È ancora presto per dire “guariti”

Già a luglio, sul Journal of the American Medical Association, era stato pubblicato un lavoro italiano sulla persistenza di sintomi in pazienti guariti da Covid-19. L’11 gennaio è apparsa una nuova pubblicazione da parte di ricercatori cinesi. Le osservazioni sono sovrapponibili. I ricercatori italiani hanno evidenziato che solo il 12,6% dei pazienti guariti, dopo 3-4 mesi mostravano assenza di sintomi. Il secondo studio, condotto su pazienti di Wuhan, evidenzia come, dopo sei mesi il 76% dei pazienti mostrasse almeno un sintomo. In particolare, il 63% mostra debolezza muscolare, il 26% disturbi gravi del sonno e il 23% ansia o depressione.

“Long Covid – sostiene Thomas Gut, associato di Medicina allo Staten Island University Hospital di New York – è una sindrome in evoluzione”. Molti attribuiscono i sintomi a danni d’organo subiti durante la malattia acuta. In alcuni casi abbastanza comprensibili, altri molto meno.

Le stranezze sono legate solo ai sintomi persistenti, ma anche alle non conosciute motivazioni dei sempre più numerosi casi di reinfezione. C’è una causa comune? Ricercatori, alcuni del mio gruppo di lavoro, sono impegnati nella valutazione di alcuni casi emblematici. Esiste la possibilità che, come per l’Hiv, ci siano reservoir ancora non scoperti. Quella che definiamo “guarigione” dal Covid-19 è, di fatto, la negativizzazione del tampone (che ha suoi limiti di sensibilità) e la scomparsa dei sintomi più gravi. Nulla conosciamo della condizione di ogni singolo organo o se ancora una carica virale stia ancora circolando nel paziente. Per dare un contributo in tal senso, stiamo genotipizzando e comparando i virus isolati nello stesso paziente “reinfettato”, alla prima manifestazione clinica e alla successiva. Da questa osservazione potrebbero poi essere avanzate ipotesi, tutte da dimostrare. Resevoir? Nuovi mutanti del virus? Scomparsa degli anticorpi neutralizzanti (quelli che servono a bloccare il virus)? Sintomi long-term dovuti alla continuazione di un danno virale “sotto traccia”? Dopo quasi un anno, purtroppo, sono più numerose le domande delle risposte.

 

Il “Fatto” fa ascolti, anzaldi è in pena

Il soldato Anzaldi è ripartito per la guerra. Stavolta l’obiettivo non è la Rai, ma La7 scambiata per un “servizio pubblico” (Michele Anzaldi, di Italia Viva è membro della commissione di Vigilanza Rai). Oggetto della polemica è però sempre il Fatto, reo di essere ospitato troppo spesso nei talk show. Dopo essersela presa con Andrea Scanzi, presenza fissa di Cartabianca a cura di Bianca Berlinguer, ora attacca Lilli Gruber dopo aver scoperto, grazie a Riccardo Puglisi de lavoce.info che nella trasmissione Otto e mezzo ci sono state per il Fatto, negli ultimi 4 anni, 474 presenze, per il Corriere 360, Il Giornale 171, La Stampa 114, la Verità 110, Repubblica 109. Tra i primi 5 giornalisti più presenti 3 sono del Fatto (Travaglio, Scanzi e Padellaro). Anzaldi, che si rivolge all’Authority e all’Ordine dei giornalisti (chissà perché) vuole sapere se i giornalisti siano stati pagati o contrattualizzati (a lui non deve essere nascosto nulla). Ma forse farebbe prima a chiamare Lilli Gruber e farle due semplici domande: che ascolti fa Otto e mezzo quando c’è il Fatto? E perché viene chiamato? Forse perché tutti gli altri giornali dicono la stessa cosa e per sentire un’opinione diversa bisogna ascoltare noi? Telefoni…

