L’Occidente minaccia sanzioni, sui modi Ue e Usa non concordano

Unione europea e Stati Uniti ripetono da tempo che se Vladimir Putin dovesse dare l’ordine di invadere l’Ucraina, contro Mosca si riverseranno sanzioni senza precedenti. Alcuni giorni fa, dopo un colloquio telefonico poco proficuo tra Putin e Biden, la Casa Bianca aveva comunicato che “un’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca spingerebbe Washington e i suoi alleati a rispondere in modo deciso e imporre costi pesanti alla Russia”. La risposta degli alleati sarà “rapida, unita e pesante”, confermava il segretario di Stato Usa, Antony Blinken. Allo stesso tempo, in Europa, mercoledì, in un dibattito al Parlamento di Strasburgo sulla sicurezza europea e la minaccia militare della Russia, i deputati Ue confermavano che il rafforzamento militare russo lungo il confine ucraino rappresenta “una minaccia alla pace in Europa” e che bisogna prevedere “sanzioni dure” contro la Russia. Nei fatti, mentre Mosca muove le sue pedine, se né Ue né Usa né nessuna altra potenza occidentale dubita che ci saranno sanzioni contro Mosca in caso di invasione dell’Ucraina, più difficile a questo stadio è capire di che tipo di sanzioni si tratterà. Diverse opzioni sono messe sul tavolo, ma l’Occidente appare spaccato. Come ricorda anche il giornale online Mediapart, pure nel 2014 c’erano voluti mesi perché gli europei trovassero un accordo quando Mosca invase la Crimea.

Washington propone di spingersi fino alla sospensione per le banche russe dal sistema di pagamento internazionale Swift che, come ricorda Bloomberg, è l’equivalente di Gmail per il sistema bancario globale, un codice che permette di inviare in sicurezza messaggi a migliaia di istituzioni finanziarie in tutto il mondo. La misura avrebbe ripercussioni economiche serissime per Mosca, con conseguenze però anche sui paesi europei che dipendono dalla Russia per le forniture di gas. Un tipo di misura a cui parte dell’Europa resta ostile. In Ue, le spaccature sono evidenti. Esiste una “molteplicità di approcci – scrive Mediapart – secondo gli Stati membri e le storie nazionali segnate dall’era sovietica”. Nel comunicato finale redatto al termine della riunione dell’Europarlamento di mercoledì, cinque gruppi su sette, tra cui il Ppe di destra, i socialdemocratici dell’S&D e i Verdi chiedevano “ampie sanzioni finanziarie ed economiche”. Non si escludono sanzioni individuali destinate a colpire familiari o personalità vicine a Putin economiche o divieti di circolazione in Ue. In tanti propongono di colpire il settore energetico, mettendo fine alle nuove esplorazioni di gas e viene chiesto a Berlino di interrompere i lavori per il gasdotto North Stream 2 che unirà Russia e Germania passando per il mar Baltico. “La Germania deve superare la logica egoistica del North Stream 2 e diventare la leader dell’unione del gas”, secondo il partito conservatore polacco PO (Piattaforma civica). Esponenti del PiS, il partito polacco di destra Diritto e giustizia, difendono la “linea dura” contro Mosca e definiscono l’Europa “l’anello debole nella difesa contro l’imperialismo russo”. Nell’ala sinistra del Parlamento Ue, che resta piuttosto isolata, si punta il dito non solo contro la Russia ma anche contro gli Stati Uniti e le loro responsabilità nella crisi attuale e contro la Nato. Il deputato spagnolo Ue Manu Pineda del partito Izquierda Unida (IU) critica gli Usa che “continuano a orchestrare guerre fuori dal loro territorio, mentre l’Ue continua ad agire in modo irresponsabile: la Nato utilizza l’Europa e la sua frontiera con la Russia – ha detto – come una enorme base militare al servizio di interessi geopolitici che non sono quelli dell’Ue”. I deputati del gruppo La gauche, ritengono che l’Ucraina debba restare fuori dall’Alleanza atlantica: “Diversamente dagli Stati Uniti, la Russia resta sul continente europeo”, ha detto Emmanuel Maurel della France Insoumise (partito della sinistra radicale francese). E mettono in evidenza che tanto il cancelliere tedesco Scholz che il presidente francese Macron hanno detto che “non c’è sicurezza europea senza sicurezza russa”.

