voti giocando sporco e manipolando le coscienze. E qui non c’entra neppure l’incapacità della sinistra odierna di occuparsi, come un tempo sapeva fare, delle tante emergenze sociali che affliggono il nostro Paese. Dovremmo accettare invece la semplice constatazione che qui da noi la destra, con le sue diverse bandiere, è stata sempre (o quasi sempre) maggioritaria nel consenso elettorale. Dovremmo interrogarci laicamente sul perché. E riconoscere, ci piaccia o no, che Meloni e Salvini sanno essere convincenti quando parlano alla loro gente (come lo sono stati Almirante e Berlusconi). A chi sta sull’altro fronte spetterebbe semplicemente il compito di provare a fare meglio.

Antonio Padellaro

La dignità umana è al centro della Carta e della democrazia

Sul Fatto del 17 gennaio Massimo Fini ha sottoposto a serrata critica la nozione di democrazia come metodo procedurale per regolare con maggioranze numeriche le scelte di governo, destinate tuttavia a essere violate da “il fai da te” di oligarchie che agiscono senza il consenso dei cittadini. Aggiunge il noto intellettuale che, perfino se si rispettano quelle regole, l’Occidente ha devitalizzato il concetto di democrazia, privilegiando una dimensione consumistica anziché intercettare le esigenze esistenziali dell’uomo contemporaneo. Affermazione, quest’ultima, da condividere nei profili etici, ma non sul presupposto che ciò avvenga anche quando viene effettivamente osservato il metodo democratico.

La nozione di democrazia indicata da Fini, pur con il supporto di maestri del calibro di Bobbio e Kelsen, va rimeditata alla luce di un principio fondamentale presente in diverse Costituzioni europee. Attenendosi a quest’ultimo, infatti, si perviene a una disciplina dei rapporti all’interno delle comunità nei quali la prevalenza numerica assegna una totale capacità d’incisione sulla sfera della minoranza, mentre è sempre più viva l’esigenza che le scelte della maggioranza tengano in debito conto e non comprimano in modo irragionevole le posizioni degli altri membri della collettività (R. Dworkin). Il metodo, definito come democrazia partecipativa, promana da un imprescindibile rilievo: al centro dei processi normativi e dell’intero sistema giuridico v’è l’uomo e la sua speciale dignità. Lo hanno affermato esplicitamente molte Costituzioni: la germanica, l’elvetica, la spagnola, la portoghese. La nostra Costituzione lo fa implicitamente rassegnando i parametri intangibili della dignità umana tra i principi fondamentali negli articoli da 2 a 4.

Non è un caso che, a eccezione della Svizzera, gli altri Paesi nei quali si proclama la centralità della dignità umana abbiano adottato le loro Carte fondamentali dopo essere stati liberati da disastrose e sanguinarie dittature, nelle quali quella dignità è stata calpestata in mille modi e spesso con ferocia. Il passaggio dal regime dello Stato totalitario o discrezionale (Fraenkel) a quello democratico è segnato dalla riaffermazione di quel parametro come nuova configurazione del complesso dei rapporti giuridici e sociali sui quali deve rimodularsi l’intero ordinamento. La dignità umana diviene, a questo punto, l’elemento caratterizzante e intrinseco della democrazia e, per questo, capace di modellarne contenuti propri e tipici. La democrazia si configura perciò come il sistema con il quale l’ordinamento presidia e concorre a realizzare per tutti gli appartenenti alla comunità il principio della dignità umana attraverso procedure e regole idonee. In altre parole: la democrazia non si esaurisce in metodiche sequenziali, ma si compie quando, attraverso il rispetto di queste, si conseguono risultati coerenti a quei valori e utili per l’intera comunità. Tale concezione impone un salto di qualità (etico e di preparazione tecnica) della classe dirigente, che è palesemente mancato, come denuncia Massimo Fini rifacendosi alla non edificante realtà del regime politico e sociale vigente.

