Il documento di Jp Morgan: “Sospettiamo la corruzione”

Ieri era il gran giorno delle difese di Eni. Al processo di Milano per corruzione internazionale sulla presunta tangente da 1,092 miliardi di dollari (imputato, tra gli altri, l’amministratore delegato Claudio Descalzi), l’avvocato Nerio Diodà ha argomentato che quei soldi sono stati pagati dalla compagnia petrolifera sul conto Jp Morgan a Londra del governo della Nigeria. Nessuna responsabilità di Eni, dunque, sui successivi passaggi del denaro, poi finito a pubblici ufficiali nigeriani e a mediatori internazionali.

Al termine dell’udienza, i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno chiesto al Tribunale di acquisire due documenti che indeboliscono la tesi difensiva. Sono due email raccolte con una rogatoria internazionale e che provengono dal processo civile intentato a Londra dall’attuale governo della Nigeria contro la banca JpMorgan. Nella prima email, del 23 giugno 2011, il responsabile dell’Antiriciclaggio della banca manifesta a un altro funzionario di Jp Morgan tutte le sue preoccupazioni sui soldi versati da Eni: “Siamo sospettosi che tali fondi possano essere profitto di corruzione di pubblici ufficiali”. “Dobbiamo dunque cercare le strade per fare la cosa più appropriata”.

L’allora governo della Nigeria aveva dato disposizioni di trasferire i soldi su un conto svizzero della Bsi, che li aveva però rimandati indietro, per il coinvolgimento nell’operazione di Dan Etete, ex ministro del Petrolio già condannato in Francia per riciclaggio. Il responsabile Antiriciclaggio, a questo punto, chiede se è il caso di rifiutare ulteriori trasferimenti o se “chiedere istruzioni a una autorità giudiziaria”, nigeriana, britannica o statunitense. Alla fine, i soldi saranno comunque trasferiti a un conto in Nigeria e lì distribuiti a politici e faccendieri.

Cuneo, acquisite le mail di Renzi sr

Il Tribunale di Cuneo ha acquisito alcuni scambi di email che collegano i genitori di Matteo Renzi alla Direkta srl, impresa al centro di un crac da quasi 2 milioni di euro. Direkta per diversi anni è stata subappaltante della Eventi 6, amministrata da Laura Bovoli, madre dell’ex premier, indagata per concorso in bancarotta fraudolenta. La corrispondenza è stata trasmessa alla Procura di Firenze, che indaga su altri fallimenti di aziende satellite dei Renzi. Il processo di Cuneo è entrato nel vivo e ieri i giudici hanno sentito alcuni testimoni ritenuti centrali: Mirko Provenzano, ex amministratore della Direkta, e la compagna Erika Conterno, entrambi già condannati e sentiti come testimoni assistiti. Al centro dell’attenzione dei giudici ci sono fatture che mostrano come le campagne pubblicitarie affidate alla Direkta, fossero “gonfiate”: “Fino al 70%” dei volantini stampati – ammette Provenzano – finivano al macero”. La sua azienda, in altre parole, “veniva pagata per 100, ma distribuiva 30”. Pratiche che, dice, erano “note ai clienti” (tra quelli citati Ipercoop Liguria). Sul perché accettassero tale pratica, l’imprenditore invita a chiedere altrove: “A questo non so rispondere”.

Dalla mancata distribuzione c’era ancora modo di ricavare qualcosa. “I soldi ottenuti dalla vendita al macero – domanda il pm Pier Attilio Spea – che fine facevano?”. La versione di Provenzano è che quel denaro veniva incamerato da Direkta. È a questo punto che il magistrato produce la corrispondenza: “Io ho mail che dicono il contrario”. La prima è datata 28 agosto 2013 e firmata da Bovoli: “Ti ricordo che questo è il quarto bilico di carta e non ci è stato riconosciuto ancora nulla”. In quello stesso periodo le fatture certificano carta consegnata al macero lombardo gestito dalla Maresca srl. Direkta (il cui fallimento è rappresentato dall’avvocato Vittorio Sommacal) versa già in grave condizioni, non riesce più a pagare le cooperative che distribuiscono i volantini che a loro volta salteranno in aria. L’11 settembre Erika Conterno propone ai Renzi di mettersi in diretto contatto con la Maresca srl. Le risponde Tiziano Renzi: “Per la carta preferiamo non apparire, per quanto riguarda il passato. Per il futuro, se non ritenete di continuare, provvederemo in altra maniera”.

