Guai. Perché riaprire a chi semina ostilità solo per restare famoso?

È impossibile interpretare con la logica ciò che è i privo di senso, se non del senso distruttivo del capo di una banda di irresponsabili. A costui hanno tenuto bordone in molti, nel Pd e tra i 5Stelle, altrimenti la sua fregola di potere sarebbe stata silenziata per cause di forza maggiore (pandemia, vaccini, crisi economica). Si potrebbe auspicarne la riduzione all’irrilevanza: questo vuol dire un Conte ter con gente di Fi, il che costituirà il futuro pretesto per gli ipocriti; si potrebbe ottenere lo stesso risultato igienico con le elezioni, che consegneranno la nazione a Salvini e Meloni, testimonial dei droplets e contrari allo stato d’emergenza; sperare che Conte “riapra” a Iv, ma perché dovrebbe riaprire, pure senza “risentimento”, a uno il cui unico fine è gettare tutti nel caos e seminare ostilità per rimanere famoso? Speriamo nel presidente della Repubblica: che agisca mettendo il Paese al primo posto e i distruttori risolutivamente nell’angolo.

In salita il premier ha nemici ovunque, e intanto il virus corre

Nel mondo parallelo della politica è iniziato il gioco. A raggiera tra i Palazzi corrono i reciproci sospetti, come tanti fili ora in mano a Mattarella. Chi rischia di intrecciarli troppo e rimanerne soffocato è Conte, che da ieri gira intorno al Colle in attesa del reincarico. Ha governato l’ingovernabile e lo ha fatto bene. Per questo è considerato l’usurpatore del tavolo verde. Ha quasi tutti contro. I nemici dentro al Pd restano invisibili come Delrio, mentre nei 5stelle si nascondono dietro le buone parole di Di Maio. Ha nemici dentro i Responsabili, che ci sono, ma ancora non si lasciano trovare, come l’irresponsabile di Rignano. E ha nemici nella destra più stolida d’Europa, compreso il povero Silvio B. che nella sua ora di lucidità quotidiana chiede ai camerieri come si permette Conte di molestare i suoi senatori, dopo quello che li ha pagati. Lo tranquillizzano Salvini e il cuoco, promettendogli le urne e se fa il bravo il Quirinale. Il virus corre, la crisi andrà in salita.

Corna renziane e amanti costruttori

Visto che in politica, più che altrove, la forma è sostanza, le consultazioni al Quirinale potrebbero rappresentare l’occasione giusta per regolarizzare il rapporto tra Giuseppe Conte e i Costruttori (o Responsabili, o Volenterosi) secondo il galateo Mastella. Quello illustrato alcuni giorni fa dal navigato sindaco di Benevento a proposito del corteggiamento dei senatori necessari a rendere meno macilenta la maggioranza giallorosa. “Conte deve capirlo, i responsabili sono come l’amante. A un certo punto devi dare loro dignità, portarli allo scoperto, riconoscerne il valore. Altrimenti ti dicono addio e sul più bello non potrai contare su di loro”. Immaginiamo la scena, ecco Bruno Tabacci capogruppo dei costruttori ansiosi di costruirsi una reputazione (farò di te una donna onesta) che con l’abito buono viene ricevuto a palazzo, sfila per gli augusti corridoi, entra ed esce dallo studio di Mattarella e nel presentarsi ai microfoni per le rituali dichiarazioni ha lo sguardo sfavillante sopra la mascherina, e gli occhi par che dicano: finalmente non più costretti a nasconderci.

Dopodiché non ci sarebbe troppo da preoccuparsi per i numeri esigui poiché la cosiddetta quarta gamba centrista, popolare, liberale, europeista non potrà che rimpinguarsi di fidanzati e fidanzate (politiche) stufi di fornicare voti in silenzio e bramosi di uscire allo scoperto. Poiché naturalmente sarà ammessa la più completa, trasgressiva e solidale fluidità di genere, come in quel film (In&Out

) dove gli studenti si dichiarano tutti gay in una toccante dichiarazione di principio a sostegno del professore gay. Per restare alla turgida immagine mastelliana, bisognerà vedere poi come la prenderebbe la legittima consorte, che nel nostro caso sono tre (Pd, M5S, LeU) però tutte sufficientemente disinibite e opportuniste per accettare un ménage à quatre (e qui ci soccorre Woody Allen: Basta che funzioni

). Resterebbe il ruolo di Matteo Renzi, ma se Conte andasse a dama gli calzerebbe a pennello quello di Ugo Tognazzi nel Magnifico Cornuto

(marito infedele divorato dal sospetto che la moglie lo tradisca, cosa che poi avviene).

