Il Potere Bianco fra i soldati: l’Fbi teme per Biden

“Rendo omaggio a lui come un martire morto a Berlino, fermo nel suo proposito di non capitolare. In memoria di un grande leader del popolo tedesco. Riposa in pace, führer”. Un ‘pensierino’ della sera affidato ai social non da un minorenne affascinato dal nazismo, ma da Shandon Simpson: quando lo ha scritto, qualche mese fa, era ancora un effettivo della Guardia Nazionale dell’Ohio. Oggi, Shandon non ne fa più parte, ma di certo rappresenta uno di quegli esempi che non fanno dormire sonni tranquilli all’Fbi e al Secret Service, in vista del giuramento del neo presidente Joe Biden, previsto domani. Non sono sereni, i federali, e il motivo è comprensibile: a Washington, per evitare ciò che è avvenuto il 5 gennaio a Capitol Hill, con l’assalto dei “patrioti” di Trump, sono stati chiamati 25.000 militari della Guardia Nazionale. Il loro compito è deterrente, tenere a distanza i Boogaloo o i Proud Boys che volessero passare alla storia come coloro che per la prima volta nella storia americana hanno impedito a un presidente di sedersi alla Casa Bianca. Ma, si chiedono all’Fbi: e se fra quei 25.000 vi fossero altri soldati come Shandon? Lui non era solo, su Telegram partecipava a un gruppo chiamato RapeWaffen Division dove si esaltava la violenza sessuale verso le poliziotte, e si definivano ‘traditrici’ le donne bianche che avevano avuto figli con uomini di altre razze. Su Twitter, Simpson cercava di reclutare altri suprematisti e non mancava di ricordare l’anniversario della morte di Adolf Hitler, il 30 aprile. Per correre ai ripari, Stephanie Beougher, portavoce della Guardia Nazionale dell’Ohio, nel giugno scorso, dopo l’allontanamento del riservista, ha detto: “Il razzismo e il pregiudizio non hanno posto nella nostra organizzazione”. Ma il sistema è in corto circuito per i cavilli: quasi un anno fa, a febbraio, alti ufficiali hanno testimoniato al Congresso che “la semplice appartenenza” a gruppi della supremazia bianca non è proibita, anche per chi è in servizio attivo. Il Dipartimento della Difesa dal 1996 proibisce ai soldati di “partecipare attivamente” alla suprematismo bianco e ad altri gruppi estremisti, conseguenza della strage del veterano del Golfo Timothy McVeigh a Oklahoma City. Per “partecipazione attiva” si intende prendere parte a manifestazioni o raccolte di fondi per un gruppo razzista, ma non essere un iscritto. Il problema, pensano in queste ore a Washington, è che il confine è labile e Simpson non è un caso isolato. Ethan P. Melzer era legato sia a RapeWaffen che al gruppo di estrema destra Order of Nine Angles (09A); a un certo punto, in missione all’estero, aveva pensato di fare una strage in caserma fra i suoi commilitoni.

Corwyn Storm Carver, anche lui allontanato dall’esercito, era in contatto non solo con O9A, ma anche con AtomWaffen Division, organizzazione neonazi a stelle e strisce. L’elenco potrebbe continuare: l’anno scorso due elementi della Guardia Nazionale della Georgia e dell’Alabama sono stati licenziati perché erano legati al Norse pagan group Ravensblood. A “Fortezza Washington”, gli alti ufficiali così come i federali sono preoccupati: perché se da un lato quei 25.000 riservisti della Guardia Nazionale dovrebbero servire a tenere alla larga i cattivi, sono loro i primi ad essere armati di tutto punto. I federali stanno controllando i profili di tutti i militari chiamati nella Capitale. Ryan McCarthy, ex forze speciali, oggi supervisore dell’Esercito, un paio di giorni fa all’Associated Press ha confermato di aver avvisato i comandanti di reparto di stare all’erta. Se da un lato McCarthy dice che fino a ora non sono suonati campanelli d’allarme, dall’altro all’AP ammette: “La domanda è: possiamo fidarci? Dobbiamo mettere in atto tutti i meccanismi per controllare a fondo questi militari, uomini e donne che sono stati coinvolti nell’operazione”. Non rincuora il fatto che fra gli assalitori di Capitol Hill, il 5 gennaio, c’erano diversi veterani. Fra loro, anche Jacob Fracker: un passato nella Marina, poliziotto di Rocky Mount, e membro della Guardia Nazionale della Virginia. Almeno fino a una settimana fa.

Le spese pazze di Napoletano al “Sole”: c’è pure il ferro da stiro

Persino l’acquisto di un ferro da stiro costato 70 euro. D’altronde il Sole 24 Ore gli rimborsava di tutto senza controlli, anche quando mancavano le pezze d’appoggio o quando gli acquisti erano fuori da ogni logica e dalle regole aziendali. Nei sei anni di direzione, Roberto Napoletano non si è fatto mancare niente: oltre allo stipendio annuale da 750 mila euro, dal 2011 al 2016 il giornale di Confindustria gli ha pagato a vario titolo un altro milione 872 mila euro, oltre 300 mila l’anno. La favolosa nota spese emerge tra centinaia di documenti depositati il 16 gennaio al Tribunale di Milano dalla Consob, parte civile nel processo contro Napoletano per false informazioni al mercato. Il giornalista è accusato di esser stato amministratore di fatto della società quotata e di aver contribuito a diffondere dati falsi insieme all’ex presidente Benito Benedini e all’ex Ad Donatella Treu, che hanno già patteggiato. Ma dai 150 gigabyte delle carte di Consob emergono anche altri dettagli degli anni folli del Sole.