Laura Bovoli è imputata per quello che agli occhi dell’accusa è un “favore” che al momento non trova spiegazione: su richiesta di Provenzano avrebbe modificato a posteriori le note di accompagnamento di alcune fatture, 80mila euro, trasformando costi concordati in penali per lavori svolti male. Una contestazione che avrebbe consentito a sua volta a Provenzano di ribaltare le accuse sulle cooperative. Il 3 febbraio saranno sentiti gli imputati. Laura Bovoli ha già fatto sapere che non ci sarà.

Del Turco non è indigente. Ha dichiarato 92mila euro

Ottaviano Del Turco è malato, ma non certo indigente. Il suo Isee ammonta a oltre 137mila euro. Può contare su un reddito di 92mila euro, ma anche su un discreto conto in banca (circa 65mila euro) e un patrimonio immobiliare personale da oltre 254mila euro. È quanto si evince dalla documentazione fatta pervenire dall’ex leader socialista al Senato, che a dicembre aveva deciso di sospendergli il vitalizio, salvo poi fare subito retromarcia, dopo le proteste di familiari ed ex compagni di partito. Sua Presidenza, Maria Elisabetta Alberti Casellati, intenerita per le condizioni di salute di Del Turco, aveva infatti deciso di mettersi una mano sulla coscienza e l’altra sul portafogli, ben inteso di Palazzo. Ordinando agli uffici di continuare a erogargli l’assegno da 5.500 euro al mese maturato negli anni in cui è stato senatore e che non gli spetterebbe più da tempo: Del Turco, infatti, ha riportato una condanna per le mazzette ricevute quando era presidente della Regione Abruzzo divenuta definitiva già nel 2018, senza che da allora gli siano mai stati chiusi i rubinetti da Palazzo Madama.

Ma per cosa è stato condannato? Per aver ricevuto illecitamente 850mila euro dall’ex ras delle cliniche abruzzesi, Vincenzo Angelini, che pur autodenunciandosi, aveva raccontato di essere stato spremuto addirittura per milioni. Per gli episodi che sono stati provati dagli inquirenti, Del Turco è stato condannato a 3 anni e 11 mesi di reclusione oltre che a rifondere insieme ad altri protagonisti della Sanitopoli abruzzese, i danni di immagine alla regione di cui è stato presidente: 700mila euro a oggi non ancora risarciti. Tanto sarebbe dovuto bastare per ordinare da tempo lo stop al vitalizio, come prescritto dalle regole che si è dato il Senato fin dal 2015 e che, almeno sulla carta, non conoscono alcuna deroga: né in caso di indigenza del condannato, né per malattia invalidante. Entrambe condizioni ritenute invece meritevoli di considerazione solo per i senatori con la fedina penale pulita che chiedano, versando in condizioni di difficoltà, un sostegno dall’amministrazione di cui sono stati inquilini. Anche nei loro casi viene chiesto di documentare l’invalidità al 100% o comunque la malattia grave oltreché la condizione di indigenza.

Pur volendo chiudere un occhio sulle questioni di casellario giudiziario, come emerge dagli indicatori economici certificati dall’Inps con l’Isee, Del Turco ha un reddito di molto superiore all’assegno sociale. Che per il 2021 è fissato a quota 460,28 euro al mese (all’anno fanno poco meno di 6 mila euro con cui campano tanti comuni mortali senza che nessuno faccia un fiato): nel suo caso, solo di pensione, ne percepisce 34 mila. E dunque cosa farà ora Sua Presidenza Casellati, sì sensibile alle vibranti proteste dei socialisti alla Riccardo Nencini? Il presidente del Psi era stato il primo a gioire dopo la retromarcia sullo stop al vitalizio: “Abbiamo vinto una battaglia di civiltà. Sarà ripristinato l’assegno tolto a Ottaviano, un atto gravissimo, poiché rivolto a un uomo gravemente ammalato, ma soprattutto iniquo nei confronti di un uomo politico che ha dato tanto a questo Paese”. Un intervento di buon auspicio anche per altri ex senatori condannati come Vittorio Cecchi Gori, che dice di non passarsela affatto bene, Roberto Formigoni che sostiene di far fatica a sbarcare il lunario. O anche Marcello Dell’Utri, malato oncologico, e perché no, pure Silvio Berlusconi, ché ha una salute ballerina anche se non gli manca di che vivere.

