Sami Modiano, una voce contro il virus della Shoah

Bisogna andare a Rodi per capire la storia di Sami Modiano, 90 anni, italiano, Cavaliere di Gran Croce per nomina del presidente Mattarella, nato nel 1930 quando l’Isola delle Rose era da sette anni ufficialmente parte della nostra nazione, espulso dalla scuola a 8 anni dagli italiani perché ebreo, deportato il 23 luglio 1944 dai tedeschi. La scelta di ripubblicare una nuova edizione per le edicole di questo bellissimo libro uscito la prima volta nel 2013 per Rizzoli, è figlia di un documentario e di un incontro, proprio a Rodi. Il documentario è quello di Walter Veltroni, che intervistò a lungo Sami per un film trasmesso nel 2018. La visita è quella fatta, dopo aver visto il film, con i miei figli, il 26 agosto 2019, alla Sinagoga di Rodi.

Sami e la moglie Selma quel giorno, come ogni mattina, ogni estate da molti anni, attendevano i visitatori. Alcuni arrivano in ciabatte come si va a un qualsiasi museo per trascorrere una mattina fresca prima del bagno. Dopo pochi minuti di racconto nella Sinagoga però cala un silenzio assoluto. Si sente solo la voce di Sami e il rumore di un ventilatore arrugginito. Più Sami parla della sua comunità, della sua infanzia e di quel ragazzino cacciato da scuola e deportato con il padre Giacobbe e la sorella Lucia, che da Auschwitz non sono tornati, più si capisce il titolo del libro Per questo ho vissuto. Ovunque lo si ascolti, che sia nelle scuole, dove migliaia di studenti ogni anno scoprono la Shoah dalla sua voce, che sia ad Auschwitz, dove accompagna le scolaresche o lì nella Sinagoga di Rodi, dove il padre lo tenne per mano 80 anni fa, Sami ha un dono magico: fa rivivere chi è stato meno fortunato di lui. Chiunque abbia ascoltato il suo racconto si deve sentire un privilegiato. Per lui eravamo una famigliola di illustri sconosciuti, eppure quel giorno a Rodi ci ha accolto come fratelli. Alla fine della visita, dopo due ore piene di senso, emozione e commozione, ci ha chiesto: “Dove andate a mangiare ora?”. Così, dopo averci raccontato l’ultima volta che ha visto la sorella a Birkenau, ci ha mostrato la strada per la migliore pizzeria della città. Siamo rimasti a guardarlo, mentre rientrava in Sinagoga, a bocca aperta, come se avessimo avuto un’apparizione. Leggendo la dedica che ci aveva appena fatto sul suo libro (firmata “Samuel Modiano, sopravvissuto a Birkenau e Auschwitz Mai più B7456” e poi l’augurio “Mazal Tov”) ho pensato che bisognava fare qualcosa per trasmettere il suo messaggio. Perché, come ha scritto Massimo Gramellini, quando Sami si è fatto riprendere in tv per ‘sponsorizzare’ il vaccino contro il Covid, è davvero “come se con lui si fosse vaccinato tutto il Novecento”.

Il Covid ha cambiato la vita di Modiano. Quel vaccino contro l’antisemitismo, il razzismo e l’ignoranza non può più girare le scuole o salire con i treni della memoria a Birkenau. L’altro virus lo ha costretto a una forzata quarantena insieme all’amata moglie Selma. La scelta di distribuire, con l’avvicinarsi della Giornata della Memoria del 27 gennaio (il giorno del 1945 in cui Sami fu liberato dai russi), in allegato al Fatto Quotidiano in edicola una nuova edizione del libro Per questo ho vissuto, la mia vita ad Auschwitz-Birkenau e altri esili, in coedizione Paper First-Bur Rizzoli a un prezzo basso (8,90 più il prezzo del nostro giornale), vuol essere il nostro piccolo contributo al vaccino contro quel maledetto virus più resistente del Covid. Rispetto all’edizione originale presente in libreria, quella che troverete in edicola è arricchita da una bellissima prefazione di Enrico Mentana e dalla preziosa postfazione di Umberto Gentiloni, professore di Storia contemporanea alla Sapienza. La nuova copertina (di Lorenzo Sansonetti) rende bene il senso: in primo piano c’è Sami. Alle sue spalle, dietro il filo spinato, la foto dei suoi coetanei che non sono tornati. Nel libro Sami spiega: “Io oggi parlo per loro”.

