La spaccatura creata da IV minaccia anche Zingaretti

Comunque vada a finire, è utile farsi una idea precisa del senso della crisi aperta da Renzi. Crisi tutt’altro che incomprensibile, per nulla personale, ma genuinamente politica. Si spiega benissimo l’accanimento di Renzi su Conte, il quale, piaccia o non piaccia, è il perno oggi della maggioranza di governo e domani dell’alleanza strategica tra centrosinistra e M5S. Rinunciando alla quale non c’è partita. Potremmo riposare e consegnarci allegramente alla destra nostrana.

Riavvolgiamo il nastro. Con lucido cinismo, nelle scorse settimane, Renzi ha fatto affidamento su due circostanze:

a) la scommessa che l’opzione delle elezioni non fosse praticabile, per ragioni nobili e meno nobili (senso di responsabilità o istinto di sopravvivenza dei parlamentari);

b) la convinzione, ahimé fondata, di potere fare breccia nelle file del Pd e soprattutto dei suoi gruppi parlamentari.

Memore di averli selezionati nominalmente lui a suo tempo e facendo in particolare affidamento sui vertici dei gruppi parlamentari Pd un tempo a lui fedelissimi. Ne abbiamo avuto puntuale conferma in queste ore. Manifestamente l’obiettivo di Renzi, fallita la sua Italia Viva, è quello di fare saltare l’asse Pd-M5S e dividere e umiliare il suo ex partito.

Tardivamente, Zingaretti e i suoi collaboratori lo hanno compreso. Le cose potevano andare diversamente se ieri e l’altroieri il vertice Pd si fosse regolato diversamente. Ieri, intendo nelle settimane più recenti, quando il Pd ha dato mezza sponda alle strumentali azioni corsare di Renzi, agitando solo per finta la minaccia delle elezioni (la sola capace di produrre un ravvedimento dei transfughi di Italia Viva). L’altroieri, quando Zingaretti assunse la guida del Pd sull’onda di una generica domanda di avvicendamento dopo la disfatta elettorale del partito, senza però l’elaborazione della discontinuità dalla stagione renziana, attraverso qualcosa tipo un congresso. Discontinuità di linea e di gruppo dirigente.

Se il vertice del PD dovesse avallare una soluzione che archiviasse Conte e nella quale ancora fossero determinanti i voti Italia Viva con il suo potere di ricatto – senza cioè certificare il suo ridimensionamento e pretendere pubblica ammenda – alcune cose risulterebbero chiare: si trasmetterebbe l’idea che è stato tutto uno scherzo, che le parole dei politici valgono zero; si metterebbe a verbale che è Renzi a dettare la linea al suo ex partito; Zingaretti sarebbe delegittimato; il Pd ne uscirebbe privo della visione strategica sulla quale sembrava avesse scommesso per competere con le destre; si regredirebbe rispetto all’incipiente sano bipolarismo (con uno schieramento progressista che torna in partita); si dischiuderebbe invece lo spazio per operazioni neocentriste dal sapore trasformistico. Senza peraltro risolvere il problema contingente, perché Renzi, seguendo il suo spartito e incoraggiato dagli altrui cedimenti, riprenderebbe puntualmente il suo quotidiano ostruzionismo.

In breve, dentro questa distretta si celebra quel congresso che Zingaretti non ha fatto a tempo debito. Avendo come competitor congressuale (esterno ma effettivo) ancora Renzi.

 

Cosa ha spinto Renzi ad aprire la crisi? 10 motivi e una supplica

Sono passati più di dieci giorni dall’inizio della crisi politica più stupida degli ultimi 180 mila anni. In tanti non hanno ancora capito perché Matteo Renzi stia facendo tutto questo casino. Possiamo finalmente rispondere a tale amletico dubbio.

1. Tutto quello che fa Renzi è al tempo stesso banale e insondabile. Banale, perché nessuno è più prevedibile di lui. Insondabile, perché nulla segue una logica nel favoloso mondo di Renzie.

2. Renzi sta facendo tutto questo perché è cronicamente inaffidabile. Lo ha dimostrato miliardi di volte, nelle promesse purtroppo mai mantenute (tipo smettere dopo la scoppola del 4 dicembre 2016) e nella parola data e spesso non mantenuta (“Enrico stai sereno”). Fidarsi politicamente di Renzi significa darsi dei bischeri da soli.

3. Renzi ha aperto la crisi perché, se Pd e M5S (più Bersani, Sardine e chi vorrà starci) decidono di allearsi sul serio e non solo in ottica antifascista, il suo progetto (di per sé caricaturale e marginale) scompare del tutto.

4. Renzi è un Jep Gambardella dei poveri. Lui non vuole solo partecipare ai governi: lui vuole avere il potere di farli fallire. Politicamente, in mancanza di talento ed elettori, si eccita così.

