Parma scrive la sua Storia e si organizza per la battaglia

“La campagna che assedia la città, e nasce improvvisa e già viva, già fermentante dietro le case di una strada, e s’insinua negli orti della periferia, nell’aria libera e acuta del fuoriporta; il variare della stagione seguito sugli alberi, sui pioppi della Villetta, sui fichi che stendono rami lisci e azzurri contro i muri stinti della Cittadella; la posizione di Parma, tra le dolci colline variate, gremite di colori e di ombre, e la pianura svaporante nell’indistinta luce, la pianura carica di immutabile tristezza, – tra l’Appennino e il Po distante –. Momenti, occasioni di un incontro con la natura che si ripete di continuo nella vita degli uomini di questa città e accende il segreto moto degli avvenimenti della nostra vita; origine anche, radice profonda e vitale delle loro trasfigurazioni mentali, e viva materia sentimentale dei poeti, dei pittori”.

Queste parole, ispiratissime, di Roberto Tassi (nelle quali filtrano le voci di Francesco Arcangeli e Attilio Bertolucci) riescono a trasformare in colore, odore, fremito vitale l’amore per una città, e per il suo territorio. C’è questo amore dietro i due volumi sulla storia dell’arte (curati da Arturo Carlo Quintavalle) che ora concludono la monumentale Storia di Parma voluta e sostenuta dalla Fondazione Monteparma. Già Voltaire notava che mentre “i particolari e i congegni della politica cadono nell’oblio (…) i monumenti prodotti dalle scienze e dalle arti sempre sussistono”: se oggi Parma ha un posto nell’immaginario globale è certo più per merito di Antelami e Correggio, che non dei Farnese o dei Borbone. E, del resto, la storia dell’arte non segue necessariamente lo sviluppo e gli andamenti della storia politica: ora assecondandoli, ora invece procedendo a scatti, secondo ritmi e svolgimenti tutti interni al mondo delle forme e delle figure.

Alcuni tra i migliori dei nostri storici dell’arte – da Laura Cavazzini ad Andrea Bacchi, da Carlo Sisi ad Aldo Galli a Maddalena Spagnolo, per non citarne che alcuni – hanno collaborato a questi due volumi, che si pongono ora come un ineludibile atlante di un territorio che non è fatto solo di gastronomia, ma anche trapunto di monumenti che lo collegano alla vicenda storico-artistica nazionale, e a quella europea.

Nonostante la loro mole, si sarebbe tentati di usarli come guida, per riprendere quelle passeggiate in cui i più dotti tra i parmigiani iniziavano i forestieri alla conoscenza della città, immancabilmente partendo dal grande complesso del Duomo e del Battistero. Già, perché per restituire veramente agli italiani di oggi le loro stesse città, la conoscenza della storia dell’arte è essenziale non meno del lavoro di un’amministrazione comunale conscia del proprio scopo: solo se gli occhi sanno leggere il tessuto di pietra e di colori in cui si svolge la nostra vita quotidiana, possiamo dire di non procedere a tentoni nelle tenebre.

Una partecipazione il più possibile collettiva a quello che Alois Riegl chiamava, nel 1903, il “moderno culto dei monumenti” è la condizione necessaria per cui quei monumenti restino in vita, e non vengano piegati a scopi che li umiliano, e virtualmente li cancellino. Così, c’è da sperare che le pagine del secondo tomo dedicate al vertice inarrivabile della Camera di San Paolo di Correggio inducano l’amministrazione guidata da Federico Pizzarotti a ripensare alla scellerata idea di destinare il complesso conventuale di San Paolo a sede della Fondazione Parma Città Creativa Unesco della Gastronomia. Come ha commentato l’architetto Carlo Quintelli, “di fronte a tanta ritrovata bellezza, preoccupa l’idea di farne un centro destinato alla gastronomia. Da una parte del muro storico ci sarà l’affresco della Camera di San Paolo, dall’altra lo sfrigolio di un laboratorio di friggitoria”. Non meno importante è che il meraviglioso Parco della Cittadella farnesiana non si trasformi in un’arena per eventi, ma rimanga un luogo libero da funzioni commerciali. I cittadini riuniti nel Comitato Cittadella Futura, insieme a Italia Nostra e al Fai, combattono perché la Cittadella venga considerata non come un contenitore da riempire, ma come un unico bene culturale (fatto di architettura e paesaggio, storia e natura), la cui destinazione sia la fruizione individuale e collettiva in quanto cittadini, e non come clienti o spettatori.

L’esperienza terribile della pandemia ha mostrato a tutti noi quanto sia fondamentale ricostruire il rapporto tra cittadini e spazio pubblico: chiusi nelle nostre private solitudini, nelle nostre case così diseguali, perdiamo il senso stesso della dignità civile. E in Italia quel rapporto passa per la storia dell’arte, intesa come ricerca e come condivisione della conoscenza con il numero più ampio possibile di cittadini.

Un filo rosso unisce quei due dotti volumi e le battaglie di una città che prende coscienza dell’importanza dei propri monumenti: perché conoscenza del passato e costruzione di un futuro sostenibile sono due facce della stessa medaglia.

“Il lato transitivo dell’insulto: Italia, la Calabria d’Europa”

La Calabria è per Roma ciò che Roma è per l’Europa? “Accolgo e faccio mia: l’Italia è la Calabria d’Europa”.

La teoria dell’equivalenza dei pregiudizi spiegata dallo scrittore Mimmo Gangemi, che dalla sua Palmi denuncia da anni lo stigma che si abbatte sui calabresi.

“Una manipolazione sistematica dei fatti, una proposizione superficiale e spesso disinformata della cronaca. Al punto che se non ci fosse la ’ndrangheta di noi si perderebbero le tracce. Sembra che ogni refolo d’aria sia figlio dei malacarne, ogni passo affondi nel guano. È così incivile l’illustrazione della mia terra, e così discriminatoria, così enormemente offensiva.