Regeni, i pm: “Gli 007 egiziani a processo”. E dal Cairo ancora nessuna risposta

La Procura di Roma, sul caso Regeni, continua dritta per la propria strada: ieri ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro appartenenti ai servizi di sicurezza egiziani, coinvolti nel sequestro del ricercatore. Si tratta di Tariq Sabir, di Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Sono tutti accusati di sequestro di persona, e il solo Magdi Ibrahim Abdelal Sharif risponde anche di lesioni e concorso nell’omicidio del ricercatore friulano ucciso nel 2016 a Il Cairo. È lui l’uomo che, secondo la Procura di Roma, con altri soggetti ancora da identificare (su questo le indagini sono ancora in corso), “con crudeltà, cagionava a Regeni lesioni che gli avrebbero (…) comportato l’indebolimento e la perdita permanente di più organi, seviziandolo, con acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanza di più giorni”. Adesso sarà un gup a decidere se mandare a processo gli uomini dei servizi di sicurezza di Al-Sisi. E qui si aprirà anche la questione dell’assenza dell’elezione di domicilio per gli imputati. Il giudice dovrà, infatti, affrontare questo nodo cruciale già oggetto di rogatoria della Procura di Roma rimasta però senza risposta. In base al nostro sistema giudiziario, proseguire il procedimento e rinviare a giudizio non è possibile se non c’è la certezza dell’avvenuta notifica ai quattro al Cairo, il gup però potrebbe procedere ugualmente valutando come decisiva la rilevanza mediatica avuta anche in Egitto dell’indagine e la diffusione dei nomi degli imputati.

Sono diverse le prove a supporto dell’accusa. Ci sono le verifiche sui tabulati, ma anche alcune testimonianze. Come quelle di cinque persone (il Cairo ne ha chiesto l’identità, tramite una rogatoria). Tra questi c’è un uomo che dice di aver lavorato per 15 anni nella sede della National Security e che ai pm romani ha raccontato di aver visto Regeni nella struttura “Lazoughly”, che si trova all’interno del ministero degli Interni. Qui nella stanza 13, dove vengono portati gli stranieri sospettati “di tramare contro la sicurezza nazionale”, il teste dice di aver visto Regeni. “… Era mezzo nudo, nella parte superiore portava dei segni di tortura e stava blaterando parole nella sua lingua, delirava” E ancora: “l’ho visto ammanettato…”. Ieri in commissione parlamentare è stato sentito Davide Bonvicini, primo segretario dell’ambasciata d’Italia al Cairo all’epoca dei fatti: ha parlato di un muro di “reticenza ed evasività” delle autorità egiziane.

Assolto, ora l’ex senatore antimafia Diana in pole come assessore a Torre Annunziata

Dopo i proscioglimenti da infamanti accuse di collusioni con il clan dei Casalesi, l’ultima formalizzata a dicembre, per l’ex senatore anticamorra Lorenzo Diana sta per maturare il ritorno alla politica attiva. Il sindaco di Torre Annunziata (Napoli) Vincenzo Ascione gli ha chiesto di diventare il suo vice, con deleghe alla legalità, ai beni confiscati e a Palazzo Fienga, l’ex fortino del clan Gionta. Stamane Diana scioglierà la riserva e deciderà se accettare la proposta: la presentazione della nuova giunta è prevista alle 12. In una conferenza nell’aula consiliare intitolata a Giancarlo Siani, il cronista del Mattino ucciso dalla camorra per i suoi articoli sui clan di Torre Annunziata.