Rostagno, “il delitto fu deciso dal papà di Messina Denaro”

Mauro Rostagno fu ucciso da Cosa Nostra per il suo “forte impegno antimafia quale giornalista di inchiesta presso l’emittente televisiva trapanese Radio Tele Cinema (RTC)”, la sua attività “poneva in crisi il sistema di potere criminale imperante in quel territorio, che faceva capo al rappresentante della provincia, Francesco Messina Denaro, e ai capi-mandamento di Trapani e Mazara del Vallo, rispettivamente Vincenzo Virga e Francesco Messina (‘Mastro Ciccio’)”. Dunque. le piste alternative, da quella interna alla Saman alla pista politica di Lotta Continua, ai traffici internazionali di armi costati la vita a Ilaria Alpi e Miran Hovratin, “sono state vagliate dai giudici di Appello che ne hanno dimostrato, con argomenti adeguati e logici, l’infondatezza”.

A 33 anni dal delitto di Valderice, le motivazioni della Cassazione pongono il sigillo definitivo sul mandante mafioso dell’omicidio del sociologo di Trento, ucciso per il suo instancabile e coraggioso lavoro di denuncia sociale contro mafia e corruzione allora imperanti nel Trapanese, ma lasciano aperti tutti gli interrogativi sui killer, tuttora ignoti (almeno quattro o cinque) che agirono quella sera del 26 settembre 1988, tra le 20.15 e le 20.30, in una buia stradina di campagna poco lontano dalla comunità di tossicodipendenti Saman.

A volere la sua morte fu il padre di Matteo Messina Denaro, attuale primula rossa di Trapani, Francesco, che “odiava Rostagno”, come ha rivelato Angelo Siino, e che diede l’incarico al boss Vincenzo Virga, definitivamente condannato con lo stesso verdetto che ha confermato l’assoluzione dell’unico killer imputato, il tiratore scelto Vito Mazzara. Sono sette i collaboratori di giustizia, tutti di peso, citati dai giudici di Cassazione nelle 39 pagine di motivazioni, che hanno rivelato la matrice mafiosa del delitto. Da Franco Di Carlo, che ha citato le confidenze ricevute dal fratello Andrea e dal cognato Giovanni Caffrì, a Francesco Marino Mannoia, che ha riferito come Mariano Agate, boss con solidi agganci massonici, era “infuriato con Rostagno per i servizi giornalistici che dedicava al processo in cui era imputato per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari”.

Un’insofferenza per il giornalismo di denuncia descritto anche dal pentito Giovanni Brusca, il killer della collinetta di Capaci, che ha riferito le confidenze di Riina e quelle del boss Francesco Messina ‘Mastro Ciccio’, che gli rivelò le sue intenzioni omicide. E fu Vincenzo Sinacori, testimone oculare dell’incarico di morte, a rivelare che l’ordine di ammazzare Rostagno era partito dal patriarca Francesco Messina Denaro, che in sua presenza aveva incaricato Virga. Il giorno dopo il delitto la conferma gli era venuta da ‘mastro Ciccio’ che gli aveva detto che “se l’erano fatto i trapanesi”. Quello stesso ‘Mastro Ciccio’ che aveva incaricato Francesco Milazzo di studiare i luoghi attorno l’emittente RTC per preparare l’agguato, successivamente fermato “presumibilmente perché la cosa era stata avviata con l’ausilio di altri ‘picciotti’”.