Putin spara i suoi missili per finta ma in Ucraina cadono quelli veri

La mobilitazione generale proclamata dai leader filorussi secessionisti nel Donbass, dopo esplosioni a Donetsk – un’autobomba – e a Lugansk – forse un gasdotto –, è un’ipoteca sulla pace più pesante, e meno controllabile, dei movimenti di truppa russi lungo i confini ucraini. L’Osce denuncia un “drammatico aumento” delle violazioni del cessate il fuoco sulla frontiera, la Tass ne conta 31 ad opera degli ucraini. Il decreto di mobilitazione esce mentre i ribelli separatisti, che parlano di una situazione “critica”, e i militari governativi si scambiano accuse di attacchi e di violazioni del cessate-il-fuoco: nella notte tra venerdì e sabato, ci sarebbero state 66 scaramucce a fuoco. Secondo il Washington Post , gli Usa temono che l’invasione dell’Ucraina sia preparata da provocazioni sotto copertura, tipo l’esplosione di Donetsk. Colpi di mortaio sono caduti vicino al villaggio di Novo Lugansk, sulla linea del fronte dentro l’Ucraina, durante la visita del ministro dell’Interno Denys Monastyrsky. Due soldati di Kiev sono caduti al fronte. Il governatore della regione russa di Rostov, al confine con l’Ucraina, Valery Golubev, ha dichiarato lo ‘stato d’emergenza’ per la crescente presenza di profughi dalle confinanti autoproclamate repubbliche filorusse ucraine. Dopo che è stato impartito un ordine di evacuazione dei civili, le code per fuggire dal Donbass hanno raggiunto i 22 chilometri e gli evacuati sarebbero già oltre 35 mila. La tensione torna a salire, dopo le speranze di de-escalation a metà settimana. I presidenti russo Vladimir Putin e bielorusso Aleksandr Lukashenko assistono a esercitazioni nucleari, con il lancio di tre missili: il New York Times le definisce “una brutale dimostrazione delle capacità militari della Russia”. L’attacco all’Ucraina che il leader del Cremlino ha già deciso – dice il presidente Usa Joe Biden – potrebbe coinvolgere caccia-bombardieri, mezzi corazzati, missili balistici e cyber-attacchi, oltre che truppe di terra: lo scrive il Wall Street Journal. Che Putin abbia ormai deciso l’invasione – questione di giorni o di settimane – e che abbia Kiev come obiettivo, Biden lo ha detto agli alleati europei Ue e Nato in una video-conferenza di 45’ venerdì sera. Per il presidente Usa, Mosca “può ancora scegliere la strada della diplomazia”, perché “la pagherà cara se attacca l’Ucraina”: “Abbiamo concordato di continuare gli sforzi diplomatici e siamo pronti a imporre costi massicci alla Russia se dovesse scegliere un ulteriore conflitto”, rendendosi “colpevole” di “una guerra catastrofica”. Le sanzioni la renderebbero “un paria” nell’arena globale. Sul New York Times, Fiona Hill, uno dei maggiori esperti Usa del presidente russo, descrive “l’ossessione di Putin” per l’Ucraina, che lo spingerebbe a ignorare consigli e pareri.

Ieri, a Monaco di Baviera, è iniziata l’annuale conferenza sulla sicurezza, senza presenze russe. Domani, il presidente francese Emmanuel Macron chiamerà Putin. E mercoledì è in programma l’ennesimo incontro fra i capi delle diplomazie Usa e russa Antony Blinken e Sergej Lavrov. Parlando a Monaco, il presidente ucraino Zelenski ha definito il suo Paese “lo scudo dell’Europa contro l’esercito russo”, spiegando che l’Ucraina vuole “un calendario chiaro e realizzabile di adesione alla Nato”. Cosa al momento non realistica. Per la vice-presidente Usa Kamala Harris,”la sicurezza europea è minacciata” e il Mondo vive “un momento decisivo”. Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, è poco accomodante: “Se l’obiettivo della Russia è avere meno Nato ai suoi confini, ne avrà solo di più”. A margine della conferenza, un G7 dei ministri degli Esteri dei Grandi chiede alla Russia di ritirare le truppe. Luigi Di Maio ha un colloquio con Blinken. E l’Ucraina spera che il premier italiano Mario Draghi riesca promuovere un incontro tra Putin e Zelenski, sollecitato da Kiev e finora negato da Mosca.