Il maestro Casini e il mercato delle vacche

Colto, arguto, brillante, un maestro della politica, un uomo affascinante e dall’invidiabile vita sentimentale. Più che un’intervista, quella del Corriere della Sera a Pier Ferdinando Casini è una clamorosa dimostrazione d’affetto, un lungo bacio bagnato. L’ex presidente della Camera è così: “Elegantissimo, sbarbato”, “conosce ogni ballo: tango, valzer, rock”, i cronisti politici “lo adorano”, è un “fuoriclasse”. Ed è quindi l’uomo giusto a cui chiedere un parere sulla crisi politica. Casini non si sottrae, elenca minuziosamente gli errori di Conte (“ha sbagliato tutto”) e denuncia l’inquietante mercato delle vacche al quale lui ovviamente si è negato per questione di stile ed etichetta. Casini dall’alto del suo standing rimbrotta il premier “intestardito” che ha cercato i voti di chiunque “compreso quello di Ciampolillo, che io dico, santa miseria…”. Lui è diverso: “Io non voglio essere tirato dentro questo teatrino imbarazzante, nonostante ne abbia viste tante e sia l’ultimo a potermi scandalizzare”. Ecco, almeno non si scandalizza il senatore Casini, democristiano eletto col Pd nella rossa Bologna per la decima legislatura della sua elegantissima carriera.

Destra al colle Marcamento

Tutti insieme sospettosamente: la maxidelegazione del centrodestra che sale domani da Sergio Mattarella si spiega con il rigido e reciproco marcamento a uomo (e a donna) come raramente si è visto nelle consultazioni al Quirinale.

E poiché, come dice il saggio, la diffidenza più che sfiducia preconcetta è prudenza lungimirante, nello studio presidenziale i commessi di sedie dovranno aggiungerne parecchie visto che accanto ai leader di Lega e FdI, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, occorre fare posto ad Antonio De Poli dell’Udc, a Giovanni Toti di Cambiamo e a Maurizio Lupi di Noi per l’Italia.

Quanto a Forza Italia, dovrebbe esserci l’eterno vice, Antonio Tajani, anche se non è del tutto esclusa la presenza di Silvio Berlusconi. Ringalluzzito dalla candidatura al Colle lanciata inopinatamente dal capo del Carroccio, l’ex Cavaliere potrebbe, chissà, considerare augurale e propizio l’invito a palazzo. Anche se è evidente a tutti che l’esca salviniana è stata lanciata nella speranza che l’ex Cavaliere nel baloccarsi con i sogni quirinalizi – resi meno impossibili da un Parlamento dominato dalla destra – si uniformasse alla richiesta di elezioni anticipate, piantandola con la solfa dell’unità nazionale. Anche qui classica difesa a uomo, ma anche a zona dal momento che dopo Mariarosaria Rossi e Andrea Causin possono esserci altri senatori forzisti in libera uscita verso i Responsabili, e dunque verso Giuseppe Conte.

Detto che pure Salvini e Meloni hanno le loro buone ragioni per non perdersi di vista, impegnati come sono a strapparsi i voti nello stesso serbatoio elettorale populista e sovranista, ci vuole un cuore di pietra per non essere toccati dal crudele destino dei cespugli centristi. I vari Toti e Lupi che al cospetto del capo dello Stato saranno costretti a chiedere il voto subito, e dunque la loro molto probabile scomparsa dai radar parlamentari. Con lo stesso entusiasmo, immaginiamo, dei capponi che fremono per anticipare il pranzo di Natale. Sicuramente meno astuti dell’Udc Lorenzo Cesa, che all’autolesionismo preferisce il darsi indagato.

Caso Gregoretti, oggi Conte dai pm

I magistrati di Catania che devono decidere se mandare a processo l’ex ministro Matteo Salvini per la gestione dei migranti della Nave Gregoretti hanno acquisito agli atti dell’udienza preliminare nuova documentazione: nel fascicolo del procedimento che vede imputato il capo della Lega con l’accusa di sequestro di persona aggravato, il carteggio tra la Presidenza del Consiglio e il ministero degli Esteri, tra il premier Giuseppe Conte e gli Stati contattati in vista del ricollocamento dei migranti a bordo e alcune informative rese dal premier in Parlamento.

