Alla fine il vero ritardo sul Next Generation Eu è quello europeo. Gli ostacoli stanno a Bruxelles, non certo nelle decisioni degli Stati che hanno ancora del tempo, fino al 30 aprile, per presentare i loro piani. E gli ostacoli non sono meramente tecnici o burocratici, perché esprimono invece una volontà politica della Commissione di controllare il meccanismo di formazione dei piani nazionali.
Il punto sugli ostacoli è stato sollevato ieri dal ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, che in un’intervista al Financial Times ha invitato la Ue a superare “i blocchi” per garantire un esborso più rapido agli Stati membri.
“Vedo che ci sono blocchi e che tutto questo è troppo lento”, ha detto Le Maire riferendosi all’asse franco-tedesco come a un “capitale politico” che non può oggi essere sprecato da ritardi “per ragioni tecnocratiche”, e ha ribadito: “È tutto troppo lento e troppo complicato. Dobbiamo accelerare”.
La Francia ha presentato un piano, il France Relance, da 100 miliardi in cui i fondi europei contano solo per il 40%, il resto sono risorse nazionali. Questa è la prima importante differenza con il Piano di Ripresa e Resilienza italiano. Parigi pensava di poter spendere queste risorse già entro la fine del 2021 anche perché, spiega Le Maire al Ft, “questo è forse il momento più difficile della crisi perché ci sono nuove varianti del virus molto contagiose, le vaccinazioni non sono state ancora completamente avviate e c’è un forte esaurimento dei nostri cittadini, in particolare nell’economia”.
Ma si tratta solo di problemi tecnici? In realtà, in questi giorni, si assiste a un continuo movimento che coinvolge il ruolo della Commissione europea a partire da Paolo Gentiloni: da Bruxelles, anche facendo filtrare la spiegazione dei “ritardi” nazionali, è partita un’offensiva contro i vari Paesi che non risparmia nessuno.
È successo all’Italia ed è successo, incredibilmente, anche alla Germania dove il quotidiano Handelsblatt, citando fonti vicino al governo di Berlino, ha scritto che la Commissione Ue giudica “carente sul fronte delle riforme” il piano tedesco che, quindi, andrebbe migliorato.
In una sorta di nemesi storica, Bruxelles sembra chiedere alla Germania di “migliorare il sistema pensionistico”, come per anni è stato richiesto all’Italia. E secondo El Paìs la stessa richiesta è stata mossa al governo spagnolo, il secondo Paese per ampiezza di risorse ricevute dopo l’Italia. La Commissione, quindi, sta esercitando pienamente il suo ruolo di “guardiano” delle politiche standard, quelle che poi sono evidenziate dalle raccomandazioni del semestre europeo, non a caso inserito nell’accordo siglato attorno al Next Generation Eu.
La settimana scorsa, infatti, la Commissione ha aggiornato le Linee guida per la realizzazione dei vari Recovery plan rafforzando l’indicazioni delle “riforme” necessarie a sostanziare gli interventi di ricostruzione e confermando quindi la volontà di controllo politico delle azioni nazionali. Un controllo che però va oltre la giusta sorveglianza sulle modalità in cui i fondi verranno spesi, ma che mira a ottenere risultati politici sull’onda delle solite e vecchie discriminanti euro-rigoriste.
Assumono così particolare rilievo due fattori simultanei e che riguardano i due Paesi-chiave della Ue. Le Maire, infatti, ribadisce nell’intervista al Ft la richiesta di rivedere il Patto di stabilità e crescita e quindi le regole che fissano al 3% e al 60% del Pil rispettivamente i livelli di deficit e debito pubblico tollerabili dalle regole europee. La Francia, quest’anno dovrebbe arrivare a una percentuale del 120% del debito sul Pil, elemento che spinge Le Maire a dire che le regole “dovrebbero essere rivalutate per tenere conto della realtà” fatta di tre cose: “I livelli di debito più alti nella nostra storia, i tassi di interesse più bassi nella nostra storia e maggiori esigenze di investimento nella nostra storia”.
Il quotidiano londinese riporta che anche il “falco” tedesco Wolfgang Schäuble, ex ministro delle Finanze, che ha sempre sostenuto l’applicazione rigorosa del Patto di stabilità e crescita, ha espresso simpatia per coloro che affermano che le regole dovrebbero essere riformate prima di essere reimposte.
La posizione è in linea con quanto scritto il giorno prima da Helge Braun, capo di gabinetto del governo Merkel in un contributo apparso sul quotidiano Handelsblatt: “Il freno al debito non potrà essere rispettato nei prossimi anni, anche con una disciplina di spesa rigorosa”. I movimenti di fondo sono questi, le battute e le polemiche sui ritardi rischiano di non essere al passo.