Se oggi la Costituzione materiale si è immiserita al punto di risolversi in mera registrazione di operazioni politiche e amministrative di bassa macelleria all’insegna dell’arroganza e del demerito, la responsabilità non è del carattere meramente procedurale delle regole democratiche, ma di chi, approfittando della propensione al civile accomodamento e del timore di reagire propri di noi italiani, le ha violate o eluse, talora inconsciamente come elefante in cristalleria. L’attuale degrado segnala un elevato grado d’incoscienza e d’impreparazione in larghe fasce della classe politica. Per migliorare il quadro è indispensabile che sia affinata e resa più stringente la disciplina di selezione della dirigenza pubblica, ivi compresa quella elettorale.

 

Salvini, cinque semplici motivi per non credere alle sue balle

Senatore Salvini, chi Le parla è un “uomo della strada”, uno che non fa politica e non è iscritto ad alcun partito, uno degli “italiani” dei cui interessi Lei si proclama insistentemente difensore. Per la verità, nel farmi difendere da Lei avrei molti dubbi, fra cui i seguenti:

Draghi. Quando ancora Conte era lontano dal dimettersi, Lei, in compagnia di molti, martellava su Draghi futuro premier (probabilmente senza il suo consenso). Ora che Conte si è dimesso, di Draghi non si parla più. Come spauracchio andava bene, ma la prospettiva di avere a che fare con un presidente del Consiglio di quel calibro e prestigio, che certo non si farebbe dettare la linea da Lei e da Bagnai, evidentemente La spaventa. Draghi non è certo il tipo da cedere (a gruppi di potere o peggio) la gestione dei 209 miliardi del Recovery fund “guadagnati” (bisogna pur ricordarlo) da Conte e Gualtieri.

Mercimonio. Se Conte cerca consensi oltre il perimetro attuale Lei e i Suoi alleati parlate di mercimonio, ammucchiata ecc. Quando uno dei Suoi alleati era al governo, i mercimoni erano prassi consueta: non solo Razzi e Scilipoti, ma anche e soprattutto Sergio De Gregorio “acquistato” per 3 milioni di euro. Solo la prescrizione ha impedito nel 2017 la condanna per corruzione di Berlusconi e dell’intermediario Lavitola. Quello era mercimonio in senso letterale, giravano soldi. Un minimo di pudore, via…

Berlusconi for president. Non è molto opportuna, alla luce di questi e altri fatti, la Sua idea di lanciare Berlusconi alla Presidenza della Repubblica. La candidatura di un pregiudicato, condannato, privato del titolo di Cavaliere, avanzata per giunta da uno come Lei, implicato in casi noti, in estrema sintesi, come “i 49 milioni della Lega”, “il Russiagate”, “il palazzo della Lombardia Film Commission”? Aiuto!

Ma quale leader? L’iniziativa è inopportuna anche per un altro motivo: Lei non ha diritto ad atteggiarsi a leader dell’opposizione perché nei sondaggi non è attualmente il preferito. E soprattutto perché, se si andrà a elezioni e vincerà il centrodestra (da verificare), Lei non sarà il più votato. Non vorrei essere nei Suoi panni quando si troverà a fare la conta con l’onorevole Meloni e con i suoi modi non sempre felpati. Auguri.

Tombini e lombardi. Per la verità Lei non ha diritto neppure di gettare sul governo la colpa del mancato contenimento della pandemia, in primo luogo perché in altri Paesi va peggio (cosa per la verità non consolante), in secondo luogo perché Lei ne è uno dei principali responsabili. Lei ha dichiarato mesi fa che “anche i tombini sapevano che sarebbe arrivata la seconda ondata”. Da questo Suo punto di osservazione privilegiato deve aver pensato che tanto valeva assecondarla. E via con le proposte a vanvera (aprire, chiudere, aprire…), con le adunate a volto scoperto, le manifestazioni negazioniste (come quella particolarmente inopportuna in Senato). Ancor più incredibile il Suo persistente, disperato tentativo di difendere la Regione Lombardia a trazione leghista. L’Istituto superiore di sanità ha scritto di aver dovuto, per ben 54 volte, correggere errori, e non sembra che l’arrivo della Moratti migliori le cose.

Immigrazione e propaganda. Per concludere, torniamo a uno dei temi classici della Sua propaganda, in questi tempi un po’ tralasciato. A coniare nuovi slogan e individuare nuovi temi non si è risparmiato. Ma c’è un argomento che avrebbe forse colpito anche le “anime belle”, i “politicamente corretti” che Lei detesta, e che invece mi pare non abbia troppo usato: chi viene in barcone, quando non muore, rischia di finire nel giro infernale della manodopera in nero a basso costo. Perché da ministro ha dichiarato guerra al caporalato e poi si è ben guardato dal farla?

