Iss a Fontana: “Da maggio 54 errori di calcolo” Bagarre in aula

Una giornata di fuoco, in bilico tra tragedia e farsa ieri al Consiglio regionale della Lombardia, tra consiglieri inginocchiati per implorare trasparenza sui dati (Michele Uselli, +E); presidenti che a stento trattengono la rabbia per gli attacchi alla “dignità dei lombardi” (Fontana); opposizioni che se ne vanno tra le proteste (tutte, tranne la renziana Patrizia Baffi, unica a rimanere) e agenti della Digos che “allontanano” esponenti politici dall’aula. E, non è mancata neanche una richiesta di censura “dalle più alte autorità dello Stato” per il ministro della Salute Speranza, unita a una richiesta di risarcimento per le categorie colpite durante il “non consono periodo passato in zona rossa”, votata dalla sola maggioranza.

A scaldare gli animi ci aveva pensato Fontana, chiamato a spiegare le vicende legate alla rettifica dei dati comunicati all’Iss: non solo ha negato qualsiasi errore da parte della Regione, ma ha di nuovo attaccato governo e Iss, definendo il fattore Rt troppo “debole” per stabilire il colore e infine ha confermato che il ricorso al Tar andrà avanti. È allora che le opposizioni sono insorte, chiedendo alla giunta di dare i dati disaggregati dei contagi, a tutt’oggi segretati.

Da lì un susseguirsi di espulsioni e autoesclusioni delle opposizioni, mentre la maggioranza votava una mozione per chiedere a Fontana “di adoperarsi per quantificare e richiedere il ristoro totale dei danni subiti ingiustamente dalle attività economiche lombarde” per la settimana di ingiusta zona rossa.

L’eco degli scontri intanto arrivava a Roma, tanto che in serata l’Iss pubblica un report (anch’esso contestato dal Pirellone) che svela come “dal mese di maggio 2020 l’Iss ha inviato 54 segnalazioni di errori, incompletezze e/o incongruenze a Regione Lombardia, l’ultima il 7 gennaio 2021”. Per l’Istituto “la percentuale di casi incompleti per la sintomatologia è pari al 50,3% a fronte del 2,5% del resto d’Italia nel periodo 13.12.20-13.01.21”. Nel frattempo le opposizioni – Pd, M5S, Azione, +Europa – iniziavano a discutere di una mozione di sfiducia a Fontana comune, da presentare la prossima settimana.

Gallera ora se la gode sulla neve: “Ero io la luce in fondo al tunnel”

Lui, se avessero voluto, ci sarebbe stato ancora: “Ero stanco, ma comunque avrei agevolmente continuato a fare l’assessore”. Lui comunque c’è. “L’affetto della gente è rimasto intatto. Tantissime le persone che mi scrivono, che hanno visto in me il sacrificio, la disponibilità assoluta, la fatica quotidiana, l’abnegazione. Diciamoci la verità: per molti sono stato la luce in fondo al tunnel”. Ridotto allo stato laicale dal centrodestra, degradato da assessore a consigliere, accusato di manifesta incompetenza, liquidato come un tipo un po’ rincoglionito (“è stanco”, fu questo il saluto del governatore) per far posto a Letizia Moratti. La signora nata non con la camicia, ma con un tailleur completo grigio antracite, manager e ministro e presidente, insomma competentissima, e già pluri gaffeur, oggi la Lombardia, anzi tutta l’Italia, deve fare i conti con la realtà: si stava meglio quando si stava peggio? Quando ridevamo di Gallera, quell’assessore alla Salute che s’è perduto nella pandemia, trafitto dall’onda del virus, collassato dall’emozione per via della popolarità che la televisione gli concedeva nella scorsa tragica primavera, un tipo coi fiocchi insomma, eravamo nel giusto?

“Ma che giusto e giusto? Ero ricolmo del rispetto popolare, perché in me vedevano l’uomo che si dà da fare con tutte le sue forze, che narra giorno per giorno via web ai cittadini la sua fatica, che combatte a mani nude contro una cosa enorme, una tragedia indescrivibile a cui dovevamo far fronte. Io dico e ripeto che il popolo mi voleva bene. Siete stati voi, proprio voi del Fatto, ad aver aperto il fuoco contro di me. E poi è venuto giù tutto, e quando ti viene contro tutto, anche l’equilibrio si smarrisce, le certezze si incrinano, il passo si fa pesante, l’ansia di far bene toglie lucidità. Ma è umano”. La Lombardia, fucina elettorale e promoter dei volti nazionali del centrodestra, da Berlusconi in giù, con il virus è rimasta azzoppata, irrimediabilmente sfigurata da una classe dirigente che invece aveva sempre menato vanto del buongoverno dall’assetto stabile di un circuito di potere eternamente affluente. Prima Forza Italia e Lega, dopo Lega e Forza Italia. Un cambio di addendi a saldo uguale.

