“La campagna che assedia la città, e nasce improvvisa e già viva, già fermentante dietro le case di una strada, e s’insinua negli orti della periferia, nell’aria libera e acuta del fuoriporta; il variare della stagione seguito sugli alberi, sui pioppi della Villetta, sui fichi che stendono rami lisci e azzurri contro i muri stinti della Cittadella; la posizione di Parma, tra le dolci colline variate, gremite di colori e di ombre, e la pianura svaporante nell’indistinta luce, la pianura carica di immutabile tristezza, – tra l’Appennino e il Po distante –. Momenti, occasioni di un incontro con la natura che si ripete di continuo nella vita degli uomini di questa città e accende il segreto moto degli avvenimenti della nostra vita; origine anche, radice profonda e vitale delle loro trasfigurazioni mentali, e viva materia sentimentale dei poeti, dei pittori”.
Queste parole, ispiratissime, di Roberto Tassi (nelle quali filtrano le voci di Francesco Arcangeli e Attilio Bertolucci) riescono a trasformare in colore, odore, fremito vitale l’amore per una città, e per il suo territorio. C’è questo amore dietro i due volumi sulla storia dell’arte (curati da Arturo Carlo Quintavalle) che ora concludono la monumentale Storia di Parma voluta e sostenuta dalla Fondazione Monteparma. Già Voltaire notava che mentre “i particolari e i congegni della politica cadono nell’oblio (…) i monumenti prodotti dalle scienze e dalle arti sempre sussistono”: se oggi Parma ha un posto nell’immaginario globale è certo più per merito di Antelami e Correggio, che non dei Farnese o dei Borbone. E, del resto, la storia dell’arte non segue necessariamente lo sviluppo e gli andamenti della storia politica: ora assecondandoli, ora invece procedendo a scatti, secondo ritmi e svolgimenti tutti interni al mondo delle forme e delle figure.
Alcuni tra i migliori dei nostri storici dell’arte – da Laura Cavazzini ad Andrea Bacchi, da Carlo Sisi ad Aldo Galli a Maddalena Spagnolo, per non citarne che alcuni – hanno collaborato a questi due volumi, che si pongono ora come un ineludibile atlante di un territorio che non è fatto solo di gastronomia, ma anche trapunto di monumenti che lo collegano alla vicenda storico-artistica nazionale, e a quella europea.
Nonostante la loro mole, si sarebbe tentati di usarli come guida, per riprendere quelle passeggiate in cui i più dotti tra i parmigiani iniziavano i forestieri alla conoscenza della città, immancabilmente partendo dal grande complesso del Duomo e del Battistero. Già, perché per restituire veramente agli italiani di oggi le loro stesse città, la conoscenza della storia dell’arte è essenziale non meno del lavoro di un’amministrazione comunale conscia del proprio scopo: solo se gli occhi sanno leggere il tessuto di pietra e di colori in cui si svolge la nostra vita quotidiana, possiamo dire di non procedere a tentoni nelle tenebre.
Una partecipazione il più possibile collettiva a quello che Alois Riegl chiamava, nel 1903, il “moderno culto dei monumenti” è la condizione necessaria per cui quei monumenti restino in vita, e non vengano piegati a scopi che li umiliano, e virtualmente li cancellino. Così, c’è da sperare che le pagine del secondo tomo dedicate al vertice inarrivabile della Camera di San Paolo di Correggio inducano l’amministrazione guidata da Federico Pizzarotti a ripensare alla scellerata idea di destinare il complesso conventuale di San Paolo a sede della Fondazione Parma Città Creativa Unesco della Gastronomia. Come ha commentato l’architetto Carlo Quintelli, “di fronte a tanta ritrovata bellezza, preoccupa l’idea di farne un centro destinato alla gastronomia. Da una parte del muro storico ci sarà l’affresco della Camera di San Paolo, dall’altra lo sfrigolio di un laboratorio di friggitoria”. Non meno importante è che il meraviglioso Parco della Cittadella farnesiana non si trasformi in un’arena per eventi, ma rimanga un luogo libero da funzioni commerciali. I cittadini riuniti nel Comitato Cittadella Futura, insieme a Italia Nostra e al Fai, combattono perché la Cittadella venga considerata non come un contenitore da riempire, ma come un unico bene culturale (fatto di architettura e paesaggio, storia e natura), la cui destinazione sia la fruizione individuale e collettiva in quanto cittadini, e non come clienti o spettatori.
L’esperienza terribile della pandemia ha mostrato a tutti noi quanto sia fondamentale ricostruire il rapporto tra cittadini e spazio pubblico: chiusi nelle nostre private solitudini, nelle nostre case così diseguali, perdiamo il senso stesso della dignità civile. E in Italia quel rapporto passa per la storia dell’arte, intesa come ricerca e come condivisione della conoscenza con il numero più ampio possibile di cittadini.
Un filo rosso unisce quei due dotti volumi e le battaglie di una città che prende coscienza dell’importanza dei propri monumenti: perché conoscenza del passato e costruzione di un futuro sostenibile sono due facce della stessa medaglia.