A giudizio in un crac da 60 mln. E Solinas lo nomina liquidatore

A chi affidare la liquidazione dei debiti accumulati da Ats Sardegna – bad company nata dopo la riforma sanitaria varata da Christian Solinas a gennaio 2022, ma non ancora entrata in vigore –, se non a un commercialista rinviato a giudizio in un’inchiesta per una bancarotta milionaria? Se poi, quel professionista è anche il commercialista dell’imprenditore che ha versato al presidente sardo una caparra da 200 mila euro per l’acquisto di un rudere (che non si è mai finalizzato), ancora meglio. È la nuova puntata della serie “le nomine pazze del governatore Solinas”.

A essere designato liquidatore di Ats, venerdì, è stato Enrico Gaia, professionista cagliaritano già molto vicino al centrodestra, ma anche al centrosinistra e, ultimamente, a M5S (sponda Di Maio, col quale appare in molte foto dell’estate 2021).

Gaia è (meno) noto per il crac del gruppo di Alberto Scanu, l’ex presidente di Confindustria Sardegna, nonché ex ad della Sogaer (società di gestione dell’aeroporto di Cagliari), rinviato a giudizio il 21 giugno 2021 per una bancarotta da 60 milioni. A giudizio, con Scanu, è finito anche Gaia. A lui i pm contestano di non aver rilevato “un consistente buco contabile” da oltre 6 milioni nei bilanci della Casa di Cura Sant’Elena (Cagliari), della quale era stato sindaco dal 2002 al 2008. Intercettato, inoltre, secondo La Verità, sarebbe stato sorpreso a “consigliare” a un suo cliente di far emettere della false fatture dalla sua società di Belgrado e poi riportare il contante in Italia passando la frontiera con l’auto piena di denaro.

Ma Enrico Gaia è anche il commercialista di Roberto Zedda, l’imprenditore fornitore di Regione Sardegna che, come svelato dal Fatto, il 4 novembre 2020 aveva siglato un preliminare per l’acquisto da Solinas di un rudere a Capoterra per 550 mila euro (Solinas lo aveva pagato solo 40 mila). Per quell’affare, Zedda versò una caparra da 200 mila euro, impegnandosi a rogitare entro il 30 giugno 2021. Un rogito che, a oggi, non è mai stato fatto. Né risulta che Solinas abbia mai restituito la caparra. Presso lo studio di Gaia, in via Carloforte 60 a Cagliari, risultano infatti domiciliate tre società riconducibili a Zedda: Hotel Mercury Srl, Edil Costa Rei srl e Gestione Ristorazioni Sarde srl. Il trait d’union tra Solinas, Zedda e Gaia, è il braccio destro del governatore, il consigliere Nanni Lancioni, colui che ha spinto per la nomina del contabile alla guida di Ats.

La Juve si fa anticipare i ricavi per lucidare i conti (e fare mercato)

Dietro il deludente campionato della Juventus, che resta aggrappata al quarto posto solo per aver giocato due partite in più dell’Atalanta, c’è una nuova débacle dei conti. Anche quest’anno in profondo rosso, dopo la perdita più alta nella storia della società nel bilancio consolidato della scorsa stagione, quasi 210 milioni di euro al 30 giugno 2021.

Il presidente Andrea Agnelli giovedì 24 febbraio presenterà al cda i conti del primo semestre. Nei primi tre mesi (fino al 30 settembre) c’è stata una perdita di 64,7 milioni. Di positivo c’è la conclusione dell’aumento di capitale di 400 milioni, anche se va detto che 255 milioni li ha messi a disposizione la famiglia sabauda, attraverso Exor, la holding olandese guidata da John Elkann, cugino di Andrea. La ricapitalizzazione ha consentito di ridurre l’indebitamento monstre e di procurare i soldi per il calciomercato di gennaio. Il bilancio al 30 giugno 2021 dichiarava un indebitamento finanziario netto di 389 milioni. Una tabella che pochi hanno notato indicava un debito netto molto più alto, 515 milioni, calcolato secondo una “raccomandazione” dell’Esma, l’autorità europea dei mercati finanziari. Come mai questa differenza? All’assemblea del 29 ottobre il direttore finanziario della Juve (il terzo in meno di due anni) Stefano Cerrato ha detto al Sole 24 Ore: “L’Esma comprende anche dati di indebitamento non finanziario. Confermiamo il dato del bilancio”.