La realtà però s’incaponisce con le vicende giudiziarie che descrivono un malaffare esteso, quasi intramontabile.

Non sarò certo io a negarlo, mica vivo sulla luna. Ma è assai più circoscritto di ciò che appare. L’incidenza della ’ndrangheta nella vita politica è sì pervasiva ma i clan condizioneranno il voto in una decina di comuni, il resto è farina del nostro sacco. Ed è pure vero che il 52 per cento dei processi che originano dalla collusione tra Stato e criminalità si risolvono con una assoluzione degli imputati. È un fatto o dobbiamo pensare, come suggerirebbero le ultime dichiarazioni del procuratore Gratteri, che anche chi giudica è dentro la fitta nebbia dello scambio?

È un fatto la classe dirigente scadente, inguardabile, con un significativo deficit di reputazione.

È questa la nostra grande responsabilità. Ci accontentiamo dei mediocri, degli ultimi, di coloro che non sanno dare una prospettiva a chi vive e lavora qui. Ed è sempre nostra la responsabilità di non dire nulla, per esempio, sul fatto che nella nostra piana, abitata da 160mila persone, dovrebbero esserci 600 posti letto di ospedale, come nel resto d’Italia. Oppure che i nostri aranceti sono lasciati perire perché non si può produrre vendendo il frutto a sei centesimi al chilo. Una ricchezza al macero oppure appaltata al lavoro nero e schiavista. Fosse stata questa piana in Lombardia sa quante paginate del Corriere? E che scandalo sociale? E in quanto tempo il governo avrebbe posto riparo a questa vergogna economica e produttiva? Accettiamo la disattenzione, la discriminazione e restiamo supini, come se noi non potessimo godere di un po’ di dignità in più.

Corrado Augias osserva che la Calabria è proprio perduta.

È un giudizio così inutilmente gratuito, e cattivo e disinformato. Noi siamo i vinti, siamo un popolo di sconfitti, di gente che negli anni ritiene che anche l’elargizione del minimo servizio pubblico ordinario sia qualcosa di straordinario. Ma la nostra regione non solo non è perduta ma offre competenze di prim’ordine all’Italia.

Renzi quand’era premier inaugurò l’ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria, regina delle opere incompiute, dicendo che invece era stata completata nei tempi.

Mancavano cinquantadue chilometri ancora, e sono lì tuttora a dimostrare di quale oltraggio noi siamo vittime.

In nessun altro luogo d’Italia il presidente del Consiglio avrebbe potuto inaugurare, dicendola completa, un’opera incompleta.

Infatti, solo in Calabria. Questa è la nostra colpa più grande: non sapere ribellarci. L’autostrada è rimasta tale e quale nei suoi due nodi scorsoi più pericolosi: quello di Pizzo Calabro e quello di Rogliano, nei pressi di Cosenza. A Vicenza, ad Asti, a Genova avrebbero potuto fare quel che hanno fatto a noi?

E perché vede Bruxelles fare all’Italia ciò che Roma fa alla Calabria?

Perché l’Europa ci giudica spesso con le lenti del pregiudizio. Succede sistematicamente con la Calabria.

Cosa succede?

Io li chiamo i “microfonati”. Un circolo stretto di persone che hanno visibilità mediatica e illustrano secondo i propri interessi le vicende calabresi.

Gli italiani sono spesso persino increduli dei loro immortali vizi.

E noi calabresi facciamo scuola da un certo punto di vista. Ma se l’Italia amasse di più la Calabria amerebbe certamente di più se stessa.

Su Bonafede si va alla conta: altre 48 ore per trovare i voti

Quarantotto ore per trovare “costruttori” che sostengano il governo. Altrimenti si andrà in aula provando a superare lo scoglio del voto sulla relazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sfruttando qualche assenza tattica di renziani e forzisti in bilico. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – assediato da una parte del Pd e da Bruno Tabacci che spingono per un Conte ter – al momento non ci pensa proprio a salire al Quirinale e dimettersi volontariamente prima di mercoledì: teme la trappola, nel senso che aprire la crisi vorrebbe dire far iniziare tutta un’altra partita. E allora, mentre a Palazzo Chigi il suo capo di gabinetto Alessandro Goracci e il ministro Federico D’Incà provano a reclutare responsabili fino all’ultimo, l’ipotesi che prende sempre più piede è quella di andare alla conta in Parlamento.

A metà pomeriggio, la linea ufficiale del governo la dà il ministro degli Esteri del M5S Luigi Di Maio: “Il voto di mercoledì su Bonafede è un voto sul governo” spiega a Mezz’Ora in Più. E ancora: “Se prima si trova la maggioranza bene, altrimenti si scivola verso il voto”. La parola d’ordine, condivisa con Chigi, è “drammatizzare” il voto di metà settimana per far spuntare nuovi responsabili terrorizzati dalle urne, ma anche invitare il Pd a impegnarsi di più nel convincere i renziani delusi. Di Maio, come il premier, è contrario alla nascita di un Conte ter prima di mercoledì: “Se non ci sono i voti adesso, non ci sarebbero nemmeno per un Conte ter”.

Insomma, di fronte ai tentativi di Matteo Renzi e di parte del Pd di rompere l’unità della maggioranza, il M5S fa quadrato intorno al premier smentendo la possibilità di tornare al tavolo col senatore di Scandicci o di appoggiare un governo senza Conte: “Non c’è più possibilità di tornare con Renzi. Tra lui e Conte scegliamo Conte, a costo di andare a votare” dice Di Maio. Un messaggio a quei “costruttori” che nei sogni del governo dovrebbero venire fuori nelle prossime 48 ore per un rimpasto veloce (è già pronto il decreto per spacchettare i ministeri) ed evitare che la maggioranza vada sotto giovedì al Senato sulla Giustizia.