 

Il Pd è ancora ostaggio del “corsaro” Renzi

Fossi in Zingaretti mi guarderei alle spalle: vari segnali lasciano intendere che la quinta colonna renziana tuttora presente nel Pd sia pronta a innescare la fase due della scissione, dopo averlo costretto a rimangiarsi nel volgere di pochi giorni il suo anatema del 14 gennaio scorso: “C’è un dato che non può essere cancellato dalle nostre analisi. Ed è a questo punto l’inaffidabilità politica di Italia Viva”. Qualora andasse a buon fine il reintegro di Iv nel governo, con o senza Conte, il probabile passaggio successivo sarebbe la demolizione dell’asse Pd-M5S-LeU e l’ulteriore spaccatura a sinistra che ciò comporterebbe.

Comprendo le buone ragioni di chi considera sciagurata l’ipotesi del voto anticipato a giugno, col piano vaccinale e il Recovery da attuare. Anche se dà sui nervi sentirselo dire da chi ha irresponsabilmente provocato la crisi. Ma sono assai meno nobili i motivi per cui tanta parte dei parlamentari Pd ha imposto il veto all’ipotesi di elezioni pur avanzata ufficialmente da Zingaretti e Franceschini. Salvo poi ritirarla alla chetichella, alla stregua di un maldestro bluff.

Come già nell’estate 2019, quando fu varata l’alleanza col M5S, al Pd tocca fare una specie di congresso in movimento: cioè ridefinire il suo profilo strategico senza avere il tempo di chiamare gli iscritti a pronunciarsi su questa scelta cruciale. Tutto si gioca all’interno di un gruppo dirigente che ha preferito evitare di fare i conti con la stagione in cui il partito intero, o quasi tutto, visse una sorta di infatuazione renziana. Qui servirebbe un po’ di memoria, per ragionare sul futuro. La segreteria Renzi portò alle estreme conseguenze quei tratti di disinvoltura intellettuale che già erano presenti nella leadership di Veltroni. A subire il richiamo del giovane sindaco fiorentino intenzionato a rottamare le tradizioni del passato – rassicurati dal contentino dell’iscrizione al Partito socialista europeo con cui egli non aveva nulla a che spartire – i più lesti furono numerosi dirigenti ex comunisti di matrice dalemiana: da Minniti a Latorre fino ai “Giovani turchi” di Orfini. Scherzi della natura resi possibili dalla spregiudicatezza con cui già si erano recisi i legami con la cultura politica e il radicamento sociale delle origini.

Così, il partito che Renzi aveva trascinato nel 2018 al suo minimo storico del 18%, dopo il colpo a tradimento della scissione si è ritrovato a pesare solo per l’11% al Senato e per il 14% alla Camera. Sicché, alla luce dei successivi risultati nelle elezioni locali, ha buone ragioni di sentirsi sottorappresentato in Parlamento. Ma, anziché reagire, è come se si sentisse intrappolato in quel passato, dal che deriva il suo incedere ondivago, il suo rimangiarsi oggi quel che aveva stabilito solo ieri. Una perdita di fiducia in se stessi che impedisce di raccogliere i frutti del buon lavoro compiuto dalla segreteria Zingaretti. Nonostante la vittoriosa resistenza opposta ai tentativi di spallata di Salvini in Emilia-Romagna e in Toscana, nonostante i risultati conseguiti in Europa col Recovery plan, nonostante l’onesto lavoro compiuto per fronteggiare la pandemia, permane il timore di misurarsi in una sfida aperta con una destra sovranista che nel frattempo si è divisa e indebolita.

A costo di apparire ingenuo, e pur consapevole dell’handicap rappresentato dalla vigente legge elettorale, continuo a pensare che il contesto internazionale e nazionale oggi rende possibile contenderle la vittoria in caso di elezioni. Purché si rivendichi chiaramente la scelta già compiuta col governo Conte, cioè la scommessa di coinvolgere il M5S in un’alleanza europeista e progressista duratura. L’alternativa, temo, è lo spappolamento di un Pd che resta ostaggio di Renzi. Ma il problema non è solo Renzi. Il Pd corre il rischio di aggrapparsi all’attuale fisionomia di partito che non sa immaginarsi altro che per la sua vocazione governativa. Non è certo un caso, ad esempio, che da tempo risultino allentati i suoi legami con la Cgil e con le altre realtà dell’associazionismo sociale e civico.