Cerrato ha spiegato ai soci che “l’indebitamento è rimasto stabile nel range di 390 milioni. Ha beneficiato di alcune operazioni, tra cui la cessione di crediti per circa 55 milioni”. La questione è stata chiusa lì. Ma andando a rileggere l’ultimo bilancio si scopre che la Juventus ha fatto in sordina una cessione di crediti da calciomercato per 55,16 milioni. Così ha incassato in anticipo i crediti derivanti dalla cessione di due giocatori, avvenuta il 29 giugno 2020, che sarebbero stati pagati solo negli anni successivi. Nella relazione finanziaria al 30 giugno 2021 “si segnala” un’operazione inusuale. Nel settembre 2020 è stata fatta la “cessione pro-soluto dei crediti non correnti vantati nei confronti della società Futbol Club Barcelona, per: 51,3 milioni relativi alla seconda, terza e quarta rata del corrispettivo per la cessione del calciatore Pjanic Miralem, aventi scadenza rispettivamente luglio 2021, luglio 2022 e luglio 2023; 3,864 milioni relativi alla terza e quarta rata del corrispettivo per la cessione del calciatore Pereira Da Silva Matheus, aventi scadenza luglio 2021 e gennaio 2022”. Entrambe le cessioni dei calciatori sono finite peraltro nell’inchiesta per plusvalenze della procura di Torino. La Juventus si è fatta anticipare la somma da una società di factoring (o da una banca). L’operazione è lecita. Però ha un effetto cosmetico: in questo modo si fa apparire l’indebitamento più basso di quello reale. L’effetto è di migliorare la liquidità, questo è utile per rispettare gli indici fissati dalla Figc per operare sul calciomercato. Si riducono però gli incassi futuri. Al 30 giugno 2021 la Juventus aveva uno sbilancio di 124 milioni tra debiti e crediti verso società di calcio che si aggiunge ai debiti finanziari.

Extra-profitti e gas esportato: il regalo all’Eni vale doppio

“Ci aspettiamo che i grandi produttori di energia condividano con la popolazione questi grandi aumenti dei prezzi. Come? Ci stiamo riflettendo”. Sono le parole usate venerdì dal presidente del Consiglio Mario Draghi presentando il decreto contro il caro bollette. Il governo però a tassare le energie rinnovabili non ci ha pensato un secondo e ha inserito tre settimane fa nel decreto Sostegni ter una norma che preleva circa 1,5 miliardi di euro dal settore delle rinnovabili.

L’iniquità sociale delle misure adottate sta anche nella mancata volontà di tassare gli enormi extra profitti che l’aumento del prezzo del gas ha generato a favore delle aziende che importano e distribuiscono gas nel nostro paese, in primis Eni. Il gruppo ha chiuso l’ultimo quadrimestre con un utile di 2 miliardi di euro (+3.870% sul 2020) segnando profitti per 4,7 miliardi per il 2021, mentre nel 2020 aveva registrato un rosso di 758 milioni.

Il punto è che mentre le piccole e medie imprese, gli artigiani e le famiglie sono in ginocchio per l’aumento del gas, le aziende energetiche italiane hanno incassato extra profitti miliardari grazie alla speculazione che si è generata sul prezzo. Nel 2021 l’aumento del prezzo del gas ha fatto realizzare 4 miliardi di extra profitti e per il 2022 la previsione arriva a 14 miliardi. Il prezzo del gas che importiamo dalla Russia è fissato da contratti pluriennali siglati anni fa almeno per oltre i due terzi e non con contratti spot. Un metro cubo è pagato a meno di 30 centesimi di euro e rivenduto con margini di extra profitto intorno ai 20-30 centesimi in più: il 2022 genererà sui circa 70 miliardi di metri cubi di gas importati un extra-profitto incredibile.

“Serve il gas nazionale” è stato lo slogan del ministro Roberto Cingolani, di Matteo Salvini e altri. Ma le aziende energetiche italiane vendono il gas italiano all’estero e secondo i dati del ministero dello Sviluppo l’Italia nel 2021, in piena crisi energetica, ha esportato gas all’estero per 1,5 miliardi di metri cubi con un aumento del 380%. Cingolani nel decreto ha inserito una norma per aumentare l’estrazione di gas dall’Adriatico e arrivare dai 3,2 miliardi mc attuali ai 5 con aumento di 1,8 miliardi di mc di gas mentre ne esportiamo 1,5. La norma sancisce che al fine di ridurre le emissioni climalteranti si autorizzano i titolari di concessione ad aumentare l’estrazione di gas che verrà poi venduto con contratti fino al 2031. Senza vergogna perché il metano è il gas più climalterante.