Le spese di Napoletano/1.

Dall’assunzione dell’11 marzo 2011 alla sua messa in aspettativa del 13 marzo 2017, Napoletano ha fatto spese leggendarie. Quelle del biennio 2015-2016 sono state analizzate su richiesta del Sole dalla società PriceWaterHouse Cooper in un audit, datato 21 giugno 2017, chiamato “project Sunrise”. Casa in affitto in via Monti a Milano, comprese spese di pulizia, condominiali e bollette: 467mila euro. Due Mercedes classe E 220 con autista, una a Milano e una a Roma, che curiosamente talvolta venivano usate in contemporanea: 1 milione 370 mila euro dal 2011 al 2016. Altre due auto personali, una Audi S3 e una Bmw serie 2 decappottabile di cui non si conosce il nome dell’utilizzatore: 20.500 euro nel 2015-16. Centinaia di viaggi in aereo e treno in Italia e all’estero, sempre in business class, e poi hotel, ristoranti, libri.

Le spese “anomale”/2

L’audit indica spese “anomale” per 298 mila euro: 7.367 euro per richieste di rimborso non conformi alle procedure; 9.199 per spese con carta di credito aziendale senza giustificativi; 47.276 per viaggi in violazione delle procedure; 107.965 euro per beni e servizi previsti, come la casa e le auto, ma oltre i massimali; 65.578 per “beni e servizi non previsti da alcun contratto”, come i 51.600 euro per la pulizia della casa di via Monti a Milano, 12.998 per consegna giornali, 980 per consegna a domicilio dei regali di Natale. Tra le “anomalie” 80 pasti al ristorante (6.267 euro), 471 euro per 17 taxi “senza dettaglio del percorso”. Poi 23.301 euro dal 2013 al 2016 per spese con carta aziendale non rendicontate. Ancora, 3.345 euro in hotel di cui 705 per consumazioni in room service, frigobar, stireria, pay tv. I viaggi di Napoletano sono costati 109.857 euro di cui 47.276 “non in linea con le procedure aziendali”, come i 1.815 euro per tre notti all’hotel Mandarin Oriental di New York. In alcuni casi le prenotazioni arrivavano dall’email privata di Giusy Franzese, cronista economica del Messaggero e moglie di Napoletano. Il direttore si fece rimborsare 152 euro per accessori per iPad, 57 per marche da bollo e tagliandi Area C di Milano, 305 per cancelleria e 14 per biglietti della metro. Oltre ai 70 euro per un ferro da stiro.

La vicenda “Emc”

Un altro audit chiesto a Pwc, chiamato “Project Manhattan”, ha riguardato Mario Platero, ex corrispondente del Sole dagli Usa. La società Emc di New York è un’agenzia di informazione fondata nel 1982 e diretta da Platero. Il 15 maggio 2008 il Sole decide di acquistarla per una cifra ignota, ma Emc fu consolidata a bilancio solo nel 2016 con ricavi per 1,11 milioni di euro, spese per il personale di 258mila euro, costi per servizi per 755mila euro e una perdita di 142mila euro. Dal 2010 al 2016 Platero riceveva 132mila dollari l’anno da Emc, tra stipendio, rimborsi e altri bonus. Nel solo 2015 Platero effettuò spese “non inerenti al business di Emc” per 80 mila dollari e altri 40 mila nel 2016. Tra questi 18 mila per iscrizioni a club, 18 mila per l’auto aziendale, 127 mila per acquisti con carta aziendale e viaggi: a Virginia Beach, Antigua, Bahamas, Capalbio, Kerkyra, tutti spesati come “rappresentanza”. In una transazione senza contratto, Emc comprò software per 185mila euro da una società ucraina con sede in Scozia e conti bancari alla Norvik Banka di Riga. Platero ha lasciato il Sole nel 2017 e oggi scrive per Repubblica. Ma Emc non pagava solo lui: nel 2015 Marco Valsania, attuale corrispondente dagli Usa del Sole, è stato pagato 12 mila dollari e sua moglie Jill Goldsmith 24.600 per Italy24 e Review Italy.

La vicenda 24 Ore Cultura

Un terzo audit di Pwc (“Project Athena”) riguarda il buco da 6 milioni nel 2015 della società 24 Ore Cultura gestita da Natalina Costa, uscita nel 2016 e messa sotto azione di responsabilità dal Sole a ottobre 2017. Dalle email tra Costa e Iole Siena, dominus della società Arthemisia che forniva al Sole contenuti e servizi per mostre, emerge che 24 Ore Cultura faceva guadagnare Arthemisia anticipandole le sue quote di co-finanziamento delle mostre sotto forma di anticipi su servizi e curatele. Pwc stimava come “potenziale danno le risorse nette corrisposte ad Arthemisia per 1,8 milioni”. Uscita dal Sole, nel 2018 la Costa appariva a riunioni in rappresentanza di Iole Siena. L’audit analizza la convenzione del Sole con il Comune di Milano per il Museo delle Culture Mudec, priva di business plan e di analisi di redditività. Ma soprattutto l’assunzione datata 20 maggio 2015 come “responsabile web radio Mudec” a 8.572 euro al mese di Raffaella Votino, sorella di Isabella, portavoce dell’allora presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni. Secondo Pwc, da email tra Isabella Votino e l’allora ad del Sole Donatella Treu emerge “la logica dell’assunzione” con un “iter piuttosto anomalo” “chiaramente funzionale alla manifestazione Expo” e “la possibilità” che Votino “si configuri come un dipendente ‘fantasma’”.