Francia, suicida in carcere l’amico di Epstein. In cella per stupro, portava ragazze al mostro

È stato trovato morto nella sua cella Jean-Luc Brunel. Era sospettato di aver procurato a Jeffrey Epstein, di cui era amico e socio, molte delle sue vittime. Settantasei anni, fondatore di due importanti agenzie di modelle (fra cui la Mc2 Model Management creata insieme a Epstein), Brunel era stato condannato per aver stuprato diverse minorenni e si trovava nel carcere di de La Santé, a Parigi, dal dicembre 2020, quando era stato fermato all’aeroporto “Charles De Gaulle” mentre tentava di imbarcarsi su un volo per il Senegal. L’arresto era scaturito da un’inchiesta condotta in Francia sulle accuse mosse a Epstein in cui erano coinvolti soggetti e vittime di cittadinanza francese. Mentre documenti parte dei procedimenti americani lo accusavano di procurare le ragazze all’imprenditore statunitense, di farle arrivare negli Usa dalla Francia promettendo loro contratti da modelle.

Brunel è stato trovato impiccato, proprio come accaduto a Epstein nell’agosto del 2019. All’epoca il finanziere americano era stato arrestato da un mese con l’accusa di aver abusato per anni decine di ragazze minorenni, anche di soli 13 anni, con un elaborato sistema predatorio. Epstein era un personaggio molto noto negli Stati Uniti, anche per le sue amicizie con attori e politici, come gli ex presidenti Bill Clinton e Donald Trump. O con il principe Andrea, figlio della regina Elisabetta II. Il duca di York è rimasto invischiato nella vicenda, finendo accusato per stupro da Virginia Giuffre, vittima di violenze quando era ancora minorenne. Per evitare il processo, l’esponente di casa Windsor ha versato a Giuffre una somma di denaro che non è stata resa nota, impegnandosi inoltre a fare un’importante donazione all’associazione per le vittime di stupro fondata dalla donna. Che su Twitter ha commentato la notizia della morte di Brunel. “Il suicidio di Jean-Luc Brunel, che ha abusato di me e innumerevoli ragazzine, mette fine a un altro capitolo” ha scritto. Aggiungendo: “Sono delusa di non averlo potuto affrontare in un processo definitivo perché ne rendesse conto, ma gratificata di aver potuto testimoniare di persona l’anno scorso perché rimanesse in carcere”.

Intanto la Procura di Parigi ha aperto un’indagine per chiarire le cause del decesso di Brunel, all’apparenza simili a quelle dell’amico Epstein. Nel caso del finanziere, sono molti i dubbi che si sia trattato di un suicidio.

Trudeau, la svolta autoritaria: c’era una volta l’eroe “liberal”

“Blocchi e occupazioni illegali hanno minacciato negozi, messo in pericolo posti di lavoro e reso difficile la vita di intere comunità per tre settimane. Questa settimana, per ripristinare l’ordine pubblico e proteggere i canadesi mentre la situazione evolve, il governo ha invocato l’Emergency Act”. Questo il tweet pubblicato sul profilo ufficiale del primo ministro canadese Justin Trudeau, un tempo identificato come uno dei più brillanti rappresentanti del centrosinistra liberal mondiale.

Ma il commento più popolare sotto la sua dichiarazione è un fotomontaggio in cui la sua testa appare sovrapposta a un corpo che spinge una bicicletta con due svastiche al posto delle ruote. Trudeau come Hitler: è una analogia estrema ma diffusa fra aderenti e simpatizzanti del Freedom Convoy, la protesta No Vax che da settimane paralizza la capitale Ottawa.

Inizia il 23 gennaio scorso, quando oltre 400 camionisti canadesi, ostili all’obbligo vaccinale ma che per questo incontrano ostacoli burocratici nel passaggio fra Canada e Usa, occupano Parliament Hill, la collinetta di fronte al parlamento. È una protesta di categoria che catalizza presto altre ragioni di malcontento, finisce per richiamare di fronte alla sede del potere legislativo no vax, no mask, oppositori politici e fondi anche da componenti filo-trumpiane dei confinanti Stati Uniti e si trasforma in un test per la leadership del premier. Che sceglie la linea law&order.