Nomine nelle Asl, i pm: “Abuso d’ufficio”. Indagati Zingaretti e l’assessore D’Amato

Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, e il suo assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, sono indagati dalla Procura di Roma per abuso d’ufficio, insieme ad altre otto persone. L’inchiesta riguarda le nomine, formalizzate a novembre 2019, dei direttori amministrativi delle dieci Asl laziali, incarichi preceduti da una determinazione regionale della direzione regionale salute, che ha modificato i criteri per l’individuazione dei dirigenti e allargato le maglie dei requisiti. Oltre a Zingaretti e D’Amato, sono iscritti nel registro degli indagati anche il direttore generale uscente del Policlinico Umberto I, Vincenzo Panella, e l’attuale dg della Asl Roma 6, Narciso Mostarda. Quest’ultimo, il 24 novembre, era considerato in pole position per il ruolo di nuovo commissario della sanità in Calabria, nomina poi saltata in extremis. Nei giorni scorsi, gli indagati hanno ricevuto l’avviso di proroga delle indagini di altre sei mesi.

L’inchiesta dei magistrati romani prende le mosse da due esposti presentati dal consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Antonello Aurigemma, che ha contestato l’individuazione dei direttori amministrativi dell’Umberto I e dell’Asl Roma 6. I pm hanno poi allargato le verifiche alle altre aziende sanitarie. L’ipotesi avanzata nella denuncia è che senza la determina G14590 de 25 ottobre 2019 – firmata dall’allora direttore della sanità laziale, Renato Botti – alcune delle nomine nelle Asl “non sarebbero mai state consentite dalla legge nazionale”. Rispetto alla normativa nazionale (decreto legislativo 502/92), l’atto regionale ha eliminato dai requisiti i 5 anni di esperienza in “strutture sanitarie pubbliche o private”, trasformati in un più semplice “svolgimento di qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa”. L’ufficio stampa della Regione Lazio, contattato dal Fatto, parla di “atto dovuto” in virtù di un prolungamento di un’indagine in corso e di “massima fiducia della magistratura”. Anche l’avvocato Alessandro Benedetti, che difende D’Amato, sottolinea come “un esposto presentato da un autorevole consigliere regionale meriti sempre approfondimenti da parte dell’autorità giudiziaria”. Più combattivo Vincenzo Panella, direttore generale uscente dell’Umberto I, finito sotto indagine: “l’inchiesta nasce da un esposto che non sta in piedi”, presentato “per motivi politici”, ha detto. E ha aggiunto: “Appena riceverò il decreto di archiviazione, procederò con una querela per calunnia”.

Sfida su TikTok, morte cerebrale per una bimba

Non ce l’ha fatta la bimba di dieci anni ricoverata all’Ospedale dei Bambini di Palermo, dove era arrivata ieri sera in arresto cardiocircolatorio. I medici hanno constatato alle 13.30 di ieri lo stato di morte cerebrale. La piccola si trovava ricoverata in Terapia intensiva pediatrica in coma profondo e irreversibile a causa di “una prolungata anossia cerebrale”. I genitori hanno acconsentito al prelievo degli organi per donazione multipla. “Contestualmente, a cuore battente – spiegano dal nosocomio –, sono iniziate le procedure di accertamento previste dalla legge da parte dell’apposita commissione di clinici informandone l’autorità giudiziaria”. Intanto è stata aperta un’inchiesta per fare chiarezza sulla morte della bimba, tragico epilogo di una sfida estrema su TikTok, il “Black out challenge”. La bambina, infatti, è stata trovata in bagno prima di sensi con una corda stretta attorno al collo e l’altra estremità attaccata al porta asciugamani. Sulla vicenda indaga la Polizia che ha sequestrato il cellulare della piccola.

