“Io non vorrei mai passare il resto della mia vita a Casablanca, sposata a uno che gestisce un bar. Ti sembrerò una snob ma è così”. La battuta, ricorderete, la dice Meg Ryan a Billy Crystal: loro hanno appena visto il classico con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, noi stiamo vedendo Harry, ti presento Sally…
Quando uscì, il 21 luglio 1989 negli States, il critico di Rolling Stone Peter Travers scrisse che “lascia sulla tua faccia un sorriso che dura fino a quando arrivi a casa”. Oggi quel sorriso di moto a luogo non c’è più, ché i film li vediamo a casa, e di film come Harry ti presento Sally non se ne fanno più: la commedia l’è morta. Ridotta a materiale, homevideo o piattaforma poco importa, d’archivio; espunta, o quasi, dalla corrente serialità; sospinta nel dimenticatoio o, i casi meritevoli, relegata a bel ricordo: perché?
Gli apocalittici tagliano corto, “non sappiamo più scriverle, dirigerle e interpretarle”, i moderati pensano lo stesso ma non lo dicono, il sospetto è del John Hurt di The Elephant Man: “La gente ha paura di quel che non riesce a capire”. O seguire: che il binge watching e i suoi derivati non abbiano elevato l’alfabetizzazione audiovisiva è evidente, che SanPa, per citare un successo mediatico, o La regina degli scacchi, per citare un successo, non siano commedie altrettanto. Lo è forse Bridgerton, di cui è stata appena annunciata la seconda stagione?
Al netto delle licenze storiche, e della non estraneità al genere della produttrice Shonda Rhimes, period drama si attaglia meglio. È dunque una carenza dell’offerta correlata all’inappetenza della domanda? Strano, non si richiederebbe al cinema e i suoi fratelli di restituire il sorriso spento dalla pandemia, e chi meglio della commedia? Invece no, il fattuale, dalle docuserie ai drammi (fanta)storici impera, e tutto il resto è crime, con una sovrapposizione a vocazione maggioritaria: il true crime. Sangue in guisa di sorrisi, nomi e cognomi al posto di invenzione: dalle vittime dei serial killer ai cari estinti della Storia, par di capire, i trapassati offrono maggior consolazione di un romance vivo e vegeto, Crimini e misfatti – per citare un campione caduto in disgrazia: il penultimo Un giorno di pioggia a New York funestato dal #MeToo, l’ultimo Rifkin’s Festival giubilato dal Covid – non sono più titolo (1989 anche questo), ma contenuto.
Povero Woody Allen, e poveri noi: da quanto non vedete, pensateci, una commedia, per tacere di una bella commedia o – chiediamo la luna – una bella commedia italiana? Invero, noi abbiamo un’aggravante, perché da Trieste in giù la ribattezzammo all’italiana con soddisfazione planetaria. Con cinque mostri, sacri, davanti alla macchina da presa, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Nino Manfredi e, anche, Marcello Mastroianni, e un tot di geni dietro, da Monicelli a Germi, da Risi a Sonego, ci concedemmo una seduta di analisi collettiva: vizi privati e pubbliche turpitudini, si diceva il peccato a patto di ridere con, o del, peccatore. Parlare oggi di commedia all’italiana è appannaggio di promozione stampa, regressione critica o mitomania autoriale, eppure, proprio lì, nell’ancoraggio sociale a voltaggio satirico, sta la ragione della sua estinzione – conclamata dalle recenti deludenti prove dei residui epigoni, da Paolo Virzì e Francesca Archibugi a Gabriele Salvatores. Ci perdonino Harry e Sally, dunque, se ci facciamo gli affari nostri, cambiando la nazionalità degli addendi i conti potrebbero ugualmente tornare. Non è che la commedia all’italiana non si fa più perché in un consesso senza ascensore e nemmeno tapis roulant sociale latita un necessario ingrediente, ossia l’integrazione dell’eroe – o la sua speculare esclusione – prescritta già da Plauto? Non è che la commedia tout court non si fa più perché in una società che ha bandito l’attrazione degli opposti e la sintesi dei contrari il fondativo boy meets girl, per tacere del gioco dei sessi, lungi dall’essere romantico è impraticabile, se non sanzionabile?
Il trattamento iconoclasta recentemente invocato nel Regno Unito per Grease è una prova a favore, di certo più di altri generi la commedia misura la temperatura alla democrazia. Siamo stati travolti, però non da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto, ché Lina Wertmüller oggi probabilmente non lavorerebbe, mentre nel 1974 apostrofava Mariangela Melato, via Giancarlo Giannini, “brutta bottana industriale socialdemocratica!”, e tre anni più tardi, con Pasqualino Settebellezze, diventava la prima donna candidata all’Oscar per la regia.
Altri tempi, altre libertà: non si uccidono così anche le commedie? L’ultimo a essersi cimentato con qualche merito, il Pietro Castellitto de I predatori, ci ha consegnato una deflagrante verità: “Io ho la profonda necessità di una bomba…”. Dategli torto.