Oltre un milione di colf è ancora “in nero”

In Italia c’è stato un boom di assunzioni durante il primo lockdown, anche grazie a una serie di bonus concessi dal governo e soprattutto alla sanatoria voluta dalla ministra Teresa Bellanova, eppure la gran parte delle lavoratrici domestiche in Italia resta in nero. Ogni dieci tra colf e badanti, sei sono irregolari, in pratica oltre un milione di posizioni che “sfuggono” all’Inps. Queste sono le stime di Domina, l’associazione dei datori di lavoro domestico, che si riferiscono al 2019 ma, a vedere le proiezioni, tutta la raffica di interventi a sostegno messi in campo in questi mesi non sembra aver spostato di molto gli equilibri.

Guardando i dati Istat, parliamo in assoluto del settore che crea più posti di lavoro “informali” e pur con una serie di condizioni favorevoli combinate nel corso del 2020 non ha compiuto passi da gigante e questo nonostante, per chi collabora nelle abitazioni private, esistano ancora i voucher, oggi chiamati Libretto Famiglia.

I lavoratori domestici nel nostro Paese sono in totale due milioni, ma solo 849 mila con regolare contratto. Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a due fenomeni. Il primo è la progressiva riduzione della percentuale di stranieri, passati dall’81% di otto anni fa al 70,3% di oggi. Il secondo è la diminuzione delle assunzioni regolari in generale: erano oltre un milione nel 2012 e nel 2019 ci siamo fermati abbondantemente sotto i 900 mila. Questa tendenza dovrebbe essere invertita nel 2020, ma – come detto – non in modo così netto. A marzo, primo mese con le restrizioni, le attivazioni di contratti sono state oltre 50 mila, con un aumento di oltre il 58% rispetto a marzo 2019. Tra febbraio e giugno, il saldo tra i rapporti avviati e quelli cessati segna un valore positivo di 18 mila. La quarantena nazionale ha imposto a molte famiglie di regolarizzare il lavoro perché altrimenti le colf e le badanti non avrebbero potuto giustificare l’uscita di casa. Accanto a questo aumento nelle assunzioni, sono volate le richieste di Libretto Famiglia, moltiplicate di venti volte rispetto all’anno precedente sulla spinta del bonus baby sitter. Una necessità che si è manifestata soprattutto per la chiusura delle scuole, mentre molti genitori erano comunque costretti ad andare al lavoro per le attività ritenute essenziali.

A giugno, quindi, è arrivata la sanatoria. Un provvedimento che in realtà, nell’idea originaria di Teresa Bellanova, doveva soprattutto servire per far venire a galla i rapporti di lavoro illegali nell’agricoltura e allo stesso tempo fornire manodopera nei campi. Come prevedibile, però, l’intervento ha avvantaggiato soprattutto il mondo del lavoro domestico: le domande presentate per colf e badanti sono state 177 mila e non è detto che siano tutte genuine. Una cifra certamente importante, ma comunque limitata rispetto al totale delle lavoratrici in nero.

Dunque, se da un lato la spesa delle famiglie che fanno tutto in regola permette allo Stato di risparmiare quasi 11 miliardi che dovrebbe altrimenti investire in assistenza, la così diffusa tendenza al nero sottrae oltre 2 miliardi attraverso il mancato gettito fiscale. E soprattutto costringe queste lavoratrici a non avere diritti né a potersi aspettare di raggiungere una buona pensione. Secondo Lorenzo Gasparrini, segretario generale Domina, permettere la deducibilità delle spese potrebbe aiutare a combattere l’irregolarità.

Aiuti ai bar e ai ristoranti: il 6,5% degli incassi persi

Quasi 2,5 miliardi di ristori contro una perdita di fatturato da 38 miliardi solo nel 2020, il 6,5% dei ricavi persi. Numeri alla mano, ieri la Federazione italiana pubblici esercizi (FIPE) si è presentata al ministero dello Sviluppo per chiedere certezze e un piano programmato di riapertura per ristoranti, bar e ogni sorta di pubblico esercizio. Un progetto serio per arginare la crescente insofferenza delle aziende del settore, che il 15 gennaio è stato protagonista della protesta contro le regole del governo, #IoApro, cui ha aderito un manipolo di “ristoratori ribelli”. Ma anche la risposta indiretta a chi, come l’ex premier e senatore a vita Mario Monti, ha chiesto al governo Conte di non concedere ristori a tutti, bensì solo alle imprese che hanno reali possibilità di svilupparsi dopo la pandemia.