E di uccidere Rostagno si parlava anche in ambienti diversi da quelli di Cosa Nostra, come testimoniano le parole di Salvatore Vassallo, uno dei collaboratori del sociologo a RTC, che ai giudici ha riferito “quanto appreso dall’amico Ignazio Piacenza (impiegato di una banca di Xitta, imparentato con soggetti mafiosi, tra cui il cognato Andrea Maiorana, socio in affari con Vito Mazzara), secondo cui Rostagno era ‘segnato’ e sarebbe stato ‘spento’ entro il mese successivo’’. Per la Cassazione però Mazzara resta estraneo al delitto, e le conversazioni in carcere intercettate con i familiari nelle quali manifesta ‘preoccupazione’ in coincidenza con la ripresa delle indagini non costituiscono indizio di colpevolezza: Vito Mazzara si mostrò preoccupato “ma il suo timore era che gli inquirenti stessero per ‘vestire il pup’ – scrivono gli ermellini –, espressione questa del dialetto siciliano che rimanda ad attività di individuazione di un responsabile, a prescindere e anzi a dispetto della verità”.

E sui dubbi sulla decisione mafiosa avanzati dal difensore di Mazzara, la Cassazione chiosa: “Tutto è possibile, ovviamente, ma una ipotesi non suffragata da alcun dato oggettivo non può essere presa in considerazione”.

La delibera “archiviare su Maresca, candidarsi suo diritto”

Nessuna incompatibilità ambientale per Catello Maresca, il sostituto pg di Napoli finito sotto osservazione al Csm per una nota inviata dal Pg Riello in cui a dicembre segnalava dichiarazioni e articoli di stampa che danno il magistrato come candidato sindaco in pectore nella sua città per il centrodestra. Questa conclusione, con proposta di archiviazione, su cui il plenum del Csm vota oggi, è della Prima commissione, che si è divisa: per l’archiviazione i consiglieri laici Lanzi, Fi (relatore) e Basile, Lega; i togati Braggion (Mi) e Di Matteo (Indipendente). Contro, la presidente Chinaglia (Area) e Pepe (AeI). La proposta di archiviazione si basa sulla normativa attuale che permette a un magistrato di candidarsi alle amministrative anche nel proprio distretto giudiziario se si mette in aspettativa entro il giorno di presentazione delle liste, che non c’è ancora. Maresca, rimasto in silenzio, si legge, non ha neppure avuto comportamenti “da far ritenere concreto un significativo appannamento della sua indipendenza e imparzialità”. Ma i presunti incontri privati con politici come Giorgia Meloni? “Di per sé non possono acquisire rilievo in quanto prodromici alla presentazione di una legittima candidatura politica”. Insomma, se il Parlamento non cambia la norma, un magistrato può fare il sindaco, come in passato Michele Emiliano a Bari, anche nella città dove fino a ieri ha fatto il magistrato.

De Magistris chiede al Csm di rivedere la sua condanna

Il Csm potrebbe rivedere le sue decisioni sulla condanna disciplinare di Luigi de Magistris. L’ex pm di Catanzaro, oggi sindaco di Napoli e candidato presidente per la Regione Calabria, tre mesi fa ha presentato un’istanza di revisione della condanna ricevuta nel 2007, quando fu sanzionato con una censura e trasferito da Catanzaro per incompatibilità ambientale e funzionale. Era titolare di tre inchieste che fecero tremare il governo dell’epoca e la magistratura stessa: “Why Not”, “Poseidone” e “Toghe lucane”.

Le inchieste che il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha recentemente condotto sull’ex senatore di Forza Italia Giancarlo Pittelli (De Magistris fu condannato soprattutto per non aver comunicato al suo capo le perquisizioni disposte in “toghe lucane” e l’iscrizione di Pittelli, successivamente archiviato, nel registro degli indagati) hanno convinto il sindaco di Napoli: ritiene che esistano elementi nuovi e che il Csm possa rivedere la sua condanna.