Perciò il disastro Fontana, il leghista di Varese chiamato a succedere a Bobo Maroni. Di lui si pensava fosse un incidente di percorso, e di Gallera il transitorio registro umano dell’incompetenza in luogo degli eccellenti che la società civile milanese è in grado di rifornire. Ecco perciò la Moratti. Invece in due sole settimane due splash, enormi buchi politici: la proposta della vaccinazione secondo la regola ascendente del Pil (i più ricchi avanti, i poveracci dopo) e l’incredibile, veramente inenarrabile vicenda del conteggio mal compiuto dei positivi al virus che ha costretto i lombardi a una settimana aggiuntiva di zona rossa.

A tanto Gallera non è mai arrivato: “Mi sono impapocchiato sull’Rt, ma più per stanchezza. Quello che posso dire è stato l’unico errore commesso”.

Tutta l’Italia rise, quando l’assessore, illustrò secondo una sua personale e originalissima interpretazione, la capacità di ciascuno di infettarsi. E rise il doppio quando gli dovettero cucire la testa, trenta punti di sutura infatti occorsero, perché – giocando a paddle – si schiantò contro un palo. E rise il triplo quando – facendo jogging in lockdown – attraversò i confini comunali vietati dalla norma d’emergenza grazie a un selfie che equivalse a un’autodenuncia. Inconsapevole, forse inetto, sicuramente incompetente.

Ridevamo, vero? E adesso invece? L’Italia davvero non si merita un Gallera? Davvero l’Italia è meglio di Gallera? Anzi e di più: davvero in panchina ci sono tanti fuoriclasse? Grandi professionisti che aspettano solo una chiamata per entrare in campo? La vicenda Moratti, e l’enorme deflagrazione della reputazione pubblica lombarda, statuisce un’altra verità correlata: al fondo non c’è mai fondo. E questo guardando solo al piccolo orto nazionale. Perché, volto lo sguardo a Bruxelles, c’è da rabbrividire scorgendo le norme autovessatorie con le quali la commissione ha regolato i rapporti con le aziende farmaceutiche per la distribuzione dei vaccini.

Lo studio legale Gallera avrebbe forse fatto meglio. “Io comunque ci tengo a ricordare che sono stato il più votato in Lombardia, che sono un liberale, anzi un lib-lab, e che adesso mi godo questo tempo. Ho gli affetti stabili, la famiglia, mia moglie sempre vicina”. Se la gode il Gallera, così tanto che due giorni fa, mentre in regione la querelle sul conteggio sbagliato infiammava gli animi, lui, l’intramontabile, incredibile G&G scriveva su facebook: “Splendida ciaspolata nella natura incontaminata”. Si divertiva sulla neve delle alture lecchesi, dove ha una seconda casa, mentre i suoi compagni, anzi ex, si azzuffavano per via del disastro ter a cui erano andati incontro.

Annuncio di Lilly Monoclonali: -70% di morti e ricoveri

Il trattamento con la combinazione di due anticorpi monoclonali targati Lilly (azienda americana che produce anche a Latina), ha ridotto il rischio di ricovero e morte per Covid-19 del 70%. Lo annuncia la stessa Eli Lilly and Company, sulla base dei risultati dello studio di fase 3 Blaze-1. Gli anticorpi sono stati testati in pazienti ad alto rischio con recente diagnosi di Covid-19: su 1.035 persone, ci sono stati 11 eventi come ricoveri e decessi (2,1%) nei pazienti che assumevano la terapia e 36 eventi (7,0%) in quelli trattati invece con placebo. Ci sono stati 10 morti in totale, tutti pazienti che assumevano placebo e nessuno fra quelli che hanno ricevuto gli anticorpi. Dallo studio emerge anche “una forte evidenza che la terapia ha ridotto la carica virale e accelerato la risoluzione dei sintomi.”

“Questi risultati entusiasmanti, che replicano i dati positivi di fase 2, aggiungono un’importante evidenza clinica – commenta Daniel Skovronsky, direttore scientifico di Lilly e presidente dei Lilly Research Laboratories – sul ruolo che gli anticorpi neutralizzanti possono svolgere nella lotta contro questa pandemia”.

