Il metro di quanto l’emergenza Covid abbia reso (ancora) meno sicuri i luoghi di lavoro è nel report Inail di fine 2020: da quando a febbraio la pandemia ha colpito il nostro Paese, 131 mila persone si sono infettate mentre erano in servizio e, di queste, 423 hanno perso la vita. Quasi un quarto degli “infortuni” in azienda è stato causato dal virus, che ha messo in pericolo soprattutto quelle categorie di addetti “essenziali”, impossibilitati a rifugiarsi nello smart working.
L’impatto della seconda ondata è stato più pesante della prima. Nell’ultimo trimestre, infatti, i contagi in azienda (o in corsia) sono stati quasi 75.500: il 57,6% del totale ha preso il Covid tra ottobre e dicembre, contro il 38,5% del periodo marzo-maggio. Questo perché le misure restrittive autunnali hanno mantenuto aperte buona parte delle attività produttive, a differenza del lockdown primaverile, e per il maggior numero di tamponi effettuati. Tuttavia, proprio perché si trattava di un ritorno del virus, la speranza era che i protocolli, l’organizzazione e i dispositivi di protezione tenessero più al sicuro i lavoratori.
Così non è stato. A novembre abbiamo avuto il maggior numero di denunce, quasi 36 mila (28 mila a marzo). Il personale della sanità – medici, infermieri e assistenti – rappresenta da solo il 68,8% dei contagiati al lavoro. A questi si aggiunge un 9,1% di amministrativi, anch’esso in buona parte nelle strutture sanitarie. Nella manifattura abbiamo il 3,1% delle infezioni, il 2,5% nei servizi turistici, l’1,8% nella logistica e nel commercio.
Le donne, che compongono la gran parte dell’organico negli ospedali, raggiungono il 69,6% della popolazione contagiata in servizio. Ma se ci limitiamo a guardare i soli casi con esito mortale, avviene un apparente paradosso: la percentuale è più che ribaltata (gli uomini sono l’83,2%). Il dato dei decessi scombussola parecchio anche la distribuzione per settori: la quota nella sanità scende al 25,2%, più il 10,7% degli amministrativi; l’industria è al 13,4%, la logistica al 10,7%, il commercio al 9,7%.
Varie le spiegazioni: è possibile che il personale sanitario sia più tracciato, quindi sia più facile individuare gli asintomatici. Nelle altre professioni, invece, in genere il tampone si fa a chi presenta quantomeno i sintomi o a chi ha avuto contatti con positivi. Non è detto, però, che questi dati siano definitivi: nuove denunce riferite al 2020 potrebbero ancora arrivare all’Inail. Inoltre, questi dati non considerano i non assicurati presso l’istituto come autonomi e forze armate. Sin dalla primavera, l’Inail ha equiparato i contagiati al lavoro agli infortuni. Il mondo delle imprese ha sempre avversato questa impostazione, perché rischia – anche se non è un automatismo – di far ricadere responsabilità penali sulle aziende.
Il 2020 sarà certamente l’anno nero delle morti sul lavoro. I numeri aumenteranno rispetto al 2019, ma a mutare sarà la “geografia” dei decessi: assai meno per sinistri stradali nel tragitto tra casa e azienda e meno incidenti “violenti”, ma più vite portate via dal Covid.