Falsi Modigliani, la Procura trova nuovo testimone

Ècominciato ieri il processo che ipotizza una delle più grandi truffe artistiche di sempre: il caso dei falsi Modigliani che aveva portato, nel 2017, alla chiusura anticipata della mostra di Genova. Secondo gli inquirenti, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio, 20 delle oltre 60 opere erano contraffazioni, inserite nel catalogo per accrescerne il valore in vista del centenario della morte del pittore livornese, nel 2020. E va proprio in questo senso l’ultima scoperta degli investigatori: un collezionista che ha raccontato di essere stato contattato del curatore, Rudy Chiappini, per acquistare una delle tele fasulle. Insieme a Chiappini sono imputati anche l’organizzatore dell’evento, Massimo Vitta Zelman, presidente di Mondo Mostre Skira, e il collezionista americano Joseph Guttman. Si sono costituiti come parti civili la Fondazione Palazzo Ducale, che lamenta il danno d’immagine enorme seguito allo scandalo, e varie associazioni consumatori, in rappresentanza delle migliaia di visitatori che sarebbero stati abbindolati.

Contrada e il concorso esterno alla mafia, annullato il risarcimento all’ex 007

Niente lauto indennizzo per ingiusta detenzione, almeno per il momento, a Bruno Contrada, l’ex numero 3 del Sisde, l’attuale Aise, condannato definitivamente per concorso esterno in associazione mafiosa a 10 anni di carcere e vittorioso, nel 2015, davanti alla Cedu di Strasburgo che con una sentenza a dir poco controversa, sostenne, in sostanza, che Contrada non poteva essere condannato per concorso esterno perché i fatti contestati erano antecedenti al 1994, quando non c’era quel tipo di reato. La quarta sezione penale della Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza della Corte d’Appello di Palermo che ad aprile aveva accordato a Contrada un indennizzo di 667 mila euro. Ora, i giudici palermitani dovranno rivedere la decisione alla luce delle indicazioni della Cassazione che si conosceranno con le motivazioni. Era stata la Procura generale di Palermo guidata da Roberto Scarpinato a presentare il ricorso firmato oltre che dal Pg, dai sostituti Umberto De Giglio e Carlo Marzella. Sia pure con argomenti altamente tecnici, nel ricorso si sgretola l’ordinanza della Corte d’Appello, si sostiene che la concessione dell’indennizzo a Contrada è “abnorme”, si parla di provvedimento “non consentito dalla legge”, non solo perché se ne è occupata la sezione “incompetente” ma anche per il merito della decisione: “La Corte di appello di Palermo, erroneamente ritenendo di essere investita del dovere/potere di dare esecuzione, in ogni modo e in ogni caso, alla pronuncia Cedu ha creato un istituto giuridico anomalo e inedito, quello della riparazione esecutiva…”. E ricorda che la Cassazione, nel 2017, quando stabilì che c’era “l’obbligo di conformazione alla sentenza” della Cedu, “impone al giudice nazionale l’eliminazione dei soli effetti penali ulteriori e diversi rispetto a quelli connessi all’esecuzione della pena principale”, cioè i 10 anni di carcere che Contrada ha finito di scontare nel 2012.

Secondo l’accusa, non si può concedere un indennizzo per ingiusta detenzione, ma si possono prendere altri provvedimenti a favore di Contrada, coerenti a eliminare gli effetti penali post detenzione. Pertanto, secondo la Procura generale di Palermo, la Corte d’Appello ha “indebitamente riaperto il perimetro esecutivo che era stato definitivamente chiuso” dalla Cassazione nel 2017. A ricorrere anche l’Avvocatura dello Stato per il ministero dell’Economia.

Mail Box

 

Gli studenti del liceo Machiavelli ci scrivono

Gentile redazione, siamo gli studenti del Liceo Niccolò Machiavelli di Roma. Volevamo innanzitutto lamentare la manipolazione che i media hanno portato avanti per giorni nei nostri confronti, promuovendo l’idea di studenti del tutto scontenti della didattica digitale integrata. È vero, il desiderio di tornare in presenza è autentico, ma non in queste condizioni. Il rientro nelle aule sarebbe nocivo tanto per noi ragazzi quanto per le famiglie, gli insegnanti e tutte le persone che ci circondano. Si parla della nostra necessità di socializzare, ma in fondo in presenza siamo confinati in un banco singolo senza poterci muovere, imbavagliati (giustamente) e senza poter interagire con gli altri compagni. Tra l’altro, con l’inizio della didattica in presenza al 50%, non è assicurato che tutti gli studenti attualmente colpiti dal virus possano seguire con continuità le lezioni che si svolgono a scuola.