Ed è proprio intorno al valore simbolico del luogo che Diana è tentato di accettare. Sa che il sindaco Ascione ha azzerato l’esecutivo e lo vorrebbe nella nuova squadra perché sta attraversando un momento di difficoltà proprio sul versante della legalità.

Il 28 dicembre, infatti, la Procura di Torre Annunziata guidata da Nunzio Fragliasso e la Guardia di Finanza agli ordini del colonnello Agostino Tortora gli hanno arrestato in flagranza di reato il capo dell’ufficio tecnico comunale, l’ingegnere Nunzio Ariano. Aveva ancora addosso 10.000 euro in contanti, divisi in due buste in parti uguali. Una tangente appena consegnata dall’imprenditore Vincenzo Supino, aggiudicatario di un appalto senza gara di circa 200 mila euro per adeguare gli istituti scolastici torresi alle normative anti-Covid. “Voleva farmi un regalo di Natale – ha detto Supino in un verbale dell’interrogatorio di garanzia pubblicato in esclusiva su “Giustizia di Fatto”, la newsletter del Fatto Quotidiano – non ho capito la gravità della cosa perché sono in un momento di confusione dovuto alla grave malattia di mia moglie. Intendo dimettermi da dirigente perché non voglio mettere in difficoltà chi mi ha nominato, il mio è un incarico fiduciario”. Ariano ha poi formalizzato le dimissioni e il sindaco si è messo alla ricerca di un sostituto. E ha perfezionato l’azzeramento di giunta, compiuto in un clima di grande tensione e tra richieste di dimissioni: oggi si conosceranno i nomi dei nuovi assessori chiamati a raddrizzare una barca che stava prendendo acqua. E si saprà se l’ex senatore Lorenzo Diana sarà uno di loro.

Trasporto malati, arrestato il fan di Alfieri e altri 10

L’indagine decollò nel giugno 2019 dopo una intervista-denuncia del presidente dell’Antimafia Nicola Morra al Fatto. Con la quale Morra definì “messaggi in codice mafioso” il carosello notturno di ambulanze a sirene spiegate per festeggiare l’elezione a sindaco di Paestum di Franco Alfieri (in foto), l’uomo simbolo del patto delle fritture del governatore Vincenzo De Luca. Alla guida di una di queste ambulanze c’era Roberto Squecco, chiacchierato imprenditore monopolista delle pompe funebri e dei servizi di trasporto infermi, condannato in via definitiva per una tentata estorsione che lo inchioda alle sue collusioni col clan Marandino. Squecco esultava per la vittoria di Alfieri, al quale la sua ex moglie, Stefania Nobili, aveva portato in dote 348 preferenze. Ieri il Gip di Salerno ha messo in carcere Squecco, ai domiciliari Nobili e 8 persone al termine di una indagine della Dda guidata da Giuseppe Borrelli che ha contestato una raffica di reati finanziari e di riciclaggio e sequestrato le aziende di Squecco.

Vendée Globe, Giancarlo Pedote si gioca la vittoria

Il traguardo è sempre più vicino. Il Vendée Globe, il giro del mondo in barca a vela in solitario, senza scali, né tantomeno assistenza, sta vivendo l’ultima risalita con un verdetto ancora tutto da scrivere. In gara c’è anche l’italiano Giancarlo Pedote, skipper di Prysmian Group francobollato sul gruppo di testa fin dall’inizio della regata. In settima posizione con il suo Imoca 60, è il quinto italiano della storia a intraprendere questa spedizione di Magellano contemporanea e se la gioca con il tedesco Boris Herrmann e i francesi Charlie Dalin (attualmente davanti a tutti), Thomas Ruyant, Louis Burton, Yannick Bestaven e Damien Seguin. Proprio quest’ultimo è uno degli sfidanti più particolari: denominato “Mostro” per la mancanza della mano sinistra, è il primo disabile a competere nel Vendée Globe. La regata è iniziata l’8 novembre 2020 a Les Sables-d’Olonne, in Francia. E proprio lì si concluderà, salvo imprevisti, dopo 78 giorni in mare aperto. I velisti hanno passato Capo Verde, prossima tappa: le Azzorre.

