Sette motivi per cui Renzi è il re dei “voltagabbana”

Responsabili o trasformisti? Costruttori o voltagabbana? Ciascuno si è fatto la propria idea e difficilmente si farà convincere del contrario. Forse si dovrebbe distinguere da caso a caso; forse, in ciascuno dei soggetti, opera un mix di convinzione e opportunismo. Anche al netto della considerazione di chi sostiene che i cambiamenti di oggi ci stanno perché si situano dentro una democrazia parlamentare a base proporzionale che si è messa dietro le spalle il bipolarismo politico – due campi chiaramente distinti e alternativi – due differenze vanno riconosciute: quella con chi, in passato, è stato letteralmente pagato per cambiare casacca; e il contesto di una congiuntura drammatica che non ha precedenti e che suggerisce di non escludere in assoluto che qualcuno abbia avuto un sincero scatto di responsabilità. Ma, ripeto, ognuno si è fatto la propria opinione e se la tiene. Qui vorrei invece argomentare che Renzi, l’attore protagonista della crisi, che più di ogni altro ha gridato allo scandalo, è il re dei voltagabbana. Solo qualche esempio. Primo: ben oltre singoli casi di transumanza, è semmai Italia Viva – cioè tutto il gruppo parlamentare – la quintessenza del trasformismo. Esso è per intero composto da rappresentanti eletti in altre liste, la più parte sottratti al Pd. Di più: le due celebri ex ministre che Renzi ha usato e celebrato per le loro “eroiche” dimissioni, in verità, usurpavano posti assegnati in quota Pd. Esse sì voltagabbana, il giorno stesso della loro nomina. Secondo: a sentire Renzi, il Conte-2 sarebbe il peggiore dei governi possibili. Ma non lo aveva propiziato e quasi imposto lui? Se così fosse, sarebbe un fallimento soprattutto suo. Come si concilia l’astensione (se non con tatticismo e opportunismo) con giudizi e parole persino più pesanti di quelli delle opposizioni? Terzo: Renzi aveva giurato che avrebbe lasciato la politica dopo la bocciatura del suo referendum, ma che poi avrebbe cambiato idea perché inondato da toccanti messaggi che lo imploravano di rimanere in campo. Dubito che, ora, dopo l’ultima genialata, un moto di popolo invochi il “demolitore”. Quarto: non a torto sono state richiamate le sue parole sulfuree sul potere di interdizione dei piccoli partiti nel quadro di una interpretazione persino estremistica del maggioritario e del bipolarismo/bipartitismo che ispirò le sue riforme. Ora contrasta una legge elettorale con soglia al 5%. Quinto, l’accusa più stupefacente a Conte: quella di cesarismo, di minacciare la democrazia. Da non credere. Fu lui a fare del “più partito tra i partiti” (anche nel nome: Partito democratico) il PDR, un partito personale: non convocava la segreteria; riduceva le direzioni a comizi; cacciava dalle Commissioni parlamentari i rappresentanti Pd che muovevano qualche critica alla riforma costituzionale; metteva la fiducia sulla legge elettorale; scelse nominativamente pressoché tutti i parlamentari Pd (già traguardano alla futura scissione); ridusse a zero l’agibilità politica interna al Pd al punto da indurre Bersani, forgiato alla scuola dell’unitarismo Pci, a fare ciò che mai avrebbe voluto fare, cioè lasciare il partito. Ancora: la disintermediazione, uno spregio, persino ostentato, per il dialogo con sindacati e forze sociali, a suo dire snobbato da Conte. Sesto: merita rammentare che la riforma costituzionale e l’Italicum (la sua legge elettorale bocciata dalla Consulta) erano ritagliati su se stesso al tempo in cui “regnava”. L’effetto combinato di esse era quello di consegnare tutto il potere al partito e al leader che avessero vinto, schiacciando l’opposizione. Settimo: il populismo che Renzi imputa ad altri. Come dimenticare il tenore della sua campagna referendaria tutta centrata sulla parola d’ordine del “taglio delle poltrone”, la sua polemica con i “professoroni”, la guerra a una delle poche istituzioni italiane che godono prestigio come la Banca d’Italia? Una guerra che originò un contrasto con il premier Gentiloni. Il quale, a fine mandato, diede alle stampe un libro dall’eloquente titolo La sfida impopulista, con chiaro riferimento critico a lui. L’elenco potrebbe continuare. Ma, su tutto, domina la prova regina del camaleontismo politico renziano. Oggi, alla luce del suo approdo a un centrismo che guarda a destra e che comunque piace alla destra cui rende preziosi servizi, ci si chiede sgomenti come egli possa avere recitato a lungo la parte di leader della sinistra italiana. Si stenta a credere che Renzi, da spericolato acrobata, abbia vestito gli improbabili panni del socialista europeo, iscrivendovi sé e il Pd. Un mimetismo da parte sua e un clamoroso difetto di discernimento politico da parte di chi gli ha dato credito. Un deragliamento sino allo snaturamento del Pd e della sinistra, va detto, del quale tanti, troppi, tuttora nel gruppo di comando del Pd, portano responsabilità attive e omissive. Ex malo bonum: grazie alla crisi tutto è più chiaro.