Oggi, nonostante sconti gli effetti di un’umiliante sconfitta elettorale, il Pd resta bene insediato nelle istituzioni. Non lo considero certo un male: provengono dalle sue file figure apicali che godono di vasta stima come il Commissario Ue all’Economia, il presidente del Parlamento europeo e lo stesso presidente della Repubblica, per citare solo le principali. Sono componenti essenziali della classe dirigente. Ma resteranno sospese nel vuoto se un Pd succube, incapace di fare i conti col suo passato e di dotarsi di una strategia, s’accontenterà di restare agenzia dell’establishment. Questo mestiere del giorno per giorno, lo abbiamo constatato, lo sa fare meglio il corsaro Renzi.

Il tempo delle scorciatoie per restare in sella è scaduto. Chi ce l’ha, si dia coraggio.

 

L’energia sessuale, l’ombelico cicatrizzato e i motel di Arezzo

E per la serie “Ti giuro che non sono seduto sul telecomando amore devi credermi sulla parola come io credevo a te quando mi dicevi che a Milano dormivi da un’amica”, la posta della settimana.

Caro Daniele, come molti passo il lockdown scopando dalla mattina alla sera con la mia ragazza. Dopo tre giorni di sesso ininterrotto, se escludiamo le pause necessarie a riposare e a rifocillarci (uova strapazzate al burro, scaglie di grana, fettine di prosciutto di Parma), mi sono reso conto che non abbiamo ancora un sistema metrico per misurare l’energia sessuale. Propongo dunque di chiamare “Pallenberg” l’unità di misura dell’energia sessuale femminile. Un Pallenberg è la quantità d’energia che ci vorrebbe per scopare tutti i Rolling Stones in un’ora, ovvero mille volte l’energia che una moglie, dopo 30 anni di matrimonio, impiega in un singolo atto sessuale col marito. Una moglie consuma un milli-Pallenberg per scopata eccetera. Come vedi, rende bene l’idea. L’energia maschile, invece, potremmo chiamarla “Jagger”. Un Jagger è la quantità d’energia sessuale consumata da Mick Jagger per scoparsi 10 top model contemporaneamente. In pratica è mille volte l’energia che un marito medio impiega in un singolo atto sessuale con la moglie. Un marito consuma un milli-Jagger per scopata. Con dieci milli-Jagger ti scopi l’amante in ufficio eccetera. Che ne pensi? (Luigi Ravaioli, Forlì). Davvero molti passano il lockdown

scopando dalla mattina alla sera con la tua ragazza? Certo mi piacerebbe aver avuto a disposizione la tua scala di misura quella volta che in un motel di Arezzo fui tenuto sveglio tutta la notte dai gemiti sessuali della coppia infoiata nella stanza adiacente. La donna cacciò urla belluine fino all’alba. Non riuscii a dormire: non tanto per il rumore, dopo un po’ ci fai il callo, ma perché continuavo a immaginare cosa diavolo lui le stesse facendo. Quell’uomo era come il Carlo Rovelli della vagina! Se tu mi avessi scritto prima, avrei potuto almeno calcolare i Jagger di lui e i Pallenberg di lei, invece di stare lì a masturbarmi tutta la notte con l’orecchio adeso alla parete, soffocando gli orgasmi per non farmi scoprire. A un certo punto mi sono chiesto come cazzo facesse, Rovelli, a sborrare di continuo. Doveva avere otto palle, enormi, con sopra delle ballerine del carnevale di Rio che muovevano il culo. Altrimenti non si spiega. La cosa buffa era che parlava sporco, ma con un lieve difetto di pronuncia: “Dai, ztronza, zucchiamelo!” Che notte indimenticabile!

Hai mai dei problemi con la sporcizia che si accumula nel tuo ombelico? (Walter Cossu, Nuoro). No. Il mio ombelico è sigillato ermeticamente dal 1981. All’epoca lavoravo in un Burghy e il grasso accumulato nell’ombelico di noi addetti alla friggitrice causava episodi di combustione spontanea che lo cicatrizzavano.

