C’è stata grande attesa e altrettanta delusione sul fronte contiano per il voto di Mario Michele Giarrusso, ex senatore grillino uscito dal Movimento non proprio amichevolmente. Si credeva che Giarrusso avrebbe accordato la fiducia al governo, anche in virtù di un preciso passaggio del discorso di Conte, che aveva citato l’eroe antimafia Paolo Borsellino per sollecitare la sensibilità del senatore siciliano, uomo dai molteplici valori. Deve essere stato un abbaglio collettivo, anche a giudicare il genere di messaggi pubblici che il raffinato Giarrusso condivide sui social network. La sua bacheca è un florilegio di link destrorsi, slogan della “Italexit” di Gianluigi Paragone, tirate contro “i traditori M5S” e contro gli “euroinomani” che non vogliono l’uscita dall’Ue. Ma davvero erano convinti che potesse votare la fiducia? E davvero speravano di tirare dentro la maggioranza uno così?
Lega, sentito il n° 2 di Scillieri. Dai pm ora altri 5 contabili
L’inchiesta della Procura di Milano sui presunti fondi neri della Lega e sul caso Lombardia Film Commission (Lfc), coordinata dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco e dal pubblico ministero Stefano Civardi, si allarga ai commercialisti che nel tempo hanno lavorato a fianco di Michele Scillieri, professionista indagato per evasione fiscale e peculato così come i contabili del Carroccio, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. L’obiettivo è tracciare eventuali operazioni finanziarie e flussi di denaro che possano riguardare anche esponenti del partito di Matteo Salvini. Per questo, mercoledì, negli uffici della Guardia di finanza, è stato sentito come testimone e dunque non come indagato il commercialista bergamasco Stefano Sandrini, nato a Treviglio il 27 agosto 1985. L’interesse è dato dal fatto che Sandrini per anni ha condiviso la stessa stanza di Scillieri. Il commercialista inizia a lavorare nello studio di Scillieri in via Vincenzo Monti, civico 15 a Milano, attorno al 2010. Nello stesso ufficio ha lavorato anche Andrea Manzoni, fedelissimo del tesoriere della Lega Giulio Centemero e già allievo, per sua stessa ammissione, di Scillieri. La collaborazione di Sandrini prosegue anche quando il suo datore di lavoro si sposta negli uffici di via Privata delle Stelline, dove la nuova Lega eleggerà il suo primo domicilio. In alcuni passaggi del verbale di circa dieci pagine, Sandrini fa riferimento ai collaboratori che hanno lavorato nello studio di Scillieri. I nomi restano segreti, ma nei prossimi giorni, stando a quanto risulta al Fatto, almeno cinque altri commercialisti saranno interrogati. La scelta di sentire Sandrini una settimana prima dell’interrogatorio di Michele Scillieri, arriva dopo aver letto i documenti sequestrati nel suo studio. Da questi si comprende come fosse proprio il contabile bergamasco a redigere i documenti alla base delle pratiche dello studio. Del resto Scillieri, classe ’63, da tempo ormai si era ritagliato un ruolo più di relazioni e contatti, mentre il lavoro sulle carte veniva lasciato a Sandrini. Il commercialista di Treviglio così ha spiegato di aver incontrato solamente un paio di volte Andrea Manzoni, uno dei due revisori contabili delle finanze leghiste.