La politica energetica di questo paese non è fatta dal Parlamento, ma dall’Eni che nel decreto approvato venerdì scorso è riuscita a ottenere tutto: dallo stop alle tasse sugli extra-profitti, ai contratti a dieci anni sul gas nazionale, a nuove estrazioni e l’incentivazione per i biocarburanti che Eni gestisce nel Centro Africa. Cingolani che era andato alla Cop 26 di Glasgow a sottoscrivere accordi contro la deforestazione con le sue norme stimolerà l’uso di olio di palma, come deciso nel decreto Milleproroghe, che insieme ad altri bio-carburanti è tra i responsabili della drammatica distruzione delle foreste tropicali in Indonesia e Amazzonia. Nel decreto del governo, sulle energie rinnovabili non ci sono semplificazioni significative sui sistemi su scala industriale e i 110 GW di impianti da eolico e fotovoltaico continuano a essere bloccati (il consumo di picco giornaliero in Italia si aggira sui 55 GW).

La crisi Ucraina dovrebbe portarci a costruire un modello energetico che non dipenda dalle fonti fossili riducendo il costo dell’energia, lo smog e i consumi. Il governo Draghi sta andando nella direzione opposta e così non rispetteremo gli obiettivi sul clima del 2030, cioè avere il 72% di energie rinnovabili che ci consentirebbero di ridurre la bolletta elettrica di 40 miliardi.

*co-portavoce di Europa Verde

Agnelli&C. in festa: 4 mld tra sconto fiscale e incentivi

Certo, in un colpo solo l’erario incassa quasi un miliardo indebitamente sottratto alla collettività da Exor e Gianni Agnelli Bv, circa nove volte di più delle truffe sul Superbonus (130 milioni) su cui si è accalorato di recente Mario Draghi. Resta che per le holding della numerosa famiglia Agnelli si tratta, come vedremo, di poca cosa e che l’accordo col Fisco viene formalizzato solo nel giorno in cui il governo ufficializza una nuova iniezione di miliardi a vantaggio del settore auto, che segue le gentili richieste avanzate dall’ad di Stellantis Carlos Tavares per aiutare l’azienda (a non dire dei molti miliardi pubblici già versati alla fu Fiat dalla Repubblica italiana).

Ripartiamo dall’inizio. L’ultimo infortunio fiscale della famiglia Agnelli risale a fine 2016: è il momento in cui si realizza la fusione per incorporazione della vecchia Exor italiana nella sua nuova scatola olandese, ExorHolding NV, che controlla tutto il gruppo ex Fiat; anche la vecchia accomandita di famiglia si fa olandese prendendo il nome di Giovanni Agnelli BV. Nessun motivo fiscale, disse John Elkann, ma “l’85% del valore delle nostre società ha già sede in Olanda, semplicemente il contenitore segue il contenuto”. La fu Fiat, infatti, aveva già spostato la sede legale nei Paesi Bassi (la sede fiscale è a Londra) nel 2014, quando fu realizzata la fusione per incorporazione con Chrysler che creò Fca.

E qui la faccenda si fa bizzarra: entrambe le volte infatti ci si è scordati di pagare la “Exit tax” per chi sposta attività all’estero senza mantenere una stabile organizzazione in Italia. In sostanza, con alcune eccezioni, la ratio è che tutto il “guadagno” della vendita alla nuova società straniera concorra a formare il reddito dell’ultimo periodo d’imposta in Italia. Per la creazione di Fca, ad esempio, il Fisco contestò plusvalenze nascoste per oltre 5 miliardi e un mancato gettito di 1,3 miliardi: all’inizio del 2020 Fca accettò di pagare 730 milioni, con uno sconto di quasi il 50%, per chiudere la vicenda.