“I vaccini per l’Ue finiti a Londra”

Botta e risposta ieri tra Commissione Ue ed Astrazeneca. Oggetto: i ritardi nelle consegne dei vaccini annunciati dalla società anglo-svedese. Bruxelles attacca la compagnia farmaceutica accusandola di dare priorità al mercato britannico, perchè il governo di Boris Johnson paga meglio il vaccino, e minaccia di bloccare le esportazioni fuori dall’Ue. L’ad di Astrazeneca, Pascal Soriot, risponde che “non c’è alcun obbligo verso l’Unione europea: nel nostro contratto c’è scritto chiaramente: “best effort”, ossia “faremo del nostro meglio”.

La giornata di ieri è iniziata con la Svezia che ha deciso di interrompere i pagamenti del vaccino covid alla Pfizer. Il governo di Stoccolma ha detto di non voler più tirare fuori una corona fino a quando non sarà chiarita la questione delle dosi. “È inaccettabile: se un Paese ha la possibilità di ricevere solo cinque dosi, ha ricevuto meno dosi allo stesso prezzo”, ha detto il coordinatore della campagna vaccinale, Richard Bergström. Il problema della Svezia, primo Paese europeo a far la voce grossa, dovrebbe essere comune a tutte le altre nazioni del continente.

Il contratto firmato l’11 novembre scorso tra Pfizer-Biontech e l’Unione europea per la fornitura di vaccini parla infatti di dosi: 300 milioni, è il primo lotto comprato. Le cancellerie europee fanno i conti su cinque dosi a fiala, ma quando l’8 gennaio del 2021 il consorzio farmaceutico presenta l’autorizzazione per la distribuzione all’Ema, l’agenzia europea del farmaco, il testo approvato dice che ogni fiala contiene sei dosi di vaccino. Il problema per la Svezia è tutto qui. Capire se Pfizer ha fatturato sei dosi per ogni fiala consegnata invece delle cinque inizialmente previste: la sesta dose, quella di cui il colosso farmaceutico si è accorto solo dopo aver firmato i contratti di vendita con la Commissione, per gli svedesi non va pagata.

A fare rumore a Bruxelles è però soprattutto il contenzioso aperto con Astrazeneca. Ieri Ursula von der Leyen, ha lanciato un messaggio chiaro: “L’Ue e altri hanno aiutato con denaro a costruire centri di ricerca e stabilimenti produttivi. L’Europa ha investito miliardi per aiutare a sviluppare i primi vaccini al mondo contro Covid-19, per creare un vero bene comune. Ora le compagnie devono mantenere la parola e onorare i loro obblighi”. La commissaria alla Salute, Stella Kyriakides, ha messo sul piatto il possibile blocco delle esportazioni del vaccino Astrazeneca fuori dall’Europa. Il sospetto, ha scritto ieri il Telegraph citando fonti diplomatiche di Bruxelles, è che i vaccini Astrazeneca destinati all’Ue siano finiti in Gran Bretagna, perché il governo di Boris Johnson ha pagato di più ed ha approvato prima il farmaco. Ma Astrazeneca nega. “Uk e Ue”, ha detto il ceo Soriot, hanno due catene produttive diverse e al momento quelle britanniche sono più efficienti perché partite prima. In ogni caso, sia chiaro: non c’è alcun obbligo verso l’Unione europea”.

Ancora variante brasiliana. Il ministero: cercare di più

La priorità è la ricerca delle varianti. Il ministero della Salute e l’Istituto superiore di sanità hanno concordato la strategia ieri con le Regioni e il direttore della Prevenzione, professor Giovanni Rezza, farà nei prossimi giorni una nuova circolare per potenziare il sequenziamento del virus, su cui l’Italia è in ritardo e cerca di recuperare. Le varianti, spiegano dalla Salute, non andranno cercate solo sui positivi in arrivo dall’estero, che sia l’Inghilterra o l’America Latina, ma anche random e soprattutto quando ci sono cluster particolari o in caso di reinfezioni (che in Italia non ci sono state, ma in Brasile sì, anche se c’è qualche dubbio sugli studi condotti a Manhaus) e di contagio di persone vaccinate. E subito deve scattare l’allerta quando una variante viene identificata. Preoccupa quella brasiliana, anche perché non ci sono certezze sull’efficacia dei vaccini, mentre ci sono studi confortanti su quella inglese e di più incerti sulla sudafricana. Un lavoro pubblicato su Science e coordinato dal Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle avanza l’ipotesi di una minor reattività delle forme mutate di Sars-Cov2 alle terapie basate sugli anticorpi monoclonali di cui sono in corso sperimentazioni ritenute promettenti.