La mia ex mi ha spedito a sfregio delle foto in cui è a letto col suo nuovo uomo. La miglior vendetta è il perdono? (Fabio Doronzo, Barletta). No, la miglior vendetta è strapparle il cuore pulsante dal petto a mani nude. (Ma prima devi laurearti in Medicina. Se per incompetenza infatti le asporti a mani nude, che so?, la milza, non è più vendetta, è ridicolo. In attesa della laurea, la soluzione più pratica è prendere quelle foto E SPEDIRLE A SUO PADRE. Sempre che non sia suo padre l’uomo nelle foto).

Matteo Renzi ha sfiduciato il governo e poi è volato in Arabia Saudita (Barbara Ricci, Roma). Bin Salman voleva spiegargli come liberarsi di Conte una volta per tutte.

Cercate anche voi una guida spirituale? Scrivetemi (lettere@ilfattoquotidiano.it)

 

Segui i soldi: il leader di Iv e il piano Ue

Dunque c’è del metodo nell’insensata crisi di governo provocata da Matteo Renzi, detto demolition man. Mettere le mani su Palazzo Chigi e sulla poltrona di Roberto Gualtieri, da lì sulla governance del Recovery Plan, e quindi sulla gestione degli appetitosi 209 miliardi di fondi europei. Lo avevamo capito tutti da un pezzo, ma ieri lo abbiamo letto nero su bianco che “gli ambienti di Italia Viva fanno circolare l’ipotesi di uno scambio di ruoli ad altissimo livello: Paolo Gentiloni premier, Giuseppe Conte commissario europeo, con Mario Draghi ministro dell’Economia” (Linkiesta). A rileggere le cronache dei giorni in cui lo statista di Rignano armeggiava per mandare tutto a puttane c’è da farsi grasse risate. Ha un cattivo carattere, non si controlla, si fa del male da solo sosteneva il partito del disagio psichico. Mentre la teoria statistico-delirante attribuiva ai 30 mesi di permanenza a Palazzo Chigi di Giuseppe Conte – in procinto di superare il “record” di un Renzi perciò fortemente indispettito – l’origine della rottura che ha lasciato l’Italia in braghe di tela.

Tutte panzane costruite per negare l’evidenza dei fatti. Che, cioè, la crisi è stata innescata all’inizio di dicembre quando il premier ha portato in Consiglio dei ministri la sua proposta di destinazione dei fondi e di assetto della governance. Davanti alle proteste di Iv, Conte e Gualtieri si sono illusi che la soluzione del problema fosse la riscrittura del Piano. È stata infatti cambiata la destinazione delle varie poste, ma alla fine con un esito che non pochi considerano peggiorativo rispetto alla prima stesura. Non si teneva e non si tiene conto che a Renzi, uomo quanto mai concreto e coi piedi per terra, interessa soprattutto esercitare un diretto controllo sulla struttura tecnica che avrà il compito (e il potere) di individuare i progetti a cui destinare quella gigantesca cascata di soldi. A parte il consueto abuso del nome di Mario Draghi, l’essenziale per il piromane è trovare il modo di collocare ai vertici del Mef qualcuno di sua fiducia. Del resto, follow the money, segui il denaro è la regola che Matteo d’Arabia (nel board saudita, 80mila euro all’anno) non ha mai disimparato.

Il finanziere mezzo cieco ci ha visto ancora bene: guadagna il 1380% in più

Sin da quando aveva due anni è cieco all’occhio sinistro, perso durante una operazione per rimuovergli una rara forma di cancro. Nonostante l’occhio di vetro, però, Michael Burry vede benissimo tra le nebbie della finanza. Come gestore e manager dell’hedge fund Scion Capital (“Il capitale dell’erede”) è diventato una leggenda a Wall Street. Lo raccontano il libro e il film The big short, “La grande scommessa”, nel quale è stato interpretato da Christian Bale – che per quella parte si meritò una candidatura all’Oscar – mentre lui nella pellicola appare in un cameo. Scion Capital, infatti, guadagnò il 726% con la rischiosa puntata vincente sul crollo di Wall Street nel 2007. Ma Burry chiuse il fondo per divergenze con gli investitori che, prima del crollo della Borsa, volevano licenziarlo per i rischi assunti.