Venerdì, dopo “il contenuto”, pure “il contenitore” ha deciso di pagare: 746 milioni (104 di interessi) Exor e 203 milioni (28 di interessi) la Giovanni Agnelli BV, 949 milioni in tutto. Quanto sia stato l’eventuale sconto stavolta non si sa: al Fatto risulta che un preoccupato John Elkann si lamentò dell’accanimento dell’Agenzia delle Entrate anche con Mario Draghi nell’incontro del 20 gennaio scorso. Per dare un’idea delle cifre, basti dire che il bilancio Exor del 2017 (il primo olandese) riporta un aumento del patrimonio netto del 57%, pari a 5,4 miliardi di euro: la stessa società, nel comunicato di venerdì, ha fatto sapere di aver ritenuto – secondo una norma nota come Participation Exemption (PEX) – esenti da tasse al 95% le eventuali plusvalenze relative al valore delle partecipazioni della holding (Exor, pur pagando, “resta convinta di aver operato secondo le regole”). Lo sconto applicato dal Fisco stavolta potrebbe insomma essere superiore al 50%.

Si dirà: 950 milioni restano una bella cifretta. La risposta è: non per tutte le tasche. Per capirci, facciamo proprio il caso di Exor, holding quotata da 120 miliardi di ricavi consolidati: dopo un 2020 pesante, ha registrato 838 milioni di utile netto nel primo semestre 2021 e flirta coi due miliardi sull’intero anno. La multa con sconto (746 milioni) diminuirà del 40% o meno l’utile di un solo anno. Nel 2022, poi, si realizzerà la vendita del colosso assicurativo PartnerRe ai francesi di Covéa per 7,7 miliardi con plusvalenza attesa di circa 2,8 miliardi per Exor.

Ecco, se per andarsene le holding degli Agnelli pagano gli spicci di un valore creato in Italia, non sono spicci quelli che lo Stato ha dato e darà alle imprese di famiglia. È stato calcolato che solo in investimenti e incentivi diretti la fu Fiat è costata al contribuente italiano 6,3 miliardi di euro dal 1990 al 2012, cifra che arriva a 10 miliardi partendo dal Dopoguerra e nella quale non figurano cassa integrazione, mobilità, prepensionamenti e tutte le forme di supporto indiretto in cui l’azienda ha largheggiato e largheggia (e per obiettivi industriali e di occupazione sempre disattesi). E ora che c’è Stellantis arrivano nuovi sussidi: l’Italia non solo aiuterà con 370 milioni la costruzione della gigafactory per le batterie a Termoli, in Molise, ma ha stanziato 1 miliardo l’anno di incentivi all’acquisto di auto elettriche, ibride e pure endotermiche (proprio come chiesto dall’ad di Stellantis Tavares via CorSera il 19 gennaio, il giorno prima della visita di Elkann a Palazzo Chigi). Considerando che un terzo di quegli incentivi finiranno ad auto Stellantis (stima prudente), parliamo di 330 milioni di ogni anno fino al 2030: fanno tre miliardi solo dal governo Draghi.

Uccise agente nell’85 In manette l’ex Nar

La polizia slovena ha arrestato Fabrizio Dante, ex Nar condannato nel 2021 per l’omicidio di un agente della Polizia Stradale nell’85. All’epoca l’uomo, oggi 57enne, assalì insieme ad altri compagni un’auto delle forze dell’ordine, con lo scopo di procurarsi delle armi per conto dei militanti di destra, uccidendo l’agente scelto Giovanni Di Leonardo. Nel 2014 il caso, irrisolto, fu rispolverato dalla Digos, che riuscì a individuare in Dante uno dei componenti del commando. Da qui la condanna, e poi la fuga, dell’uomo, trovato in Slovenia grazie una sofisticata tecnologia di comparazione delle impronte digitali. Intanto, è stato avviato il procedimento per l’estradizione in Italia.

Assolto Cesaro (Sc), ex sottosegretario

Il tribunale di Roma ha assolto Antimo Cesaro, ex parlamentare di Scelta Civica, dall’accusa di falso ideologico. I fatti risalgono al 2016 quando Cesaro, all’epoca sottosegretario al Mibact (oggi ministero della Cultura), avrebbe fatto partecipare a una riunione un soggetto terzo non appartenente all’amministrazione, e che si rivelò in seguito essere il cognato di Cesaro. Secondo il pm, l’ex sottosegretario nascose al capo di gabinetto che si trattasse del fratello della moglie, escludendo poi che questi ricevesse dei compensi: di qui il reato di falso ideologico. Il Tribunale sottolinea come Cesaro, fornendo “il proprio contributo all’accertamento della verità”, “ha eliminato ogni ombra e opacità” sulla vicenda giudiziaria.