Ne è convinto a maggior ragione da quando ha scoperto che Luca Palamara, l’ex segretario dell’Anm oggi radiato dalla magistratura, ha “confessato” che il “sistema” decise di “arginarlo” e che fu “scaricato” in accordo con il Quirinale, all’epoca presieduto da Giorgio Napolitano. “Confessione” rilasciata ad Alessandro Sallusti nel libro intervista Il Sistema edito da Rizzoli. L’udienza per la revisione è prevista per il 19 febbraio. E per De Magistris, se la sua istanza fosse accolta, sarebbe una grande rivincita morale e professionale. Ma non solo.

“A me hanno prodotto un danno irreversibile – spiega De Magistris al Fatto – ma per le istituzioni, per la magistratura, questa è un’opportunità: le istituzioni sono forti quando sanno riconoscere i propri errori. La storia, per me, dal punto di vista morale è stata già scritta. È un’opportunità per la magistratura, piuttosto, che in questi anni, in alcune sue componenti, ha raggiunto il livello più basso di credibilità”. C’è anche un altro magistrato, però, che andrebbe “risarcito” se le dichiarazioni di Palamara – ovviamente l’intero libro riporta la sua personale versione dei fatti – fossero confermate.

È il gip di Roma Clementina Forleo che, sempre nel 2007, finì sotto processo disciplinare e venne trasferita a Cremona. Fu assolta. Il suo comportamento fu quindi irreprensibile. Palamara sostiene oggi una tesi mortificante: “La Procura di Napoli non è quella di Catanzaro è un monolite, un fortino delle correnti di sinistra, non espugnabile, neppure dall’Anm o dal Csm. Qualcuno sostiene che sia un tempio, e nei templi non è ammessa l’eresia. L’eretica in questione è appunto Clementina Forleo, che da gip osa sfidare sia la Procura, sia la sinistra, nella primavera del 2007 al governo. L’inchiesta è quella dei ‘furbetti del quartierino’ o ‘bancopoli’, riguardante un gruppo di disinvolti finanzieri che avevano tentato anni prima la scalata a gruppi bancari, incrociandosi con la scalata di Unipol, la cassaforte del Pds, alla Bnl. Nei documenti depositati dai pm si fa cenno, ma solo cenno, a telefonate intercettate tra quei signori e D’Alema, Fassino e Latorre, in pratica i vertici del Pds. Forleo – contraddicendo i suoi colleghi pm – non solo chiede che quelle telefonate vengano messe agli atti, ma si spinge a chiedere che D’Alema, Fassino e Latorre siano indagati, perché le loro parole dimostrano che sono ‘complici consapevoli di un disegno criminale’”.

Per D’Alema, Fassino e Latorre non è stata mai ravvisata alcuna responsabilità penale. Ma torniamo al racconto di Palamara: “La Procura di Milano non la prende bene, il Pds neppure. Io capisco che non abbiamo scelta, al di là del merito tecnico giuridico delle sue decisioni, Clementina Forleo va rimossa, è un pericolo, e mi esprimo anche pubblicamente in tal senso, sia come Anm sia come capocorrente, dando indicazioni ai miei uomini dentro il Csm. Che infatti la trasferisce di peso al Tribunale di Cremona”.

Quando Sallusti parla di “processo sommario” Palamara aggiunge: “Le pressioni erano fortissime. Guido Salvini, uno storico magistrato della Procura di Milano, scriverà questa email: ‘Sono stato testimone diretto dell’azione ambientale contro la Forleo (…) Ho assistito a scene desolanti quali l’indizione tramite passaparola di riunioni pomeridiane in alcune stanze del tribunale per discutere la strategia contro la collega. Riunioni guidate da maggiorenti dell’ufficio tra cui un paio di colleghi verdi (allora la corrente più di sinistra), più rancorosi di tutti, come sempre accade, anche se completamente estranei al caso (…)’. Quando lessi quella email – continua Palamara – era comunque troppo tardi…”.

“Non potrò mai dimenticare Clementina Forleo – dice oggi De Magistris – e il suo sostegno istituzionale, morale e umano, quando ero isolato. Mi auguro che ci sia il riconoscimento, anche tardivo, delle ingiustizie che ha subìto perché non apparteneva a un sistema e, di conseguenza, ne era diventata il bersaglio”. “Sono amareggiata – ha commentato Forleo – ho avuto prova di quello che già sapevo, che ci fosse una strategia contro di me. Prendo atto, qualora fossero vere le affermazioni di Palamara e del dottor Salvini riportate nel libro, che alcuni vertici della magistratura sono occupati da persone che si atteggiano come i peggiori criminali”.