In media, un alunno che contrae il virus, con le disposizioni attuali, perde un minimo di 54 ore di lezione frontale. Chiediamo di rimanere in didattica a distanza finché non sarà possibile tornare in una scuola che accoglie e protegge. Di questo ci siamo lamentati, non certo di aver perso tempo con la Dad: non abbiamo ore da recuperare e poi, diciamocelo, chi non vuole lavorare non lo fa a prescindere. Siamo stanchi di leggere e ascoltare idee che non abbiamo espresso!

Liceo Niccolò Machiavelli

 

Chi critica il cashback non ne capisce l’efficacia

C’è qualche scienziato dell’economia che condanna il governo perché le manovre sono tutte “a debito”: i soldi dovremmo forse stamparli in casa? Sovente gli stessi “politici-economisti” condannano la lotteria degli scontrini e il cashback perché con queste pratiche lo Stato “spione” verrebbe a conoscere i nostri acquisti privati. In realtà è un ennesimo tentativo per non favorire l’emersione di una diffusissima microevasione giornaliera che a fine anno ammonta ad alcune decine di miliardi: se il ministero del Tesoro prevede una spesa di oltre 4 miliardi di euro per il cashback si ha ragione di ritenere che il “ritorno” sarà ben maggiore! Bisognerebbe ulteriormente semplificare le procedure di rimborso come fanno da sempre in Portogallo.

Vito Pindozzi

 

Il premier non ha mai citato l’Innominabile

Dopo i discorsi di Giuseppe Conte a Camera e Senato, vi propongo di cambiare il nome del ricattatore etrusco da “Innominabile” a “Innominato”: sì, proprio come quello là più famoso, però adesso nessuno potrebbe più fare confusione, e soprattutto ne sarebbe molto chiaro il perché.

Raimondo Gerthoux

 

Conte e la canzone giusta per far cambiare idea a Iv

Forse per stimolare un ripensamento nei renziani, Conte avrebbe dovuto provare con quella canzone di Baglioni: Passerotto… Pardon, Scalfarotto non andare via…

Mario Frattarelli

 

Se questi sono i patrioti contemporanei…

L’Italia moderna è la terra dei patrioti. La più titolata a fregiarsi di tale qualifica è Giorgia Meloni. Recentemente, a Barcellona, la leader di FdI ha partecipato a un convegno internazionale organizzato dai patrioti spagnoli di Santiago Abascal, presidente del partito conservatore Vox. Anche Matteo Renzi ci tiene a precisare: “Io non faccio polemiche per destabilizzare l’Italia, sono un patriota”. Dobbiamo accontentarci di ciò che passa questo convento.

Marcello Buttazzo

 

DIRITTO DI REPLICA

Per dare un senso compiuto al diritto di cronaca credo sia opportuno aggiungere qualche dettaglio conclusivo all’articolo del 19 gennaio di Marco Franchi, “Le Spese Pazze di Napoletano al ‘Sole’”: l’articolo descrive un audit per la Emc, società americana a New York che gestivo in stretto contatto con il gruppo Sole 24 Ore. È vero, come si scrive, che la nuova amministrazione del gruppo decise di avviare e affidare a Pwc un audit a tutto campo in ogni sede esterna inclusa quella americana. Come accade in ogni audit, è anche vero che Pwc elencò una serie di voci di spesa che andavano corroborate da nuova documentazione utile alla certificazione, anche alla luce di regole fiscali e contabili diverse in Italia e in Usa. Le indicazioni contenute nell’articolo sono tuttavia fuorvianti se, come accade nelle storie a lieto fine – e in buona fede – non si spiega che la certificazione ha avuto un suo decorso, voci di spesa citate nel vostro articolo sono state riconciliate contabilmente dalla necessaria documentazione in un contesto collaborativo e di stretto riserbo imposto dal gruppo ai suoi dirigenti e che intendo rispettare anche se non lavoro più per quella testata. Credo che raccontare la fine – e non soltanto l’inizio – di un’operazione di trasparenza a cui io per primo tenevo, sia utile per dare un’informazione completa ai vostri lettori.