Cosche ad Anzio, Lega e Durigon difendono sindaco

Il sindaco di Anzio, Candido De Angelis, resta al suo posto. Il primo cittadino leghista ha deciso di non dimettersi nonostante l’inchiesta della Dda di Roma abbia acceso un faro importante sulle infiltrazioni della ’ndrangheta nel comune sul litorale a sud di Roma. De Angelis, infatti, non è indagato, ma dalle oltre 1300 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, che ha portato in carcere 63 persone, emergono “i rapporti” di alcuni indagati per associazione mafiosa “con il sindaco di Anzio” e con diversi consiglieri comunali. Non solo. I clan avrebbero anche offerto il loro “sostegno elettorale” nel 2018. Fonti della Prefettura di Roma hanno anticipato l’avvio dell’iter per lo scioglimento per infiltrazioni mafiose dei comuni di Anzio e Nettuno. Ieri però De Angelis ha dichiarato di aver “chiesto, telefonicamente e per iscritto, di conferire prima possibile con il Prefetto di Roma”, auspicando “anche l’eventuale istituzione di una commissione di accesso presso il Comune”. De Angelis si dice “pronto a dimostrare la correttezza degli atti adottati da questa Amministrazione”. Il sindaco leghista, ex senatore del Pdl, non è stato lasciato solo dal suo partito. Anzi. Ha ricevuto l’appoggio del coordinatore regionale del Lazio, l’ex sottosegretario Claudio Durigon, che dichiara: “Confidiamo che questa vicenda non comprometterà l’impegno del sindaco De Angelis nel segno della buona amministrazione”. Insomma, la Lega ad Anzio va avanti nonostante i sospetti di un sostegno elettorale mafioso (seppur non richiesto).

La Corte dei Conti: “4 vigili a leggere gli sms a De Luca”

La Corte dei Conti della Campania ha condannato Vincenzo De Luca a risarcire 59 mila euro per le indennità non dovute erogate a 4 vigili urbani del Comune di Salerno poi assunti nella segreteria del presidente della Regione. I giudici hanno ritenuto illegittimo l’aumento di stipendio riconosciuto ai vigili, pagati come membri della segreteria della presidenza malgrado facessero gli autisti. La Procura contabile aveva ipotizzato un danno erariale di oltre 403 mila euro. Nel febbraio del 2021 la Procura di Napoli aveva archiviato il parallelo procedimento penale avviato per abuso d’ufficio, falsità ideologica e truffa. Nella sentenza si legge che “il tentativo di dimostrare lo svolgimento in concreto di altre mansioni da parte dei quattro autisti (gestione telefonate, lettura posta elettronica e messaggi whatsapp, ecc.), di compiti e mansioni, in ogni caso, di scarsa complessità, non potrebbe giustificare l’attribuzione in loro favore dell’elevata prevista indennità”. Nel decreto di archiviazione penale, invece, il pm scriveva che i quattro facevano solo gli autisti.

E il monsignore molestatore va al convegno in Vaticano

“Non mi sono occupato delle iscrizioni e ripeto che monsignor Tony Anatrella non è stato invitato”. Replica irritato il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, a chi gli chiede il motivo della presenza del prete abusatore al simposio internazionale “Per una teologia fondamentale del sacerdozio” tenutosi in Vaticano e aperto da un lungo intervento di Papa Francesco. Monsignor Anatrella, come spiegano oltretevere, non è stato invitato al convegno né dalla Congregazione per i vescovi, né dagli organizzatori dell’evento, il Centro di ricerca e di antropologia delle vocazioni, ma si è semplicemente registrato come partecipante al simposio. Una presenza come la sua, però, doveva quantomeno essere vagliata e approvata e non banalmente ratificata visto il suo passato.

Anatrella, oggi 81enne, prete e psicanalista francese incardinato nell’arcidiocesi di Parigi, è stato sospeso dall’attività pastorale a seguito di un’inchiesta canonica. Per anni ha molestato sessualmente i suoi giovani pazienti gay che gli chiedevano aiuto per affrontare la loro omosessualità. Il sacerdote spiegava alle sue vittime che era questo il modo giusto per “guarirle”, instillando in loro anche la convinzione che l’omosessualità sia una malattia. Anatrella è anche noto per le sue campagne contro i diritti delle persone omosessuali. È arrivato perfino a sostenere che gli uomini gay allevano bambini violenti e a descrivere l’omosessualità come una “confusione di sesso e sentimenti”.