Bonafede si concentrerà su come spendere i 2,3 miliardi del Recovery Plan per assumere personale e snellire i tempi dei processi e non entrerà nel merito della prescrizione, tema molto divisivo. Ma questo non vuol dire che la prescrizione tornerà in discussione come spera IV e una parte del Pd, che ha chiesto al Guardasigilli un “segnale” distensivo: “Il M5S non sarà donatore di sangue, né donatore di organi”, ha concluso Di Maio.

Se alla Camera i numeri ci sono, al Senato però il governo rischia. Si voterà sulle risoluzioni a maggioranza semplice, ma il pallottoliere pende dalla parte dell’opposizione. Partendo dalla fiducia di martedì, se i 18 parlamentari renziani votassero con l’opposizione e venissero a mancare anche i nuovi “responsabili” Sandra Lonardo, Riccardo Nencini, Pier Ferdinando Casini e la senatrice a vita Liliana Segre (assente) il calcolo finale sarebbe fatto: 160 voti per l’opposizione e 153 per la maggioranza.

A quel punto Conte dovrebbe salire al Quirinale per dimettersi. Per questo è partita la corsa contro il tempo per convincere un gruppo di renziani e di forzisti a non presentarsi al voto.

Nel frattempo Renzi le sta provando tutte per tornare al tavolo spezzando il fronte del Pd di Zingaretti che resta fermo su Conte. Il capogruppo alla Camera Ettore Rosato sta chiamando uno ad uno i peones grillini per chiedere loro di mollare il premier proponendo Di Maio a Palazzo Chigi, mentre da Firenze il leader di IV ha telefonato a diversi suoi ex compagni di partito per riaprire la trattativa. È in questo quadro che vanno lette le dichiarazioni di esponenti dem, già renziani, che aprono all’ex premier: “Non c’è solo Conte, verifichiamo la maggioranza con Renzi” dice Marianna Madia, mentre Andrea Marcucci chiede di “fermare la guerra” e “rilanciare il dialogo”. Nel frattempo il senatore fiorentino non ha ancora dato indicazione di voto su Bonafede: vuole aspettare le mosse del governo e fermare la possibile fuga dei suoi. Un gioco a scacchi che si concluderà nelle prossime ore.

La sai l’ultima?

 

Cile Focolaio al compleanno del gatto: quindici persone contagiate
Si sentiva il bisogno di un bel Covid-party felino. In Cile ha fatto scalpore la notizia di una festa di comprovata eleganza, tipo quelle del Billionaire della scorsa estate, dove ci si è contagiati tutti allegramente: in 15 si sono beccati il Covid. Il festeggiato non era un Briatore ma un gatto. Lo racconta il sempre prezioso sito La Zampa, spin off animalesco della Stampa: “Quando ho scoperto che si erano infettati durante il compleanno di un gatto mi sono detto ‘è uno scherzo’ – avrebbe dichiarato Francisco Alvarez, capo del centro sanitario di Valparaiso -. Ho pensato che lo dicessero per nascondere qualcos’altro, ma in realtà era davvero così”. La casa dei padroni dell’incolpevole micio si è trasformata in un focolaio come un Rsa qualsiasi, in un Paese come il Cile che ha pagato un tribuno pesante all’epidemia, con quasi 700mila contagiati e 18mila vittime. Gli animali sono incolpevoli ma alcuni animalisti sono irrimediabilmente imbecilli.

 

Matera Il Kill Bill 70enne della Basilicata minacciava la sua compagna con una katana, la spada giapponese
Il vecchietto squilibrato credeva di essere in un film di Tarantino. La notizia è di per sé molto triste, ce ne rendiamo conto, ma alcuni dettagli la rendono impossibile da ignorare: a Matera la Polizia ha arrestato un settantenne in flagranza di reato per maltrattamenti ai danni della convivente. Aveva la simpatica abitudine di minacciarla con una katana giapponese. Il lord materano -fidanzato equilibrato e ragionevole – per imporre la sua labile personalità alla sua povera compagna aveva bisogno di brandire uno spadone nipponico. Pensava di essere in Kill Bill. Nel ruolo di Uma Thurman peraltro. A subire le angherie di questo psicopatico, oltretutto, è stata una donna affetta da disabilità, che lo ha denunciato dopo quasi un anno di angherie fisiche e psicologiche. Per fortuna ha avuto la forza di reagire. Ci auguriamo che il ninja della Basilicata possa affinare il suo talento di spadaccino molto lontano da qualsiasi persona che possa essere ferita.

 

Il titolo della settimana L’ex fidanzata di Higuain racconta la rottura: “Preferiva andare con le zozze”
Parole che fanno riflettere. Numerosi siti hanno riportato la triste notizia della rottura tra Gonzalo Higuain, già attaccante di Napoli e Juventus, e la sua ex fidanzata Manuela Ferrera. La fanciulla ha voluto spiegare a parole sue la fine dell’idillio col calciatore alla trasmissione di Piero Chiambretti Tiki Taka. L’ha fatto con eleganza, senza infingimenti: “Gonzalo preferiva andare con le zozze”. Una frase suggestiva, che infatti è stata rilanciata tale e quale, senza cambiare una virgola, dalla sempre attenta stampa italiana. La testimonianza della signorina Ferrera è intensa: “Sono stata con Higuain qualche tempo fa. Non siamo mai stati fidanzati ufficialmente, c’è stata una frequentazione durata qualche mese. Alla fine è finita perché lui aveva una passione particolare per le zozze. Preferiva andare con le zozze”. Ripetuto e scandito per bene dalla limpidissima miss, perché come diceva Nonno Libero, una parola è troppo e due sono poche.