Insomma qualcosa è stato detto, altro è stato negato. Ma siamo solo all’inizio di questa nuova direzione presa dall’indagine milanese. Il professionista bergamasco ha ricordato poi un incontro avvenuto a Milano con un importante manager dell’alta finanza già in contatto con Scillieri e al momento non indagato. Nomi, contatti, ma anche affari. Sandrini negli uffici della Finanza ha spiegato meglio alcune compravendite per lo più immobiliari legate anche al ruolo di curatore fallimentare di Scillieri. A quanto risulta, si tratta di operazioni che coinvolgono nomi noti del settore immobiliare milanese. Operazioni simili a quella indagata per il caso Lfc e per la vendita del capannone di Cormano (poi acquistato dalla fondazione di Regione Lombardia) dalla società Paloschi ad Andromeda. Passaggio sul quale è incardinata l’accusa di evasione fiscale. Ora le dichiarazioni di Sandrini assieme alle annotazioni della Finanza potrebbero portare all’iscrizione di nuovi titoli di reato prevalentemente di natura fiscale. Se da un lato l’indagine si orienta verso i collaboratori di Scillieri, dall’altro prosegue con le analisi sui conti degli imprenditori vicini alla Lega. Tra questi, oltre all’ex elettricista di Casnigo, Francesco Barachetti (ai domiciliari), c’è l’imprenditore Marzio Carrara (non indagato) già oggetto di una segnalazione antiriciclaggio di Bankitalia.
Verdini contro il gup Sturzo: “Letta propose di candidarlo”
Denis Verdini si è fatto ascoltare il 26 ottobre scorso dal pm Mario Palazzi nell’inchiesta Consip. Verso la fine del verbale sottoscritto alla presenza del suo legale, Ester Molinaro, Verdini afferma: “Voglio in conclusione precisare che sono rimasto piuttosto sorpreso dalla lettura del provvedimento del Gip, che a me pare piuttosto fantasiosa. Sicché mi sembra necessario rappresentare un episodio di cui sono a conoscenza: nell’ottobre 2012 si dovevano presentare le liste per elezioni regionali in Sicilia e vi erano interlocuzioni nell’ambito del centrodestra in cui militavo per individuare una candidatura unitaria alla Presidenza (risultato che in realtà non venne raggiunto perché il centrodestra si presentò infine con due candidati e venne sconfitto dal centrosinistra). Nei mesi precedenti, allorquando eravamo impegnati nella formazione delle liste e nella possibile individuazione di tale candidato unitario, venni contattato dall’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta che propose la candidatura del magistrato Gaspare Sturzo alla Presidenza della Regione Siciliana. Avemmo anche numerosi altri incontri con i rappresentanti delle varie forze politiche del centrodestra e io ebbi modo sempre di esprimere, con la schiettezza che mi è propria, ma per valutazioni politiche e non personali, la mia netta contrarietà alla candidatura del dott. Sturzo”. E poi aggiunge: “Non ricordo di aver parlato direttamente con lui, non lo escludo, ma era noto a tutti i miei interlocutori politici questa mia netta contrarietà”.
Il problema è il “sicché”. Con quella congiunzione Verdini lega arbitrariamente il mancato appoggio nel 2012 alla candidatura Sturzo al sollecito del gip a indagare su di lui.
Sono passati 8 anni. Nel 2012 in Sicilia si vota per le Regionali. Sturzo, pm di Palermo fino al 2001, dal 2004 esperto giuridico alla Presidenza del Consiglio ai tempi di Berlusconi e Gianni Letta, pronipote di don Luigi Sturzo, il 29 giugno 2012 annuncia la sua candidatura alle Regionali siciliane con una sua lista civica: “Italiani Liberi e Forti”. L’esperienza politica si chiude presto e male. I due candidati più forti a destra, Miccichè e Musumeci, si dividono e consegnano l’isola al centrosinistra di Rosario Crocetta. Il velleitario tentativo di “Sturzo Presidente” si infrange su un misero 0,9% (19.248 voti).
Al Fatto fonti vicine al magistrato negano con forza la ricostruzione fornita ai pm da Denis Verdini. Sturzo non ha mai incontrato e non ha mai parlato con Verdini di candidature, sostengono le fonti.