Una presenza, quella del prete abusatore, in totale contrasto con quello che il cardinale Ouellet ha affermato introducendo il simposio alla presenza del Papa: “Cosa ci si può attendere da una ‘teologia fondamentale del sacerdozio’ nell’attuale contesto storico, dominato dal dramma degli abusi sessuali perpetrati da chierici? Non bisognerebbe piuttosto astenersi dal parlare del sacerdozio, quando peccati e crimini di ministri indegni sono sulle prime pagine della stampa internazionale, per aver tradito il loro impegno o per aver vergognosamente coperto i colpevoli di simili depravazioni? Non bisognerebbe invece tacere, pentirsi e cercare le cause di tali misfatti?”.

Abusi, la chiesa va a processo (ma non in Italia)

“In ricordo dei due giorni trascorsi al freddo delle montagne” riportava la scritta aggiunta a mano sul poster regalo. Era un ricordo, un “dono”, per lasciare inciso nella mente, oltreché nel corpo, la data e il luogo dove tutto avvenne per la prima volta. “Ricordo quella camera, il letto singolo. E poi il dolore, il sangue… Il Don mi diceva di tenere il segreto, un segreto tra lui, me e Gesù”. Inizia così Mario, nome di fantasia, a raccontare davanti alle telecamere della Bbc per la prima volta la sua “schiavitù sessuale”. Quella che per 16 lunghissimi anni – dal 1996, quando lui di anni ne aveva otto – gli ha rubato l’anima. Il suo prete d’infanzia era l’allora parroco di Ceprano: Don Jean “Gianni” Bekiaris, ancora oggi sacerdote nella diocesi di Frosinone, nonostante sia stato considerato colpevole dal diritto canonico come dal Tribunale di Frosinone. Il pm aveva chiesto una condanna a sette anni di reclusione, ma il processo è finito nel 2019 perché per i reati accertati è scattata la prescrizione. “Quello che mi ha sconvolto di più – racconta il giornalista della Bbc Mark Lowen che ha firmato l’inchiesta – è pensare che Mario oggi potrebbe entrare in chiesa con suo figlio e ritrovarsi padre Bekiaris, il suo violentatore, a officiare messa: il prete è rimasto prete e pure nella stessa diocesi… Questo non potrebbe più avvenire in altri Paesi”. “Italy’s hidden sin: The true scale of clerical sex abuse in Italy” è il titolo dell’inchiesta durata oltre tre mesi che Lowen ha condotto in Italia, e che è andata in onda ieri sera sulla tv inglese. “C’è un pantano che irretisce i casi di abusi sessuali in Italia e priva i survivor come Mario di giustizia. Alcuni degli intervistati lo addebitano anche all’assenza di un vero e proprio movimento MeToo nel vostro Paese: sessismo e patriarcato sono ancora dominanti qui. E così manca quell’attenzione e quella spinta che altrove ha portato la Chiesa, come pure la società, a doversi occupare del tema dell’abuso sessuale compiuto dai preti. Anche quando il Pontefice è andato in tv, su questo tema non gli è stata rivolta nemmeno una domanda: è significativo…”.

Gli altri. In Francia la commissione Ciase ha stimato dal 1950 330mila vittime di pedofilia nella Chiesa, 216mila a opera di almeno 3.200 sacerdoti. In Germania, prima un vecchio rapporto aveva contato, dal 1946 al 2014, 1.670 sacerdoti abusatori e 3.677 minori vittime. Poi sono arrivati i numeri choc del report nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga, a cavallo degli anni 70-80. Quelli per cui lo stesso papa emerito Benedetto XVI, chiamato in causa per aver coperto i responsabili in almeno quattro casi, ha scritto di provare “profonda vergogna” e “sincera domanda di perdono”. In Spagna, dopo la pubblicazione di un’inchiesta alla Spotlight di El País (durata oltre tre anni e che ha portato alla luce oltre trecento casi di abusi degli ultimi 50 anni), è stata accettata la richiesta di tre partiti, Partito Socialista spagnolo in testa, di istituire la prima grande commissione d’inchiesta governativa sugli abusi sui minori commessi dal clero spagnolo.