 

Chicago Viaggiatore ipocondriaco si nasconde tre mesi in aeroporto per paura di prendere il virus
È rimasto a vivere in uno scalo aereo come Tom Hanks in The Terminal, ma l’ha fatto di sua volontà, per assecondare un’ipocondria che farebbe impallidire anche Carlo Verdone. Un 36enne californiano di origine indiana, il signor Aditya Singh si è nascosto per tre mesi all’aeroporto di Chicago perché aveva paura del Covid. Per qualche ragione deve aver pensato che se fosse rimasto nel terminal, invece che nel terribile mondo esterno, avrebbe avuto molte più probabilità di evitare il contagio. Il povero Singh, scrive l’Ansa citando il Chicago Tribune, “è stato arrestato nelle scorse ore, dopo che è stato trovato in possesso di un badge appartenente ad un dipendente dello scalo che lo aveva smarrito. Singh era arrivato a Chicago lo scorso 19 ottobre, da allora ha vissuto in un’area riservata dello scalo, in cui è riuscito a rimanere grazie proprio al badge di un dipendente il cui smarrimento era stato segnalato lo scorso 26 ottobre”.

 

Cairo Una cuoca egiziana arrestata per aver sfornato pasticcini a forma di pisello per il catering di una festa
Al Cairo la polizia ha arrestato una cuoca che aveva sfornato delle pastarelle a forma di pene. Una prova – di cui non si sentiva il bisogno, viste le ripetute violazioni dei diritti umani – del “controllo della moralità” orwelliano imposto dal governo in Egitto. I pasticcini fallici erano stati sfornati per una festa di compleanno privata al Gezira, lo sporting club di uno dei quartieri più ricchi della città. La donna – scrive il Guardian – è stata prelevata a casa sua dopo che alcuni dei partecipanti alla festa avevano condiviso le foto dei dolcetti sui loro social media. Gli investigatori hanno individuato la pasticcera dopo aver parlato con dei testimoni: un’indagine in piena regola per dei cupcake a forma di pisello. Secondo i media locali la pericolosa criminale è scoppiata in lacrime quando è stata condotta in procura al Cairo, poi avrebbe confessato che i pasticcini fallici erano stati richiesti espressamente dal proprietario del club. Dopo l’interrogatorio è stata rilasciata pagando una cauzione di 5mila sterline egiziane (circa 260 euro).

 

Massachusetts Spettacolare salvataggio di un cane sul lago ghiacciato: i vigili del fuoco arrivano a bordo di un hovercraft
Spettacolare operazione di salvataggio in Massachusetts. I vigili del fuoco sono riusciti a recuperare un cane immobilizzato nelle acque ghiacciate del laghetto di Shrewsbury e per farlo si sono imbarcati su un hovercraft, un inconsueto aeroscafo che viaggia su cuscini d’aria. In questo modo sono riusciti a solcare il sottile strato di ghiaccio che ricopre il laghetto nei mesi invernali e a salvare il cane, che era irraggiungibile dalle banchine. La bestiola – come riporta la Nbc Boston – ha apprezzato molto l’arrivo dell’aeroscafo e si è fatto caricare a bordo senza alcuna resistenza. Poi è stato scortato fino al moletto del lago, dove l’aspettavano i suoi padroni. Una storia a lieto fine che lascia un paio di interrogativi: chi sarà stato l’amministratore tanto lungimirante da decidere di dotare i vigili del fuoco di Shrwesbury di un aeroscafo per navigare sul ghiaccio? E che cosa ci faceva un cane solitario in mezzo a un lago gelato? Dovremo convivere con questi dubbi.

 

Modena Svaligia un negozio di sigarette elettroniche e poi scappa in monopattino: raggiunto dopo 100 metri
Il Lupin del modenese dopo aver derubato un negozio di sigarette elettroniche si è dato alla fuga in monopattino elettrico. Immaginiamo l’inseguimento thrilling – un po’ tipo O. J. Simpson in autostrada con l’acceleratore schiacciato a tavoletta – con il nostro eroe che si allontana dalle forze dell’ordine alla vertiginosa velocità di 20 chilometri orari. Il ladro – chi l’avrebbe mai detto – è stato arrestato. Quando è arrivata la polizia, il 30enne era riuscito ad allontanarsi di un centinaio di metri grazie ai suoi potenti mezzi. Ne dà notizia la Gazzetta di Modena: “In continuo contatto telefonico con la Polizia, il proprietario del negozio ha potuto fornire una dettagliata descrizione del ladro agli agenti della Squadra Volante, che intervenuti con estrema tempestività hanno individuato lo straniero ad un centinaio di metri dal luogo del reato a bordo di un monopattino”. L’artigiano del crimine è stato trovato in possesso di un cacciavite di 19 cm e di una tenaglia. Il monopattino invece l’aveva affittato per strada.

Vaccini, l’Europa ora segue l’Italia: “Facciamo causa su tagli e ritardi”

La settimana scorsa, quando l’Italia ipotizzò un ricorso al Foro di Bruxelles contro i ritardi di Pfizer sulla consegna dei vaccini, la Commissione Ue invitava il governo italiano alla cautela. Ora che le campagne vaccinali segnano il passo in tutti i Paesi, le istituzioni europee ci hanno ripensato: “La Ue intende far rispettare i contratti firmati. Possiamo utilizzare a questo scopo tutti i mezzi giuridici a nostra disposizione”, ha detto ieri il presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, secondo cui i funzionari europei “hanno battuto il pugno sul tavolo” nell’ultimo incontro con Pfizer. Il grande non detto è che, seppure senza prove, nelle cancellerie europee sono tutti convinti che le case farmaceutiche stiano anticipando o programmando di anticipare le consegne ai Paesi che pagano di più: Usa e Israele per Pfizer ad esempio, il Brasile per la britannica Astrazeneca.