Di certo negli archivi si trova un’intervista del 29 giugno 2012 a Formiche.net del giudice Sturzo. Quel giorno svela la candidatura e quando l’intervistatrice domanda “Lei non vuole allearsi né con Pd, né con Pdl, né con Terzo polo…”. Sturzo non smentisce la sua scelta di non allearsi con il Pdl. Non abbiamo trovato dichiarazioni di Letta a favore né dichiarazioni contrarie di Verdini. Di certo la candidatura nel centrodestra di Sturzo è stata bocciata un giorno dopo, il 30 giugno 2012 da Gianfranco Micciché (allora leader di Grande Sud ed ex ras siciliano di FI e Pdl) che poi a ottobre prese il 15,4 per cento.
Se davvero Verdini sbarrò la strada a Sturzo era in buona compagnia: Micciché il 30 giugno 2012 a Libero spara sull’attuale gip: “La gente in Sicilia vuole vedere chi è bravo e affidabile, non come si chiama”.
Nel suo verbale Denis Verdini, indagato per concussione e turbativa d’asta nel filone dell’indagine Consip, parla anche di altro. Dice ad esempio di non aver mai conosciuto Carlo Russo, l’amico di Tiziano Renzi. Mentre “Tiziano Renzi” spiega Verdini, “ovviamente lo conosco, ma non credo di vederlo da circa 20 anni”. L’ex parlamentare poi chiarisce anche i suoi rapporti con l’ex Ad di Consip Luigi Marroni. Verdini si dice vicino di casa della compagna di Marroni e aggiunge: “Il figlio della signora non è solo amico di mio figlio, assieme hanno anche un (attività, ndr) comune intrapresa nel settore della ristorazione. Le occasioni di incontro con Marroni erano peraltro assai facili e vi era un rapporto d cordialità”.
Affermazioni che tendono a smontare la tesi sposata dalla Procura, (dopo ‘il trattamento Sturzo’) cioé che Verdini “costringeva Marroni (…) a erogare a Ezio Bigotti – dominus di società partecipanti alle gare indette da Consip – l’utilità consistita nell’incontrarlo e ascoltarlo in quanto interessato a conoscere notizie riservate sulla gara Fm4 (…)”. Verdini nega le pressioni su Marroni.
The Times: “Niente Olimpiadi quest’estate in Giappone”. Il Cio smentisce, Tokyo quasi
La notizia è di quelle enormi: il Giappone, considerata la situazione Covid, sta cercando il modo di annunciare la rinuncia alle Olimpiadi di questa estate (già rinviate l’anno scorso sempre a causa del coronavirus) per poi candidarsi ai primi Giochi ancora non assegnati, cioè quelli del 2032. Lo ha scritto ieri il quotidiano britannico The Times, citando fonti del governo giapponese, secondo cui adesso si sta cercando di “trovare un modo salva-faccia per annunciare la cancellazione che lasci aperta la possibilità a Tokyo di ospitare i Giochi in un secondo momento. Nessuno vuole essere il primo a dirlo, ma il pensiero è che è troppo difficile” organizzare i Giochi coi protocolli Covid vigenti in Giappone e nel mondo. Andasse come dice il Times – e ora passeremo alle smentite – sarebbe la prima volta che le Olimpiadi saltano in tempo di pace: finora sono state annullate solo le edizioni del 1916, del 1940 e del 1944, cioè quelle cadute durante le due guerre mondiali.
Le smentite, si diceva. Quella del Cio è nettissima: il Comitato olimpico internazionale, in un comunicato, definisce “categoricamente false” le indiscrezioni riportate dal quotidiano inglese e ribadisce che “insieme ai partner e agli amici giapponesi, il Cio è totalmente concentrato nel proporre dei Giochi Olimpici e Paralimpici di successo (…) Tutte le parti coinvolte stanno lavorando insieme per preparare i Giochi in estate. Implementeremo tutte le possibili misure contro il Covid e continueremo tutti a lavorare a stretto contatto”. Tradotto: come deciso la cerimonia di apertura sarà il 23 luglio, senza alcun ripensamento.