 

Il perché del matrimonio, i libri di Bruno Vespa e Novecento di Bertolucci

E per la serie “Ordina pure le allodole con polenta anche se è la scelta sbagliata nessuno sta tenendo un punteggio”, la posta della settimana.

Caro Daniele, quale libro ti piacerebbe aver scritto? (Laura Lorusso, Bari)

Uno qualunque di quelli che Bruno Vespa sforna ogni natale, perché, solo con le ospitate per pubblicizzarlo, in un mese sarei in più programmi tv di quelli che ho fatto negli ultimi 20 anni (non ci vorrebbe molto: sono solo tre).

Hai mai covato desideri di vendetta? (Giorgio Riccio, Napoli)

Sì: quella volta che una signora impellicciata, in un cinema di Rimini, decise di farmi un pompino prima che fosse finito Novecento

di Bertolucci.

Perché non ti sei ancora sposato? (Carla Gutvik, Lugano)

Mi sposerei se fosse proibito.

Come passi il tuo tempo in lockdown? Io comincio a essere stufa di masturbarmi guardando Bridgerton. (Cristina Baraldi, Mantova)

Come ti capisco, Cristina! Il lockdown sconvolge quanto del tempo rientra nella mutazione empirica, pratica; e fa di ogni giorno una domenica in casa, il che è una vera tortura per i non-contemplativi, per quelle persone, cioè, che prima della pandemia riempivano il loro tempo libero con attività sociali. Chi svolge attività intellettuali soffre di meno, perché abituato da sempre a inventarsi progetti che impegnano la sua curiosità. Un conto è guardare film a caso dalla mattina alla sera, un altro conto è guardare tutta la filmografia di Rouben Mamoulian per trovarci parallelismi con le teorie di Lacan: la differenza sta nel progetto, che ti assorbe in quel limbo, ben noto agli artisti, dove il tempo è come sospeso, e colmo di letizia. Del resto, quanti, durante una gita con amici a Monte Rotondo, facevano davvero esperienza di quella gita, cioè vedevano, nei paesaggi, Cézanne? Solo chi aveva educato lo sguardo con l’opera di Cézanne. Chi ha questo sguardo creativo non si annoia mai, perché gli è facile tradurre le difficoltà in un ordine superiore, in un senso nuovo. Il lockdown, per chi è così, è un’epoca di ritiro e di lavoro tutto personale, di conquista libera, indisturbata, in solitudine; la sua vita prosegue serrata, e si arricchisce, senza sperpero. Il progetto può anche essere leggero. Per esempio, diventare bravi nelle crittografie mnemoniche. Sono una specie di indovinello rovesciato: la soluzione, le cui parole devono avere la lunghezza indicata nel diagramma numerico posto fra parentesi, va ricavata da un enunciato (detto “esposto”). La frase risolutiva, che rende il gioco divertente, è un bisenso, e oggi infatti le crittografie mnemoniche sono denominate “frasi bisenso”. Esempio celeberrimo: il “mezzo minuto di raccoglimento”, che può essere una durata temporale, ma anche un cucchiaino (un piccolo strumento per raccogliere cose). Lo schema di quella crittografia mnemonica (Richi, 1960) si presenta così:

 

Frase bisenso (5 6 2 13)

CUCCHIAINO

Soluzione: Mezzo minuto di raccoglimento

 

Ma tutte sono ingegnose, come questa di Thinker (2004):

Frase bisenso (2 6 2 6)

TANTI F16

Soluzione: Un casino di caccia

 

Durante il lockdown ne ho sognata una, e mi sono svegliato ridendo. (Nel 1905, Freud notò che l’indovinello è l’inverso del motto di spirito: in quello, la tecnica è nota, il contenuto celato; in questo, il contenuto è noto, la tecnica celata.
Risolvendo un indovinello, ritroviamo la sorpresa piacevole di una gag.) Ecco la mia crittografia mnemonica:

Frase bisenso (3, 4, 2, 6)

NAOMI CAMPBELL

 

Vediamo chi la indovina. Buon divertimento!