Nella capitale il malcontento per la gestione, anche politica, dello scontro fra manifestanti e forze dell’ordine cresce fino a portare, il 14 febbraio, all’annuncio della legislazione speciale e, il giorno dopo, alle dimissioni del capo della polizia della città.

In base all’Emergency Act, approvato nel 1988 per far fronte a “una situazione urgente e critica, che metta in serio pericolo la vita, la salute o la sicurezza dei canadesi”, e mai applicato finora, il governo Trudeau ha il potere, per 30 giorni, di vietare e disperdere raduni, controllare gli spostamenti della popolazione, bloccare i canali di finanziamento della protesta, che grazie a efficaci raccolte online, e al generoso contributo anche di avversari politici di Trudeau, nelle settimane di occupazione ha raggiunto milioni.

Il Canada ha un tradizione di convivenza pacifica fra le sue diverse anime e tolleranza del dissenso verso l’autorità, e il ricorso alla legislazione speciale, seppure come provvedimento temporaneo e soggetto ad approvazione del parlamento, è un precedente traumatico di sospensione di alcune libertà essenziali, come quella di assemblea e di movimento.

Mentre scriviamo è in corso una massiccia operazione di polizia che sta disperdendo i manifestanti a Ottawa, con un centinaio di arresti e cariche in diretta televisiva o social che alimentano la tensione.

Fra gli arrestati anche uno dei leader del Freedom Convoy, il camionista Chris Barber, uscito su una cauzione di 100 mila dollari dopo una notte in carcere, che ha dichiarato di voler solo andare a casa e di impegnarsi a non sostenere più la protesta.

All’accusa di deriva liberticida si è unito anche Elon Musk, il fondatore di Tesla e SpaceX, che aveva già espresso il proprio sostegno ai camionisti e mercoledì scorso ha ritwittato un meme satirico, una foto in bianco e nero di Adolf Hitler con la didascalia: “Stop comparing me to Justin Trudeau. I had a budget” (“Smettetela di paragonarmi a Justin Trudeau. Io avevo un budget”). Il tweet è stato cancellato giovedì senza scuse né spiegazioni.

Intanto 31 cittadini ed esercenti di Ottawa che si dicono danneggiati dalle proteste si sono uniti in una class action che chiede danni per 306 milioni di dollari.

 

L’Atalanta, l’ultimo Davide mangiato dal Golia Usa

E adesso anche la “pura” e orgogliosa Atalanta, modello di accorta e proficua gestione del sano calcio provinciale made in Italy in cui utili di bilancio e colpi di mercato andavano a braccetto coi risultati della squadra, paladina di una filosofia che aveva trasformato la squadra nell’emblema di una città colpita duramente ma non piegata dal Covid, ha ceduto indipendenza e identità all’ennesimo fondo americano. Ci siamo illusi che la sua anima corsara, espressa con un gioco battagliero e spettacolare, ammirevole e per questo molto ammirata, resistesse alle profferte del dio dollaro. E che ogni partita fosse l’ennesima versione dell’eterno scontro tra il piccolo, ma determinato Davide, contro il borioso e grosso Golia. Alt. Resettate tutto ciò. L’America ha colonizzato anche la Dea. Come altre sette squadre di serie A. Il nostro calcio costa poco, rende plusvalenze e vanta tanti titoli. Sono a stelle e strisce il Milan, la Roma, la Fiorentina, il Genoa, il Venezia, lo Spezia, il Bologna. A comprare l’Atalanta è la Bain Capital di cui nessuno, a Bergamo e dintorni, sospettava l’esistenza, salvo chi bazzica la finanza. Compra una società sanissima che macina utili da quattro anni, in controtendenza rispetto alle altre squadre di serie A: oltre 50 milioni sull’ultimo bilancio di 241,9 milioni. Antonio e Luca Percassi, gli ex padroni, hanno indorato la pillola parlando di “partnership con un gruppo di investitori capitanati da Stephen Pagliuca, Managing Partner e Co-owner dei Boston Celtics, oltre che Co-chairman di Bain Capital, uno dei principali fondi di investimento al mondo”. La Bain compra il 55% della Dea srl, la sub-holding della famiglia Percassi che detiene l’86% dell’Atalanta e che manterrà il rimanente 45%, mentre Antonio e Luca Percassi resteranno presidente e amministratore delegato della squadra. Oh, yes!