La posizione del governo giapponese è simile, eppure lascia aperta più di una porta a un ripensamento. Il vice capo di gabinetto del governo di Tokyo, Manabu Sakai, in una conferenza stampa l’ha messa in questi termini: “Vogliamo smentire categoricamente quanto scritto dal Times, non esiste un fatto del genere. Ovviamente dobbiamo tenere conto della situazione all’estero e decideremo se tenere effettivamente l’evento a un certo punto, ma fino ad allora, il governo giapponese farà ciò che deve essere fatto”. Il Giappone finora ha avuto pochi contagi, ma il governo ha recentemente messo Tokyo e altre prefetture in stato di emergenza proprio per la circolazione del Covid. Anche in questo caso, per così dire, sarà una lotta tra arte (medica) e commercio: l’epidemia preoccupa il Sol Levante, ma il Giappone ha già speso 25 miliardi di dollari, quasi tutti pubblici, per organizzare le Olimpiadi e non rinuncerà certo a cuor leggero.
Cecilia Mangini, donna di lotta, di foto e di cinema
Novantatré anni e un tripudio di idee. Ha vissuto così fino a ieri Cecilia Mangini, la prima documentarista d’Italia. La sua ultima intervista è uscita nella newsletter A parole nostre il 23 dicembre. Oltre 70 anni di una carriera dedicata a periferie, fabbriche, carceri, donne, sessualità, aborto, totalitarismi, al Sud, la sua amata Puglia (dov’è nata). E anche il Vietnam, Gramsci, Pratolini. Stava ultimando il lavoro su Grazia Deledda. Una pioniera dallo spirito giovane e indomito. “Fare un film – diceva – è un’avventura spericolata”. Aveva iniziato come fotografa di strada, nei primi anni 50, con una Zeiss Super Ikonta. “Amore, passione e lavoro” si sono fusi nel lungo matrimonio col regista Lino del Fra. A novembre ha ricevuto il premio Prolo alla carriera. Al suo fianco da anni l’amico e co-regista Paolo Pisanelli. Sognava di girare un documentario su Raffaello Sanzio perché – diceva – “era una persona al di fuori degli schemi del suo tempo”. Lo è stata anche lei ed è riuscita a cambiarli.
“Mandanti politici dietro gli attentati del ’94. Nuova indagine sulle accuse di Graviano a B.
C’è un fascicolo sulla scrivania del procuratore di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, e dell’aggiunto, Giuseppe Lombardo. Un’inchiesta in realtà già iniziata, ma che adesso, con la trasmissione di alcuni atti da parte della Corte d’Assise, potrebbe subire un’accelerazione. L’obiettivo della Procura è di “fare completa chiarezza su avvenimenti che hanno segnato, e continuano tuttora a segnare, la storia dell’Italia. La Dda è a caccia dei “mandanti politici” delle stragi continentali con le quali Cosa Nostra e ’ndrangheta hanno insanguinato il Paese nei primi anni Novanta. Il giudice Ornella Pastore lo ha scritto nero su bianco nelle 1.078 pagine della sentenza “’Ndrangheta stragista” con cui la Corte d’Assise ha condannato all’ergastolo i mandanti degli attentati ai carabinieri: il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, e il referente della cosca Piromalli, Rocco Santo Filippone.
Le condanne “costituiscono soltanto un primo approdo”. In sostanza ci sono “ulteriori soggetti coinvolti” in quella che la Corte d’Assise ha definito una “comune strategia eversivo-terrorista”. Chi siano, al momento, lo si può solo intuire: si tratta di “soggetti provenienti da differenti contesti (politici, massonici, servizi segreti), che hanno agito al fine di destabilizzare lo Stato”. ’Ndrangheta e Cosa Nostra erano “alla ricerca di nuovi e più affidabili referenti politici, disposti a scendere a patti con la mafia, che furono individuati nel neo partito Forza Italia di Silvio Berlusconi”. “Non può affatto escludersi, anzi appare piuttosto assai probabile – si legge – che dietro tali avvenimenti vi fossero dei mandanti politici che attraverso la ‘strategia della tensione’ volevano evitare l’avvento al potere delle sinistre, temuto anche dalle organizzazioni criminali”.