Il gup Nunzio Sarpietro, oltre a sollecitare la documentazione ai ministeri interessati dal caso arrivata ai magistrati anche nelle ultime ore, a ottobre aveva dato mandato alla polizia giudiziaria di accertare quanti e quali episodi di sbarchi di migranti, simili sotto il profilo degli accadimenti a quello della nave Gregoretti, si fossero verificati nel periodo in cui Salvini rivestiva la carica di ministro dell’Interno estendendo l’accertamento anche agli sbarchi avvenuti successivamente, quando era cambiata la compagine di governo frutto dell’alleanza giallorosa.

Nell’ordinanza di ottobre aveva poi anche disposto l’assunzione delle testimonianze dei soggetti informati sui fatti: all’udienza preliminare del 12 dicembre a Catania erano stati ascoltati gli ex ministri delle Infrastrutture e della Difesa, Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta, oltre a Salvini stesso che aveva reso dichiarazioni spontanee.

Oggi a Palazzo Chigi verrà interrogato anche Giuseppe Conte, che nelle ultime ore ha fatto il punto con i suoi collaboratori per una ricognizione puntuale degli elementi che potrebbero essere oggetto della sua audizione in cui verrà ribadito il ruolo svolto in collaborazione con la Farnesina, come in altri casi analoghi, per il ricollocamento dei migranti in altri Paesi europei. Quanto invece alla responsabilità rispetto alle operazioni di sbarco, Conte aveva già ribadito un anno fa, quando al Senato era stato chiamato a esprimersi sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini, che l’allora ministro dell’Interno “aveva fatto approvare un decreto Sicurezza che rinforzava le sue competenze: ha rivendicato a sé la scelta sul se e quando far sbarcare le persone a bordo della Gregoretti”. Il presidente del Consiglio non sarebbe intenzionato a depositare memorie né ulteriori atti rispetto a quelli già trasmessi a Catania su sollecitazione del gup o inoltrati in precedenza alla difesa dell’ex ministro Salvini rappresentato dall’avvocato Giulia Bongiorno. A cui il Segretario della Presidenza del Consiglio, Roberto Chieppa, aveva trasmesso una nota degli uffici di diretta collaborazione di Conte, sulle interlocuzioni avute tra il 27 e il 31 luglio 2019 sul ricollocamento dei migranti con ministeri e organismi internazionali, ma anche la certificazione che nei giorni tra il 25 e il 31 dello stesso mese in cui i migranti erano stati trattenuti a bordo della Gregoretti, non si era tenuto alcun consiglio dei ministri sulla questione del loro sbarco. Proprio come già segnalato da Palazzo Chigi al Tribunale dei ministri che, prima di formulare l’imputazione nei confronti di Salvini aveva voluto accertare se lo sbarco ritardato dei migranti della Gregoretti fosse stato frutto di una decisione collegiale o del solo ministro dell’Interno.

Appendino condannata. “Pago per gesto folle di altri”

“Accetto e rispetto la decisione del giudice, anche per il ruolo istituzionale che ricopro. Ma non posso non nascondere una certa amarezza, perché c’è un sindaco che paga per un gesto folle di ragazzi che sono stati già condannati anche in Appello”.

Non nasconde la delusione Chiara Appendino, quando esce dal Palagiustizia di Torino dopo la lettura della sentenza di condanna (con rito abbreviato) a un anno e sei mesi nell’ambito del processo sulla tragedia di piazza San Carlo. Era la sera del 3 giugno 2017 quando nel “salotto” della città si erano accalcate migliaia di persone in occasione della proiezione, su un maxischermo, della finale di Champions league Juventus-Real Madrid. Alcuni boati improvvisi fecero scatenare il panico, con un fuggi fuggi generale che provocò due morti – Erika Pioletti e Marisa Amato – e oltre 1500 feriti. Per quanto avvenuto quella sera, quattro ragazzi sono già stati condannati in Appello a dieci anni: hanno usato lo spray al peperoncino per commettere delle rapine, provocando ondate di panico.