In Fiera, V-day per 2mila volontari “dimenticati”

Una prova di vaccinazione di massa. È quella andata in scena venerdì e sabato scorso all’ospedale in Fiera di Milano, nel massimo riserbo. Due giorni durante i quali i sanitari del Policlinico, Croce rossa ed esercito hanno inoculato la prima dose di vaccino a oltre 2.300 volontari delle ambulanze di Milano. Una maxi-operazione svolta, però, senza troppa “pubblicità”. La Regione non ha scritto comunicati, non ha invitato i giornalisti né ha fatto circolare foto. Nonostante l’evento abbia rappresentato un unicum per dimensioni. Un inconsueto silenzio spiegabile, forse, col fatto che il V-day dei volontari potrebbe essere stato deciso per tappare una falla organizzativa: fino al weekend scorso, ad aver ricevuto il vaccino erano pochissimi operatori del soccorso.

In Lombardia, sono i singoli ospedali a gestire i vaccini dei dipendenti, ma i volontari delle associazioni non dipendono dagli ospedali. Sono enti autonomi coordinati e gestiti da Areu, l’Agenzia regionale di Emergenza e Urgenza, la quale non ha personale sanitario, quindi non può vaccinare come gli ospedali. Inoltre, nella città metropolitana di Milano, la densità delle strutture sanitarie è molto più alta rispetto alle altre province, così i volontari erano finiti in fondo alle liste. Per avere un’idea, mentre a Sondrio i primi volontari sono stati vaccinati il 3 gennaio, a Milano il 13: dieci giorni dopo. Per questo Areu ha optato per una vaccinazione a tappeto. Una decisione non pianificata, tanto che ancora oggi non è stata fissata la seconda data per il richiamo. Un’incertezza legata anche ai problemi, comuni a tutte le Regioni, di consegna delle dosi da parte di Pfizer.

Il coordinatore della campagna vaccinale Giacomo Lucchini ieri ha annunciato che la Regione dovrà “modificare la programmazione, rallentando le prime dosi per garantire i richiami. I ritardi nelle consegne sposteranno la fine della prima fase dal 28 febbraio all’11 marzo”. Slitteranno così le vaccinazione agli 80enni e ai malati cronici. Per il Pirellone, “questa settimana la Lombardia avrà 20mila dosi in meno che diventeranno 25mila la prossima e nessuna certezza su cosa succederà nelle successive”.

Intanto, è stata fissata per le 12 di oggi l’udienza del Tar del Lazio sul ricorso contro la zona rossa presentato da Attilio Fontana: la decisione è attesa entro sabato. Nel ricorso, 23 pagine, la Lombardia chiede di annullare l’ordinanza del ministro Roberto Speranza del 14 gennaio, il Dpcm del 14 gennaio, “e ogni altro atto ad essi presupposto, conseguente o comunque coordinato o connesso”. Come raccontato in questi giorni, per la Regione le misure che hanno relegato la Lombardia in zona rossa sarebbero state prese dal governo “illegittimamente” e “costituiscono un vulnus gravissimo (e ingiustificato) al tessuto economico, sociale e produttivo”. Tanto da originare “un pregiudizio irreparabile”, forse “non ristorabile”.