Non si sa se sia stato “il pugno sul tavolo” dei funzionari Ue o altro, ma Pfizer ieri ha fatto sapere che “dalla prossima settimana la fornitura in Europa tornerà a regime” e non è chiaro se s’intende da oggi o dalla prima di febbraio. Fosse vero, resterebbero i ritardi di queste settimane e l’enorme problema dell’annunciata riduzione delle consegne da parte di Astrazeneca (in attesa del via libera Ema): con l’Italia s’era formalmente impegnata a consegnare 8 milioni di dosi nel primo trimestre, ora ne garantisce 3,1 milioni e dice di non sapere come evolverà la situazione nel secondo. Il piano vaccinale italiano, insomma, rischia uno slittamento: “Circa quattro settimane nei tempi previsti per la vaccinazione degli over 80 e di circa 6-8 settimane per il resto della popolazione”, prevede il viceministro della Salute Pier Paolo Sileri.

L’opzione legale resta dunque in piedi: tanto in Italia, sia a livello civile che penale, che in Europa sotto l’egida Ue (cioè l’ente che ha stipulato i contratti cornice con le aziende). Se non altro, i dati di contagi e ospedalizzazioni sembrano stabili: ieri 11.629 positivi (5,4% il tasso sul totale dei tamponi), 2.400 pazienti in terapia intensiva (+14), 21.309 nei reparti Covid (-94). Sempre alto il numero delle vittime: 299 ieri.

“Di Speranza e Iss la scelta di lasciar perdere il vecchio piano pandemico”

Attivare il piano pandemico dopo l’allarme da Wuhan “non era un obbligo”, dice Claudio D’Amario che allora era a capo della Prevenzione del ministero della Salute. “Fu discusso anche all’interno della task force se il modello era quello più dell’influenza o il modello quello dell’andamento clinico della Cina e di Wuhan. E quindi fu proposto dall’Istituto superiore di sanità uno studio per poter fare un piano Covid dedicato a questa nuova pandemia”. Così il dirigente l’ha raccontata ai pm di Bergamo e a Report, in onda stasera. La decisione, secondo D’Amario, fu condivisa anche dal ministro Roberto Speranza: “Le scelte delle task force sono state verbalizzate, condivise. Il piano pandemico del 2006 è tutt’ora il piano pandemico nazionale”.

Negli appunti della task force, non veri e propri verbali ma appunti dell’ufficio di gabinetto di Speranza, in parte pubblicati il 23 dicembre scorso dal Fatto, non c’è traccia della decisione di non attivare il piano pandemico. C’è solo qualche cenno, qua e là, all’esistenza di un piano e al suo mancato aggiornamento. Nell’ipotesi della Procura di Bergamo l’allerta pandemica doveva scattare subito, fin dal primo avviso dell’Organizzazione mondiale della sanità che risale al 5 gennaio 2020, riferisce delle “polmoniti di eziologia sconosciuta” nella metropoli cinese e richiama espressamente le “raccomandazioni sempre valida sulle misure di salute pubblica e la sorveglianza dell’influenza e delle malattie respiratorie”. D’Amario non è d’accordo: “Il piano pandemico scatta quando viene dichiarata la pandemia, non scatta prima”, dice a Report. Vedremo. Una prima circolare la fecero subito, con tanto di riferimento alle linee guida dell’Oms. Il successivo piano italiano contro il Covid-19, elaborato sulla base dei possibili scenari epidemici illustrati fin dal 5 febbraio dal ricercatore Stefano Merler, sarà allegato a un verbale del Comitato tecnico scientifico il 2 marzo successivo, un po’ tardi: il virus già correva in alcune Regioni italiane e il 20 febbraio ce ne accorgemmo tutti con i primi casi Codogno (Lodi) e Vo’ Euganeo (Padova). Applicare il piano pandemico, nella fase di allerta, significava appunto attivare la sorveglianza epidemiologica, acquistare dispositivi vari, censire le risorse degli ospedali. La Procura ascolterà nei prossimi giorni, come persone informate, il ministro Speranza, il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro e il coordinatore del Cts Agostino Miozzo. Diversi esperti sostengono che il piano del 2006, mai aggiornato e privo di piani regionali e locali, non fosse applicabile. Alcuni, come appunto D’Amario, sostengono che era un piano riferito alla sola pandemia influenzale e non al Covid. La Procura farà le sue valutazioni anche in base alla consulenza chiesta al professor Andrea Crisanti sul reale impatto della mancata applicazione del dispositivo esistente in termini di maggiori contagi, malati gravi e vittime.

Lombardia: 900 mila dosi di antinfluenzale inutilizzate

La fotografia dell’ennesimo fallimento di Regione Lombardia è contenuta nei dati segreti dell’Agenzia regionale degli acquisti (Aria) – rivelati ieri da TgLa7 e dall’agenzia Agi – che riportano costi e risultati della campagna vaccinale anti-influenzale 2020 del Pirellone.

Secondo il report che Il Fatto ha consultato direttamente, a fronte di una spesa sostenuta per acquistare i vaccini lievitata a 31.893.400 euro per 2.675.888 dosi, il Pirellone al 15 gennaio 2021 ha inoculato solo 1.818.601 dosi.

Un risultato lontanissimo dal target vaccinale previsto dall’Istituto superiore di Sanità (Iss) e dalle previsioni delle stesse autorità sanitarie regionali, che a ottobre scorso si erano poste l’obiettivo di vaccinare 2,6 milioni di lombardi. Per avere un’idea del fallimento della campagna, basta scorrere il dato dei cittadini tra i 60/64 anni (che avrebbero dovuto avere il vaccino gratuitamente): solo il 16,22 % è stato vaccinato, contro il 50% raccomandato dall’Iss.