 

L’esecutivo ha un vantaggio: non esiste una vera alternativa

L’unico modo per uscire dalla crisi è lavorare su quello zoccolo duro che ha votato la fiducia in Senato, un evento da non sottovalutare. A partire da quella maggioranza, serve un allargamento senza dipendere più dalla follia personale dei “distruttori” e del “distruttore principe” Matteo Renzi: spero che con questa crisi il suo ruolo nella politica sia definitivamente finito e con questa prova di irresponsabilità venga bandito da chiunque voglia fare politica seriamente. Resta la fragilità di Pd e M5S, ma questo governo ha un vantaggio: non ci sono alternative e non si può andare a votare, a partire dal fatto che la legge elettorale non è stata modificata. L’unico modo per strutturare la maggioranza è erodere il gruppo dei renziani e aprire a figure che siano presentabili. Infine Conte non dovrebbe fare un suo partito personale: sarebbe un suicidio perché la sua forza sta nell’essere un punto alto di mediazione.

L’Uscita del bullo è una benedizione per il Paese

Quando accendo la televisione e vedo Matteo Renzi la spengo subito. La sua uscita dal governo è una benedizione per l’Italia e Conte ne esce rafforzato perché non ha più una opposizione interna. È assurdo che il politico più impopolare d’Italia voglia buttare giù quello più popolare: dal punto di vista della democrazia è una cosa spaventosa. Se gli Stati Uniti avevano Donald Trump, noi abbiamo il bulletto di provincia Renzi. Adesso il governo deve andare avanti il più possibile trovando convergenze in Parlamento sui provvedimenti, per esempio sulla legge elettorale che non è stata ancora modificata: per questo la strada delle elezioni sarebbe disastrosa. Conte deve tener duro fino alla fine della legislatura: si mostri forte e responsabile. Se tutti gli altri non lo saranno, prima o poi ci sarà una resa dei conti con i cittadini.

È necessario cambiare vari ministri per andare avanti

Il governo Conte deve rimanere in piedi, ma è necessario cambiare alcuni ministri per dare maggiore slancio alla legislatura. Non solo: è fondamentale che le forze di maggioranza dimostrino il loro forte senso di europeismo per trarne tutti i benefici possibili e utilizzare al meglio i 209 miliardi del Recovery. Ci potranno essere anche nuove forze politiche nella maggioranza, ma queste devono avere un requisito: credere fortemente nell’europeismo. Per questo Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti dovrebbero fare un appello su questi valori e vedere chi ci sta. Per esempio, perché Emma Bonino ha votato no? Quello è un voto che deve essere recuperato. In questo senso non vedrei male il sostegno di altri parlamentari dal centrodestra. Infine credo che Conte dovrà continuare a governare fino alla fine della legislatura senza pensare a un suo partito, che porterebbe via voti a Pd e M5S: non sarebbe giusto sfruttare la sua visibilità per farlo.

La “Pesciarola” Giorgia, donna alfa a destra

Ha buon gioco, la Giorgia Meloni che si mostra sui social con una cassetta di gamberi e orate (“pesce fresco, avvicinatevi, ottimi prezzi”), orgogliosa per essere stata chiamata “pesciarola” dopo l’intervento parlamentare assai gridato contro il premier Giuseppe Conte. Un assist fornitogli da coloro che disprezza come radical-chic (“schifano la gente comune”) subito sfruttato per la gioia dell’elettorato in impetuosa crescita (tendenza 17%, dal 4% in un triennio), che per lei “donna del popolo” stravede. Se i suoi critici girassero per i mercati rionali, o salissero sui mezzi pubblici di Giorge Meloni incazzate ne troverebbero a frotte. Difatti la leader di FdI, cresciuta alla Garbatella, sa identificarsi con quelle persone “del popolo” di cui non fa fatica ad assumere atteggiamenti e linguaggio. Strilla contro il governo esattamente come strillerebbe il ristoratore con la serranda abbassata o la precaria del call center che non vive più neppure di precariato. E accende l’indignazione della “gente comune” agitando lo schifosissimo termine “poltrona” in tutte le sue varianti, fino alla declinazione più oltraggiosa da scagliare sulla faccia della svergognata maggioranza: “Pensano solo alle poltrone”.