4 bis. Renzi sta facendo tutto questo perché è sempre stato sopravvalutatissimo. Definirlo “talento puro”, come ancora fanno persone intelligenti come Carofiglio e Severgnini, è come dire che Dertycia era Dio e Pelé una chiavica.

5. Renzi ha aperto la crisi perché adora essere al centro dell’attenzione. Non gli importa se sia un’attenzione positiva (mai, a parte i tweet di Gaia Tortora) o negativa (sempre). Lui gode nel vedere il suo nome su Repubblica, gode nel sentire il suo cognome al Tg1, gode perfino quando questo giornale lo zimbella. L’importante è che se ne parli. Pur di finire anche solo nei trending topics di Twitter, invaderebbe Calenzano. Ascoltando Pupo.

6. Renzi ha aperto la crisi perché odia tutti quelli più amati e popolari di lui (dunque odia tutto il mondo o giù di lì).

6 bis. Renzi detesta in maniera particolare Conte, i 5 Stelle e tutta quella sinistra che pare voler dialogare con il M5S. Mes o Recovery Plan non c’entrano nulla: se anche Renzi fosse accontentato in ogni sua richiesta, lui rilancerebbe in eterno. Il ponte sullo Stretto. L’aeroporto a Rignano. Lo scudetto alla Fiorentina. Miss Mondo alla Boschi. E via così.

7. Renzi ha aperto la crisi perché, per i servizi segreti, ha sempre avuto un debole. Sin da quando voleva affidare la cybersicurezza al notoriamente super partes Carrai.

8. Renzi ha aperto la crisi perché tutti quei soldi del Recovery Fund, che tra parentesi arriveranno in Italia grazie agli (da lui) odiati Conte e Gualtieri, vorrebbe gestirli con una posizione (come dire) politicamente privilegiata.

9. Renzi ha aperto la crisi perché a lui le poltrone non interessano, ma solo se a sederci sopra sono le Bonetti e le Bellanova. Se invece possono diventare sue o della Boschi, allora gli interessano eccome. E questo resta uno dei suoi obiettivi, nella malaugurata ipotesi che Pd (Marcucci) e M5S lo riaccolgano.

10. Renzi ha aperto la crisi perché, nonostante quel suo inglese comicamente straziante e quella sua reputazione notoriamente splendida (ancor più dopo questa crisi), crede davvero di poter avere incarichi diplomatici di peso. Magari alla Nato (ahahahah).

Supplica finale: a prescindere che il futuro sia un Conte ter o un voto anticipato, uno così lasciatelo al centrodestra. Agli Anzaldi. Alle Meli. Insomma: all’evanescenza. Non merita politicamente altro.

 

“Magistrati democratici” e la fatwa su Gratteri

L’esecutivo di Magistratura Democratica ha pubblicato sul sito di tale gruppo un testo nel quale, con riferimento all’intervista di Nicola Gratteri al Corriere della Sera del 22 gennaio, afferma: “Non crediamo che la comunicazione dei Procuratori della Repubblica possa spingersi fino al punto di lasciare intendere che essi siano gli unici depositari della verità, e di evocare l’immagine del giudice che si discosti dalle ipotesi accusatorie come nemico o colluso”.

Il problema è che Nicola Gratteri non ha detto nulla del genere (tanto che si assume che avrebbe lasciato intendere). Riporto la risposta data da Gratteri alla domanda del giornalista Giovanni Bianconi sul fatto che le indagini della Procura di Catanzaro verrebbero spesso ridimensionate dal tribunale del riesame o nei diversi gradi di giudizio: “Noi facciamo richieste, sono i giudici delle indagini preliminari, sempre diversi, che ordinano gli arresti. Così è avvenuto anche in questo caso. Poi se altri giudici scarcerano nelle fasi successive non ci posso fare niente, ma credo che la storia spiegherà anche queste situazioni”. Alla successiva domanda se vi fossero indagini in corso o qualche pentito che parla anche di giudici, Gratteri si è limitato a dire di non poter rispondere. Come si possa dire che Gratteri abbia lasciato intendere che solo i Procuratori della Repubblica siano i depositari della verità o che il giudice che si discosti dalle ipotesi accusatorie sia nemico o colluso, davvero non riesco a capirlo.

In primo luogo il Procuratore ha fatto riferimento a provvedimenti dei giudici per le indagini preliminari, sicché le eventuali difformi decisioni successive sono diverse valutazioni sempre di giudici. In secondo luogo “la storia spiegherà anche questa situazione” è frase talmente generica che non lascia intendere proprio niente. Eppure l’Esecutivo di Md prosegue scrivendo: “Con un tale agire, il pubblico ministero dismette il suo ruolo di primo tutore delle garanzie e dei diritti costituzionali – a partire dal principio di non colpevolezza – e assume quello di parte interessata solo al conseguimento del risultato, lontano dalla cultura della giurisdizione e dall’attenzione all’accertamento conseguito nel processo”. Non pago, cita anche una Direttiva Ue che riguarda le dichiarazioni pubbliche di autorità pubbliche.