Non solo, le dosi di vaccino acquistate ma non utilizzate sono state 942.706, per un valore di 10.674.695 euro. Dosi che giacciono da qualche parte, disperse nei magazzini delle Ats, delle Asst, o ancora presso le case farmaceutiche. In pratica, durante la pandemia, quando tutta la popolazione mondiale era alla ricerca del vaccino antinfluenzale (soprattutto in Lombardia) e ogni autorità sanitaria esistente ne raccomandava l’utilizzo, i vertici del Pirellone, prima non hanno acquistato nei tempi canonici le scorte previste; poi hanno fatto 13 gare consecutive con prezzi che lievitavano da 4,5 euro a dose fino a 27,5 euro; e, quando finalmente hanno avuto una scorta di vaccini sufficiente, non sono riusciti a inocularli alla popolazione.

Per raccontare questa debacle, partiamo dai costi: la spesa totale sostenuta dal Pirellone per la scorta vaccinale è stata di 31.893.400, il quadrupolo rispetto a quanto pagato nel 2018 (7.983.340 euro) e tre volte e mezza quanto sborsato nel 2019 (9.057.925 euro). A questo lievitare dei costi, però, non si è accompagnata una relativa crescita del numero dei vaccinati: se nel 2018 le dosi totali usate erano state 1.289.991, e 1.378.555 nel 2019, nel 2020 ci si è fermati a quota 1.733.182. Una variazione minima.

E anche circa l’inutilizzo, i dati sono impressionanti: nel 2018 non furono usati vaccini per 888.389 euro, nel 2019 per 1.406.945 euro, quest’anno siamo a 10.674.695 euro. Una cifra che i tecnici di Aria spiegano con la tabella delle diverse tipologie di vaccino acquistati e mai usati. Per esempio: nel 2020 la Lombardia ha comprato 410 mila dosi di Fluenz Tetra Spray, a 18 euro l’una, per 7,3 milioni totali. Di queste ne sono state usate solo 114.598, le altre 295.402 restano inutilizzate, per un costo di 5.317.236 euro. Idem per il Fluad Tetravalente: 80 mila dosi acquistate per 12,4 milioni, 722.700 dosi somministrate, 83.300 avanzate, per una perdita di 1.286.985 euro. E la lista continua: Vaxigrip (costo della giacenza 383.519 euro), Fluzone Hd (825.350 euro); Fliad Trivalente (2.288.380 euro); Flucelvax (573.225 euro).

Se si analizzano poi i risultati di copertura per fascia d’età, le cose non migliorano: secondo Aria, solo il 54,4% degli over 65 anni ha ricevuto il vaccino, mentre la percentuale della fascia 60/64 crolla al 16,22%, per poi precipitare al 3,99% tra i 19 e i 59 anni. Va un po’ meglio nella fascia 2/6 anni, col 18,41%. Numeri parecchio lontani da quanto raccomandato dal Ministero a giugno scorso, che poneva per tutti i target “il 75% di copertura come obiettivo minimo perseguibile, il 95% come obiettivo ottimale”.

“Per mesi la giunta regionale ci ha detto che il piano vaccinale procedeva a pieno ritmo, sapevamo che non era così e oggi abbiamo le prove”, commenta Samuele Astuti, responsabile del Pd per la Sanità in Regione.

E aggiunge: “La campagna è partita troppo tardi e ha avuto mille intoppi. Hanno accumulato ritardi ed errori che hanno portato la gente a non vaccinarsi”. Oltre al danno, c’è anche la beffa, continua Astuti, “perché oggi la Lombardia ha 10 milioni di euro di dosi non usate. Un fatto gravissimo, che fa perdere ulteriore credibilità a un’importante istituzione come la regione. La Lega ne ha distrutto ogni credibilità ed è un danno gigantesco”.

L’email che sbugiarda Fontana&Moratti

L’oggetto è “Cabina di Regia – richiesta di rivalutazione indice RT sintomi per settimana 35 – Regione Lombardia”. La mail è di Marco Trivelli, direttore generale Welfare del Pirellone, ore 12.25 di venerdì 22 gennaio. Scrive ai responsabili del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità: “Gentilissimi, tenuto conto della integrazione nel flusso dati trasmesso mercoledì 20 us rispetto al flusso trasmesso mercoledì 13 us, effettuata a seguito del confronto tecnico tra Iss e Dg Welfare e relativa alla riqualificazione del campo stato clinico da ‘assenza di informazioni in merito alla presenza di sintomi’ in stato ‘asintomatico’ nei casi con data inizio sintomi, si chiede la rivalutazione dell’indice Rt sintomi per la settimana n.35 ora per allora. 
Cordiali saluti”.

Trivelli non scrive errore. Parla di “riqualificazione”. Questo perché il 20 gennaio, insieme ai dati trasmessi per la settimana 36 (11-17 gennaio), la Regione Lombardia aveva anche mandato numeri nuovi per la precedente (4-10 gennaio). Su 501.902 casi al 13 gennaio, quelli per cui si indica una data di inizio sintomi nella settimana di riferimento (4-10 gennaio) passano dai 419.362 indicati il 13 gennaio ai 414.487 che compaiono, sempre per la settimana 35, nell’aggiornamento del 20: 4.875 in meno. Diminuiscono i casi con “stato sintomatico (qualunque gravità) o assenza di informazione”: dai 185.292 indicati il 13 gennaio ai 167.638 del 20: sono 17.654 in meno. Aumentano da 234.070 a 246.849 quelli con “stato asintomatico o evidenza di guarigione/decesso”. Insomma, meno sintomatici e più asintomatici o guariti o deceduti. E siccome Rt si calcola sui sintomatici, con i nuovi numeri l’indice passa da 1,4 a 0,88. La Regione Lombardia non è più rossa, come è stata da domenica 17 a sabato 23, ma arancione, come doveva essere se i dati inviati il 20 gennaio fossero arrivati il 13. Pensavano di cavarsela con la correzione che chiamano “integrazione”, ma da Roma hanno chiesto di spiegarsi meglio. E Trivelli ha chiesto la “rivalutazione”.