Dickens e la noia che ti fa saltare su da una panchina per avere altra noia

I grandi della letteratura, anche se talvolta ci hanno offerto opere non del tutto soddisfacenti, sono comunque stati sempre in grado di lasciare un segno, pur se piccolo. E quel segno prima o poi fa capolino nella mente del lettore fedele che, pur se con fatica, ha portato a termine la lettura dell’opera in oggetto.

L’autore cui mi riferisco è il monumento Charles Dickens. L’opera, senza alcuna pretesa di trovare alleati nel giudizio, è Il nostro comune amico, romanzo che ho trovato discretamente noiosetto e a tratti anche un po’ confuso. Tuttavia pure lui ha lasciato in me un segno e me ne sono accorto da giorni praticando quel gran teatro all’aperto che è il lungolago e osservando più e più volte un solitario seduto in panchina. La sua postura mi ha colpito soprattutto, da annoiato: appoggiato di schiena, quasi abbandonato, le gambe accavallate, il capo reclinato e lo sguardo a vagare di qua e di là, talvolta spento. E infine lo scatto improvviso quando qualcuno vi si accomoda accanto: via, come una molla, a cercarne una dove poter stare di nuovo in solitudine. Ecco allora che il romanzo di Dickens mi è tornato in mente in un passaggio ben preciso, isolando due personaggi. Trattasi di due avvocati, invero fancazzisti, che disquisiscono tra di loro sulla monotonia della vita. E uno dei due confessa all’altro di avere una vita monotona al punto tale da esaurire le sue energie al fine di sopportarla. Da che non gliene restano altre per sopportare quella delle vite altrui. Che quell’individuo che saltella di panchina in panchina allo scopo di restare sempre solo viva la stessa condizione e tema insostenibili ingerenze?, mi sono chiesto. Oppure sono io che proietto su di lui la noia di sentire spesso i giorni troppo uguali uno all’altro? Non ho risposta adesso, ma credo che dovrò farmi un piccolo esame di coscienza dal cui esito dovrebbero poi scaturire idee per rimediare. E prima di avviarmi sulla strada dell’autoanalisi chiedo scusa se per una simile quisquilia ho tirato in ballo il grande Dickens.

Mail box

 

Il “culto” del vaccino provocherà grossi danni

Ho letto il commento di Patrizia Valduga, “Stiamo perseguitando anche chi non sa se può vaccinarsi”. Mia cugina sta avendo un’esperienza molto simile: medici bugiardi, pilateschi nel migliore dei casi. Vedo persone incattivite, in cerca di qualcuno con cui sfogarsi. Gli è stato detto: chi non ha il vaccino (con tre dosi!) è il male assoluto. Altri, con positivi in casa, fanno tranquillamente una vita sociale (“ho tre dosi!”). Non capisco perché sia stata creata questa pericolosa guerriglia sociale su presupposti palesemente illogici, dato che anche chi ha il booster può essere contagioso. Quali fatti possono non dico giustificare, ma almeno spiegare tutto questo? Mi sembra fin troppo facile prevedere che queste fratture del tessuto sociale non porteranno a niente di buono.

Giuseppe Cacopardo

 

“Draghetto” prova a spegnere la crisi

Considerata la fase che sta attraversando il Supremo, suggerirei al Fatto di allegare alcuni episodi di un cartone animato degli anni Settanta, dove il protagonista è un giovane draghetto di nome Grisù (dall’omonimo gas combustibile) che, malgrado sia l’ultimogenito di una grande stirpe di draghi, i Draconis, sogna di diventare un pompiere. Probabilmente rende bene l’idea.

Roberto Tazzieri

 

Sui 5S un accanimento per nulla terapeutico

Il giornalismo mainstream (o dei lecchini, scegliete voi), insomma quello prevalente, continua a dare, con accanimento, la caccia alla presunta inadeguatezza della classe politica 5 Stelle. Certo, nel complesso del numero così alto di parlamentari conquistati nell’ultima tornata elettorale qualche caso ci può stare. Ma non più che nelle altre forze politiche. Il tema della selezione delle classi dirigenti, non solo politiche, è generale. Ma è preferibile avere in Parlamento un ignorante piuttosto che un colluso con le mafie. E il secondo caso rischia di essere, probabilmente, più comune del primo.