Chi cerca le varianti le trova, come ieri in Abruzzo dove già era stata isolata quella inglese. Dopo il primo caso di lunedì a Varese, la brasiliana è stata individuata in una famiglia di Poggio Picenze (L’Aquila): tre persone trovate positive il 18 gennaio, appena rientrate dal Brasile via Lisbona (i voli diretti per l’Italia sono sospesi) per poi atterrare a Roma Fiumicino e proseguire in autobus per L’Aquila. Quasi un intero paese è stato sottoposto a tampone. Ci sono 70 contatti in isolamento, solo due per il brasiliano asintomatico di Varese. Sulla sorveglianza immunologica oggi ministero e Iss presenteranno il progetto proposto dalla Società di Virologia guidata dal professor Arnaldo Caruso, dal suo ex presidente Giorgio Palù oggi a capo dell’Aifa e dal viceministro Pierpaolo Sileri: l’obiettivo è creare una rete integrata di laboratori, mettere in connessione ricerca e sanità pubblica. Un lavoro enorme, visti i ritardi accumulati. Siamo a 2.500 sequenze, la Spagna ne ha 20 mila, la Svizzera 8 mila, la Gran Bretagna oltre 200 mila, la Germania che era indietro come noi è a 4.000. La rete dei laboratori, che secondo il progetto dovrebbe dar vita a un consorzio di enti pubblici e privati, “provvederà a fornire su larga scala e rapidamente le sequenze del genoma Sars-CoV-2 circolante in Italia permettendo all’Iss di monitorare l’evoluzione genetica del virus sotto pressione anticorpale e la durata dell’immunità indotta dai vaccini”. I vaccinati saranno controllati periodicamente. “Numerosi lineaggi del virus – si legge in un documento preparatorio – sono emersi nell’arco di pochi mesi in tutti i continenti con un massimo a oggi di 35 lineaggi in Sudafrica, e importanti varianti caratterizzate da mutazioni nella proteina Spike del virus si sono recentemente sviluppate e diffuse nel Regno Unito, in Sudafrica e in Brasile. Con l’avvio della campagna vaccinale è ovvio attendersi l’emergenza di varianti capaci di sfuggire alle risposte immunitarie sviluppate a scopo preventivo nell’uomo, come recentemente descritto”.

Le vaccinazioni proseguono con la riorganizzazione imposta dai ritardi di Pfizer-Biontech. Ieri sera il totale era a circa 1,5 milioni, l’80% delle dosi a disposizione; quasi 200 mila persone hanno ricevuto la prima e la seconda. Come sappiamo la scorsa settimana i produttori hanno tagliato la fornitura del 29% e hanno deciso autonomamente a quali Regioni consegnare, da 0 al 60% in meno, facendo sballare molti conti su prime e seconde dosi.

Questa settimana sono previste consegne più consistenti a chi ha avuto i tagli maggiori (Veneto, Emilia-Romagna, Trento) o non ha accantonato dosi sufficienti per i richiami (Campania, Sicilia).

I contagi aumentano in molti Paesi, ieri in Spagna record di quasi 94 mila nuovi casi e 767 decessi, bloccati i voli dal Regno Unito, dove i casi scendono (ieri 20 mila con oltre 540 mila tamponi contro 22.000 lunedì) ma i morti sono sempre tantissimi, ieri 1.631 per un totale di oltre 100 mila: lockdown strettissimo e raffiche di multe soprattutto a Londra. Anche in Germania i nuovi casi scendono (ieri 6.408) ma 903 morti. Da noi si conferma il sostanziale congelamento dell’epidemia: 10.593 nuovi casi con 257.034 tamponi, il tasso di positività scende al 4,4%. I morti sono stati 541. Continuano a diminuire, lentamente, i pazienti ricoverati.

La crisi congela il dl Ristori, sicuro solo il rinvio sul fisco

Sarebbe dovuto arrivare questa settimana, ed era già in ritardo di due. Invece è finito bloccato dallo scontro in seno ai giallorosa e alla fine la crisi di governo ha congelato il decreto con i nuovi ristori facendolo slittare (almeno) di un’altra settimana. Sarebbe il quinto da inizio pandemia e, stando al ministro Roberto Gualtieri, anche l’ultimo. Vale 32 miliardi, dentro ci sarà un po’ di tutto e lo aspettano con ansia le imprese del turismo invernale, che perderanno la stagione, e quelle che subiscono le chiusure anti-Covid. Deve poi sciogliere il nodo del blocco dei licenziamenti, della proroga della Cassa integrazione Covid e della moratoria sulla riscossione.