Mario Calvo-Platero

 

Prendiamo atto della replica che però non smentisce quanto abbiamo scritto: né le cifre ricevute da Emc né il contratto Usa-Ucraina-Estonia-Scozia, peraltro in periodi in cui il Sole 24 Ore ha affrontato stati di crisi.

MF

Rifiuti nucleari. Dove? Quattro anni per avere un deposito da 150 ettari

 

Esistono programmi tv che non riesco a guardare: è più forte di me. Vorrei essere erudito sul “discorso” delle scorie nucleari. Noi siamo un Paese denuclearizzato. Compriamo dai Paesi nuclearizzati a caro prezzo la nostra “energia.” Perché dobbiamo sorbirci le scorie altrui? Con quale diritto vengono calpestate scelte come questa? Anni fa se ne era già parlato. Con quale diritto vengono calpestati i referendum, anche quelli seri come in questo caso? Abbiamo milioni di km quadrati di deserto non solo in Africa dove fare buchi profondi, ma vengono a rompere le scatole all’Italia. Personalmente questa cosa non mi riguarda: avrò sì e no 7-8 anni di vita. Ma ci vuole rispetto per le persone che non inquinano.

Muzio Berardo

 

Gentile Muzio, il governo ha recentemente dato via libera alla pubblicazione delle aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito unico nazionale dove verranno custodite tutte le “scorie” prodotte dall’Italia nella sua breve esperienza nucleare. Secondo la Sogin, la società del Tesoro che si occupa dello smantellamento delle ex centrali e degli ex impianti di produzione del combustibile nucleare e che realizzerà l’opera, il Deposito ospiterà esclusivamente i rifiuti radioattivi prodotti nel nostro Paese “sulla base del principio, affermato dalle norme vigenti, che ogni Paese ha la responsabilità di gestire i propri rifiuti radioattivi”. È previsto che ci vorranno 4 anni per costruirlo, ma la sua realizzazione dipenderà innanzitutto dai tempi con cui sarà scelta l’area dove realizzarlo. La fase della consultazione pubblica è appena iniziata: le proteste delle regioni e dei comuni interessati dalla mappa delle aree idonee appena pubblicata lasciano prevedere che arrivare alla scelta del sito sarà impresa lunga e difficile. Allo stato è dunque possibile solo parlare per progetti: è previsto che il deposito nazionale sorga su un’area di 150 ettari dove verranno realizzate due strutture, una per i materiali che derivano dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari chiusi dopo il referendum e quelli già prodotti e che verranno prodotti in futuro dagli impianti nucleari di ricerca e dai settori della medicina nucleare, dell’industria e della difesa. In un’altra verranno invece stoccate le scorie più pericolose sempre prodotte in passato dagli impianti italiani: una parte di queste sono state trasferite all’estero (in Francia e nel Regno Unito) dove sono state “vetrificate”, ma dovranno rientrare in Italia.

Ilaria Proietti

Diaco, il crooner dell’intervista

La televisione italiana è un paradiso di interviste, tutto un intervistarsi di conduttori, ospiti, opinionisti, virologi, tuttologi, io ti do un microfono a te, tu mi dai un microfono a me in un vortice di scambismo senza fine. La tendenza è in atto da un pezzo, ma il virus ci ha messo del suo, destrutturando anche i talk più corali in tante intervistine componibili come lavastoviglie; sono rimasti Sgarbi e qualche imitatore ad abbaiare alla luna da soli, per rispettare il contratto. Altrove il modello dominante, organico, è quello dell’intervista-manicure modello Fabio Fazio, personalizzabile a richiesta nei superlativi assoluti, ma immutabile nella sua essenza promozionale. In questa atmosfera edenica, dove un uomo politico può spacciare per intervista un’ora di soliloquio senz’alcun contraddittorio a parte la fisioterapia del conduttore, acquista un significato pregnante il ritorno di Pierluigi Diaco (Ti sento, martedì sera, su Rai2; che fa in fondo Mastella di così diverso?).