Non si tratta di argomento da poco nelle ore in cui si decide come utilizzare il denaro pubblico (32 miliardi di maggior deficit per mobilitare 50 miliardi di risorse) per rilanciare il Paese. Ma di un tema centrale visto che le imprese della ristorazione e dei pubblici esercizi sono state fra le prime ad abbassare le serrande causa Covid-19. Certo le aziende del settore sono anche quelle che hanno avuto di più rispetto ai ristori destinati al commercio al dettaglio (1,3 miliardi) o a quello all’ingrosso (755 milioni), agli alloggi (518 milioni) o ai servizi per la persona (313 milioni). Ma ancora siamo lontani da cifre che possano compensare la drammatica flessione del giro d’affari.

“Nel 2020 le misure di contenimento dell’epidemia di Covid-19 e i conseguenti mutamenti della domanda hanno determinato un calo senza precedenti del fatturato del settore con variazioni negative che hanno toccato il picco del -64,2% nel secondo semestre e oltre il 50% nel IV trimestre – spiega la FIPE nella nota presentata al ministro Stefano Patuanelli –. Ci sono aree del Paese, in particolare alcuni grandi centri urbani vocati al turismo internazionale, dove la perdita di fatturato ha raggiunto anche l’80%”. Secondo la FIPE, fin dall’inizio del lockdown, ristoranti e bar hanno cumulato 160 giorni di chiusura formale, mentre ci sono attività come discoteche, catering o sale da gioco che di fatto sono chiuse da un anno. “Con questi numeri è del tutto evidente che realtà, spesso di piccola dimensione, non sono in grado di sopravvivere”, sostiene l’associazione di categoria che ricorda come nel 2020 hanno cessato l’attività 16.900 imprese e il saldo tra aperture e chiusure è stato negativo per 9.232 unità. È del tutto evidente che il bilancio sarebbe stato ancora più drammatico senza gli interventi di ristoro e il credito d’imposta del 60% per i canoni di locazione degli immobili ad uso commerciale (da marzo a giugno e da ottobre a dicembre) e del 30% per l’affitto ramo di azienda. Con tutte le conseguenze del caso per un comparto che ha finora assorbito 450 milioni di ore di cassa integrazione.

Il peggio peraltro non è ancora alle spalle. Di qui la richiesta della FIPE di “un contributo a fondo perduto” non parametrato sulla perdita di fatturato fra aprile 2019-2020, ma “su base annua e destinato a chi abbia registrato una perdita del giro d’affari dell’anno 2020 di almeno il 20% rispetto al 2019, a prescindere dai limiti di fatturato”. Una simile soluzione permetterebbe di “recuperare” anche le imprese che avevano avviato l’attività con relativi investimenti, appena prima dell’inizio dell’emergenza. Inutile dire che l’obiettivo del settore è ripartire in sicurezza. A pranzo come a cena, “perché mentre le piccole e medie imprese italiane soffrono, i giganti stranieri della ristorazione con consegna a domicilio stanno facendo grassi affari – ha spiegato Paolo Bianchini, presidente del Movimento Imprese Ospitalità (MIO) – Anche perché qui in ballo c’è la tenuta psicologica del settore, oltre a quella economica. Con il rischio di tensioni sociali dietro l’angolo”.

Cosa assume Eleonora No-Vax?

“Non esiste alcuna pan-demos, ma è in atto il progetto transumanista che ha bisogno di creare false flag per portare l’umanità ad accedere nella nuova realtà computerizzata quantistica dove il gregge sarà diventato pila per far vivere la realtà informatica mentre il corpo biologico sarà stato retroevoluto mediante i retrovirus iniettati con le vacci-nazioni”.

Troppo presi dal dibattito Conte-Renzi, abbiamo trascurato il pericolo che il gregge diventi pila. Io avevo avuto qualche sospetto sui retrovirus iniettati con le vacci-nazioni, ma lo confesso, avevo sottovalutato il rischio. E ora Eleonora Brigliadori è di nuovo sola nella sua battaglia No-Vax. Niente vaccino contro il Covid, come niente chemio contro il cancro. Perché è il vaccino che fa venire il Covid ed è la chemio che uccide. Eleonora inonda il suo account Facebook di post inquietanti, accuratamente privi di virgole e di punti, come ha sempre fatto da quando ha smesso di essere la bellissima annunciatrice rossa e capellona che, come ha raccontato, “è morta”, uccisa da lei stessa per risorgere immediatamente col nome di Aaron Noel. “L’Europa crollerà sotto il dominio delle potenze arimaniche”. ”Dentro il vaccino ci sono le cellule defedate dell’Hiv”. Eleonora ne è sicura: dentro il vaccino c’è anche Satana. Ma scorrendo il suo profilo Facebook non si riesce a capire se continua a bere la sua pipì, come annunciò al Maurizio Costanzo Show, e se celebra ancora riti sacri come quello durante il quale picchiò Nadia Toffa. Di sicuro c’è che nulla la ferma. Nemmeno i commenti ai suoi post, crudeli come sanno essere nei social. “Signora, con tutto il rispetto, si faccia vedere da uno bravo. Lei sta male”. Oppure: “Avresti bisogno almeno di un neurone”. Fino al classico: “Ci dica il nome del suo pusher: è roba veramente buona”.

Qualcuno sostiene che si doveva capire da tempo, da quando il 16 settembre 1982, da brava Signorina Buonasera, annunciò ai telespettatori che stava per andare in onda una puntata di Dallas e che, di lì a poco, lei si sarebbe sposata.