Siamo sicuramente nel solco dell’invettiva comiziante (di cui era maestro il suo maestro Giorgio Almirante), ma trovate voi un’altra parola che sappia arrivare come un cazzotto nella pancia (vuota) degli italiani devastati dalla pandemia. Sintesi contundente di quel qualunquismo dell’antipolitica figliato dall’archetipo: è tutto un magna magna. È un blocco di consensi motivato e compatto quello della Meloni che tuttavia necessiterebbe di essere investito quanto prima sul tavolo elettorale, considerata l’estrema volatilità del voto, la stessa che un anno e mezzo fa ridimensionò Matteo Salvini e i suoi “pieni poteri”. Per una donna alfa come Giorgia, il problema sono proprio i due maschi beta con i quali è costretta ad accompagnarsi. Infatti, mentre lei non schioda dal grido “elezioni elezioni”, il capo leghista appare indeciso a tutto, ondeggiante “fra momentanee aperture al dialogo con il governo ‘per il bene del Paese’ e fantomatiche possibilità di varare un esecutivo di centrodestra” (Marco Tarchi). Quanto al povero Silvio, piuttosto affaticato dai problemi di salute oltre che dai forzisti in fuga verso Conte, non sembra motivatissimo a farsi asfaltare nelle urne. Visto che poi il complottino fiorentino contro il detestato presidente del Consiglio non ha dato l’esito sperato, la “pescivendola” rischia di dover tenere a lungo i voti nel frigorifero della storia sperando che non si ammoscino. Come i gamberi di cui sopra.

E ora ritorna il fantasma delle elezioni anticipate

Se le parole hanno un senso, soprattutto se pronunciate al cospetto del presidente della Repubblica, allora da oggi l’informazione mainstream che odia Conte deve accantonare la fantomatica ipotesi di un governo d’unità nazionale guidato da Draghi, da Cartabia o da qualche altra riserva di rango della Repubblica. Ieri, infatti, i tre leader del centrodestra ricevuti da Sergio Mattarella hanno detto chiaro e tondo che se Conte non ce la fa, non c’è spazio per nessuna altra formula e che si deve andare alle elezioni anticipate. L’assertività avrebbe colpito molto il capo dello Stato, in un clima che è stato definito da pre-consultazioni. Finanche il forzista Antonio Tajani, presunto europeista e moderato, ha escluso ogni altra strada, compresa quella della fatidica maggioranza Ursula.

Paradossalmente il pronunciamento della destra converge con quello dell’ideologo dem Goffredo Bettini che, sempre ieri, ha spiegato che l’alternativa a Conte sono le urne. Certo, nel caso dei giallorosa, sventolare il voto nella prossima estate ha anche un valore tattico, per piegare gli aspiranti Costruttori ancora indecisi. Ma le difficoltà che stanno incontrando il premier e il suo governo in queste ore di trattative (ieri era il secondo giorno dopo la doppia fiducia parlamentare di lunedì e martedì) fanno comparire all’orizzonte di questa legislatura lo spettro delle elezioni anticipate. Insomma, questo convincimento sta maturando in quasi tutti gli attori della crisi, tranne ovviamente i vari cespugli che vanno da destra a sinistra (l’Udc, i totiani, ovviamente i renziani). Zingaretti e Di Maio già l’hanno detto in tempi recenti e anche Conte, seppur scettico sui seggi aperti durante la pandemia, alla fine potrebbe capitalizzare la sua popolarità: una sensazione che più di un suo interlocutore istituzionale ha avuto.

Mancano i soldi: 1,6 mln di famiglie tagliano del tutto le spese sanitarie

Nel 2019 oltre 1,6 milioni di famiglie italiane hanno dichiarato di non avere i soldi, in alcuni periodi dell’anno, per poter affrontare le spese sanitarie necessarie per curarsi, con un aumento del 2,3% rispetto all’anno precedente. Ben 36 mila nuclei familiari in più e soprattutto nel Meridione. È quanto emerge dall’IPS 2020, l’Indice di Performance Sanitaria realizzato, per il quarto anno consecutivo, dall’Istituto Demoskopika.

Il disagio è più evidente nel Mezzogiorno con oltre 923.000 famiglie in condizioni di disagio a causa della mancata disponibilità economica per fronteggiare la cura di malattie, pari al 56,9% del valore complessivo italiano.