Diaco è un intervistatore del suo tempo, di tipo confidenziale, un crooner del punto interrogativo, una specie di Fred Bongusto che, non potendo disporre di una rotonda sul mare, opta per luci soffuse, tavolino di cristallo, madeleine filmate, musichette e momenti “cuore di panna”, stupefatti bisbigli. Come maestro ha avuto Maurizio Costanzo e ne ha assimilato la maieutica sorniona; ma la genialità di Costanzo è stata inventarsi un avanspettacolo di parola, saper trasformare gli ospiti del Parioli in pupi siciliani pronti a darsele di santa ragione. Oggi il solo teatro possibile sembra quello da camera; niente teatro dei pupi per Diaco, ma il guancia a guancia finto notturno con Roberto Mancini, dove marzulleggiare pallidi e assorti è un attimo. L’oratorio di paese, la partenza per Bologna, addio monti fuggenti, la scoperta di Medjugorje, l’apparizione della Madonna in sogno… la vita è sogno, ma Marzullo aiuta a intervistare meglio.

Cesa, la pasionaria cattolica Binetti e il Recovery fund

Dopo le perquisizioni in casa di Lorenzo Cesa per associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso, la senatrice Udc Paola Binetti dice di sentirsi “come una persona ferita che vuole stare accanto al suo segretario”. La vicinanza umana e spirituale con chi è in difficoltà non può essere criticata. In genere in politica, a meno che non ti chiami Berlusconi, Dell’Utri o Verdini, appena traballi tutti scompaiono. Ma Paola Binetti non è di quella pasta. Ex parlamentare di centrosinistra, poi eletta a Palazzo Madama con Forza Italia e ora forse in procinto di sostenere il governo Conte, la pasionaria cattolica è anzi sicura dell’innocenza di Cesa (“escludo categoricamente il suo coinvolgimento”); ha fiducia, come si dice sempre in questi casi, nella magistratura, anche se, da politica navigata qual è, sa bene come “Lorenzo in qualità di segretario sia esposto a incontrare gente di ogni tipo”.

Anche noi come Binetti siamo garantisti. Cesa come ogni altro indagato o imputato è innocente sino a prova contraria. E il fatto che non sia stato arrestato, a differenza del potente assessore regionale calabrese Francesco Talarico, amico del segretario, fa anzi capire come, secondo i magistrati, contro di lui, per il momento, vi siano solo indizi.

La vicenda però dovrebbe spingere politici, giornalisti e opinionisti a una franca riflessione sulle nostre classi dirigenti. Una riflessione non più rimandabile visto che, se il governo riuscirà a reggere, il nostro Paese sarà presto inondato da centinaia di miliardi targati Ue.

Cesa, infatti, come molti sanno, ma in tanti fanno finta di non sapere, non è un normale leader di partito. È invece un tangentista miracolato dal codice di procedura penale. È un tizio salvato da quella giustizia malata, forte con i deboli e debole con i forti, che proprio l’Europa ci chiede da anni di riformare. Breve promemoria per i finti smemorati. Arrestato nel 1993 quando ancora era un semplice consigliere comunale di Roma, Cesa in carcere confessa. Ammette di essere uno dei tramiti tra i vertici della Dc e gli imprenditori che versano tangenti per gli appalti Anas. Il suo primo verbale sembra quello di Pietro Gambadilegno. “Intendo svuotare il sacco” esordisce prima di svelare decine di mazzette. Il suo referente era il ministro Giovanni Prandini, all’epoca soprannominato “Prendini”. Gli imprenditori si rivolgevano a Cesa e lui andava dal ministro. Un esempio tra tanti: “Gli chiesi cosa dovevo riferire e mi sentii rispondere che dovevo chiedere il 5 per cento sull’importo dell’appalto”. Il futuro segretario Udc racconta con dovizia di particolari di “borse di plastica”, “cartellette rigide”, “buste sigillate” tutte contenenti denaro. Risultato: Cesa, dopo la “sua ampia confessione”, viene condannato in primo grado a 3 anni e 3 mesi. Nel 2003, però, la Corte di Appello annulla le condanne per un cavillo procedurale: nel frattempo è uscita una sentenza della Corte costituzionale che ha di fatto stabilito come il Tribunale dei ministri fosse competente non solo per Prandini, ma anche per i coimputati. Il processo deve ricominciare, ma per il giudice gli atti compiuti sono ormai “inutilizzabili”. Nel 2005 il Gip ordina il “non luogo a procedere”. Così, sebbene abbia ammesso tutto, viene più volte candidato e spesso eletto.