Mail box

 

Qualche appunto sui manoscritti di Verga

Ho letto sul Fatto Quotidiano l’articolo, a firma Vincenzo Bisbiglia, intitolato “Sequestro di Malavoglia e di altri inediti di Verga”. Qualcuno ha ricevuto roba nel 1928, ma non tutto; la stessa persona, dopo la sentenza del 1975, ha restituito, ma non tutto; e chi ha avuto i soldi ha dato, ma non tutto… Intanto il tesoro verghiano, recuperato, dopo più di 90 anni di mala conservazione rischia l’estinzione. Non si possono far carico alla figlia di Perroni colpe di cui fu responsabile il padre (e l’ambiente e il costume che pem1ea le patrie lettere nostrane); la sua responsabilità è nel cercare una casa d’aste anziché avvertire chi di dovere. Ma perché edulcorare il tutto mascherando e distorcendo i fatti? Mettendo in luce questi potremmo pure riconoscere, come attenuante, che la scelta dell’erede Perroni non è dissimile da quella della triade formata da suo padre, dagli eredi Verga e, direi anche, dalla contessa di Sordevolo, nonché dall’editore Mondadori, spinti tutti, in diverso grado, dalla stessa molla biologico-culturale, che è il complesso della roba, ossia l’universale assillo degli umani mostrato nelle sue opere dal Padre del Verismo.

Paolo Anelli

 

Ho calcolato i morti di Covid in Sardegna

Spaventato dalle notizie dei media, mi rifugiai nel mio bunker di Puntaldia Sardegna, allontanandomi da figli, nipoti e amici di Milano. Aiutato dalla serenità di Puntaldia, ho fatto un’analisi statistica della guerra contro il virus. Nel 2020 abbiamo perso 206 conterranei al giorno che corrisponde a circa 76 mila conterranei all’anno. Poiché muoiono 600 mila italiani ogni anno (fonte Istat), il virus ci ha portato via circa il 13% in più. Cioè ogni 100 morti “dovuti” il virus ne ha presi altri 13. A me sembra una cosa grave, ma non giustifica il clima di terrore che stanno diffondendo i nostri politici e i giornalisti.

Benedetto Altieri

 

Una strana sindrome ha colpito l’Innominabile

La comunità scientifica si chiede quale sia il disturbo che ha spinto Renzi ad aprire la crisi di governo. Alcuni specialisti propendono per la “sindrome di Sansone”. Ma la maggioranza degli scienziati ritiene che la “sindrome di Giulio Cesare” corrisponda di più alla personalità del Bomba: “Meglio essere primo in un villaggio (Rignano) che secondo a Roma”.

Maurizio Burattini

 

Bravi tutti per le reazioni non violente sul Bomba

Sono molto contento di aver letto sul Fatto tutte quelle reazioni intelligenti e non violente in risposta alla rottura di Renzi. Un esempio di presenza dei cittadini. Mi auguro che domani vada tutto bene. Voglio Conte!

Roberto Calò

 

Il Pd è irriconoscente verso il premier e i 5S

Il Pd invece di ringraziare sia il M5s sia Conte che li hanno tolti dalla melma, ricomincia a pretendere benefici e tornaconti per loro stessi, pensando a Renzi invece che al Paese.

Pier Paolo Covello

 

L’acuto di Montezemolo ospite da Gramellini

L’altra sera ho assistito all’apparizione di Montezemolo che, davanti all’ammiccante Gramellini e al devoto Giannini, recitava ricette di buona economia e nel finale ha più o meno aggiunto: “Vorrei dire una cosa importante che spesso si dimentica, ricordiamoci le disuguaglianze e i cambiamenti climatici”. E ‘sticazzi non ce lo mettiamo?

Cosimo Grieco

 

DIRITTO DI REPLICA

In merito all’articolo “Aifa: Anche qui sperimentazione dei monoclonali”, a firma Thomas Mackinson, pubblicato sabato 16 gennaio 2021, sono costretta ad alcune precisazioni: 1) Non è corretto affermare che Aifa ha approvato la ricerca sui monoclonali. Aifa ha invece pubblicato un bando per uno studio randomizzato comparativo. 2) È falso che Eli Lilly abbia offerto gratuitamente all’Italia la possibilità di sperimentare 10mila flaconi del suo monoclonale. Come Aifa ha già avuto modo di chiarire in una precedente lettera, non è stata mai ricevuta da parte di Eli Lilly una proposta per diecimila dosi gratuite. 3) Si ritiene che i monoclonali non rappresentino ancora uno standard di cura sulla base delle evidenze disponibili che hanno messo in luce l’assenza di beneficio nei pazienti gravi e un ruolo da definire nei pazienti lievi. 4) Per accuratezza dell’informazione, ricordo che il Dg di Aifa si chiama Nicola Magrini e non Bruno Magrini.

Luisa Cordova, Capo ufficio stampa AIFA

 

1) Il Presidente di Aifa, Giorgio Palù, come correttamente riportato nell’articolo, ha annunciato così la decisione: “Anche l’Italia partirà con un progetto di ricerca sugli anticorpi monoclonali”. E infatti il problema è proprio questo: mesi di inerzia su una terapia salva-vita, ma in Italia siamo ancora al “bando per lo studio randomizzato”. Perché?