Però per il procuratore aggiunto Vincenzo Pacileo – che contesta ad Appendino e agli altri quattro imputati i reati di omicidio, lesioni e disastro colposi – c’è anche una responsabilità dell’amministrazione: la piazza fu progettata male, senza vie di fuga, né misure di sicurezza che impedissero che qualcuno si facesse male. Per Appendino – che ieri ha annunciato il ricorso in Appello – quanto si verificò fu invece imprevedibile. “Quello che è accaduto – ha rimarcato – è un dolore che porto con me e che porterò sempre. La tesi dell’accusa è che avrei dovuto prevedere e annullare la proiezione. È una tesi dalla quale mi sono difesa e che, dopo aver letto le motivazioni della sentenza, cercherò di ribaltare in Appello. È evidente che se avessi avuto gli elementi per prevedere ciò che sarebbe successo, l’avrei fatto. Ma così non fu”. Oltre alla sindaca ieri sono stati condannati, a un anno e sei mesi, il questore dell’epoca, Angelo Sanna, l’ex capo di Gabinetto di Appendino, Paolo Giordana, l’ex presidente di Turismo Torino (l’agenzia che prese in carico la creazione dell’evento) Maurizio Montagnese ed Enrico Bertoletti, l’architetto che progettò l’allestimento della piazza per quella serata.

L’evento, da quanto sta emergendo dal processo in corso ad altri indagati che hanno scelto il rito ordinario, venne organizzato in pochi giorni. La piazza venne chiusa da decine di transenne, sulle quali inciamparono migliaia di persone in fuga. Molti si ferirono pestando i cocci di vetro che tappezzavano il selciato. Non esistevano insomma spazi liberi, dentro alla piazza, che potessero fungere da corridoi di sicurezza in caso di calamità. Quando si sentirono i primi boati, molti rimasero travolti da chi fuggiva, altri si schiantarono contro transenne e portici.

“Tutti ebbero delle responsabilità – ha dichiarato il procuratore aggiunto Pacileo –. Anche la sindaca, che non ha solo un ruolo politico, ma di gestione”. Proprio su questo, ieri, la Appendino ha aggiunto: “Sui rischi e sulle responsabilità a cui sono esposti i sindaci, forse andrebbe aperta una sana discussione”. Ed è quanto rimarcato anche dai suoi legali. “Così il sindaco diventa il mestiere più pericoloso in assoluto”, ha detto l’avvocato Luigi Chiappero.

Dopo la sentenza, è arrivata la solidarietà del Movimento 5 Stelle. “La nostra sindaca paga per il gesto folle di quattro rapinatori – ha dichiarato il gruppo consiliare di Torino – ci chiediamo chi da oggi si prenderà la responsabilità di organizzare un evento”. “Conosco bene Chiara Appendino e proprio in questi momenti, sicuramente difficili, ha bisogno del sostegno di tutti noi”, ha scritto su Facebook Luigi Di Maio, aggiungendo: “È una persona straordinaria, di cui mi fido e mi continuerò a fidare”. “La decisione non ci restituisce nostra mamma”, è invece il commento dei figli di Marisa Amato, la donna deceduta dopo aver riportato traumi gravissimi.

Il manager di Atlantia: “Per Castellucci Aspi è ingessata, i Benetton vogliono solo gli utili”

A marzo del 2020 è ormai finita la lunga luna di miele tra Giovanni Castellucci e la famiglia Benetton. L’ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia e della holding Atlantia, travolto dalle indiscrezioni sulle inchieste giudiziarie seguite al crollo del Ponte Morandi, è stato allontanato dal gruppo. Ma la sua figura, così come la sua influenza, continuano a incombere. E ritornano nei discorsi tra i più alti vertici delle società. Ne parlano Carlo Bertazzo e Fabio Cerchiai, rispettivamente il nuovo amministratore delegato e il presidente di Atlantia: “Ti riferisco – commenta il primo – quello che mi dicono… dice (Castellucci, ndr) guarda ’sta Edizione, ’sti Benetton, mi hanno…”. “Fregato?”, domanda Cerchiai. “No, no, ingessata, la società. Volevano solo dividendi, dividendi, dividendi… Hanno ingessato la società, è questa la parola che mi hanno riferito entrambe le fonti”.