Sono, infatti, soprattutto le famiglie in Sicilia con una quota del 13,5%, quantificabile in oltre 271.000 nuclei, a denunciare il problema. Seguono la Calabria con il 12,1% pari a 98.000 famiglie, quindi la Puglia (11,3%) e la Campania (11,2%), che vedono coinvolte nel processo di impoverimento rispettivamente 182.000 e 245.000 famiglie. Capovolgendo la classifica, sono Emilia-Romagna (1,9%), Trentino-Alto Adige (2,2%) e Friuli-Venezia Giulia (2,4%) a meritare il ranking migliore in questa graduatoria, con una quota di poco più del 2% di nuclei familiari in condizioni di disagio economico, pari a circa 61 mila nuclei familiari.

Merkel ha un problema e pensa ai confini chiusi

“Ci sono parole a cui si reagisce di riflesso” e una di queste è “controllo dei confini”, ha detto la cancelliera Angela Merkel in conferenza stampa a Berlino, andando al cuore della questione che sta turbando mezza Europa. Il pensiero corre subito all’idea della chiusura dei confini e richiama brutti ricordi di code alle frontiere e di merci bloccate, ha continuato Merkel. Tutto questo “non accadrà di nuovo”, ha assicurato, facendo riferimento all’esperienza della scorsa primavera. Per essere chiari va detto che il dibattito verte su un punto in particolare: il traffico dei pendolari che ogni giorno intasa i confini tedeschi. Dalla Repubblica Ceca, dalla Polonia, dalla Svizzera, dal Belgio e dall’Olanda migliaia di pendolari vengono a lavorare al mattino e tornano a casa la sera. “Non si tratta di introdurre controlli generalizzati alle frontiere, al contrario cercheremo di evitarlo. Tuttavia, sarò molto franca: se un Paese con il doppio dell’incidenza della Germania apre tutti i suoi negozi mentre da noi sono ancora chiusi, è ovvio che abbiamo un problema”, ha detto la cancelliera.

“La Germania sta cercando un approccio cooperativo” con “misure equivalenti” dai due lati del confine, dice Merkel assicurando che i controlli saranno “l’ultima ratio” perché “se qualcuno ha idee completamente diverse, non si può nemmeno escludere del tutto”. Se con Belgio, Olanda, Danimarca e Francia si viaggia sulla stessa lunghezza d’onda, più lento e complesso sembra il dialogo con Repubblica Ceca e Svizzera. In fatto di pandemia in Germania negli ultimi giorni le cose vanno un po’ meglio, ma “ci troviamo in una fase molto difficile” ha messo in chiaro la Bundeskanzlerin.

È “difficile” perché da una parte i numeri dell’epidemia iniziano a dare segnali incoraggianti, dall’altra la cosiddetta “variante inglese” modifica completamente lo scenario, alimentando nuove preoccupazioni e minacciando di vanificare i risultati raggiunti.

Ma i segnali positivi ci sono. Se le morti accertate per coronavirus sono ormai arrivate intorno alle 50.000, i nuovi contagi diminuiscono: 20.389 oggi rispetto ai 25.164 della settimana scorsa, 1.013 vittime nelle ultime 24 ore rispetto ai 1.244 di sette giorni fa. Anche le terapie intensive non sono più in stato di allerta come ai primi di gennaio. Tuttavia la mutazione B117, arrivata dall’Inghilterra, rischia di tornare ad aggravare molto rapidamente il sistema sanitario. La variante inglese, nota per la sua estrema contagiosità, “è un pericolo che dobbiamo prendere molto seriamente” ha detto Merkel. A due giorni dal prolungamento del lockdown al 15 febbraio, ieri la cancelliera si è presentata davanti alla stampa tedesca ed estera per “spiegare la mia valutazione e la mia analisi della situazione e mettermi volentieri a disposizione delle vostre domande”. Un’ora e un quarto davanti a circa 70 persone per non perdere quello che è stato finora il suo asso nella manica: la credibilità e l’accettazione delle misure di una buona maggioranza dei cittadini. Secondo un sondaggio YouGov, ancora il 69% dei tedeschi ritiene “adeguate” le ultime misure di contenimento.