2) Che la multinazionale fosse disposta a sostenere i costi di un trial clinico programmato esistono testimonianze dirette e prove documentali. Se tale proposta non è poi stata “formalizzata” ad Aifa è proprio perché Aifa l’ha lasciata cadere nel vuoto (fino ad ora). Chi si assume la responsabilità della decisione di fronte ai pazienti italiani?

3) Nicola e non Bruno, è l’unica precisazione improntata a verità condivisibile.

Thomas Mackinson

Strage di Viareggio. Risparmiare sulla sicurezza ha portato al disastro

Sono un umarell di quasi 60 anni, non laureato ma con una forte sensibilità alle ingiustizie. Anche quando toccano persone che non avrei mai pensato di difendere, come Moretti, che non è mai rientrato tra le mie simpatie, anzi. Mi domando cosa avrebbe dovuto fare Moretti per non andare a processo. Mi è sembrato che qualche anno fa un pm avesse affermato che si dovrebbero far percorrere a questi treni itinerari che attraversassero il meno possibile centri abitati. Me lo sono certamente sognato, perché lo scopo della ferrovia tradizionale è quello di congiungere le città e i paesi, non di evitarli. Non tutte le disgrazie dovrebbero avere obbligatoriamente un colpevole. Il carro della tragedia era privato, austriaco e con manutenzione effettuata in Germania (sempre se non sbaglio). Quindi, se esistono responsabili, questi vanno ricercati a quel livello.

Daniele Meneghini

 

Gentile Daniele, partiamo intanto da un dato: i 32 omicidi colposi della strage di Viareggio sono andati prescritti. Quelle persone sono morte nelle loro case, bruciate, per effetto di un disastro ferroviario. Non è degno di un Paese civile non riuscire a dare giustizia su un fatto così grave. Quanto a Moretti, gli va riconosciuto, di aver rinunciato alla prescrizione e per questo ora sarà l’unico imputato a subire un nuovo processo per quel reato. Non sono sicuro di poterle rispondere (cosa avrebbe dovuto fare), ma posso provare a riassumere perché è finito a processo ed è stato condannato in primo e secondo grado. La velocità di quel treno, che lei menziona, è solo un aspetto del grande tema della sicurezza. Tutti i treni passano dai centri abitati, ma non tutti trasportano gas che in caso di incidente può esplodere. Ci sono norme di sicurezza previste per legge che per i giudici venivano sistematicamente disattese. Non solo sul piano della velocità. C’è poi la questione della manutenzione. L’incidente è scaturito dalla rottura di un assile, il perno che univa le ruote di una carrozza. Era arrugginito, ma invece di sostituirlo, la ditta incaricata della manutenzione lo riverniciò. A processo non c’è solo Moretti, ma tutta una filiera. Il punto è che secondo i magistrati, affittare carri vecchi da Paesi esteri costava meno. E risparmiare sulla sicurezza ha portato al disastro. Strategie che, secondo i pm, venivano decise dai vertici.

Marco Grasso

Lello, Merlo, Martelli e Fattori: in Senato Conte appeso a loro

Oggi avrà verosimilmente luogo il massacro. Larga parte di media ed establishment spera che Renzi faccia saltare tutto, e questo dice già da solo come siamo messi. Le previsioni dicono che Conte non ha chance di arrivare alla maggioranza assoluta (161 senatori) e che per avere la maggioranza relativa (più “sì” che “no”) deve sperare che i renziani si astengano. In quest’ultimo caso, però, Renzi rilancerebbe la posta e direbbe agli ex “alleati” (si fa per dire) che senza di lui non hanno i numeri. Quindi: se va bene sarà carneficina, se va male sarà Renzi.

Un ruolo chiave lo avranno transfughi e Gruppo Misto. Tipo loro.

Elena Fattori. Ex M5S. È stata una delle firmatarie del referendum salva-poltrone contro il taglio dei parlamentari. Non voleva l’accordo con Salvini ed è passata a Liberi e Uguali. Dunque dovrebbe essere ora una delle “costruttrici” più convinte. Invece no: la danno per “dubbiosa”. Cominciamo bene.

Carlo Martelli. Ex M5S. I suoi lineamenti rimandano, non senza una qual grazia, un po’ ai Visitors e un po’ a Nosferatu. La sua dote migliore pare essere il cognome, “Martelli”, lo stesso di uno dei personaggi più riusciti di Saranno Famosi (lui, però, si chiamava Bruno). Ridicolizzato oltremodo dalle Iene per il caso Rimborsopoli, scoppiato giusto poco prima del voto del 2018, ormai era in lista e pure blindato. Quindi è stato eletto senatore M5S, ma non era più M5S. Ora, con quel suo sguardo gioiosamente spiritato, fa parte di un imprecisato soggetto politico fondato da un imprecisato filosofo: che carriera sfolgorante! Ha già detto che voterà contro Conte. Ah: indossa sempre raggelanti sandali, si presume per aumentare il parossismo di mestizia.

Matteo Richetti. Renziano della prima ora, poi no, poi sì (giusto per metterci la faccia sulla Waterloo del 4 dicembre 2016). In Senato sta con la Bonino, sui social e nel mondo reale con Calenda. Evidentemente ama molto la nicchia. E ancor più l’evanescenza. Voterà “no”.

Gregorio De Falco. L’eroico capitano, ex M5S e ora Bonino, non ha ancora fatto sapere se voterà “sì” o “no”. Più la prima, come parrebbe naturale. Ma in questa situazione, ahinoi, di naturale non c’è proprio nulla.