L’intercettazione è stata depositata nell’inchiesta sul disastro di Genova, e sui filoni nati dal cedimento del viadotto. Una conversazione ritenuta rilevante dalla Procura e dalla Guardia di Finanza di Genova perché inquadra ancora una volta la connessione tra scarsa manutenzione e obiettivi di profitto. Una strategia che ritorna nelle contestazioni mosse a Castellucci. Queste nuove telefonate introducono, forse per la prima volta in modo così diretto, un possibile diktat della proprietà: è possibile che Castellucci, sentendosi scaricato, cerchi di coinvolgere livelli più alti? Al suo condizionamento Bertazzo e Cerchiai non credono molto: “Faccio fatica a ricondurlo a Giovanni – dice Cerchiai – se mi dici che ha detto che questi Benetton mi hanno maltrattato, sono dei cazzoni, può essere… Ma che l’hanno ingessato costringendolo con ’sti dividendi… non ci credo”.

I due manager affrontano poi un altro tema cruciale. La trattativa in corso con il governo, il tavolo per il rinnovo della concessione, che procede in parallelo alla spada di Damocle della revoca. Un processo su cui, ancora una volta, si allunga l’ombra di Castellucci: “Dice (sempre riferito all’ex amministratore, ndr) che devono uscire da Atlantia. Edizione (la cassaforte della famiglia Benetton, ndr) deve uscire da Atlantia”, prosegue Bertazzo. “A prescindere – replica Cerchiai – se riuscisse a vendere Edizione a 23 euro sarebbe un’operazione di massima convenienza”. “Questo lo penso anche io (ride)”, chiosa Bertazzo. La prospettiva in ogni caso non si è concretizzata, oggi le azioni di Autostrade per l’Italia sono quotate a 13,49 euro. Ma i due supermanager sospettano che Castellucci attenda l’abbassamento del valore delle azioni per guidare una cordata che si impossessi del gruppo: “Gianni – dice ancora Cerchiai – mi ha accennato che sta trafficando con una banca d’affari per organizzare qualcosa su Atlantia”.

Minorenni sui social, il Garante della Privacy apre un fascicolo su Facebook e Instagram

Il Garante per la protezione dei dati personali ha aperto ieri un fascicolo su Facebook e Instagram. La misura arriva qualche giorno dopo che era stato predisposto il blocco di Tik Tok in Italia per i minori di 13 anni. Un provvedimento emergenziale, conseguenza della morte della bambina di Palermo per asfissia, molto probabilmente dopo aver cercato di emulare una pratica (la cosiddetta blackout challenge) vista proprio sul social, che consisterebbe nel legarsi una corda o una cintura attorno al collo fin quasi a perdere conoscenza. Pratica che, oltretutto, diversa casistica sembra mostrare molto diffusa soprattutto tra i più piccoli (si sta ad esempio indagando su un altro caso, un bambino di Bari che si sarebbe collegato con il telefono della madre). Una circostanza che comunque la Procura di Palermo dovrà confermare con l’analisi dello smartphone della bambina.

Da questo evento sono poi scaturite le richieste alle altre piattaforme. Oltre a quello su Tik Tok, la bambina avrebbe infatti aperto altri due profili su Facebook. L’Autorità ha chiesto a Facebook, che controlla anche Instagram, di fornire una serie di informazioni: prima di tutto quanti e quali profili avesse la minore. Poi, qualora questa circostanza venisse confermata, come sia stato possibile, nonostante l’età, che sia riuscita a iscriversi alle due piattaforme. Il garante ha chiesto soprattutto di fornire precise indicazioni sulle modalità di iscrizione ai due social e sulle verifiche dell’età dell’utente adottate per controllare il rispetto dell’età minima di iscrizione. Ora Facebook dovrà fornire un riscontro entro quindici giorni e si dovrà verificare se ci sono criticità.