L’ultima scommessa vinta da Burry arriva da un’altra puntata ad alto rischio, quella sulle azioni di GameStop. La sua nuova creatura, Scion Asset Management, a settembre scorso possedeva 1,7 milioni di azioni della società di negozi di videogiochi, per un valore di 17 milioni di dollari. Dopo i rialzi, la quota si è rivalutata sino a 252 milioni di dollari, con un guadagno per Burry del 1.380% in meno di quattro mesi.

La vita di Burry è stata in salita: gli è stato diagnosticato erroneamente un disturbo bipolare, il padre è morto per una diagnosi tardiva di cancro. Ha fondato il suo primo fondo coi 20mila dollari ricevuti come risarcimento medico per la morte del padre e altri 50mila ricevuti dalla madre e dai tre fratelli. Il finanziere non riesce a guardare le persone negli occhi, perché il suo occhio di vetro si muove indipendentemente da quello sano. Ciò gli ha dato un carattere introverso.

Nato nel 1971 a San Jose in California, si è laureato in Medicina a Nashville e non ha finito la specializzazione in neurologia a Stanford, mollandola nel 2000 per dedicarsi alla finanza. Burry è specialista nel “value investing”, l’investimento nelle situazioni che ritiene capaci di “creare valore”. Come? In una lettera ai suoi investitori nell’ottobre 2001 ha chiamato il suo metodo “Ick”: “Investire in Ick significa avere uno speciale interesse analitico per le azioni che ispirano una prima reazione di ick!”. Follia? Affatto: la sua analisi ha fondamenti razionali, “tutta la mia selezione dei titoli è basata al 100% sul margine di sicurezza”, ha spiegato più volte. Burry analizza a fondo le questioni che sollevano la sua curiosità, dedicando centinaia di ore alla ricerca ed elaborazione dati. Che svolge quasi sempre da solo.

Già nel 2004, leggendo le statistiche immobiliari e finanziarie, Burry capì che i mutui Usa erano erogati senza garanzie. I mutui subprime a tasso variabile con pre-ammortamento (pagamento solo degli interessi per un periodo iniziale) era una rischiosissima puntata delle banche sulla solvibilità dei clienti ma, alla lunga, una letale roulette russa su se stesse. Il finanziere aveva letto i prospetti di quei mutui e sapeva che i subprime creati nel 2005 avevano un tasso “fisso” iniziale a due anni del 6% ma che nel 2007, alla fine del pre-ammortamento, i loro tassi sarebbero schizzati all’11% annuo. Ne sarebbe derivata un’ondata di insolvenze.

Per scommettere su quel collasso, Burry usò i derivati creditizi sui fallimenti, i Cds, delle polizze assicurative sulle società: chi compra Cds scommette sul fallimento delle aziende, chi li vende sulla loro resistenza. Sono scommesse a somma zero asimmetriche, come alla roulette: se l’azienda non fallisce si perdono al massimo le fiches puntate comprando i Cds, ma se fallisce il Cds può rendere 30, 40, anche 50 volte i soldi puntati. Burry dal 2004 continuò ad accumulare Cds sul crollo di Wall Street. Il mercato era contro di lui e gli azionisti di Scion Capital lo accusarono di essere pazzo. Ma il sistema finanziario era un carrello senza freni in discesa: alla prima curva volò fuori dai binari. Il crollo di Wall Street innescò la crisi globale del 2007-08. Burry aveva visto arrivare il crac, gli altri invece no.

I cyber pirati spaventano speculatori e Wall Street

L’impressione è che Wall Street stia scrivendo una nuova sceneggiatura di un film. Gli ingredienti ci sono tutti: i cattivi speculatori, gli investitori anti-sistema, i capitalisti “da prima pagina” e un’onda, che pare inarrestabile, di piccoli trader. Cosa è successo?

