La stima è reciproca e di lunga data (ma sempre con le dovute formalità: “Presidente”, “Dottore”), la strategia una conseguenza diretta. Gianni Letta non è il classico “pontiere” di Giuseppe Conte, ma quasi. Non è né Goffredo Bettini, né Dario Franceschini. È un di più, l’asso nella manica per aprire varchi, trattare col nemico (Forza Italia), disegnare geometrie variabili. Ergo: “Allargare” la maggioranza. E allora – oltre ai convenevoli di rito democristiano – c’è di più: un piano preciso. “Il cavallo di Troia di Conte in Forza Italia non è Berlusconi, ma Gianni Letta” spiffera un big forzista nei corridoi di Palazzo Madama. Veleni, scorie pregresse, certo, ma un fondo di verità: Letta e Conte si sentono spesso in queste ore e non è un caso che i forzisti indecisi al Senato abbiano ricevuto la telefonata diretta del “Dottore” – governista da sempre – per essere convinti non a rimanere nel centrodestra compatto ma, sorpresa, ad “aiutare” il premier tanto più ora che da Chigi è arrivato l’appello alle forze “liberali, popolari ed europeiste”. “Sono da sempre i nostri valori…” ci prova il Richelieu di Arcore con il solito tono ossequioso.
Finora non ci è riuscito, sicuramente non con i due senatori campani Mimmo De Siano e Luigi Cesaro (che si vanta di poterne portare almeno altri due) che gli hanno opposto un gran rifiuto. Ma non è escluso che nelle prossime ore non ne possano arrivare altri. E la fuoriuscita durata il tempo di una notte del senatore Luigi Vitali, convinto a tornare sui suoi passi solo dalle chiamate di Silvio Berlusconi (“Sei iscritto dal 1995”) e Matteo Salvini (“Mi sono piaciuti i tuoi interventi sulla giustizia”) e da un “blitz” dei senatori leghisti sotto casa, è solo una spia.
Basti pensare che nelle chat forziste mercoledì sera girava con insistenza il messaggio di Vitali ai colleghi: “Sono stato maltrattato e preso a calci in bocca da Antonio Tajani” diceva il senatore pugliese. E quindi gli ordinari malumori nei confronti dei vertici “troppo appiattiti sulla Lega” (Tajani-Ronzulli-Bernini), ora sono diventati tormenti, considerando che – in caso di elezioni anticipate – Forza Italia riporterebbe in Parlamento al massimo 40 deputati sui 145 attuali. E non è un caso che ieri Antonio Tajani abbia allontanato le elezioni parlando di “governo dei migliori”. Ma chi sa già che la sua strada è segnata, si è iniziato a guardare intorno. Si parla di almeno 4-5 senatori e di 15 deputati, quelli vicini a Mara Carfagna che, al termine della crisi, lascerà Forza Italia. Tutti gli occhi sono puntati su Maria Tiraboschi, Sandro Biasotti, Barbara Masini e Anna Carmela Minuto.
Proprio Minuto, secondo un pontiere, viene data molto vicina a passare con la maggioranza. Il perché è presto detto: il seggio della senatrice di Molfetta, alla prima esperienza parlamentare, è in bilico dopo che la giunta ha contestato la legittimità del suo ingresso a Palazzo Madama ritenendo fondato il ricorso del forzista Michele Boccardi. Minuto accusa il partito di non averla sostenuta (il presidente della giunta è Maurizio Gasparri) e passare nelle file della maggioranza l’aiuterebbe a mantenere il seggio.
La stessa situazione riguarda il renziano Vincenzo Carbone, ex FI eletto in Campania il cui scranno è insediato dal presidente della Lazio, Claudio Lotito. Ora che Italia Viva è passata all’opposizione, Carbone rischia grosso e per questo un sostegno ai giallorosa potrebbe farlo stare tranquillo.
Ma gli sherpa dem lavorano anche sugli ex renziani che potrebbero tornare nel Pd. C’è Mauro Marino, in silenzio da giorni, il cui ritorno nei dem viene dato per certo ma anche i senatori Leonardo Grimani ed Eugenio Comincini che giovedì notte, nella riunione dei parlamentari, invitavano Renzi alla cautela, a deporre l’ascia di guerra. Il leader di Iv sa che quei tre sono già persi, ma li ha convinti a rimanere almeno fino alla fine delle consultazioni per vedere cosa succede e continuare a negoziare da una posizione di forza.