Il problema è semplice. Se manca l’aggiornamento dello stato clinico di un positivo sintomatico il paziente continua ad essere considerato sintomatico. Era un campo opzionale e non sempre veniva compilato, magari non è successo solo in Lombardia. Lì però alcuni sindaci se ne sono accorti, perché le statistiche registravano più positivi di quelli che vedevano sul territorio. Ci sono state segnalazioni almeno dal 14 gennaio. Alla Direzione del Welfare dopo qualche giorno hanno capito e hanno mandato i dati corretti.

Una settimana in zona rossa però vuol dire negozi chiusi in periodo di saldi. Confesercenti ha quantificato il danno, per i commercianti, in 600 milioni di euro nell’intera Lombardia, 200 milioni solo a Milano. Così Fontana se l’è presa con l’Iss, con il ministero, ha parlato di “calunnie”, ha fatto ricorso al Tar, ha negato qualsiasi “errore di comunicazione”, che invece c’è, altrimenti non sarebbe stato necessario correggerlo. Ieri lo stesso presidente lombardo ha un po’ abbassato i toni: “La polemica – ha detto – mi lascia indifferente: fidiamoci di quello che decideranno i giudici. Probabilmente non è colpa di nessuno, lasciamo che la magistratura accerti come si sono svolti i fatti ed individui se ci sono delle responsabilità”. Il Tar del Lazio dichiarerà decaduto il ricorso lombardo contro la prima ordinanza, che non c’è più, così ieri l’avvocato Federico Freni, che assiste la Regione, ha cambiato obiettivo: “Impugneremo il verbale della Cabina di regia, del Cts e l’ordinanza del ministro Speranza nella sola parte in cui si dice che la Lombardia ha inviato nuovi dati. Possiamo dimostrare che non c’è stato un nuovo invio di dati ma è stata cambiata la valutazione di dati già trasmessi”. In effetti i positivi sono quelli, c’è solo qualche migliaio di sintomatici/assenza di informazioni divenuti asintomatici/guariti/deceduti. E la polemica si sposta sugli algoritmi.

Ma mi faccia il piacere

Nostradamus. “La seconda ondata di Coronavirus l’avevano prevista anche i tombini!” (Matteo Salvini, segretario Lega, Facebook, 18.1.2020). “Salvini: perché dovrebbe esserci una seconda ondata di Coronavirus?” (Salvini, Agi, scovato da @nonleggerlo, 25.6.2020). Quindi lui vale meno di un tombino.

Competenze. “Ora che Renzi è uscito dal governo, ci saranno le competenze per scrivere un piano come si deve?” (Corrado Formigli, Piazzapulita, La7, 14.1). Beh, in effetti, senza Bellanova, Bonetti e Scalfarotto, sarà durissima.

Quello che capisce. “Io conosco i 5Stelle da otto anni. Tra loro ci sono molte persone che stimo, penso siano persone che hanno la capacità di discernere: capiscono le cose come le capiamo noi, non c’è differenza” (Ettore Rosato, coordinatore Iv, Camera, 18.1). Infatti il Rosatellum non l’hanno votato, loro.

Quella che capisce. “Volevo rassicurare che sto benissimo e aspetto il secondo tempo. PS: non possono esistere opinioni al di là della sua” (Gaia Tortora, a proposito del sottoscritto che parla di Renzi medicato da lei, ma lei capisce lei medicata da Renzi, Twitter, 21.1). “Il 71% degli italiani è sotto il livello minimo di lettura e comprensione di un testo di media difficoltà scritto nella nostra lingua” (Tullio De Mauro, 28.11.2011). Aspettiamo il terzo tempo.

Quelli che capiscono. “La scienza e il tempo mi stanno dando ragione su tante cose che ho fatto. E molti lombardi hanno già capito. Nonostante quel che si è letto su di me sui giornali e sui social in questi mesi, quando ho lasciato sono stato letteralmente travolto dalla riconoscenza e dalla gratitudine di migliaia e migliaia di cittadini” (Giulio Gallera, FI, ex assessore alla Salute della Lombardia, Facebook, 18.1). Riconoscenti e grati perchè se ne andava. E se ne vanta pure.

Le affinità elettive. “Raggi ha licenziato 2 vicesindaci, 17 assessori, un capo di gabinetto, un Capo del personale, 6 tra alti dirigenti e dirigenti in Acea, 7 in Atac, 5 in Ama. Pochi mesi e potremo licenziare lei” (Carlo Calenda, eurodeputato Pd e leader Azione, Twitter, 23.1 ore 4). “Raggi in questi anni ha licenziato 2 vicesindaci, 17 assessori, un capo di gabinetto, un capo del personale, 6 tra alti dirigenti e dirigenti in Acea, 7 in Atac, 5 in Ama. Prepara gli scatoloni, a primavera la Lega e i romani ti manderanno a casa” (Matteo Salvini, segretario Lega, Twitter, 23.1 ore 4.47). Ma è Calenda che è entrato nella Lega o Salvini che è entrato in Azione?

Lerrore. “Non ammetterò mai di aver commesso un errore” (Attilio Fontana, Lega, presidente Lombardia, 23.1). Infatti l’ha commesso chi ti ha votato.

Rotelle. “Abbiamo comprato 460 milioni di banchi a rotelle che non servono a niente (Matteo Renzi, segretario Iv, Tg5, 4.1). “L’Italia ha buttato via 461 milioni di euro per i banchi a rotelle” (Renzi, Senato, 19.1). I banchi a seduta innovativa (“a rotelle”) acquistati dal commissario Arcuri su richiesta dei dirigenti scolastici sono 430 mila per un costo di 119 milioni, mentre gli altri 2,1 milioni di banchi tradizionali sono costati 206 milioni. Forza, Matteo, ce la puoi fare anche tu.

La quinta colonna. “No a veti su Renzi e Iv, ma la ‘grazia’ va conquistata” (Graziano Delrio, capogruppo Pd alla Camera, Avvenire, 23.1). Grazia, Graziella e grazie al Graziano.