Il governoprova a rassicurare, un Consiglio dei ministri è in programma nel weekend, ma servirà solo a evitare una figuraccia sulle cartelle esattoriali. Come noto, a metà gennaio sarebbe partito l’invio di una cinquantina di milioni di atti, sospeso per la pandemia, ma il blocco è stato prorogato a fine mese con l’idea di trovare una soluzione definitiva nel dl Ristori ed evitare una rivolta. Al Cdm arriverà un’ulteriore proroga, ma difficilmente troveranno spazio la nuova rottamazione (sarebbe la quarta) e la mini sanatoria (il “saldo e stralcio”) per gli importi più bassi volute dai 5Stelle, specialmente dalla viceministra all’Economia Laura Castelli (M5S): non ci sono i tempi tecnici per queste misure cui serve un via libera politico.

Per lo stesso motivo è difficile prevedere se a inizio settimana, senza un nuovo esecutivo, si riuscirà a varare comunque il decreto Ristori. Serve attendere la nuova maggioranza, perché è chiaro che da quella dipenderà anche la direzione che prenderanno diverse misure.

Al momento, comunque, non esiste ancora un vero articolato del testo. Anche perché su diverse misure non c’è accordo tra M5S e Pd. Il primo, per esempio, vorrebbe che il blocco dei licenziamenti, in scadenza a fine marzo, venisse prorogato almeno fino a giugno per tutte le imprese, mentre i dem vorrebbero limitarlo ai settori più colpiti e alle aziende che useranno la Cig Covid gratuita, estesa di altre 26 settimane. Anche qui, peraltro, lo staff di Gualtieri vorrebbe limitarla ai settori più colpiti riducendola a sole 4 settimane per l’industria. È scontro anche sulla sospensione dei limiti, previsti dal decreto Dignità, al rinnovo dei contratti a tempo determinato: per i 5Stelle vanno ripristinati, il Pd, manco a dirlo, vorrebbe invece una proroga.

Al netto delle divisioni politiche ci sono poi i nodi tecnici, a partire dai criteri per elargire i ristori. Finora è stato usato il calo di fatturato di aprile 2020, e questo ha permesso di erogare i soldi rapidamente, ma con molte lacune. Il Tesoro punta a un meccanismo diverso, basato sui costi sostenuti e sulla perdita di fatturato 2020 su 2019 con una soglia minima però molto alta (il 50%) per limitare la spesa, visto che considerà il decreto l’ultimo della serie. Ammesso che arrivi.

Unicredit, arriva l’eterno Orcel

Si sblocca la partita del prossimo Ad di Unicredit. Oggi il Cda indicherà Andrea Orcel per il posto lasciato da Jean Pierre Mustier. La notizia ha fatto schizzare il titolo in Borsa, anche perché chiude un’impasse iniziata a fine novembre, quando il banchiere francese, arrivato nel 2016, è stato costretto al passo indietro dopo una gestione deludente.

La scelta di Orcel, romano, 55enne, residente in Svizzera, banchiere d’affari tra i più noti d’Europa, riesce nell’impresa di rappresentare una svolta per Unicredit e insieme un bel passo indietro. Voluto dalle fondazioni italiane azioniste (in testa Cariverona), da Leonardo Del Vecchio, primo azionista di Mediobanca, e gradito ai fondi esteri – contrari all’ipotesi di fusione con lo scassato Montepaschi statale, cara alla politica – Orcel era già candidato a guidare Unicredit nel 2010, quando l’asse tra Luigi Bisignani, faccendiere pluricondannato, e Fabrizio Palenzona, artefici della cacciata di Alessandro Profumo, imposero il semi sconosciuto Fabrizio Ghizzoni.

Oggi Orcel è riuscito a superare la concorrenza di due banchieri cari allo stesso mondo romano, come Fabio Gallia (ex Cdp e Bnl, oggi in Fincantieri) e Flavio Valeri (ex Deustche Bank). Esce così sconfitto l’ex ministro Pier Carlo Padoan, cooptato nel cda e papabile presidente, che sperava in Gallia (ai tempi in cui la guidava, la Cdp ne assunse la figlia) considerato più incline a chiudere l’operazione Mps con generosi aiuti pubblici.

Orcel è però un banchiere d’affari senza esperienza di banca retail, come è diventata Unicredit (che potrebbe chiudere il 2020 in rosso di 2,3 miliardi) dopo la cura dimagrante di Mustier. Ma è anche l’uomo che da Merrill Lynch ha gestito le grandi fusioni tra banche italiane, alcune con enormi distruzioni di valore, da Capitalia-Unicredit nel 2007 allo sciagurato acquisto di Antonveneta da parte di Mps ai tempi di Mussari, operazione che ha affossato il Monte ed evitato guai al venditore, il Santander della famiglia Botin, che ha provato a ricompensarlo assoldandolo nel 2018 da Ubs. Il cda ha bloccato il maxi bonus da 50 milioni (lui ha fatto causa chiedendone 112).