La Spotlight italiana. In Italia, è tutto fermo. E anche la decisione su una commissione indipendente – già sollecitata diversi anni fa dalle Nazioni Unite – sembra essere rimandata per l’ennesima volta, almeno fino all’elezione del nuovo presidente della Cei a maggio. Così qualche giorno fa, il 15 febbraio, è nato il Coordinamento delle associazioni contro gli abusi nella Chiesa cattolica in Italia: sotto la sigla #ItalyChurchToo, si sono riunite Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, Donne per la Chiesa, Noi siamo Chiesa, Rete L’Abuso, Comitato vittime e famiglie, Voices of Faith, Comité de la Jupe, assieme alle due riviste Adista e Left. Perché “è ora di una Spotlight italiana”, come dice Francesco Zanardi, presidente di Rete L’Abuso. “L’Italia sembra essere su un altro pianeta… Siamo lontani anche dall’Europa. C’è una chiara mancanza di volontà da parte dello Stato italiano di interferire con la Chiesa, a spesa dei bambini. E c’è anche un problema culturale, in un Paese in cui oltre l’80% delle persone si definisce cattolico la Chiesa per molti resta un’autorità a cui mostrare deferenza, da non poter rimettere in discussione”.

Secondo dati non ufficiali, l’Italia è il secondo Paese al mondo per numero di accuse di abusi su minori perpetrati da sacerdoti. Si parla potenzialmente di un milione di vittime. Ma gli unici casi emersi sono quelli censiti da Zanardi: 360, negli ultimi 15 anni. Solo una punta dell’iceberg. Ne è da sempre convinto anche l’attivista irlandese Mark Vincent Healy, che, di fronte alla Commissione Onu per i diritti del fanciullo, ha presentato uno studio che ipotizza la dimensione del fenomeno in Italia, tenendo conto di quel 4% di preti pedofili stimato dal John Jay Report, la maggiore indagine sul tema condotta negli Usa. Percentuale confermata anche dal gesuita padre Hans Zollner, teologo e psicologo della Pontificia Università Gregoriana a cui papa Francesco ha affidato la prevenzione degli abusi sessuali nella Chiesa. In un’intervista alla Stampa, padre Zollner ha affermato: “Ormai il fenomeno è chiaro, nel mondo in ogni regione tra il 3 e il 5% dei preti è un abusatore. Abbiamo dei criminali fra noi. Per questo dobbiamo fare ancora dei passi in avanti per purificare la Chiesa”.

“Per la Chiesa italiana è arrivato il momento di avviare una commissione indipendente sugli abusi sessuali commessi dal clero”, dicono dal movimento #ItalyChurchToo. E respingono al mittente la proposta del cardinale Gualtiero Bassetti, presentata in un’intervista al Corriere: “Bassetti propone sostanzialmente la raccolta di dati in possesso delle diocesi, – spiega Zanardi – ma questa non può dirsi una commissione indipendente. Gli effetti della pedofilia all’interno della Chiesa sono moltiplicati proprio per effetto delle coperture garantite dalle gerarchie ecclesiastiche. Non mettiamo in dubbio la buona volontà di Papa Francesco, ma se in Italia i vescovi continuano a fare quello che vogliono non cambierà niente”. Anche lo Stato “è invitato a rimuovere tutti quegli ostacoli che impediscono lo svolgimento dei processi”, spiegano sempre dalla rete di associazioni. Un dato su tutti: da un’interrogazione del 2018 al Ministero della Giustizia, è emerso che su 162 condanne penali di sacerdoti, nelle carceri italiane ci fosse solo un solo prete detenuto per quei fatti. “Le Procure spesso lasciano cadere le denunce perché ormai prescritte, ma una vittima mediamente impiega anni prima di elaborare e spingersi a fare una segnalazione”, dice ancora Zanardi. “La prescrizione è in palese contraddizione con i trattati internazionali firmati dall’Italia a tutela dei minori”. Ed è proprio su questo punto che la rete anti abusi italiana ha chiesto l’intervento dell’Onu, perché faccia di nuovo pressione sull’Italia per istituire una commissione indipendente e per modificare la prescrizione. Ora quel fascicolo è in mano alle Nazioni Unite: “Prima di noi non c’era niente, e questo la dice lunga sul clima di omertà che avvolge il tema della pedofilia nella Chiesa nel nostro Paese”.