E qui arriviamo alla riflessione. Anzi alla domanda: davvero si può pensare che spenderemo bene i soldi del Recovery fund se chi rappresenta i cittadini non è in grado di selezionare i suoi compagni di strada? Si attende, dalla senatrice Binetti e da tutti gli altri, una cortese risposta.

 

Usa, l’addio di Mike Pompeo. È una buona notizia (per tutti)

L’intronazione di Joe Biden ha due aspetti positivi importanti in relazione fra loro che non riguardano la circostanza, che ha fatto ululare di gioia le femministe, che il vicepresidente sia una donna, Kamala Harris, perché in tema di relazioni internazionali, le leader politiche americane non sono meno guerrafondaie degli uomini, basterà ricordare che Madeleine Albright e Condoleezza Rice furono le più assatanate sostenitrici dell’aggressione all’Afghanistan, per motivi politici e ideologici la Albright, per motivi anche sordidamente personali Condoleezza che aveva un ruolo importante nella Unocal, la multinazionale che intendeva costruire il famoso gasdotto che dal Turkmenistan arriva al Pakistan, cioè al mare, attraversando l’intero Afghanistan (adesso quel progetto se lo possono ficcare tranquillamente nel culo).

Il primo aspetto positivo è l’eliminazione del Segretario di Stato Mike Pompeo, sostituito da un democratico. Avete presente Mike Pompeo? È fatto a Mike Pompeo. Il tipico cane da guardia pronto a mordere quando glielo dice il padrone e anche quando non glielo dice. Solo otto giorni prima che scadesse il mandato di “the Donald”, Mike Pompeo ha cercato di far danni accusando l’Iran di essere “la nuova base di al Qaeda”. Accusa del tutto inverosimile perché al Qaeda non esiste più o quantomeno ha un ruolo del tutto marginale nella galassia del terrorismo islamico, guidata com’è da una vecchia ciabatta, il medico egiziano Al-Zawahiri, che fu importante ai tempi di Bin Laden, ma che ora non ha più alcuna presa sul mondo terrorista.

Il nemico dell’Occidente oggi è l’Isis, che è formato da gruppi ben strutturati ma è soprattutto un’epidemia ideologica che si è espansa in varie parti del mondo, in Somalia, in Kenya, nel Mali, in Nigeria, in Sudan, in Pakistan, in Afghanistan, mentre per il momento è “in sonno” in Europa in attesa di tornare a colpire non con qualche isolato un po’ pazzoide ma in modo organizzato.

Giustamente i consiglieri di Biden, e probabilmente lo stesso Biden, hanno visto nella mossa del tutto azzardata e improvvisata del bulldog Pompeo un tentativo di sabotare la ripresa dell’accordo sul nucleare con l’Iran che era stata una delle poche operazioni felici di Barack Obama. Una rinegoziazione dell’accordo sul nucleare con l’Iran, che è fondamentale per gli equilibri del Medio Oriente, non dovrebbe essere difficile. L’Iran ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare, aveva sempre accettato le ispezioni dell’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica.

Nell’accordo del 2015 con gli Stati Uniti di Obama gli iraniani rinunciavano definitivamente a costruirsi l’Atomica, cosa peraltro mai tentata perché nelle centrali nucleari di Teheran l’arricchimento dell’uranio, per ammissione della stessa AIEA, non aveva mai superato il 3% (per farsi la Bomba l’arricchimento deve arrivare al 90%), in cambio dell’eliminazione o quanto meno della riduzione delle assurde sanzioni economiche imposte al Paese persiano.

Un accordo quindi che sta bene sia agli americani che agli iraniani. Sempre che il Mossad, svolazzando qua e là, non assassini in Iran qualche presunto, molto presunto, qaedista, come ha fatto questa estate, riaccendendo così, a solo beneficio di Israele, la polveriera.