E alla fine (ri)vince Malagò: al Coni comanda ancora lui

Il tricolore sventola ancora, l’onore è salvo, l’autonomia restituita: l’Italia andrà ai Giochi con inno e bandiera. Ci sarebbe andata lo stesso, perché il Cio non avrebbe bandito un Paese di indiscussa tradizione democratica per una questione formale, mentre chiude gli occhi su Stati canaglia. Sarebbe arrivata una sospensione temporanea rimediabile in qualsiasi momento, forse nemmeno quella, giusto un avvertimento. Ma poco importa: il Coni è di nuovo il Coni di Giovanni Malagò, con un sacco di dipendenti, immobili, più contributi pubblici.

L’ultimo atto del Conte II è un regalo a Malagò, un po’ come quello del governo Gentiloni che prima dello scioglimento delle Camere approvò la legge sul limite dei mandati che gli consentirà a maggio la sua terza rielezione, fino al 2025. Certe tradizioni non cambiano. Stavolta si tratta del decreto “Salva Coni”, che restituisce al Comitato olimpico la gestione diretta delle sue risorse.

Il grande bluff orchestrato dal Foro Italico con la complicità di giornali e (una parte) politica è riuscito: per mesi il Coni ha agitato lo spauracchio di una spaventosa sanzione internazionale nei confronti dell’Italia. In realtà la questione era banale. Si trascinava da due anni, da quando il governo gialloverde aveva ridimensionato il Coni, togliendogli soldi e potere in favore della società governativa “Sport e Salute”; un decreto doveva ridefinire le competenze, ma è saltato per i veti incrociati tra Pd e M5S e la riforma è rimasta a metà. Con un baco: il personale Coni era alle dipendenze di una Spa – e non da oggi, da vent’anni – solo che con la trasformazione di “Coni servizi” in “Sport e salute” non si trattava più di una società di servizi, ma governativa.

Un’anomalia da sanare, su cui Malagò aveva oggettive ragioni, è diventata una violazione della carta olimpica (anche se la carta olimpica non lo dice, parla genericamente di “autonomia”). In passato sono state tollerate situazioni ben più gravi (dalla Bielorussia del dittatore Lukashenko, sanzionata solo di recente, all’Azerbaijan all’Armenia, il 15% dei Comitati olimpici mondiali ha legami formali coi governi).

Ma in questa crociata per l’indipendenza, il Cio (di cui Malagò è membro) ha scelto di essere al fianco del Coni (di cui Malagò è capo). Così al Foro Italico hanno avuto gioco facile ad usare la minaccia della sanzione (che per altro proprio Malagò aveva “suggerito” in una lettera al Cio) e ad alzare il pressing nei confronti del governo con toni sempre più drammatici. Con l’arrivo del 27 (giorno della riunione Cio) l’esclusione sembrava fatta: vergogna nazionale. Controprova non c’era, visto che il Cio parla solo col Coni (a Palazzo Chigi non li sentivano da settimane), e non ci sarà: non sapremo se oggi sarebbe arrivata davvero la stangata o solo un richiamo come scommettono in molti. Di sicuro qualsiasi provvedimento non sarebbe stato definitivo come lasciato intendere: c’erano mesi per trovare una soluzione. Ma il governo, già alle prese con la crisi e una pressione politica insostenibile, non ha avuto la forza o l’interesse di andare a vedere le carte.

Via libera al decreto che restituisce al Comitato 165 dipendenti (ne volevano oltre 200), i centri di preparazione olimpica e di conseguenza aumenta le risorse. Niente società di servizi però, una nuova “Coni Spa”, vero obiettivo di Malagò, perché la forma privatistica gli avrebbe garantito più libertà di manovra: su questo si sono imposti il M5S e il ministro Spadafora (niente pericolosi doppioni di “Sport e Salute”).

Il Coni tornerà presto alla carica, anche perché il passaggio di personale non sarà semplice. Intanto il decreto affossa la riforma Giorgetti, che aveva provato a riaffermare il controllo governativo sul sistema sportivo, finanziato dallo Stato con oltre 400 milioni l’anno. Ma questo secondo il Cio, un’organizzazione privata con sede in Svizzera, un governo eletto non lo può fare. Per fortuna, dopo mesi di intollerabili ingerenze, la segreteria di Malagò risponde di nuovo a Malagò. Adesso sì che l’autonomia dello sport italiano è salva.