Melquiades

 

Auto elettriche: servono molte più colonnine

Va a rilento la produzione e la vendita di automobili elettriche, anche a causa della carenza, che in alcuni casi è una totale assenza, di colonnine elettriche nelle città e nei centri delle zone turistiche, dove ricaricare questi mezzi di trasporto. Queste assenze riducono anche la produzione delle macchine, che sta causando una rilevante riduzione del personale nel settore automobilistico. Inoltre danneggia la stagione positiva, ormai alle porte. Faccio dunque un appello rivolto ai sindaci dei Comuni, soprattutto quelli maggiormente interessati, affinché provvedano a far installare un numero adeguato di colonnine elettriche. Per evitare disagi agli automobilisti, ma anche per stimolare all’acquisto le persone che vi si imbattono.

Mario De Florio

L’Italia dei gendarmi che inquisì PPP

“Il Libro Bianco delle Sentenze stilato contro di me dalla Magistratura italiana sarà il libro più comico. Per me è stata una tragedia: ma non temete. Fingo che le mie spalle siano fragili: in realtà sono più forti di quelle di Simone. Ma fatemi fare il bravo cittadino per qualche mese se no, non potrò fare il più cattivo cittadino per tutta la vita”.

Pier Paolo Pasolini

 

Avviso ai lettori: “Il Libro Bianco di Pasolini”, la raccolta dei trentatré processi intentati contro il più importante intellettuale del secondo Novecento italiano è un libro fondamentale per celebrare il centenario della nascita del poeta e la sua intera esistenza. Anzi, è il “libro”. Prima avvertenza: le righe che avete appena letto mi pongono in un evidente conflitto d’interesse poiché l’editore dell’opera succitata è la “Compagnia editoriale” di Francesco Alberti, azionista del “Fatto Quotidiano”, ma soprattutto un amico. Per sgombrare il sospetto di un favoritismo forse non mi basterà precisare che avrei scritto la stessa cosa se a stampare il volume fosse stato un qualunque altro editore italiano, ma è ciò che penso. Resta il fatto che l’idea è stata di Francesco, e di Alessandro Di Nuzzo ed Enzo Lavagnini, che hanno raccolto le trascrizioni degli interrogatori, le requisitorie dei pm, le sentenze, oltre agli articoli di quotidiani e riviste, “in modo da far parlare i protagonisti con la loro stessa voce, come in un dramma teatrale”. La seconda avvertenza riguarda il verbo “celebrare”, a proposito del centenario pasoliniano, perché il lettore, perfino il più favorevolmente prevenuto, potrebbe legittimamente chiedersi cosa ci sia da “celebrare” in tre condanne di primo grado, seguite da due assoluzioni e da un paio di amnistie. “Numeri da capo della criminalità”: osservano gli autori, ai quali si potrebbe replicare che quando la legge è uguale per tutti non può esservi eccezione alcuna se l’imputato è anche un grande scrittore. Certo, ma come scrisse Stefano Rodotà, resta forte l’impressione che contro Pasolini si sia celebrato “un processo solo” con una sola finalità: “Mettere in dubbio la legittimità di un’esistenza”. Concetto che Furio Colombo (autore dell’ultima intervista a Pasolini, raccolta alla vigilia dell’assassinio dell’Idroscalo), nella conversazione che apre il volume, così amplia e approfondisce: “Sapeva benissimo che non erano normali le azioni giudiziarie che ogni tanto scattavano nei suo confronti. Era come se lui travalicasse i punti non consentiti, i comportamenti non ammessi nella società del tempo. Ne capiva benissimo la ragione e il modo, l’intensità, la ripetitività”. Infine, una breve citazione, solo un assaggio tra i mille spunti, per far comprendere in quale piccolo (e gretto e spietato) mondo antico, il lettore verrà condotto per mano. “Cosa faceva lei a quell’ora di notte per strada?” (il presidente del Tribunale al processo per i fatti di via Panico con Pasolini imputato per favoreggiamento e poi assolto). “Si ha il fondato motivo di ritenere che il Pasolini abbia voluto deliberatamente e con piena consapevolezza agevolare il Benevello Luciano… non meno losco amico col quale il brillante scrittore si accompagnava nella scorribanda notturna attraverso la via Panico, una delle strade più malfamate della città” (dalla denuncia del commissario capo di Ps). L’ultima parola spetta all’“imputato”: “Questa Italia è stata un Paese di gendarmi che mi ha arrestato, processato, perseguitato, tormentato, linciato per quasi due decenni. Questo un giovane può non saperlo. Ma tu no” (Lettera aperta a Italo Calvino).