Siccome non sono più un’autorità pubblica posso permettermi di parlare senza violare la Direttiva Ue. I “garantisti” dell’Esecutivo di Md condannerebbero mai un imputato sulla base di una affermazione quale quella riportata e da loro liberamente interpretata attribuendole un significato diverso da quello letterale? Hanno davvero letto il testo dell’intervista o soltanto il comunicato dell’Unione Camere Penali, in cui si parlava di gravissime dichiarazioni? Mi si può spiegare dove si legge che il pubblico ministero sarebbe il solo detentore della verità?

Peraltro l’Esecutivo di Md mostra di essere privo di prudenza e privo di memoria. Cominciamo con la mancanza di prudenza. Gratteri è Procuratore distrettuale della Repubblica in una delle zone più difficili del Paese. Magistratura Democratica è una componente di Area, attualmente corrente maggioritaria dell’Associazione Nazionale Magistrati. Una simile presa di posizione è fortemente inopportuna perché il messaggio che manda è di presa di distanza da un singolo magistrato e nulla espone di più a rischi del dare all’esterno la sensazione che quel magistrato è isolato. Le stragi del passato dovrebbero pur aver insegnato qualcosa.

Quanto alla mancanza di memoria, davvero si sono dimenticati che, non molto tempo fa, un presidente di sezione della Corte d’appello di Catanzaro è stato colpito da un provvedimento restrittivo (emesso da un giudice di Salerno) nel quale si dava atto che era stato ripreso da una videocamera mentre contava soldi ritenuti compendio di corruzione? Certamente il Procuratore della Repubblica non è il solo depositario della verità, ma forse neppure quel giudice di appello lo era. Eppure la domanda di Bianconi si riferiva a precedenti inchieste. I componenti dell’Esecutivo di Md si sono presi la briga di verificare se quel giudice aveva avuto parte o meno in decisioni che smentivano i provvedimenti precedenti di altri giudici, non del pubblico ministero?

La tecnica di delegittimazione è sempre quella di attribuire a taluno qualcosa che non ha detto o fatto per poi contestare quel qualcosa, senza valutare le conseguenze di queste prese di posizione, non solo sull’andamento dei processi, ma anche sull’incolumità delle persone. Il rischio è che l’effetto della comunicazione sia che più nessuno verifichi quello che Gratteri ha davvero detto, ma solo di far credere che gli altri magistrati non la pensano come lui e quindi il problema per la ’ndrangheta è il solo Gratteri. Davvero una brutta pagina per la magistratura associata.

 

Le frasi bisenso attizzano i neuroni e fanno ridere Benigni e Conte (Paolo)

Qualche rubrica fa, parlando dei passatempi da lockdown, suggerivo fra l’altro di esplorare il fantastico mondo delle frasi bisenso, che un omonimo gioco enigmistico (notoriamente prediletto da Paolo Conte e Roberto Benigni) trasforma in un indovinello divertente, la cui soluzione va ricavata da un enunciato (detto “esposto”); è formata da una sequenza di parole che hanno la lunghezza indicata in un diagramma numerico fra parentesi; e ha due significati: uno relativo all’esposto, e un altro usato in tutt’altro contesto. Esempio celeberrimo: il “mezzo minuto di raccoglimento”, che è una durata temporale, ma anche un cucchiaino (un piccolo strumento per raccogliere cose). Lo schema di quella frase bisenso (Richi, 1960) si presenta così:

 

Frase bisenso (5 6 2 13)

CUCCHIAINO

Soluzione: Mezzo minuto di raccoglimento

Parte del divertimento, come in tutte le gag basate sull’ambiguità, deriva dall’oscillazione mentale fra i due significati, che ci incanta a causa di una caratteristica funzionale del nostro cervello: uno stato di coscienza (gruppi di neuroni che interagiscono creando un pattern di attività diverso dagli altri) ne impedisce altri simultanei. Per questo riusciamo a percepire solo l’una o l’altra delle due immagini presenti nelle figure ambigue (cubo di Necker, la giovane e la vecchia &C.): mai entrambe contemporaneamente. Accade lo stesso con le parole ambigue, una fonte classica di comicità: “Alberto viene assunto in fabbrica. Lavora senza risparmiarsi tutta la settimana, ma il lunedì dopo telefona di essere malato e non si presenta. Torna martedì e lavora senza risparmiarsi tutta la settimana, ma il lunedì dopo ritelefona di essere malato e non si presenta. Martedì il suo capo lo convoca in ufficio: ‘Perché il lunedì non vieni mai a lavorare? Sei bravo, non voglio licenziarti. Qual è il problema?’. ‘Mio fratello si ubriaca ogni weekend, poi picchia mia madre, che è vedova. Così ogni lunedì mattina vado da lei a vedere come sta. La abbraccio, lei piange, una cosa tira l’altra, e ci finisco a letto’. ‘Ti scopi tua mamma?’. ‘Te l’ho detto che sono malato’”.