Pochi giorni dopo l’agguato ai carabinieri in Calabria e la tentata strage dell’Olimpico, infatti, nel gennaio 1994 nasceva Forza Italia. Nel processo ha trovato spazio il famoso incontro di via Veneto, svelato dal pentito Gaspare Spatuzza, tra Graviano e Marcello Dell’Utri. Incontro sempre negato da entrambi. Al termine del processo “’Ndrangheta stragista”, però, i giudici scrivono: “Può ragionevolmente ritenersi che il Graviano il 21 gennaio 1994 avesse avuto modo di colloquiare con il Dell’Utri che nello stesso giorno si trovava a Roma poco distante dal bar Doney”. Anche su questo dovrà fare chiarezza la Dda di Reggio Calabria.
Caso Imane Fadil, indagati 12 medici dell’Humanitas
Dodici medici dell’ospedale Humanitas di Rozzano (Milano) sono stati iscritti nel registro degli indagati per la morte di Imane Fadil, la modella stroncata a 34 anni da un’aplasia midollare associata a un’epatite acuta.
I pm della Procura di Milano Tiziana Siciliano e Luca Gaglio hanno deciso l’iscrizione in conseguenza della decisione del giudice delle indagini preliminari Alessandra Cecchelli che aveva respinto la loro richiesta di archiviazione e ordinato nuove indagini per appurare eventuali responsabilità mediche nella morte della ragazza, avvenuta il il 1 marzo 2019. Nel 2010 era stata ospite alle feste di Arcore ed era poi diventata una testimone-chiave del processo Ruby 3, in cui Silvio Berlusconi è imputato di corruzione in atti giudiziari con l’accusa di aver pagato una trentina di testimoni.
Humanitas sostiene in una nota l’assenza di responsabilità da parte dei medici che “si sono prodigati nelle cure di Imane Fadil, esprimendo un’altissima competenza professionale e appropriatezza delle cure”.
“Tecniche più sofisticate, così adescano i minori”
Minori, donne, anziani. Sono le vittime vulnerabili che ogni giorno, da molti anni a questa parte, Maria Monteleone, pubblico ministero specializzato nella materia della violenza di genere e protezione dei minori, tutela, insieme al pool di magistrati che coordina. Durante questa pandemia ha avuto una percezione concreta di come le violenze su minori siano cresciute a dismisura.
Nel 2020, a livello nazionale, si è registrato un aumento del 74% dei casi trattati in materia di reati di pornografia minorile. Cosa è cambiato con il nuovo stile di vita imposto dalla pandemia?
Si tratta di un dato reale, coerente con un notevole aumento (oltre il 40%) delle iscrizioni di reati di pornografia minorile registrato anche alla Procura di Roma dal 2019 al 2020, che non può non inquietare e destare preoccupazione. È molto ragionevole ritenere che vi sia una diretta connessione tra i due fenomeni, più le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi trascorrono tempo sulla Rete, senza le dovute precauzioni e la necessaria preparazione e attenzione, maggiore è il rischio che possano restare vittime di condotte criminose sempre più diffuse in Rete.
L’allarme riguarda soprattutto i bambini “adescati” sul web.
L’“adescamento” è uno dei delitti più diffusi e ciò che lo rende preoccupante e grave è il fatto che è sempre prodromico alla consumazione di altri ben più gravi delitti: soprattutto la violenza sessuale e la produzione di materiale pedopornografico. Peraltro ciò che deve allarmare di più sono le modalità con le quali i criminali operano sulla Rete, sempre più sofisticate, direi manipolative, quindi sempre più idonee a trarre in inganno il minore, che, sbagliando, si crede al sicuro pensando di essere protetto dalla mancanza di un contatto fisico con l’interlocutore. Ma non è così!
Qual è la preoccupazione maggiore per i minori?