La prescrizione, riforma simbolo: “Per noi è tutto”

Non è un mistero che la crisi di governo abbia subito un’accelerata decisiva proprio in concomitanza di un appuntamento col Guardasigilli Alfonso Bonafede protagonista: la discussione in aula della Relazione annuale sulla giustizia. Una relazione che, secondo quanto anticipato dal Fatto, avrebbe dovuto esporre il piano complessivo sull’impiego di oltre 2,5 miliardi di euro di fondi del Recovery plan: risorse per potenziare l’ufficio del processo, investimenti per personale aggiuntivo, misure per l’abbattimento dei tempi della giustizia. Ma le nubi che hanno cominciato ad addensarsi sulla discussione della relazione in Parlamento, e sulla sua possibile bocciatura, vertevano tutte invece sul più generale contrasto tra “giustizialismo” e “garantismo”, in altre parole sulla riforma della prescrizione.

La riforma della prescrizione è tra i provvedimenti simbolo del governo Conte. E non è un caso che, in questi giorni, tra le manifestazioni di solidarietà arrivate al ministro Bonafede ci sia una lettera firmata dal “Mondo che vorrei”, l’associazione dei familiari delle vittime della strage di Viareggio. “La verità – si legge – è che la sua riforma sulla prescrizione non va giù a quasi tutte le forze politiche”. Dopo aver lottato per questo cambiamento – l’interruzione della prescrizione, dopo la condanna dell’imputato in primo grado – le parti civili del processo di Viareggio non hanno potuto beneficiarne: non potendo essere applicata in modo retroattivo, la norma non ha evitato la prescrizione per gli omicidi colposi delle 32 persone che hanno perso la vita nell’incidente ferroviario. “È una legge che nasce dalle nostre battaglie, dal sangue dei nostri cari. Se questa riforma dovrà essere rimessa in discussione in Parlamento – scrivono ancora i familiari – respingeremo ogni forma di solidarietà da parte della politica di ogni colore”.

Questo passaggio viene chiarito dal presidente dell’associazione, Marco Piagentini, che nel disastro ferroviario ha perso la moglie e due dei tre figli. In queste giornate convulse per la politica, lui è in bicicletta sui colli attorno a Viareggio: “Trovo incredibile che mentre questo Paese è travolto dalla pandemia i suoi rappresentanti pensino a giochi di palazzo. Abbiamo volutamente fatto riferimento a politici di ogni colore, perché a parole ci sono stati vicini in tanti. Nei fatti, poi, spesso è mancata coerenza”. La lista di doglianze è lunga, premette. E negli esempi Piagentini preferisce limitarsi ai più noti: “All’indomani dei processi Eternit, Renzi aveva dichiarato che bisognava mettere mano alla prescrizione. Salvini era venuto a dirci che era a nostra disposizione, e poco tempo dopo, il suo ministro Giulia Bongiorno ha definito la riforma sulla prescrizione una ‘bomba a orologeria’. In tanti ci hanno scritto dopo la sentenza della Cassazione, che ha fatto cadere l’aggravante dell’incidente sul lavoro. Ma a tutte queste persone – ai senatori, ai deputati, ai rappresentanti di Comuni e Regioni che ci hanno manifestato solidarietà – adesso chiediamo coerenza. Non si può scrivere in privato una cosa e farne in pubblico un’altra”.

“Al ministro Bonafede – prosegue Piagentini – riconosciamo il merito di essere venuto personalmente ad ascoltarci, insieme ai familiari delle stragi di mezza Italia, e senza fare passerelle. Un Paese civile non può far prescrivere fatti di questa gravità. Il risultato della sua riforma forse non sarà perfetto, ma è un primo successo, una base per cominciare a lavorare anche sull’accorciamento dei tempi dei processi, che è sicuramente anche nell’interesse di chi li affronta nel ruolo di parte civile. E mercoledì in Parlamento si sarebbe dovuto discutere proprio di questo, di nuove risorse da mettere nella giustizia, altrimenti ogni riforma è destinata a essere vana. Come possiamo sentirci, ora, secondo lei?”.

Sedici mesi di corsa e di emergenze, poi la “Variante Renzi”

Alle ore 10 del 5 settembre 2019, il secondo governo Conte giura nelle mani del Capo dello Stato. Un parto complicato, frutto della crisi del “Papeete”, dà vita a un’inattesa alleanza tra M5S, Pd e sinistra con il ruolo fondamentale di Matteo Renzi.

Sarà un governo sopportato dalle élite anche se appena insediato Conte disegna il proprio profilo europeista nominando Paolo Gentiloni a Commissario europeo.

La prima variante L’avvisaglia di quello che accadrà dopo 16 mesi si avrà il 19 settembre, quando Matteo Renzi consuma la scissione del Pd formando i gruppi parlamentari di Italia Viva.