 

La frase bisenso che ho proposto la settimana scorsa era questa:

Frase bisenso (3 4 2 6)

NAOMI CAMPBELL

La soluzione era “Una nota di colore”, e il primo a inviarla in redazione è stato Maurizio Giannarelli. Come lui, molti si sono lamentati che era troppo facile, ma non sta a me giudicare la vita sessuale di Naomi. La cosa rilevante non è tanto il fatto che quella crittografia l’ho sognata (nel sogno, io e la mia ragazza incontriamo Naomi Campbell; Naomi mi sorride; la mia ragazza gelosa mi chiede chi è; e io, per minimizzare, rispondo: “È una nota di colore”): le invenzioni oniriche non sono una novità, come provano Friedrich Kekulè, il chimico tedesco che, visto in sogno un serpente che si mordeva la coda (l’uroboro, simbolo antichissimo di immortalità e perfezione), capì che quella era la molecola del benzene tanto a lungo cercata; e Paul McCartney, che si svegliò avendo in testa la partitura completa di Yesterday (Paul pensò fosse di qualcun altro, e se ne fosse solo ricordato); quanto il fatto che mi sia svegliato ridendo, poiché questo suffraga un’osservazione di Freud (1905): strutturalmente, l’indovinello è l’inverso del motto di spirito (nel primo, la tecnica è nota, il contenuto celato; nel secondo, il contenuto è noto, la tecnica celata); sicché, risolvendo un indovinello, ritroviamo la sorpresa piacevole di una gag.

(1. Continua)

Caro Arcuri, le cause legali non bastano

Ha ragione da vendere il commissario straordinario, Domenico Arcuri, quando a proposito dei vaccini dice che “le aziende trattano i Paesi europei come poveracci”. Del resto, i colpevoli ritardi e le deboli penali del contratto Pfizer (che faranno slittare di circa 4 settimane la vaccinazione degli over 80, e di circa 6-8 settimane per il resto della popolazione), con problemi simili preannunciati da AstraZeneca, creano un’emergenza cui vanno date risposte di emergenza. Come quella lanciata dall’economista Carlo Cottarelli, che chiede “se non sia possibile mettere più risorse per produrre i vaccini superando gli attuali vincoli di produzione”, e ciò considerato “quanto costa ai Paesi europei la crisi, e che solo l’Italia perderà, nel 2020-21, 300 miliardi di Pil”. A mali estremi, estremi rimedi è il progetto dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) che chiede di rinunciare temporaneamente ad alcuni vincoli sulla proprietà intellettuale a causa della pandemia. Scrive sull’ultimo numero di Internazionale l’economista indiana Jayati Ghosh che “la proposta – lanciata da India e Sudafrica e sostenuta anche da altri Paesi in via di sviluppo – ha l’obiettivo di rimuovere le barriere che impediscono di accedere tempestivamente a prodotti sanitari a buon mercato per curare il Covid-19”. Del resto, spiega Ghosh, sulla materia esiste già un accordo che prevede la concessione di licenze obbligatorie: “Un governo può costringere i possessori di un brevetto, un copyright o altri diritti di esclusiva a concederne l’uso allo Stato o ad altri soggetti”. Ciò permetterebbe a un maggior numero di aziende di produrre farmaci essenziali, a un prezzo più basso. Non meraviglia che finora gli Stati Uniti a guida Donald Trump abbiano bloccato la proposta, a beneficio di Big Pharma. “Queste aziende – dice Ghosh – tra l’altro non devono recuperare i soldi che hanno speso poiché i vaccini contro il Covid-19 sono stati sviluppati grazie alla ricerca pubblica”. Senza contare che con la sospensione dei diritti di proprietà intellettuale, Pfizer e soci farebbero lo stesso “grandi profitti”. E dunque, “consentirgli di mantenere il monopolio dei brevetti prolungherebbe la pandemia in tutto il mondo solo per permettere a poche aziende di riempirsi le tasche”. Da qui l’appello al presidente Biden per consentire di salvare molte vite e di favorire una ripresa più veloce dell’economia globale. A cui potrebbe imprimere forza un’analoga iniziativa dell’Unione europea, sostenuta del governo italiano. Cosa ne pensa il commissario Arcuri?

Ma per chi lavora il consigliere Ricciardi?