La sesta. “Verifichiamo la maggioranza con Renzi. Non c’è solo Conte” (Marianna Madia, deputata Pd, 21.1). Giusto: c’è pure la Madia.

Pilastri. “Forza Italia è il partito che interpreta al meglio i valori liberali in cui credo, in particolare il tema della giustizia, pilastro della mia attività” (Veronica Giannone, deputata eletta nel M5S e passata a FI, 21.1). Valori bollati, si capisce.

Quelli che non capiscono/1. “La Travaglio Associati rimprovera il Pd per non aver dedicato troppe energie a quello che un tempo la Travaglio Associati avrebbe chiamato il ‘mercato delle vacche’…” (Claudio Cerasa, Foglio, 21.1). No, ragioniere, qui si parla di senatori eletti nel Pd che il mercato delle vacche l’hanno già fatto: quando sono passati a Italia viva.

Quelli che non capiscono/2. “Quando Travaglio fustigava chi cercava i ‘responsabili’” (Giornale, 23.1). No, chi li comprava.

Autobiografie. “Idee per giudicare i magistrati. Non ci credo che son tutti geni” (Nello Rossi, magistrato, Riformista, 21.1). Vedi lui, per esempio.

Import-escort. “Trump va in aereo con la sua escort… sua moglie” (Alan Friedman, Unomattina, Rai1, 21.1). Così impara, quel sessista di Trump.

Un fantasma per amico. “Battisti mi parla dall’Aldilà” (Mogol, Libero, 24.1). Ma, considerando che nell’Aldiquà non gli parlava, può pure darsi che Mogol mangi troppo pesante.

Il titolo della settimana/1. “Contrada, tortura eterna. Via il risarcimento per il carcere ingiusto. E non si capisce perchè” (Azzurra Barbuto, Libero, 22.1). Perchè il carcere era giustissimo.

Il titolo della settimana/2. “Nave senza nocchiero in gran tempesta…” (Claudia Fusani, Riformista, 20.1). “O patria mia, come cadesti o quando, da tanta altezza in così basso loco?” (Piero Sansonetti, Riformista, 21.19). Li portano via.

Addio a Larry King il re dell’infotainment: più show che notizie con sorrisi e bretelle

Non c’è nulla di davvero innovativo, o rivoluzionario, che Larry King abbia portato alla televisione. Ma è proprio in virtù della sua normalità da average Joe, da uomo medio, che King è diventato una tra le figure più influenti della tv americana. Naturalezza, modestia, banalità sono state le parole d’ordine cui ha ispirato 63 anni di carriera. Una sola intuizione geniale, probabilmente, Larry King ha avuto. Quella di capire che per avere successo in tv bisogna spesso assecondare il pubblico, mai sfidarlo.

King, morto a Los Angeles per complicazioni da Covid, era nato Lawrence Harvey Zieger a New York nel 1933. I genitori erano ebrei immigrati dall’Europa. Il padre, proprietario di un ristorante, muore giovane. La madre va a fare la sarta. Larry lascia presto la scuola. La sua passione è la radio. Parte giovanissimo per la Florida perché lì, gli dicono, è più facile trovare lavoro. Un lavoro, effettivamente, lo trova: spazzare i pavimenti di una radio locale. Un giorno un dj molla la sua trasmissione. Larry viene sbattuto in onda. Inizia così, nell’America decorosa e benpensante degli Anni 50, la carriera di Larry King.

Si fa un nome, a livello locale, con uno show in diretta da un ristorante di Miami Beach. Il suo primo intervistato è un cameriere. Il secondo Bobby Darin, capitato lì a cena. Dopo un intermezzo da giornalista sportivo, fa il grande salto con una trasmissione radiofonica notturna, trasmessa su entrambe le coste, che si chiama già The Larry King Show e che prevede interviste e telefonate dagli ascoltatori. È il modello che si porterà dietro a Cnn. Ted Turner lo assume nel 1985; il suo primo ospite è il governatore di New York, Mario Cuomo. Dal 1985 fino all’ultima puntata, nel 2010, Larry intervista migliaia di persone. Ci sono tutti i presidenti Usa, da Nixon in poi. E poi Arafat, Mandela, Putin, il suo grande amico Trump, tutti i nomi dello spettacolo, da Sinatra a Ella Fitzgerald. Ma ci sono anche criminali, tassisti, ufologi e maghe dei tarocchi. Nei 25 anni a Cnn, King perfeziona la sua “persona”: bretelle, grandi occhiali, accento di Brooklyn e un tono perennemente in minore. “Cerco di sapere il meno possibile dell’intervistato. Gli faccio le domande che farebbe la gente”, spiega.

Con gli anni, il Larry King Show diventa una ghiotta occasione di pubblicità per l’intervistato. Pubblico che supera il milione, nessuna domanda scomoda. King teorizza la sua “remissività”: “Se sei aggressivo, il personaggio si chiude”. C’è da dire che lui non ambirà mai a fare il giornalista. Il suo genere è l’infotainment, un ibrido di informazione e spettacolo offerto col sorriso e ai limiti della banalità: a Nixon chiede cosa prova a passare in auto nei pressi dell’edificio del Watergate. In un solo caso gli tocca lo scoop: è nel Larry King Show che Ross Perot annuncia la candidatura alle presidenziali del 1992. La sua parabola si conclude nel 2010: gli ascolti precipitano, e gli show della sera sono ormai condotti da personaggi aggressivi e faziosi come Rachel Maddow su Msnbc e Sean Hannity su Fox. Ma a quel punto è l’America a essere cambiata. Il Paese in cui King aveva mosso i primi passi, e che ha poi incarnato da average Joe, non esiste più. All’orizzonte si vedono i primi fuochi che diventeranno l’incendio del “massacro americano” di Trump.