La maggiore preoccupazione è connessa agli effetti, anche nel lungo termine, conseguenti alle limitazioni delle relazioni interpersonali tra i giovani, imposti dalla pandemia in corso. Non vi è dubbio che la inaspettata – per noi non addetti ai lavori – ed eccessiva durata della diffusione del Covid, contribuisca ad aggravare giornalmente gli effetti dell’isolamento. Si socializza “virtualmente” , ma altrettanto “virtualmente” si rischia di crescere, o meglio, di “non crescere”.
Il web quindi si è imposto con ancor più prepotenza come “luogo” di commissione dei reati. Come arginare questo fenomeno?
Si argina solo con la maggiore specializzazione di tutte le forze dell’ordine, maggiore professionalità specifica dei magistrati, moduli organizzativi adeguati ai fenomeni criminali che si devono contrastare, per essere concreti: concentrazione delle indagini negli uffici giudiziari più grandi e idonea organizzazione interna delle procure. E di conseguenza: strutture, mezzi e strumenti adeguati. Ma l’indicazione principale resta una: denunciare, sempre.
Cosa devono fare le famiglie e le istituzioni come la scuola?
I giovani devono avere una “educazione digitale”: non devono soltanto conoscere come funziona la Rete, ma si deve insegnare loro a farne un uso consapevole e cosciente. Devono conoscere i pericoli a cui possono andare incontro e, quindi, imparare a prevenirli e affrontarli. Gli adulti, i genitori soprattutto, devono affiancare i più piccoli, controllarne l’uso che ne fanno e mantenere un dialogo costante e di reciproca fiducia. Bisogna esercitare un “sano” controllo, in modo da potere registrare eventuali situazioni di disagio o di preoccupazione. Ove si dovessero trovare in difficoltà, non bisogna avere remore a chiedere consigli e aiuto alle forze dell’ordine, anche soltanto per condividere un problema e valutarne la gravità. Insomma, certamente è meglio prevenire che dovere poi intervenire per reprimere, perché molte volte ciò non è possibile oppure è molto difficile.
I bimbi vittime degli orchi: + 74 % di delitti. Pedopornografia, violenze e stupefacenti
È uno dei lati più oscuri collegati alla pandemia. E anche dei più terrificanti. I primi segnali sono emersi immediatamente, già nelle rilevazioni del 2020, quando s’è scoperto che l’incidenza dei “reati invisibili”, a partire dalla pedopornografia, ma non solo, erano quasi raddoppiati. Le cronache degli arresti sono sempre più frequenti. Ieri un caso a Rimini. Il 15 gennaio a Cagliari, dove è finito in manette un ufficiale della Guardia di finanza: nei suoi computer custodiva migliaia di filmati e foto con adolescenti e bambini. Lo schema è sempre lo stesso: un archivio alimentato grazie allo scambio in Rete. La Rete, il mare profondo dal quale emergono immagini di bambini, a volte di pochi mesi, vittime di violenze su violenze. Sempre il 15 gennaio, a Perugia viene arrestato un altro uomo, un 53enne in possesso di decine di migliaia di file. E tutto questo, i cosiddetti “reati invisibili”, avviene regolarmente nel luogo che dovrebbe essere il più protetto, soprattutto per un bambino: all’interno delle mura domestiche. Poi viaggia alla velocità della luce in Internet.
Il contesto sociale in cui ci costringe il Covid-19 ha inasprito la violenza verso i minori. Sono aumentati anche gli episodi di lesioni e sottrazione di minori nei casi di separazioni burrascose. La realtà supera l’immaginazione: “In moltissimi casi – spiega un investigatore – e soprattutto nel periodo del lockdown, al pronto soccorso arrivavano minori, anche piccolissimi, per aver ingerito casualmente droga, qualsiasi droga, trovata dentro casa”. L’ultimo caso noto alle cronache risale a pochissimi giorni fa: un bambino di un anno è finito in ospedale in preda a un attacco epilettico. Aveva ingerito cocaina.