C’è una situazione curiosa al ministero della Salute. Il titolare Roberto Speranza continua a fare il suo lavoro, con tutte le fatiche e le difficoltà del caso, mentre la divisione per Regioni “colorate” comincia a dare risultati e la curva dei contagi fa un po’ meno spavento di prima. Intanto però il “superconsigliere” scientifico Walter Ricciardi, che in teoria sarebbe il braccio destro dello stesso Speranza, fa il giro delle sette televisioni per sconfessare le politiche del ministro e del governo per cui lavora. Per Ricciardi ci vuole un altro lockdown totale, alla faccia della distruzione economica e psicologica di un Paese stremato: “Le misure attuali servono a rallentare la curva epidemica, a stabilizzarla ma non a invertirla, tantomeno ad azzerarla. Quindi noi abbiamo questo stillicidio da diversi mesi. Serve un lockdown vero di tre o quattro settimane”. Ricciardi lo ripete ovunque: su Radio Popolare, su Rai3 da Fazio, sul Messaggero, e ancora, e ancora, e ancora. Speranza nel frattempo si barcamena tra una crisi sanitaria e una crisi di governo. Chissà se si parlano tra di loro, il consigliere e il consigliato.

I monoclonali sono una nuova speranza

Specialmente in questo periodo nel quale stiamo sognando la liberazione dal Covid, non possiamo lasciare inosservato che il 26 gennaio 1823 moriva Edward Jenner. A lui dobbiamo milioni di vite salvate da infezioni mortali o debilitanti e, in particolare, la scomparsa del vaiolo. Era un medico di campagna, nato a Berkeley, in Inghilterra, nel 1749. Grazie al suo intuito aprì la strada agli studi immunologici. Aveva notato che le mungitrici venivano colpite dal vaiolo vaccino, una forma infettiva molto leggera, ma erano protette nei confronti di quello umano, che, invece, era devastante. Con molto coraggio Jenner inoculò materiale derivante da una pustola di vaiolo vaccino in un bambino sano di otto anni. Questi ebbe lievi manifestazioni patologiche. Dopo che fu guarito, il medico, gli inoculò vaiolo umano. Questa volta il bambino non ebbe alcuna reazione, si era reso resistente all’infezione. Da quella prova empirica nasceva il mondo dell’immunologia e dei vaccini che si fondano sulla riproduzione del fenomeno naturale dell’infezione. Da allora di strada ne è stata fatta tanta. Alla felice intuizione di Jenner sono seguiti numerosi studi che ci hanno permesso, accanto ai vaccini, anche la produzione di anticorpi monoclonali. Nel 1890 Behring e Kitasato scoprono la specificità anticorpale; negli anni 60 si definisce la struttura anticorpale e si conosce l’attività dei linfociti. Nel 1984 Georges Köhler, Niels K. Jerne e César Milstein ricevono il Premio Nobel per la Medicina per lo studio degli anticorpi monoclonali che nel 1988 verranno resi utilizzabili nell’uomo grazie a Greg Winter. Anche per il Covid si stanno studiando gli anticorpi monoclonali, strada molto promettente, sia nella prevenzione sia nella cura. Rino Rappuoli, che coordina un importante gruppo di ricerca a Siena, ha annunciato che dalla prossima primavera anticorpi monoclonali anti-Covid potrebbero essere disponibili. È un’altra boccata d’aria, si tratta di farmaci con alta probabilità di efficacia e bassa probabilità di effetti collaterali.

 

direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

“Scaricammo De Magistris solo con l’ok del Quirinale”

Il “sistema”. Lo chiama così, Luca Palamara, intervistato dal direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti. Il riferimento è a quella fetta di magistratura che da decenni gestisce il potere, che gioca le sue mosse all’interno e ne riverbera i riflessi all’esterno, che in più di un’occasione Palamara definisce una “cupola”. Da oggi in libreria, il volume edito da Rizzoli – Il Sistema – potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana – getterà altra benzina sul già aspro dibattito che infiamma la magistratura.