Arcuri: “Adesso arriva anche Astrazeneca”. Calo contagi: è -20%

Ancora 521 decessi e 14.078 nuovi casi di positività al maledetto coronavirus SarsCov2 confermano che siamo ancora nel pieno della seconda ondata secondo gli esperti. Dall’inizio dell’emergenza a oggi, i casi di Covid sono 2.422.728, mentre le vittime hanno raggiunto il numero complessivo di 84.202. Nelle ultime 24 ore sono stati 267.567 i test per il coronavirus (molecolari e antigenici) effettuati e il tasso di positività è al 5,2%, in aumento rispetto al 4,9% di mercoledì. Quanto ai ricoverati negli ospedali, sono 2.418 i pazienti in terapia intensiva, in calo di 43 nel saldo tra entrate e uscite. Nei reparti ordinari sono invece ricoverati 22.045 pazienti, in calo di 424 unità rispetto a mercoledì.

Questi dati, spiega il professor Giuseppe Arbia – docente di Statistica economica all’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma e curatore del sito Covstat sull’andamento pandemico – “ci dicono che siamo ancora nel pieno della seconda ondata pandemica da Covid-19: la curva epidemica non sta scendendo in modo significativo e il leggero calo dei valori su base settimanale non è comunque indicativo di un trend di riduzione effettiva in atto della circolazione del virus nel Paese”. Siamo cioè in una “situazione di stallo – continua – e le leggere fluttuazioni che vediamo non hanno un valore indicativo. In realtà tutti i parametri sono tornati su valori molto simili a quelli tra fine dicembre ed inizi gennaio, ma non calano”. Il punto, avverte Arbia, è che “i livelli attuali, a partire proprio dalle terapie intensive, non sono sostenibili a lungo e l’unica soluzione per uscire da questa situazione di stallo della curva è adottare misure restrittive più severe ma differenziate sul territorio, almeno fino ai primi effetti della campagna vaccinale. Non mi pare che siamo sulla strada giusta e non bisognerebbe aspettare oltre per adottare misure più forti”.

La Fondazione Gimbe rileva come per effetto delle misure prese nelle festività natalizie, nel periodo 13-19 gennaio 2021, rispetto alla precedente settimana, si riducono del 20% i nuovi casi di Covid-19 e sul fronte ospedaliero si riducono del 4,3% i ricoverati con sintomi e del 5,7% le terapie intensive. Calo che si riflette anche nei decessi (-4,4%). Nonostante il calo delle ospedalizzazioni, però, l’occupazione da parte di pazienti Covid continua a superare in sette regioni la soglia del 40% dei posti letto in area medica e in undici regioni la soglia del 30% delle terapie intensive. Pertanto, conclude il presidente Nino Cartabellotta, “bisogna prendere definitivamente atto che solo le zone rosse, come quelle imposte dal decreto Natale, sono la vera arma per piegare la curva del contagio, destinata a risalire nelle prossime settimane per le minori restrizioni nelle regioni arancioni e gialle, la riapertura delle scuole e il potenziale impatto delle nuove varianti”.

Rispetto ai vaccini Carabellotta avverte: “I ritardi nelle consegne del vaccino Pfizer costringono le Regioni a rallentare la corsa e con il caos forniture la seconda dose è a rischio”. Oltre 4.370 persone infatti avrebbero già dovuto ricevere la seconda dose e non l’hanno ricevuta, segnala il monitoraggio Gimbe che sottolinea come “l’indicatore da osservare non sia il totale delle dosi somministrate ma la percentuale di popolazione che ha completato il ciclo vaccinale”. E ancora: “Tenendo conto dei possibili ritardi di consegna, anche comunicati last minute come nel caso di Pfizer è fondamentale che in questa fase le Regioni accantonino i vaccini per la somministrazione della seconda dose”. Sul tema è ritornato anche il commissario all’emergenza-Covid Domenico Arcuri: “La riduzione delle consegne del vaccino Pfizer riguarda tutta l’Europa, ma l’effetto nefasto della riduzione non è omogeneo in tutti i Paesi perché alcuni, a cominciare dall’Italia, sono partiti meglio con le somministrazioni e ora si trovano in maggiore difficoltà perché hanno maggior bisogno di dosi”. Ma la nuova speranza per Arcuri è l’ok europeo al vaccino Oxford Astrazeneca previsto il 29 gennaio: “Tutte le dosi di Astrazeneca saranno portate nell’hub centrale di Pratica di Mare. Al momento, e sottolineo al momento, prevediamo una consegna di otto milioni di dosi nel primo trimestre di quest’anno, speriamo che sia confermato”.