Il prefetto “ecco come controlliamo la rete”
La preoccupazione degli inquirenti è dunque altissima. L’Organismo permanente di monitoraggio e analisi, costituito all’indomani dello scoppio della pandemia di Covid-19, su input del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, già nell’ottobre 2020 ha stilato un report sui reati che riguardano i minori. “Il periodo del lockdown – spiega il prefetto Vittorio Rizzi, vicedirettore generale della Pubblica Sicurezza, che presiede l’Organismo – ha costretto la popolazione a rivedere le proprie abitudini in numerosi ambiti, comportando necessariamente uno spostamento di molte attività sulla Rete. Ciò ha fatto registrare anche una notevole presenza di minori online con relativo incremento, in tale ambito, di fattispecie delittuose specifiche. Fin dall’inizio della diffusione pandemica, la Polizia Postale e delle Comunicazioni del Dipartimento della P.S. ha intensificato il monitoraggio della Rete, con lo scopo di scongiurare l’aumento dei reati in esame, e aumentato l’impegno volto all’individuazione dei siti che contengono materiale pedopornografico, da inserire nella black list, gestita dal Centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia online, il cui accesso viene inibito – con modalità diverse a seconda dell’ubicazione dei server utilizzati – agli utenti Internet attivi sul territorio italiano”.
I dati il numero di indagati è aumentato del 61%
La pedopornografia ha registrato un boom di inchieste e, tra le iscrizioni nel registro degli indagati, non sono mancati dei minorenni. Tra il primo gennaio e il 31 ottobre 2020, abbiamo assistito a un incremento del 74 per cento dei casi trattati. Il numero degli indagati è cresciuto del 61 per cento. E ovviamente stiamo parlando soltanto di quel che è emerso grazie alle indagini. E se durante il lockdown del marzo scorso la curva di questo genere di reati era ovviamente in discesa, con la riapertura il fenomeno è esploso. La fotografia nazionale si rispecchia, nei fatti, nei dati delle Procure distrettuali. Come quella di Roma, dove negli anni 2019-2020 c’è stato un incremento del 40,5 per cento delle iscrizioni per reati di pedopornografia, con 331 indagati nel 2020 rispetto ai 236 del 2019. Quando, durante il lockdown, il fenomeno sembrava aver subito una battuta d’arresto, in realtà era solo apparenza. Il risultato di due circostanze: da un lato, magistratura e investigatori che si preparavano ad affrontare un nuovo modo di svolgere le indagini, sperimentando diverse metodologie (soprattutto a distanza). Dall’altro, non potendo uscire di casa, sono state presentate meno denunce. Superata questa fase, l’esplosione di casi. E il tutto si fa ancora più inquietante quando pensiamo che a commettere il reato a volte sono dei minorenni.
Per comprendere quanto sia vasto il mare in cui pescare immagini di questo tipo basti pensare che, nel solo 2020, in Italia sono stati oscurati 2.442 siti. In una sola indagine, quella condotta dalla Procura di Milano che ha individuato una rete che andava dai Paesi africani alle Filippine al Sudamerica, uno degli arrestati era in possesso di ben 30.800 file di immagini raccapriccianti. Soltanto in Sardegna, nel 2020, il compartimento Polizia Postale ha sequestrato il 286% di giga di file pedopornografici in più rispetto al 2019.
I casi anche più reati di istigazione al suicidio
I dati raccolti a livello nazionale dagli investigatori – l’Organismo è peraltro una struttura interforze che comprende anche l’Arma dei carabinieri e la Guaria di Finanza – spiegano da soli la portata del fenomeno. Concentriamoci solo nei mesi che vanno dal 1° marzo al 31 maggio, quelli del lockdown. Nel 2020 sono stati 503 i minori vittime dei reati di maltrattamento contro familiari, negli stessi mesi del 2019 i casi registrati erano 486. E sono solo i casi scoperti. Ma vuoi per la maggiore permanenza in casa (anche con le scuole chiuse) e per la presenza sempre più prepotente del Web, i minori non sono solo vittime, ma a volte diventano carnefici.