Scandalo incesti, il gemello della Kouchner denuncia il patrigno: “Stuprato da Duhamel”

Ci sono voluti trent’anni per trovare il coraggio: “Victor” Kouchner ha finalmente sporto denuncia per violenza sessuale contro il patrigno, Olivier Duhamel, che aveva abusato di lui quando era solo un adolescente. Sul caso Duhamel è scoppiato uno scandalo a inizio mese in Francia con l’uscita del libro La Familia grande, in cui l’autrice, Camille Kouchner, rivela l’incesto di cui il fratello gemello, che chiama “Victor”, è stato vittima tra 13 e 14 anni. Camille Kouchner, avvocato, figlia di Bernard Kouchner, noto ex ministro degli Esteri, vi rivela che il patrigno, il secondo marito della madre, era un predatore sessuale. Parliamo di Olivier Duhamel, noto politologo, ex deputato europeo e figura molto mediatica. I due fratelli avevano stretto un patto e si erano promessi di conservare il segreto.

Un segreto di cui in realtà in tanti erano al corrente in famiglia e tra amici, nella società bene di Parigi, ma che è rimasto sepolto per anni. Dopo le accuse, Duhamel si è dimesso da tutte le funzioni e un’inchiesta “per stupro e violenza da parte di persona con autorità su minore di 15 anni” è stata aperta dalla Procura di Parigi. Si è saputo anche che una prima procedura era stata avviata nel 2011, ma all’epoca “Victor” aveva rifiutato di denunciare i fatti, Duhamel non era stato neanche convocato e la procedura era stata chiusa. Giovedì, nell’ambito della nuova procedura, “Victor” è stato convocato dagli inquirenti e questa volta ha descritto a lungo i fatti di cui la sorella parla nel suo libro. La vicenda ha scosso la Francia come era capitato col movimento #Metoo dopo lo scandalo hollywoodiano di Weinstein e ha liberato la parola delle vittime, tanto che una valanga di testimonianze è piovuta su Twitter con l’hashtag #Metooinceste. Le associazioni, tra cui Face à l’inceste, chiedono un’evoluzione della legislazione, in modo che le vittime di incesto non debbano mai più dover provare che non erano consenzienti. Un dialogo si è aperto con il ministro della Giustizia, Éric Dupont-Moretti. “Non sarete più soli”, ha promesso Emmanuel Macron. Una nuova denuncia è stata sporta due giorni fa da un uomo di 48 anni, Olivier A., contro lo zio, Gérard Louvin, noto produttore di cinema e tv, e il marito di questo, anche lui produttore, Daniel Moyne. L’uomo ha raccontato a Le Monde di aver subito violenze sessuali da quando aveva 10 anni che gli hanno “distrutto la vita”. A convincerlo a parlare è stato il libro La Familia grande che ha avuto su di lui “l’effetto di un elettroshock”.

Umbria: rinviata a giudizio Marini, ex governatrice Pd

Catiuscia Marini, ex presidente Pd della Regione Umbria, è stata rinviata a giudizio per associazione per delinquere in relazione ai presunti concorsi pilotati all’ospedale del capoluogo. Stesso provvedimento per l’ex assessore alla Sanità Luca Barberini, per l’ex sottosegretario e segretario umbro del Pd Gianpiero Bocci, per l’ex dg dell’Azienda ospedaliera Emilio Duca e quello amministrativo Maurizio Valorosi. Per loro il processo inizierà il 16 marzo.

L’ex presidente si era dimessa il 16 aprile 2019, quattro giorni dopo essere finita indagata a piede libero con altre 34 persone in un’inchiesta della Procura di Perugia che aveva portato ai domiciliari Barberini, Duca, Bocci e Valorosi. Secondo l’accusa, Marini e gli altri indagati si erano associati al fine di commettere una serie di delitti contro la P.a. “finalizzati alla manipolazione sistematica dei concorsi pubblici banditi dall’Azienda ospedaliera di Perugia e dall’Usl Umbria 1 per garantire la vittoria o il posizionamento ‘utile’ in graduatoria dei candidati determinati dagli stessi associati”.