Via l’Iva Il nuovo governo mostra il biglietto da visita redigendo la manovra di Bilancio basata sulla sterilizzazione degli aumenti dell’Iva e il taglio del cuneo fiscale oltre all’abolizione del superticket sanitario. Non vengono toccate Quota 100 e Reddito di cittadinanze.

Con gli operai L’8 novembre, a sorpresa, il presidente del Consiglio si reca dagli operai dell’Ilva di Taranto a cui Arcelor-Mittal ha annunciato l’intenzione di ritirarsi dalla gestione dello stabilimento. Il problema Ilva rimane però sul tavolo e richiede l’intervento di Invitalia.

Via Di Maio Il 2020 si apre con le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico del M5S di gran lunga primo partito dell’alleanza. La situazione non si è ancora conclusa.

Emilia e sardine A gennaio si vota in Emilia-Romagna dove Matteo Salvini punta al colpaccio, ma perde anche sull’onda delle Sardine e del voto M5S che converge su Stefano Bonaccini.

La seconda variante Di nuovo, a gennaio 2020, Renzi manovra chiedendo di modificare la prescrizione, varata un anno prima. Sembra pronto a mettere in crisi il governo, ma nel frattempo scoppia l’emergenza Covid.

Emergenza Il governo vara lo stato di emergenza nazionale il 31 gennaio. Dopo la scoperta del “paziente 1” il governo vara la “zona rossa” in Lombardia per poi estenderla, il 9 marzo, a tutto il territorio nazionale.

Dpcm L’Italia scopre i Dpcm che regolano le restrizioni sul territorio nazionale contestati da molti, per quanto pienamente legittimi. Il governo vara anche misure economiche per tutelare le categorie penalizzate. Il “Cura Italia” da 25 miliardi vede la luce il 16 marzo. Il 6 aprile viene varato il decreto Liquidità che libera fino a 400 miliardi a favore delle imprese. Il 13 maggio il decreto Rilancio da 55 miliardi.

Arriva l’Europa Ursula von der Leyen annuncia il 27 maggio il piano Next Generation Eu dall’ammontare di 750 miliardi di cui 172,7 miliardi all’Italia. Al Consiglio europeo del 17-21 luglio, Conte e il ministro degli Affari europei Enzo Amendola ottengono un miglioramento: all’Italia andranno 209 miliardi.

Genova a metà Il 28 aprile la ricostruzione del ponte Morandi viene completata a tempo di record. Non lo è, ancora oggi, il contenzioso con Autostrade per l’Italia a cui il governo non ha mai revocato la concessione pur avviando una trattativa in tal senso.

Silvia libera Nel mezzo della pandemia accade, nel frattempo, la liberazione di Silvia Romana, la cooperante milanese rapita ormai oltre due anni prima.

Stati generali A giugno vengono convocati gli Stati generali a Villa Pamphilj che per molti commentatori saranno solo una passerella mentre il governo sostiene di aver ricevuto molti spunti per il Recovery Plan.

Semplificazioni Il decreto Semplificazioni per velocizzare l’esecuzione di una cinquantina di opere è approvato a luglio. Anche per effetto dell’emergenza Covid (e per le divisioni della maggioranza) i commissari non vengono però nominati fino a pochi giorni fa.

Tagli Il 21 settembre si tiene il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari approvato con circa il 70% dei voti e un’affluenza del 51%. Nelle stesse elezioni si vota in sette regioni e ancora una volta, a proposito di sondaggi, la prevista spallata del centrodestra non si realizza.

Seconda ondata A differenza del lockdown della prima ondata, la seconda ondata è gestita dai Dpcm modellati sull’andamento della curva dei contagi. Si tengono le scuole aperte, tranne le superiori a partire da fine ottobre.

Ristori Il governo avvia la serie dei decreti “Ristori” per compensare le categorie penalizzate dalla chiusure differenziate nel territorio nazionale. Complessivamente, compresi i primi decreti del 2020, sono stati mobilitati 113 miliardi.

No al Mes L’argomento è stato utilizzato da Renzi per aprire la crisi, ma il Parlamento ha già votato sul Mes: il 9 dicembre approva le comunicazioni di Conte anche con i voti di Iv.

Vaccini Il 27 dicembre ha inizio la campagna di vaccinazione contro il Covid, con le prime 9.750 dosi: in pochi giorni l’Italia si afferma come il primo Paese europeo.

L’ultima variante Convinto che l’emergenza sia alle nostre spalle, Renzi decide di staccare la spina al governo, che pure aveva fortemente voluto.