Anche in questo caso, i dati registrano un aumento degli episodi in cui è il minore stesso a commettere reati. I periodi di riferimento sono sempre quelli della chiusura totale. E così, da marzo a maggio 2020, per detenzione di materiale pornografico, sono stati segnalati anche 15 minori. Negli stessi mesi del 2019 se ne contavano nove.
In aumento anche le segnalazioni per diffusione di immagini sessualmente esplicite. E in 7 casi ci sono state denunce per minori accusati di istigazione al suicidio. Nei tre mesi del 2019 erano zero. Anche la pornografia minorile è cresciuta: dai 21 casi del 2019 si è arrivati a 25 casi nel 2020.
Londra, allarme di BoJo. “La variante è più letale”
Londra
“Ci sono riscontri scientifici che la variante identificata a Londra e nel sud-est del Paese, oltre a diffondersi più rapidamente, abbia una mortalità più alta”. Boris Johnson informa così il Paese e il mondo, durante la tradizionale conferenza stampa del pomeriggio: la cosiddetta “variante inglese”, identificata ai primi di settembre come B117, potrebbe essere più letale del ceppo principale del virus,
Di quanto? Lo ha spiegato Sir Patrick Vallance, il principale consulente scientifico del governo britannico: con la variante originaria, su 1.000 persone, 60 si infettano e 10 soccombono. Con quella “inglese”, sullo stesso campione, i morti sarebbero 13 o 14. Un incremento fra il 29 e il 36% secondo gli esperti della London School of Hygiene and Tropical Medicine and at Imperial College London, del 91%, secondo l’Università di Exeter. L’evidenza sulla maggiore letalità “non è ancora forte, ma desta preoccupazione” ha commentato Vallance. E proprio alla variante sarebbero da ricondurre i numeri altissimi di contagi, ieri 40.261, e decessi, 1.401 (1.820 mercoledì), per un totale da inizio pandemia di 95.981 vittime, ma altre fonti parlano di 112 mila.
Negli ultimi giorni, presumibilmente grazie al terzo lockdown imposto il 4 gennaio – scuole e negozi chiusi, aperti solo gli esercizi di prima necessità – i contagi si sarebbero ridotti dall’1 al 4% al giorno, con un indice Rt fra lo 0,8 e l’1.
Ma, avverte l’Istat britannico, nel Paese è infetta una persona su 55: il che non consente nessuna riapertura. Concetto ribadito dal Chief Medical Officer Chris Whitty secondo cui i contagi rimangono molto alti ed è possibile un incremento, specie in alcune aree del Paese e tra i giovani fra i 20 e i 30 anni. Notizia positiva: 5,38 milioni di britannici hanno ricevuto il vaccino e tutti quelli somministrati nel Regno Unito, Pfizer-BionTech e AstraZeneca, sono apparsi efficaci contro entrambe le varianti.
E tuttavia, contestualmente, l’MHRA, l’ente regolatorio britannico, sta lavorando con i produttori dei due vaccini per “potenziali modifiche” ai loro prodotti, nel caso fosse necessario ottimizzarli per nuove mutazioni del Covid: i ricercatori “hanno avviato tutti i passi necessari per il rapido sviluppo di un vaccino modificato”. E nel laboratorio specializzato di Porton Down si monitora costantemente l’efficacia dell’immunizzazione disponibile contro queste mutazioni, non solo quella “inglese” e, la “brasiliana”, di diffusione recente, ma anche la temuta variante sudafricana, che Londra sta tentando di tenere fuori dal Paese con il divieto di sbarco ai non britannici provenienti dal Sudafrica imposto dal 24 dicembre.
Agli altri, al momento, Londra impone un tampone entro 72 ore dallo sbarco, con obbligo di reperibilità e 10 giorni di quarantena; ma Johnson non ha escluso “misure ulteriori per proteggere le frontiere”.