Prende il Reddito di cittadinanza, ma gira in Ferrari

Girava in Ferrari a noleggio, facendo la spola per affari tra l’Italia e la Svizzera. Eppure percepiva il Reddito di cittadinanza. Storia e truffa firmata da un consulente fiscale bresciano finito nel registro degli indagati dopo le indagini della Guardia di Finanza di Bresciano che hanno denunciato 23 persone che hanno percepito, senza averne titolo oltre 180mila euro.

Il professionista, 46 anni e che propone pacchetti finanziari per i suoi clienti anche attraverso i social, aveva richiesto il reddito di cittadinanza all’Inps, allegando all’istanza una Dichiarazione Sostitutiva Unica incompleta. Una “dimenticanza” che ha generato un valore Isee falso che gli ha consentito di percepire il sussidio da maggio 2019 a novembre 2020, per oltre 14mila euro. Dagli accertamenti della Finanza è emerso che il 46enne era stato fermato alla frontiera con la Svizzera alla guida di una Ferrari 458 cabriolet noleggiata. Inoltre, proprio nel periodo in cui percepiva il reddito ha vinto 23mila euro grazie alle scommesse sportive.

Consip, processo a Luca Lotti: la Procura cita tra i testimoni anche Renzi e Rosato

L’ex premier Matteo Renzi, il deputato di Italia Viva, Ettore Rosato, il governatore della Puglia, Michele Emiliano, e il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori. E poi ancora il colonnello dei carabinieri e attuale assessore in Calabria, Sergio De Caprio (alias “Ultimo”). Sono alcuni dei nomi che la Procura di Roma ha inserito nella lista testi depositata ieri durante l’udienza di uno dei filoni dell’inchiesta Consip, quella che riguarda chi avrebbe spifferato alle orecchie dell’ex Ad di Consip, Luigi Marroni, l’esistenza di un’indagine sui vertici della stazione appaltante. Il processo è a carico del deputato pd, Luca Lotti, accusato di favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ufficio; stessi reati contestati a Emanuele Saltalamacchia, ex comandante dei carabinieri in Toscana. Imputato anche l’ex presidente di Publiacqua Firenze, Filippo Vannoni (accusato di favoreggiamento). Il Tribunale dovrà giudicare anche altre posizioni per vicende diverse. Come quella dei carabinieri Giampaolo Scafarto e Alessandro Sessa: il primo accusato di rivelazione di segreto, falso e depistaggio, Sessa solo di depistaggio. E poi c’è l’accusa di millantato credito per Carlo Russo, l’amico di Tiziano Renzi. Il 25 marzo, i giudici dell’ottava sezione penale del Tribunale di Roma comunicheranno se e quali dei 54 testi richiesti dai pm Paolo Ielo e Mario Palazzi saranno ammessi a dibattimento .Nella prossima udienza i giudici dovranno decidere anche sulla richiesta, da parte delle difese, dell’inutilizzabilità di una parte delle intercettazioni.

Intanto non è stata ancora fissata l’udienza preliminare di un altro filone dell’indagine Consip, quella in cui è coinvolto Tiziano Renzi. Dopo la richiesta di archiviazione respinta dal gip, il padre dell’ex premier è finito indagato per traffico di influenze e turbativa d’asta in relazione all’appalto Fm4 indetto da Consip e alla gara per i servizi di pulizia bandita da Grandi Stazioni. La richiesta di rinvio a giudizio è arrivata anche per Carlo Russo, accusato di turbativa d’asta: secondo i pm si sarebbe fatto promettere denaro in nero dall’imprenditore Alfredo Romeo per sé e Renzi sr. (che ha sempre negato di sapere dell’esistenza di un presunto accordo), in cambio della propria mediazione sull’ex ad di Consip Marroni affinché favorisse le società dell’imprenditore campano.