Scuola, il Tar dà torto a De Luca: riaprono 4ª e 5ª elementare

Si vede la luce nel buco nero Campania, dove il governatore Vincenzo De Luca ha sacrificato le scuole sin dai primi momenti dell’emergenza: una sentenza del Tribunale amministrativo regionale ieri ha stabilito che devono tornare in presenza elementari e medie. La quinta sezione del Tar della Campania ha accolto il ricorso presentato lunedì da genitori campani supportati dal team di medici e scienziati convogliati nel gruppo “Pillole di Ottimismo”, progetto senza scopo di lucro nato per diffondere le buone pratiche per una corretta divulgazione e informazione scientifica sul Covid-19. Dopo aver vintoanalogo ricorso in Lombardia, i ricorrenti, rappresentati dagli avvocati Luciano Butti, Giovanni Taddei Elmi, Silvia Brizzi e Attilio Balestreri, si sono appellati contro le limitazioni alle lezioni in presenza decise dalla Regione il 16 gennaio con il ritorno in classe solo fino alla terza elementare. “La sentenza ha riconosciuto quello che diciamo da tempo: la chiusura delle scuole non garantisce un effetto nella riduzione della pandemia e del suo controllo, ma ha effetti deleteri sulla salute dei ragazzi e in generale della società. Non è una questione di scelte tra chi tutelare, se i giovani o gli anziani, bensì di giustizia. Ci sono i protocolli, è possibile aprire in sicurezza. La scuola è un servizio essenziale” spiega Sara Gandini, epidemiologa e direttrice dell’area ricerca dell’Istituto europeo di oncologia. Le pubblicazioni su Pillole di Ottimismo, sue e del team di medici e scienziati di cui Paolo Spada è volto pubblico, forniscono ai ricorsi solide basi scientifiche. Proprio come nel caso di Napoli, dove l’analisi dell’andamento dei casi all’apertura e alla chiusura delle scuole e l’incidenza dei casi nella Regione mostra l’assenza di legami. “Il rischio zero non esiste – spiega ancora –. A guidare le scelte deve essere il principio del minor rischio possibile. E le scuole garantiscono controlli e responsabilizzazione. Anche alle superiori”.

Oggi tornano così in presenza quarta e quinta elementare visto che le scuole primarie “sono allo stato già aperte, sia pure per un numero limitato di studenti, e non richiedono misure ulteriori ai fini della riapertura totale” si legge nel dispositivo. Quanto alle scuole medie, “essendo invece necessarie attività propedeutiche alla materiale riapertura, di competenza dei singoli dirigenti scolastici”, l’accoglimento del ricorso “deve intendersi nel senso che non possa essere reiterata analoga ordinanza disponente ulteriore sospensione delle attività didattiche in presenza oltre il 24 gennaio 2021, e che incomba agli organi regionali impartire ogni disposizione necessaria o opportuna per consentire la riapertura delle scuole medie entro il 25 gennaio 2021, fatte salve le competenze dei sindaci e del dirigenti scolastici”. Qualsiasi altre dilazione, “purché di ragionevole e certa durata, potrebbe essere presa in considerazione solo quale misura determinata da specifiche e peculiari difficoltà operative locali, ma non potrebbe comunque essere giustificata come misura generalizzata”.

Sparita da mesi dal radar della discussione su aperture e chiusure, la scuola campana è di gran lunga quella che ha generato maggiore incertezza negli studenti per la Didattica a distanza. Si è spostata negli appartamenti spesso affollatissimi, ha raccontato qualche settimana fa la direttrice dell’Ufficio Scolastico Regionale Luisa Franzese, e solo quando è stato possibile. “Ci sono ragazzi che non hanno possibilità di avere i pc, luoghi dove la rete non arriva – ha spiegato – C’è un problema, bisogna dirlo, di status. Bisogna evitare che aumenti la dispersione scolastica che attanaglia la nostra Regione”. Già in condizioni normali, infatti, la Campania registra il 17% per cento di dispersione scolastica. La percentuale sale al 30 se si considerano le scuole superiori, a oggi completamente fuori dal dibattito.

“Vaccini, a febbraio solo il 36%”. A rischio 54 mila seconde dosi

Le Regioni daranno la priorità ai richiami perché non ci sono certezze sulle consegne del vaccino Pfizer/Biontech, il commissario straordinario Domenico Arcuri ha spiegato che potrebbero mancare le dosi per oltre 54 mila persone che hanno ricevuto la prima iniezione all’inizio della campagna, tre settimane fa. Il protocollo dice 21 giorni tra una somministrazione e l’altra, ma una settimana, dicono gli esperti, non cambia nulla. “Per la settimana del 18 gennaio 2021 – scrive l’ufficio del commissario –­ Pfizer ha operato unilateralmente e senza preavviso una sostanziale riduzione delle dosi (da 562.770 a 397.800, il 29% in meno), secondo una logica né anticipata né condivisa”.