Mario Michele Giarrusso. Vi voglio troppo bene per farvi perdere tempo con uno così, dai.

Sandra Lonardo. Ex Forza Italia, ora Misto. Moglie di Mastella. Voterà “sì” con entusiasmo (?).

Gaetano Quagliariello. Purtroppo ce lo ricordiamo tutti. Insieme a Paolo Romani, viene dato come protagonista del soccorso azzurro (?) di Conte.

Alfonso “Lello” Ciampolillo. Ex M5S, espulso nel gennaio 2020 al termine dell’istruttoria sui mancati rimborsi. Animalista, vegano, pro cannabis legalizzata, negazionista sull’epidemia della Xylella. Pare voterà “no”. Daje.

Ricardo Antonio Merlo. Il nome è da terzino irrisolto dell’Avellino negli anni Ottanta, la storia è quella di un sottosegretario del Conte-2 in quota Maie. Voterà “sì”.

Raffaele Fantetti. Un passato con Forza Italia (già senatore nel 2008, anzi nel 2010 quando subentra a Nicola Di Girolamo). Eletto di nuovo a Palazzo Madama col centrodestra, firma pure lui per il referendum contro il taglio dei parlamentari. Rimane quindi folgorato sulla via di Conte, entra nel Maie e adesso opera – dicono – in prima persona a favore di una Lista Conte. Boh.

Silvia Gelsomina Vono. Ex M5S. Oggi Italia Viva. Ma ha anche dei difetti.

Siamo anche in mano a gente così. E io già quasi rimpiango il 2020.

 

Dal Mes al reddito e “Quota 100”: non sbaglia modi, ma contenuti

Caro direttore, Renzi ha ragione? Al netto del fatto che da capo maschio del “primo partito femminista” convochi la stampa per annunciare le dimissioni delle sue ministre (hanno scoperto di avere un ministero a tutele crescenti) e rimproveri a Conte di non rispettare il Senato che voleva abolire e governare su Facebook dove Matteo risponde e “non chiedo poltrone per Italia Viva” (deve prima sistemare i renziani rimasti del Pd), ma vuole fare un altro governo col 2% e apra la crisi in pandemia e magari lo faccia perché ha più interessi in Qatar e negli Usa che in Italia. Venendo al merito dei provvedimenti che critica, ha ragione? Il primo, è il Reddito di cittadinanza. Non ha cancellato la povertà come prometteva Di Maio, perché esclude dai beneficiari molti tra i più poveri, ma ha ridotto per la prima volta – rileva l’Istat – il numero di persone in povertà assoluta. Renzi chiede dunque di estendere la platea dei beneficiari? No, di cancellarla. Anche se l’Inps rimarca “il ruolo essenziale svolto durante la crisi dalla misura di contrasto alla povertà della quale solo l’Italia era sprovvista”. Ha ragione Renzi? Si stava meglio con più poveri costretti ad accettare paghe infime a nero o camuffate da rimborso spese per uno stage? Forse starebbero meglio gli imprenditori senza scrupoli che si arricchiscono sfruttando i lavoratori ricattabili ma, alla lunga, conviene produrre in un Paese di sottopagati che non possono fare spese? No, infatti, gli imprenditori scappano all’estero sia a produrre che a vendere. Veniamo al Mes. “È vantaggioso e necessario”, dice Renzi. Ha ragione? Per non citare fonti euroscettiche e trasformare lo scontro nella caricatura europeisti illuminati contro sovranisti oscurantisti, rimando a quanto osserva il think tank europeista Jacques Delors, che definisce il Mes “Inutile e inadeguato”. Aggiungo: se è così vantaggioso e necessario, perché nessun altro Paese europeo lo ha richiesto? Nel mirino di Renzi c’è poi Quota 100. Renzi non chiede di migliorare il provvedimento, riducendo l’età pensionabile di tutti e non solo dei pochi fortunati della lotteria-Salvini. Chiede di non rinnovarlo e lasciare la riforma Fornero intatta come l’ha lasciata intatta Salvini. Ha ragione? È sensato, nel Paese con il più alto tasso di disoccupazione giovanile, mandare in pensione più tardi i vecchi? Per mesi Renzi ha ricevuto i complimenti di Salvini, le pacche dei berlusconiani, gli incitamenti di tanti esponenti Pd. Li accomuna l’aver sponsorizzato l’austerità (Lega, Forza Italia, Pd hanno votato a favore del Pareggio di bilancio in Costituzione) e la riduzione dei salari, conseguenza automatica della ricattabilità dei lavoratori. Renzi dice di aver realizzato un sogno, ma era quello di Berlusconi: eliminare l’art. 18, prima con la Legge Fornero votata dal Pd di Bersani e da Forza Italia e poi con il Jobs Act. Nessuno dei provvedimenti che hanno precarizzato il lavoro è dunque nel mirino di Renzi o di qualunque forza parlamentare, salvo poi stupirsi che anche durante la crisi-Covid, i poveri siano diventati più poveri e i ricchi più ricchi. Far cadere un governo che si ritiene inadeguato non è da irresponsabili e lo spauracchio del centrodestra non può essere il collante di un governo di centrosinistra, soprattutto se guidato dal presidente di un governo di centrodestra. Non paragonerei Renzi all’allora segretario di Rifondazione Bertinotti. Ricorda più Mastella, che fece cadere Prodi perché i giudici indagarono sua moglie. Bertinotti andò allo scontro perché Prodi si oppose alla settimana lavorativa di 35 ore, approvata in Francia. Quanti disoccupati in meno ci sarebbero se avessimo approvato quella riforma? In Francia, in tre anni, i posti di lavoro netti generati dal provvedimento sono stati 350mila, con un tasso di occupazione salito del 3,4%. Renzi non sbaglia modi e tempi, sbaglia i contenuti.