Molti i dettagli inediti – Palamara ricevuto per esempio dal premier Berlusconi a Palazzo Grazioli – che toccano le stagioni dei governi di centrodestra e centrosinistra. L’ex pm non perde occasione per spiegare che il potere correntizio – ma non solo – che ha gestito e frequentato per circa 15 anni ha usato due pesi e due misure: mano pesante con la destra targata B., leggera con il centrosinistra. Come nel 2006, quando c’era Romano Prodi al governo e Luigi de Magistris, pm a Catanzaro, creava imbarazzi alla maggioranza con le sue inchieste. La storia è nota: a De Magistris furono avocate le inchieste, fu punito disciplinarmente, e i pm di Salerno che indagarono sulla sua vicenda – Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani, con il procuratore capo Luigi Apicella – subirono dal Csm la stessa sorte. “De Magistris – chiede Sallusti – andava fermato?” . “Diciamo – risponde Palamara – che la decisione è di provare ad arginarlo, il ‘sistema’non può permettersi una cosa del genere (…)”. “Detto più chiaramente – continua Sallusti – voi lo scaricate e il presidente Napolitano approva?” “Lo scarichiamo – risponde Palamara – e condividiamo questa scelta con il Quirinale tramite il compianto Loris D’Ambrosio (che è scomparso, non può smentire né confermare, ndr), il mio riferimento al Colle…”. Poi aggiunge: “Ci furono pressioni politiche per scaricare De Magistris perché quell’inchiesta andava a colpire un governo di sinistra? Il governo era di sinistra, il mio sistema di riferimento anche, lascio a voi le conclusioni”. E sul gip Clementina Forleo, che all’epoca a Milano si occupava del caso Unipol e finì sotto procedimento disciplinare, Palamara dice: “Io capisco che non abbiamo scelta (…) va rimossa”.

In altri passaggi racconta – anche in questo caso si tratta della sua versione – i retroscena della nomina di Giuseppe Lo Voi alla procura di Palermo, per la quale concorreva anche Guido Lo Forte. Tutto comincia nel 2012 quando Lo Forte è in corsa per la procura generale. Palamara racconta di aver elaborato con l’ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, e l’ex procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, la seguente strategia: convincere Lo Forte a ritirare la candidatura per spianare la strada a Scarpinato, garantendogli che alla tornata successiva sarebbe diventato capo a Palermo. “Da casa di Fuzio chiamo Lo Forte, gli assicuro la tenuta di questo patto, legittimato dalla presenza di Pignatone, che era suo amico. Dopo averci parlato gli passo prima Pignatone e poi Fuzio”. Poi nel 2014, quando Lo Forte è vicino a diventare capo, Palamara appoggia Lo Voi. E quando Lo Forte vince il ricorso al Tar, e Lo Voi ricorre al consiglio di Stato, “Pignatone – sostiene Palamara – mi rivela di (…) temere che il Consiglio di Stato possa dare ragione a Lo Forte. La pratica finisce in quarta sezione, presieduta da Riccardo Virgilio (sarà poi arrestato per altre vicende proprio dalla procura guidata da Pignatone, ndr) che nei racconti di Pignatone è a lui legato da rapporti di amicizia. I due si incontrano una mattina presso la mia abitazione. Dopo aver lasciato sul tavolo i cornetti (…) mi allontano per preparare il caffé. Li vedo parlare in maniera fitta e riservata. Quando torno a tavola la discussione riprende su tematiche di carattere generale. (…). Poche settimane dopo arriva la sentenza di Virgilio, favorevole a Lo Voi”. Abbiamo chiesto a Pignatone se intendesse smentire o precisare qualcosa ma ha preferito non commentare. Tra i passaggi più controversi, quello sul disciplinare che colpì il pm di Napoli Henry John Woodcock (condannato e poi assolto): “Il 5 luglio 2018 – ne ho traccia – (…) Cascini mi vuole incontrare per annunciare che su Woodcock il Csm si deve fermare. Ci incontriamo (…) mi parla di un’intercettazione tra Legnini, vice presidente del Csm e quindi arbitro della contesa, e l‘ex onorevole Cirino Pomicino, in cui Legnini parla molto male del pm napoletano, in possesso dello stesso Woodcock, che è intenzionato a renderla pubblica per dimostrare che il Csm ha un pregiudizio nei suoi confronti. (…) Mi consulto con Pignatone che mi conferma tutto”. Il disciplinare fu rinviato al successivo Csm. Cascini – peraltro tra i consiglieri che condannarono Woodcock – spiega al Fatto: “Tutto inventato. Non ho mai detto nulla del genere né saputo nulla al riguardo”.

“Brevetti pubblici e via le licenze: così si battono i colossi”

“La Commissione europea faccia valere il fatto di aver finanziato la ricerca per dire: tutti i brevetti ottenuti con un significativo apporto di soldi pubblici devono restare pubblici. Perché altrimenti continueremo nella situazione attuale, dove paghiamo per fare ricerca sui vaccini, poi li dobbiamo ripagare un’altra volta per acquistarli e in più siamo totalmente nelle mani di chi li produce su quando ci vengono consegnati, come stiamo vedendo adesso”. Vittorio Agnoletto, medico del lavoro, docente a contratto alla Statale di Milano di Globalizzazione e politiche della salute, ex parlamentare europeo (Rifondazione Comunista/Sinistra Europea), ha appena lanciato una petizione. Insieme a diversi altri medici di tutta Europa e a decine di associazioni internazionali tra cui Oxfam, Un Ponte Per e molte altre, vuole raccogliere 1 milione di firme per costringere la Commissione europea a cambiare strada sui vaccini.

