Caro Giulio,
noi tutti ti dobbiamo delle scuse. Come il marito che lascia la moglie per l’amante e dopo due giorni di convivenza con l’amante capisce di aver fatto una sonora cazzata, noi che ti abbiamo deriso e sbeffeggiato nell’anno appena passato, siamo già pronti a tornare sui nostri passi. A rincorrerti trafelati sul Naviglio Grande con un mazzo di fiori in una mano e il Gatorade nell’altra, per dirti che sì, siamo stati troppo duri con te.
Che è vero, sei stato il capro espiatorio. Anche un po’ capra, talvolta, ma comunque una capra domestica, un erbivoro buono, di quelli con la faccia paciosa che finiscono nelle foto dei libri di scienze alla voce “agricoltura e pastorizia”. Tu facevi tutte quelle gaffe perché non eri capace di truccare l’inadeguatezza, di cavalcare la storiella della regione vincente nonostante tutto. O meglio, ci provavi, ma poi ti cadeva la maschera, anzi, la mascherina, e la verità veniva sempre fuori. Tu eri trasparente, a tua insaputa. Lo sei stato quando hai buttato lì che chissà, magari ti saresti candidato a sindaco di Milano, perché tutte quelle boomer infoiate sotto le dirette fb dei tuoi bollettini Covid, ti avevano convinto di essere Bradley Cooper e di poter sfidare Beppe a colpi di selfie. Hai sbagliato a spiegare l’Rt, ma solo perché quando lo spiegavano a te avevi le cuffie nelle orecchie. E mentre correvi sei finito in un altro Comune nonostante la zona rossa perché avevi in cuffia uno che ti spiegava cos’è l’indice Rt. E quando hai detto che “gli ospedali privati vanno ringraziati perché hanno aperto le loro terapie intensive e le loro stanze lussuose ai pazienti ordinari”, ti sei spiegato male perché avevi in cuffia uno che ti spiegava cos’è una zona rossa. E quando hai detto che non sapevi di poter chiudere Alzano, eri in cuffia con uno che ti stava spiegando cos’è un’ordinanza. Noi non ti abbiamo capito, Giulio. Abbiamo pensato, colpevolmente, che chiunque dopo di te avrebbe fatto meglio. Che bastasse sbloccarti le ferie e mandarti a sciare con i famosi medici che in quei giorni venivano tutti giù allegri dalle montagne con gli slittini, per risolvere i problemi della Lombardia. E invece ci siamo dimenticati che noi, in Lombardia, non siamo tipi da turarci il naso e optare per il meno peggio. No, a noi anche in una solfatara, piace aprire le narici e respirare a pieni polmoni. E così ci siamo tenuti Fontana, che già da solo era l’equivalente di 1700 tonnellate di nitrato d’ammonio parcheggiate nel porto di Beirut. A quel punto, già che c’eravamo, abbiamo anche acceso la miccia: qualcuno ha piazzato al tuo posto Letizia Moratti, che è l’equivalente dei fuochi d’artificio per la festa della Madonna Assunta a Monte di Procida, nel porto di Beirut, accanto al nitrato di cui sopra. Ecco, il risultato è sotto gli occhi di tutti. Tu, Giulio, che bisogna vaccinare prima le regioni col Pil più alto, non lo avresti mai detto. Mai. Non sei un cinico materialista, tu. Tu, al massimo, avresti proposto di iniziare da quelle col maggior numero di piste d’atletica. Tu, l’errore nel conteggio dei guariti non l’avresti mai fatto, anche perché saresti rimasto coerente con la tua linea: in Lombardia nessuno s’è mai ammalato. Tu non avresti mai fatto ricorso al Tar per litigare col governo, anche perché nel mentre saresti stato con uno in cuffia che ti spiegava cos’è il Tar. E che cos’è un ricorso. Ma soprattutto, caro Giulio, altro che sbeffeggiarti: tu avevi capito tutto.
Tu sapevi cosa significava il ritorno di Letizia Maria Brichetto Arnaboldi in regione: ovvero che l’indice Rt, in Lombardia, è quello che bisogna incontrare due cognomi contemporaneamente in un solo assessore, per rimpiangere quello di prima. Ci manchi, Giulio. Forse non le azzeccavi proprio tutte, ma almeno le tue risposte ci facevano ridere.