Questa storia potremmo farla iniziare nell’agosto di due anni fa, quando Micheal Burry, l’investitore anti-sistema, uno dei protagonisti del blockbuster The Big Short, che nel 2008 guadagnò centinaia di milioni scommettendo sul crollo del sistema finanziario basato sui mutui subprime, comunicò di avere una posizione superiore al 3% nella società Gamestop. Gamestop è un’azienda statunitense che si occupa della vendita di videogame con 6000 punti vendita, prevalentemente negli Usa, ma presente anche in Italia. Non ha, come è facile immaginare, un business elettrizzante e le prospettive di crescita erano, e probabilmente restano, moderate. Ciò che invece aveva notato Burry, e che comunicò ufficialmente a Gamestop, è che la società pur avendo cassa in eccesso per circa 480 milioni di dollari, aveva ormai una capitalizzazione di soli 290 milioni, al minimo di sempre. Richiese pertanto a Gamestop di utilizzare questa cassa in eccesso per riacquistare sul mercato le proprie azioni, mettendosi al riparo dagli speculatori, e focalizzandosi sul rilancio dell’attività. Burry evidenziò inoltre che la società era oggetto di contratti short, cioè di contratti di vendita allo scoperto, pari circa al 70% delle sue azioni.

Un contratto di vendita allo scoperto è un contratto nel quale un investitore prende a prestito un titolo da una banca o da un altro intermediario, per venderlo sul mercato, impegnandosi dopo un determinato periodo di tempo a restituire il titolo a chi glielo ha prestato, riacquistandolo quindi sul mercato. L’operazione genera un profitto per l’investitore quando il prezzo di riacquisto è più basso di quello iniziale, perché potrà rientrare in possesso del titolo (e chiudere il prestito) con un importo più basso rispetto a quello ottenuto originariamente con la vendita. Viceversa, però, se il titolo dovesse salire, l’investitore incorrerà in una perdita, che potrebbe essere anche illimitata nel caso ipotetico in cui il prezzo del titolo salga all’infinito.

È stato l’insieme di queste informazioni che nell’agosto del 2019 ha fatto scoccare la scintilla a un utente, un certo DeepF—–gValue, del gruppo WallStreetBets presente sul sito Reddit, che ringraziò pubblicamente Burry per avergli permesso di raddoppiare il valore delle proprie opzioni call in un mese. La società avviò il riacquisto di azioni e le quotazioni iniziarono a salire e con esse, rinforzate anche dall’arrivo della pandemia, le scommesse su un prossimo crollo dell’azienda. Nel frattempo, però è montato un movimento in seno al gruppo WallStreetBets che ha elaborato una strategia di intervento intorno al titolo Gamestop e a tutti i fondi che stavano incrementando le proprie posizioni short sull’azione, una strategia che si basa sul cosiddetto short squeeze, la spremitura di chi è short.

Come detto prima, chi è short si assume il rischio di perdite potenzialmente illimitate se il titolo continua a salire all’infinito. Per mettere un freno alle perdite sarà a un certo punto costretto a ricomprare sul mercato il titolo, ma questo rinforzerà ancora di più il suo rialzo, aumentando ancora le perdite per gli altri shortisti che saranno a loro volta costretti a ricomprare titoli, facendone ancor di più salire le quotazioni.

L’idea di base era che, essendoci sul mercato pochi titoli, se il gruppo di piccoli trader di WallStreetBets fosse riuscito ad acquistarne una quantità quasi totalitaria, allora i grossi fondi ribassisti, per chiudere le perdite, avrebbero dovuto rivolgersi a loro, e potendo far loro il prezzo sarebbero riusciti a estrarre ingenti guadagni, causando perdite della stessa entità per i cattivi speculatori. Una sorta di novello Davide contro Golia, in cui i giovani singoli trader da poche migliaia di dollari ciascuno riescono ad abbattere Hedge Fund da miliardi.