Antonio Padellaro

Un “Po” di magra invernale, mentre Eunice piega l’Uk

In Italia – La prima perturbazione atlantica seria da un paio di mesi a questa parte ha finalmente portato precipitazioni talora abbondanti tra lunedì 14 e martedì 15 febbraio al Nord, ma non ovunque. Le nubi sono state generose in Liguria, Lunigiana, su pedemontana e Prealpi dal Garda al Friuli (65 mm intorno al Monte Grappa), 30-50 cm di neve sono caduti sulle Alpi liguri, su quelle centro-orientali e sull’Appennino tosco-emiliano, e una fugace spruzzata si è vista anche in città padane come Novara, Piacenza e Parma. Il fronte freddo tra martedì sera e mercoledì è giunto al Sud scaricando forti rovesci sul Salento e grandine a Siracusa. Invece il Piemonte si è dovuto accontentare di pioggerelle incapaci di attenuare la siccità e quella che l’Autorità di bacino del Po definisce la peggior magra invernale del fiume dell’ultimo trentennio (deflussi sotto media del 40% in gennaio presso Ferrara). Inoltre giovedì un foehn caldo e secco è tornato a spazzare il Nord-Ovest portando temperature fino a ben 24,8 °C presso Cuneo, situazioni un tempo eccezionali per febbraio e ora via via più ricorrenti (2012, 2019, 2020). Tiepido anche nel resto del Paese (nebbie padane a parte), 24,1 °C a Olbia venerdì, non lontano dal record di 25,3 °C del febbraio 2020. Ora, per un’altra decina di giorni si riproporrà l’alta pressione alternata a venti settentrionali.

Nel mondo – Le tempeste atlantiche Dudley ed Eunice hanno sospinto venti impetuosi e aria oceanica tiepida in Europa e fino alla Russia. Soprattutto Eunice ha imperversato con violenza non comune intorno al Mare del Nord venerdì 18 giustificando l’allerta rossa del MetOffice britannico, nuovo record storico di velocità del vento in Inghilterra con 196 km/h all’isola di Wight (Manica), ma anche 130 km/h a Rotterdam, danni diffusi a edifici, traffici interrotti, potenti maree di tempesta e dieci morti. In Francia e Spagna, giovedì, nuovi primati di caldo per febbraio a Marsiglia (22,5 °C), Tolone (23,2 °C) e Gerona (26,2 °C). Lo stesso giorno distruttivi tornado, rari per la stagione, in Polonia. La California ha vissuto una storica ondata di caldo invernale lo scorso weekend, record per febbraio di 32,8 °C a San Diego, ma episodi di calura fuori norma hanno interessato anche Nuova Zelanda, Cile e Patagonia. Peraltro uno studio delle università della California e Columbia, apparso su Nature Climate Change (“Rapid intensification of the emerging southwestern North American megadrought in 2020–2021”) conferma, sulla base dell’analisi degli anelli degli alberi, che la “megasiccità” dell’ultimo ventennio nel Sud-Ovest degli Stati Uniti, tuttora in corso, è divenuta la peggiore da 1.200 anni con il contributo del riscaldamento globale antropogenico. Gravi alluvioni e frane hanno sinistrato invece gli Stati brasiliani di Minas Gerais e Rio de Janeiro, 260 mm di pioggia in sei ore e almeno 130 vittime nella città di Petropolis. Freddo e neve continuano a interessare il Giappone, insolita imbiancata anche nell’estremo Sud, ma ciò che più conta è il clima globale, che in gennaio ancora una volta ha riservato un mese tra i più caldi mai registrati, sesto nei 143 anni di serie della Noaa con 0,9 °C sopra la media secolare, e secondo in Sudamerica dopo il caso del 2016. Con l’avvicinarsi dell’inverno australe, alla base scientifica “Little Dome C” in Antartide è terminata la prima campagna di perforazione glaciale del progetto “Beyond Epica – Oldest Ice”, coordinato da Carlo Barbante dell’Istituto di scienze polari del Cnr con l’obiettivo di ricostruire temperature e gas serra fino a un milione e mezzo di anni fa. Si è giunti per ora a estrarre ghiaccio antico di tremila anni a 130 metri di profondità, e nelle prossime campagne si punta ad arrivare a -2.700 metri mentre i campioni di ghiaccio verranno via via analizzati nei laboratori europei.