La mossa, comunque, di fatto apre una crepa in un sistema che finora ha mostrato molte debolezze e impone alle aziende di trovare soluzioni per normare l’accesso dei minorenni.

Secondo le regole della Privacy, infatti, in Italia gli utenti al di sotto dei 14 anni non possono accedere o al massimo c’è bisogno del consenso dei genitori, ma il problema è che nessun ragazzino dichiara mai la sua vera età, dunque non c’è alcuna ulteriore verifica sulla veridicità della dichiarazione (mentre invece i social sono molto più attivi sul tema degli pseudonimi o degli account falsi). Il Garante, intanto, ha anche ricevuto risposta da Tik Tok sulle sue pratiche e al momento sta analizzando le dichiarazioni. “In questo tragico momento, le nostre più sentite condoglianze vanno alla famiglia della bambina – ha detto ieri un portavoce di Facebook, dove sono comunque vietati gli account degli under 13 –. Sicurezza e privacy sono le più grandi priorità per Facebook e Instagram. Collaboreremo pienamente con l’Autorità”.

“Cerca notorietà”. Gip archivia querela di Bassetti

Da epidemiologo star a testimonial di cravatte e ditte di disinfestazione. Matteo Bassetti, volto ormai arcinoto nei salotti televisivi dedicati al coronavirus, non aveva gradito alcuni articoli di stampa sulle campagne pubblicitarie che lo avevano visto come protagonista: “Della mia popolarità faccio ciò che voglio”, aveva commentato. Al punto che aveva querelato per diffamazione la giornalista Monica Di Carlo, direttrice del giornale online Genova Quotidiana, e un consigliere regionale, Gianni Pastorino (Linea Condivisa). Sulla vicenda ieri si è pronunciata il gip Angela Maria Nutini, che ha archiviato la querela: i fatti sono tutti veri, scrive il magistrato, e l’esposizione continente. Quanto all’interesse pubblico, aggiunge, è lo stesso medico ad averlo ricercato: “Maggiore è la notorietà di un soggetto e la sua volontaria esposizione mediatica, maggiore è l’interesse pubblico. Ciò vale per i politici ma sicuramente per un epidemiologo in questo momento storico”. Fra gli elementi oggetto della querela c’erano anche le posizioni “ritenute impropriamente rassicuranti dal giornalista”, ma che secondo il giudice rientrano nel diritto di critica.

Abuso d’ufficio, Bonaccini finisce indagato a Ferrara

Stefano Bonaccini è indagato per abuso d’ufficio in un fascicolo della Procura di Ferrara su presunte pressioni fatte dal governatore. A novembre 2019 Paolo Pezzolato, sindaco del Comune ferrarese di Jolanda di Savoia, presenta infatti un esposto in cui spiega che la sua vice Elisa Trombin sarebbe stata avvicinata da Bonaccini con l’offerta di candidarsi alle elezioni regionali. Trombin però preferisce candidarsi con la leghista Lucia Borgonzoni. Una scelta che avrebbe scatenato il nervosismo del dem secondo Pezzolato, che ha registrato quella telefonata ora agli atti: “Cambierà qualcosa rispetto ai rapporti con voi, se per caso vinco io, dopo non mi cercate più” avrebbe detto il governatore, sempre secondo quanto riportato da Pezzolato. C’è anche un’altra telefonata tra il sindaco Pezzolato e Andrea Zamboni, primo cittadino del Comune limitrofo Riva del Po in merito alla revoca di alcuni dipendenti in forze a Jolanda. “Deve passare la campagna elettorale, ho il coltello puntato nella schiena”, avrebbe detto Zamboni. Che avrebbe detto anche di avere “il fiato sul collo di chi governa più in alto”. Bonaccini si è dichiarato “totalmente estraneo ai fatti”.