 

Renzi è un simil Trickster, un Willy il coyote antico

L’esecrazione, in Italia e all’estero, per l’iniziativa di Renzi (non nuovo peraltro a manovre pseudo-astute che poi suscitano danni soprattutto a lui) si accompagna con un interrogativo pressante: ma in quale tipologia, umana o men che umana, si può inquadrare un soggetto del genere?

L’etnologia e la storia delle religioni forniscono una risposta: siamo di fronte a un Trickster. Qui nascerà per molti un nuovo interrogativo: chi diavolo è un Trickster? È un termine che significa fondamentalmente “mistificatore”, “imbroglione” (e qui cominciamo a capire), e che si applica a una vasta gamma di figure mitiche presenti in contesti diversi e in epoche diverse. Essenzialmente è un briccone o una mosca cocchiera, oscillante fra astuzie e dabbenaggine e talvolta vittima di situazioni da lui stesso create: in qualche caso compie grandi imprese, o collabora con l’azione creatrice dell’Essere Supremo ma poi se ne dissocia, introducendo nel mondo la morte e morendo lui stesso. Questa è la vicenda, per esempio, del Coyote dei nativi americani californiani Wintu. Diverso il caso di un altro Coyote, quello dei nativi del Plateau di nord-ovest: si accoppia con le mogli del figlio assente, e al suo ritorno viene gettato in un torrente. Mancano le prove che Chuck Jones e Michael Maltese, creatori del cartoon Willy il Coyote e Beep Beep, si fossero ispirati al Trickster (si pensa, invece, a Mark Twain), anche se quello sfrenato autolesionismo potrebbe farlo credere.

Non solo America. È un Trickster anche Bamapama il Pazzo, protagonista di un mito australiano ambientato “nel tempo del sogno”. Appartiene a un popolo che vive sottoterra, nel cui ambito pratica l’antropofagia e l’incesto. È anche orrido alla vista, e ha la bocca in cima al cranio, ma nel suo disordinato attivismo finisce per portare la sua gente dalle tenebre sotterranee alla luce del sole.

E così via. Nel mondo classico si possono forse vedere come Trickster eroi delle origini o dei primordi, come Prometeo, che ruba il fuoco agli dèi e lo dà agli uomini ma poi muore. Un panorama assai variegato, quindi, quello degli esseri extraumani nel mondo dei popoli “primitivi”. Angelo Brelich, grande antropologo e professore ordinario di Storia delle Religioni alla Sapienza fino alla prematura scomparsa nel 1977, distingueva fra esseri mitici e esseri attivi: il Trickster era fra i primi, insieme con il Creatore, il Primo Uomo, l’Eroe culturale e l’Antenato mitico, e appare quindi legato al mondo dei primordi.

Renzi, allora, ha dilatato l’area del Trickster: appartiene al passato, ma opera nel presente. Opera in maniera che chiunque definirebbe disastrosa, con un’oratoria sgradevole e teatrale (il suo amico Obama lo ha forse informato che mentre si parla bisogna guardare tutti, ma Obama lo fa con la sua elegante compostezza, lui lo fa come un burattino, mulinando fogli e modulando la voce su varie tonalità, una più molesta dell’altra, con una mimica facciale insopportabile, con un’aggressività spropositata, con un eloquio che ricorre ossessivamente al linguaggio sportivo, con una scelta di argomenti imbarazzante). In queste sue ultime performance ha chiesto tutto e il contrario di tutto, e forse la cosa più esilarante è stata la pretesa di dare lezioni di diritto e di correttezza istituzionale a Conte. La politica non si fa con i tweet, tuonava, lui che ha il telefono appiccicato ai polpastrelli. Insomma un Trickster in piena regola, come i Coyote dei nativi americani o come il loro collega Willy contro Beep Beep: si crede astuto ma è maldestro, e prima o poi la pagherà.

Il problema, anzi, è come mai non l’ha pagata ancora. Inchieste giudiziarie a parte, ha commesso nefandezze di ogni tipo: l’aereo strapagato; la soffiata al sedicente editore, in realtà broker, De Benedetti; il tipo di legge elettorale che ha imposto, e l’uso che ne ha fatto… Per non dire del prestigio internazionale: da quando era ancora premier e, in consessi europei, arrivava in ritardo dal presidente Schulz e indugiava ancora in stolidi selfie con turiste italiane, fino a questi ultimi giorni, in cui i giornali stranieri lo chiamano “il disturbatore d’Italia” e il “Demolition Man”.

E come mai tanti giornali gli concedono lenzuolate di interviste? Qualcuno ha intravisto o evocato, alle sue spalle, i poteri occulti… O non saranno poteri ottusi?

 

*Per decenni docente di Archeologia delle province romane a Siena e a Trieste, e poi di Archeologia classica a Urbino