 

Grazia. L’amore di Dio è abbondanza traboccante, al di là di ogni giudizio

Luca ci fa ascoltare Gesù. Sappiamo che il Maestro durante la notte era rimasto solo a pregare su un monte. Adesso è in pianura e ha davanti a sé gente da ogni dove: dalla Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone. C’è il mondo in quella pianura, e lui sta dicendo cose importanti. Ha appena proclamato le beatitudini. Adesso prosegue: A voi che ascoltate, io dico… Gesù chiede attenzione, vuole che le orecchie si sintonizzino. Non ci sono immagini: solo voce. Gesù pronuncia parole che sono il cuore di quel che chiamiamo Vangelo: Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male, esordisce.

C’è un intimo paradosso nelle parole di Gesù che procede per quattro coppie di opposti: amore/nemico, bene/odio, benedizione/maledizione, preghiera/cattiveria. Se altrove Gesù trasforma l’acqua in vino, qui chiede a chi è attraversato da odio e male di trasformare questa energia in amore e bene. Solo una tale creatività nei rapporti, che sorprende l’avversario e spezza la violenza, elimina la radice dell’ingiustizia nei rapporti umani.

E Gesù non resta sul vago: usa le immagini, non i sentimenti. Ci fa vedere tre situazioni concrete. Vediamo un uomo schiaffeggiato sulla guancia, e Gesù gli chiede: offri anche l’altra. Ci fa vedere un uomo rapinato del mantello, e Gesù gli chiede di non rifiutare neanche la tunica. Ci fa vedere un uomo a cui sono sottratte le proprie cose, e Gesù gli chiede di darle e di non chiederle indietro. Il senso del discorso è tutto qui: Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande.

C’è un rigetto della logica della difesa e della reazione, che fa saltare il limite del ragionevole, forse anche del possibile. C’è un eccesso inspiegabile che il Maestro sta chiedendo alla gente che lo ascolta. L’origine di questo eccesso è in Dio stesso, del quale qui si rivela il vero volto: l’Altissimo – dice Gesù – è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. La frase fa tremare vene e polsi. Ogni moralismo, ogni giustizialismo è spazzato via. E così gli ingranaggi dei conflitti. Per questo, e in nome di questo Dio, Gesù può chiedere: Non giudicate e non sarete giudicati. Chi sono io per giudicare? Il messaggio di Gesù è uno scandalo: ci si inciampa. Ci si smarrisce. Non c’è modo per renderlo dolce, assennato, comprensibile, praticabile. Eppure, lui fa appello a una forma di “grazia” (qui tradotta con gratitudine). Non c’è grazia se si ama chi ci ama – continua Gesù –, se si fa del bene a coloro che ci fanno del bene, se si presta a coloro dai quali speriamo di ricevere qualcosa in cambio. Non c’è grazia nel do ut des. C’è grazia solamente nell’eccesso, nell’asimmetria, nel traboccamento.

A coloro che lo imitano in questo superamento dell’equilibrio, l’Altissimo verserà in grembo una misura buona, pigiata, colma e traboccante. Una misura di che cosa? L’immagine è palesemente tratta dal mondo agricolo, e si riferisce alla quantità di grano che è talmente abbondante da traboccare dalle pieghe della tunica o del mantello formate dalla cintura. Non c’è modo per contenerla: si versa di fuori. Ma non è questo che vogliamo veramente anche per noi? Non è beatitudine, felicità, sapere che c’è anche per noi un amore che supera ogni giustizia e ogni giudizio? Non vorremmo essere investiti da una abbondanza traboccante che è benevola anche quando noi stessi ci scopriamo ingrati e malevoli, incapaci di andare al di là di un amore meschino, piccino piccino?

*Direttore de “La Civiltà Cattolica”