Qual è il problema principale?

È che siamo di fronte a vaccini prodotti grazie a un grande contributo pubblico, non si capisce perché il brevetto debba rimanere privato.

Se il brevetto rimane privato cosa succede?

Il monopolio su un vaccino, come su ogni altra proprietà intellettuale, dura 20 anni. Lo ha stabilito l’Organizzazione mondiale del commercio l’1 gennaio 1995. Questo vuol dire che il proprietario del brevetto per 20 anni è l’unico produttore del vaccino, decide lui quanto se ne produce, dove, quando, con chi fare accordi commerciali e con chi no. Tutto questo può avere influenza economica sui mercati. Lo stiamo vedendo adesso, con prezzi diversi a seconda dei Paesi acquirenti e consegne in ritardo.

Si poteva fare diversamente?

Sì, si poteva. Nel nostro caso è la Commissione europea ad aver sbagliato. Non ha ricordato di dire una cosa semplice alle società private nel momento in cui ha cominciato a finanziarle: io vi aiuto, ma poi il brevetto deve essere pubblico, deve appartenere all’Unione europea”.

Adesso come se ne esce?

L’India e il Sudafrica, appoggiati da un centinaio di Paesi poveri del mondo, hanno chiesto all’Organizzazione mondiale della Sanità una moratoria sui brevetti dei vaccini per il coronavirus, una sospensione dell’accordo del ‘95. Hanno fatto richiesta di discutere del tema velocemente, con la modalità fast-track, ma gli Stati Uniti di Trump e la Commissione europea si sono opposti. La Wto non ha messo in discussione d’urgenza la questione sollevata da India e Sudafrica e adesso se ne riparlerà non si sa bene quando.

Lei e gli altri promotori della raccolta firme cosa proponete?

Noi abbiamo fatto una Ice, uno strumento istituzionale dell’Unione europea: una richiesta alla Commissione europea per cui serve un milione di firme. Il testo chiede alla Commissione di rivedere le regole di applicazione dei brevetti dentro l’Ue.

Nel concreto?

Innanzitutto una cosa che si potrebbe fare anche domani. Che l’Italia e l’Ue rinuncino alle licenze obbligatorie. È una clausola prevista dai TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights), gli accordi internazionali sulla proprietà intellettuale dell’Organizzazione mondiale del commercio. Autorizza a produrre i farmaci in proprio, scavalcando il brevetto, tutti gli Stati che si trovano contemporaneamente in una situazione di pandemia e di difficoltà economica. Chi è in queste due condizioni può usare il brevetto per produrre il vaccino, perché prevale il diritto alla salute rispetto al profitto economico. Seconda cosa: chiediamo che la Commissione europea aderisca alla proposta del Sudafrica e dell’India di una moratoria sui brevetti per il Covid durante la pandemia. Terzo: che la Commissione europea faccia valere il fatto di aver finanziato la ricerca per i vaccini.

Vaccini, miliardi statali e ricatti Big Pharma

Quasi 20 miliardi di dollari. Una cifra straordinaria per una situazione straordinaria. Da quando è iniziata la pandemia, la corsa al vaccino non si è fermata un attimo. Sulle società che oggi sono protagoniste assolute nel mercato dei farmaci per arginare il Covid-19, sono piovuti soldi da ogni parte del mondo. Le donazioni di Bill e Melinda Gates, del fondatore di Alibaba, Jack Ma, delle Ong, delle fondazioni private dei grandi filantropi, ma soprattutto degli Stati. Denaro pubblico: 9,5 miliardi di dollari. Quasi la metà della cifra totale spesa per la ricerca sul vaccino anti-Covid è arrivata insomma dagli Stati. Gli stessi che adesso subiscono inermi i ritardi nelle consegne da parte delle società che hanno generosamente sovvenzionato.

Il governo della Germania, ad esempio, ha donato 345 milioni di euro al consorzio tra l’americana Pfizer e la tedesca Biontech. E adesso si ritrova con le consegne dei vaccini in ritardo, come tutti gli altri Paesi europei. I dati della società di ricerca Airfinity dicono che alcuni prodotti privati oggi sul mercato sono stati quasi interamente finanziati con fondi pubblici, come Moderna e Johnson & Johnson, sovvenzionati soprattutto dagli Stati Uniti. Lo stesso vaccino Pfizer- Biontech è stato sviluppato per metà da soldi di vari Stati. Sui vaccini hanno scommesso un po’ tutte le nazioni più importanti del mondo, ma quello che sta cominciando a emergere con i ritardi e le polemiche conseguenti, è che non tutti verranno trattati allo stesso modo. I soldi pubblici sono entrati nelle casse delle aziende farmaceutiche e adesso i vaccini vengono rivenduti al pubblico a prezzi di mercato, con contratti segreti: non si conoscono i prezzi pattuiti, se non per qualche fuga di notizia, né le condizioni accessorie.