Nell’agosto scorso entra in scena un grosso investitore, Ryan Cohen, co-fondatore dell’azienda di e-commerce di prodotti per animali domestici Chewy, che dichiara di aver acquistato una partecipazione di 5,8 milioni di azioni Gamestop. Il gruppo WallStreetBets, che nel frattempo aveva superato il milione di membri, si accende e nel settembre viene pubblicato un post dal titolo più che eloquente: Bankrupting institutional investors for dummies, featuring Gamestop. Da allora il titolo Gamestop ha continuato a salire per tutto l’ultimo trimestre dello scorso anno: è passato dai 6 dollari di agosto ai quasi 19 di fine anno, oltre il 200% di rialzo in quattro mesi. Si arriva così all’inizio di quest’anno, con la notizia che alcuni Hedge Fund stanno avendo difficoltà sulle loro posizioni in azioni Gamestop: prima Melvin Capital Management, poi Citron Research. Elon Musk, il fondatore di Tesla, rilancia ai suoi 44 milioni di follower l’attività del gruppo WallStreetBets con il tweet “Gamestonk!”. Le azioni Gamestop esplodono e diventano le più scambiate sul mercato americano. Dai 19 dollari di inizio anno, il 27 gennaio il titolo raggiunge i 340 dollari, +1700%. Melvin Capital Management è alle corde e deve ricevere un’infusione di capitali da parte di Citadel e Point72 Asset Management di circa 2,8 miliardi di dollari per evitare il fallimento. Il capo di Citron Research, Andrew Left, invece pubblica un video su Youtube dichiarando di aver chiuso tutta l’esposizione del suo fondo in Gamestop con una perdita del 100%. Lo stesso Left ha detto alla Reuters che può fronteggiare un ragazzo di 5 anni, ma non 1000 ragazzi di 5 anni, alludendo al fatto che oltre ad aver subito ingenti perdite, in questi giorni è stato oggetto di ripetuti scherzi da parte di questa banda di pirati dei mercati: prima gli hanno hackerato la sua diretta Youtube, poi gli hanno creato falsi account su Tinder, l’app di incontri, e infine gli hanno fatto recapitare a casa dozzine di pizze mai ordinate. Persino l’addetta stampa del nuovo Segretario al Tesoro dell’Amministrazione Biden, Janet Yellen, ha dovuto dichiarare mercoledì che la sua squadra sta monitorando attentamente la situazione.

Il pericolo è infatti che questa singola storia azionaria possa contagiare altri titoli e il mercato in generale. Ci sono 70 miliardi di dollari di posizioni al ribasso sui titoli Usa e se queste scorribande dovessero estendersi a molti altri titoli le perdite per gli Hedge fund potrebbero essere tali da contagiare l’intero mercato. I fondi infatti potrebbero esser costretti a liquidare subito i titoli azionari e obbligazionari che hanno in portafoglio per aver le risorse necessarie a ricomprare i titoli sui quali sono short, estendendo così all’intero mercato gli effetti destabilizzanti della singola posizione azionaria.

Non sappiamo ancora come finirà questa storia. Mercoledì scorso altri titoli, con le stesse caratteristiche di Gamestop – bassa capitalizzazione, business in crisi e forti posizioni short – sono stati oggetto di movimenti eccezionali. AMC Entertainment è salita del 300%. Analoghi rialzi hanno interessato altre società tra cui Nokia (+100%) e BlackBerry (+60%), ma anche Blockbuster e Koss (che produce auricolari). Ieri però una delle principali piattaforme di trading online, Robinhood, ha deciso di bloccare le transazioni sui titoli più caldi, tra cui Gamestop, raffreddando tutti i titoli interessati e scatenando la protesta di alcuni deputati americani, tra cui la dem Alexandria Ocasio-Cortez e il repubblicano Ted Cruz. Potrebbe così finire che gran parte di chi ha in portafoglio questi titoli e che ancora non è riuscito a uscire, non possa più farlo per qualche giorno, dando tempo alla bolla di sgonfiarsi e ai fondi di gestire le perdite senza essere spremuti. In quel caso buona parte dei piccoli investitori che ancora non hanno liquidato le posizioni subiranno delle perdite, soprattutto gli ultimi arrivati, come succede sempre quando si arriva tardi a una festa che sta per finire. Oppure può succedere che la vigilanza della Sec (la Consob Americana) si svegli e valuti la condotta del gruppo come una manipolazione del mercato, e allora per alcuni potrebbero esserci conseguenze perfino penali. Ma potrebbe anche capitare che l’attacco ai fondi speculativi continui con successo e i cyber-pirati che hanno ancora titoli in portafoglio riescano a farseli pagare oro dagli Hedge Fund, per permettergli di chiudere le posizioni. Realizzando così un tesoro, da utilizzare attraverso WallStreetBets per altre, più grandi, scorribande.

Non conosciamo il finale, ma il film pare bellissimo.