I ritardi di Pfizer/Biontech, produttori del primo vaccino autorizzato, rallentano le operazioni: fino al 15 gennaio, data della comunicazione dei ritardi, in Italia erano state fatte da 60 mila a quasi 92 mila iniezioni al giorno, meglio della Germania; da allora siamo scesi a 58 mila, poi a 33 mila, proprio per accantonare le dosi per i richiami. Le prime somministrazioni, in alcune Regioni, potrebbero scendere a zero. Sarà colpito, se i ritardi proseguiranno, chi ha vaccinato di più.

Ieri il colosso americano Pfizer ha fatto sapere, senza assumere impegni, che ripristinerà le forniture e a febbraio recupererà, ma si fatica a crederci dopo questi giorni: secondo il commissario Arcuri “al 15 febbraio risulterebbe un consegna all’Italia di 3.885.570 dosi, pari al 45% dell’ordine iniziale” che sarebbe di 8,6 milioni entro marzo, ma arriva a 10,6 aggiungendo due delle 6 milioni di dosi aggiuntive negoziate dalla Commissione europea con consegna entro giugno, quindi è il 36%. Per completare la vaccinazione degli over 80 (4 milioni da aggiungere a 2 milioni tra operatori sanitari e residenze per anziani) che si voleva concludere entro marzo ne servono 12 milioni: non basterebbero le circa 3 milioni di dosi di Moderna, l’altro colosso Usa autorizzato. Il calendario dipende dal via libera dell’agenzia europea Ema per Astrazeneca, il cui vaccino già autorizzato in Gran Bretagna ha vari vantaggi (costa 1,78 euro anziché i 12 di Pfizer/Biontech e i 18 di Moderna, non ha bisogno di frigoriferi a meno 70 gradi) però potrebbe essere limitato alla popolazione sotto i 55 anni per la quale si è dimostrato più efficace (oltre il 90% contro il 60/70%). La decisione può arrivare il 29 gennaio. Per l’Italia sarebbero 40 milioni di dosi, 16 delle quali previste nel primo trimestre.

Il governo ha investito l’Avvocatura dello Stato della questione Pfizer. Dovrebbe partire una richiesta di diffida ad adempiere rivolta al giudice civile italiano, si valuta l’ipotesi di un esposto penale e si prepara un ricorso al tribunale di Bruxelles, competente per le controversie sui contratti negoziati dalla Commissione Ue e sui derivati accordi nazionali sulle consegne, che prevedono comunicazioni tempestive e uniformità nelle forniture. Non ci sono penali se non sulla violazione delle scadenze trimestrali, i contratti sono molto favorevoli ai produttori, ma il governo intende chiedere un provvedimento urgente. Pfizer sostiene l’esigenza di riadattare i suoi impianti di Puurs in Belgio ai maggiori volumi produttivi. Altri governi Ue potrebbero intraprendere azioni legali.

Rallenta infatti anche la Danimarca che era più avanti di tutti nel rapporto dosi somministrate/popolazione, come la Germania dove il popoloso Land del Nordreno-Vestaflia ha sospeso le vaccinazioni fino a fine mese. Pfizer, scrive ancora Arcuri, ha deciso “unilateralmente e senza preavviso come distribuire le minori dosi tra i singoli punti di somministrazione producendo un’ulteriore asimmetria tra le Regioni (da 0 a -60% di dosi consegnate)”, evidentemente solo in base alla propria logistica. Si elabora un piano di redistribuzione a favore di chi ha subito i tagli più importanti: Trento (-60%), Bolzano (-57%), Friuli-Venezia Giulia (-54%), Veneto (-54%), Emilia-Romagna (49%).

Ieri il bollettino riportava 13.571 nuovi positivi con 254 mila tamponi tra molecolari e antigenici (indice 4,85% in lieve aumento da lunedì, 14,7% sulle persone testate) e 524 morti, questi ultimi ancora sopra la media settimanale. Prosegue un lento calo nell’occupazione dei posti letto (-230 nei reparti ordinari, -26 nelle terapie intensive), ma anche ieri 152 persone sono entrate nelle rianimazioni (martedì 176).