La Commissione europea ha permesso a un piccolo gruppo di europarlamentari di guardare i contratti firmati: un’ora di tempo e niente foto, per leggere decine di pagine di cavilli. Si sa comunque che alcuni Paesi comprano a prezzi molto superiori rispetto ad altri. Come Israele, che ha già immunizzato una buona parte della popolazione e punta a vaccinare entro aprile tutti i cittadini sopra i 16 anni. Il governo di Benjamin Netanyahu ha acquistato il vaccino Pfizer-Bionetch: lo paga 28 dollari a dose, quasi il doppio rispetto ai 14,5 euro dell’Unione europea. Ma il prezzo non è l’unico particolare del contratto. Bloomberg ha rivelato che l’accordo prevede anche la condivisione con l’azienda farmaceutica dei dati sulla somministrazione del vaccino ai pazienti. Insomma il vaccino viaggia nel libero mercato, risponde alle leggi della domanda e dell’offerta, e naturalmente va prima dove è meglio pagato. Una situazione in totale contraddizione con l’invito fatto meno di tre mesi fa dal direttore dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che aveva parlato di “vaccino disponibile a tutti i Paesi in modo equo”.

Ieri il Commissario straordinario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri, ha detto che è stato presentato dal- l’Avvocatura dello Stato un esposto contro Pfizer per i ritardi nelle consegne. Il sospetto del governo italiano è che le dosi europee finiscano a chi le paga meglio. Se ci sono problemi produttivi per i ritardi “devono spiegarceli” ma, “se i vaccini destinati all’Ue finiscono in altri continenti, è molto grave”, ha detto domenica il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia. La stessa paura è stata espressa dal ministro della Salute della Germania, Jens Spahn, e da altri esponenti dei governi di vari nazioni europee. Il timore è talmente diffuso che ieri anche la Commissione guidata da Ursula von der Leyen ha deciso di esporsi annunciando l’istituzione di un registro dei trasferimenti dei vaccini fuori dall’Ue. Ai ritardi di Pfizer-Biontech si sono aggiunti infatti anche quelli preannunciati da Astrazeneca in Europa. “Il nuovo calendario di consegne dei vaccini” della società britannica “non è accettabile”, ha scritto ieri al termine di una riunione con i rappresentanti dell’azienda la commissaria europea alla Salute, Stella Kyriakides, che ha chiesto di voler “sapere quante dosi sono state prodotte, dove e a chi sono state consegnate”. Un secondo incontro tra la commissaria cipriota e Astrazeneca è avvenuto ieri sera, mentre andiamo in stampa.

Vista dal lato di Bruxelles, la partita si prospetta difficile: nonostante siano stati sviluppati grazie a miliardi di euro pubblici, i brevetti dei vaccini sono di proprietà esclusiva delle case farmaceutiche che li hanno registrati. Per questo c’è chi pensa che non sia il caso di continuare sulla strada della querelle legale. Non è solo un medico-politico come Vittorio Agnoletto a sostenerlo (lo leggete a destra). A dichiararlo ieri a Il Mattino è stato Silvio Garattini, farmacologo e presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano: “Se ci sono ragioni importanti di salute pubblica, gli Stati possono chiedere o pretendere la licenza del farmaco per produrlo in grosse quantità. L’Italia, l’Europa, possono chiederlo. In un momento di grandi difficoltà bisognerebbe avere il coraggio di abolire i brevetti sui farmaci salvavita come i vaccini. E se non facciamo le cose alla svelta, rischiamo che qualche variante non sia più suscettibile al vaccino”. La stessa tesi è stata espressa ieri da Nino Cartabellotta, medico e presidente della Fondazione Gimbe: “I governi europei non perdano tempo (e denaro) in azioni legali contro Pfizer e Astrazeneca. Piuttosto si preoccupino di liberare le licenze dei vaccini contro Covid-19”.

Per ora questa non sembra essere la linea maggioritaria a Bruxelles. La settimana scorsa, il Parlamento europeo ha votato su un emendamento proposto da Marc Botenga, belga del gruppo della sinistra. La proposta invitava la “Commissione a fare tutto ciò che è in suo potere per rendere i vaccini e le terapie anti-pandemiche un bene pubblico globale, liberamente accessibile a tutti, e a pubblicare tutti i contratti firmati con le aziende farmaceutiche”. L’idea del brevetto pubblico e dei contratti trasparenti non è passata: 338 no. Tra questi quelli di Forza Italia e di 13 esponenti del Pd. Gli unici dem a votare a favore sono stati Bartolo, Smeriglio e Toia.