Le balle cospirazioniste di QAnon andavano fermate molto prima

Le balle cospirazioniste di QAnon sono tossiche, provocano reati, non hanno alcun diritto di essere diffuse sulle piattaforme social, e difendere la loro diffusione in nome della libertà di espressione è un’assurdità che le avvantaggia; per questo la policy delle piattaforme le proibisce. Il ban a QAnon, e a Trump che se ne serviva e tuttora li elogia, rompe finalmente il pericoloso giocattolo propagandistico che in questi anni l’alt-right, in tutto il mondo, ha usato per la sua resistibile ascesa. Non c’è il diritto alle fake news, specie se, ideate a scopo di propaganda, sobillano la gente a commettere crimini, tipo assalti armati alle istituzioni. Non che fossero mancate le avvisaglie. Nel 2016, una folle teoria complottista accusò di pedofilia alcuni membri del Partito Democratico Usa, e indicò un ristorante come sede di rituali satanici: lo staff del ristorante diventò bersaglio di minacce crescenti finché un invasato entrò a sparare con un AR-15. Da Reddit e 4chan, quella teoria assurda arrivò sui siti alt-right pro-Trump, e di recente è stata rilanciata da QAnon, per accusare una élite globale di politici, uomini d’affari e celebrità come Bill Gates e Oprah Winfrey di abuso e traffico minorile. QAnon ha il diritto di diffondere sui social queste falsità? No, e nessuno, neppure Trump, ha il diritto di appoggiarle (è troppo facile manipolare la psicologia settaria della folla attraverso il contagio propagandistico). Chi equipara il ban social dei contenuti tossici alla censura delle libertà democratiche ci marcia, come Meloni e Salvini; ma c’è cascato anche Massimo Cacciari (“È scandaloso che sia Twitter a decidere chi può parlare e chi no”), subito retwittato da Meloni e Salvini. Il ragionamento sbilenco è lo stesso con cui un giornalista di destra mi accusò di essere un censore quando sparirono dal mio blog commenti propagandistici di blogger che linkavano a siti neo-nazi. Parlare di censura, in questi casi, è capzioso, primo perché tutti, non solo Twitter, hanno il dovere civico di arginare il discorso tossico, per quanto possono; secondo perché Twitter silenzia ex post in base a una policy accettata, non a prescindere. Come Facebook, i social sono hosting attivi: aggregano, scelgono e moderano i contenuti: non sono meri intermediari irresponsabili, come si sono sempre descritti, furbescamente, per ingrassare approfittando del comma 230. Facebook (di cui non va dimenticato il contributo a Trump e Brexit via Cambridge Analytica) per anni ha permesso che il movimento QAnon, seguito da 3 milioni di utenti, diffondesse i propri proclami farneticanti. Il ban andava fatto prima: non si può giocare con le parole (“censura”, “libertà di espressione”) sulla pelle della gente. Nel 2019, replicando alle accuse di aver permesso pubblicità pro-Trump piena di bugie su Biden, Facebook si è finalmente paragonata a una casa editrice. Questa ammissione dovrà avere delle conseguenze, perché una casa editrice è sottoposta a regolamentazioni severe (Goodman & Kornbluh, 2019). Oggi, l’alt-right colpevolizza Twitter, invece di Trump e di QAnon, perché sa che sparisce, senza i social a tirarle la volata. Simpatici i tweet che smerdano il libertarismo tossico di Meloni & Salvini. Marco Meo: “Quindi, per essere chiari, per la Meloni i social dovrebbero essere aperti anche all’Isis, a terroristi neri e rossi, a gente che pensa che la mafia sia buona e giusta…”. Davy Ag: “Chiedilo ai tuoi cari amici Lukashenko e Orbán cosa vuol dire soppressione della libertà di parola”. Benedetto Naturali: “Adoro quando i fascisti parlano di censura”. Il libertarismo tossico è il bug del sistema, già sfruttato dai troll russi per sostenere, fra l’altro, l’elezione di Trump.

(2. Continua)

 

Virus, chiamiamo gli statistici

Sembra che questa pandemia abbia una inevitabile sorte, fare a pugni con i numeri. Ricordiamo l’appuntamento giornaliero con Borrelli che comunicava i decessi Covid. Solo dopo diverse segnalazioni, ai numeri comunicati è stata aggiunta la precisazione “per” e ” con” Covid. Certo i morti sono tutte perdite drammatiche, ma dal punto di vista epidemiologico ed etiologico il dettaglio non è da sottovalutare.

Dati confermati dall’Istituto Superiore di Sanità, prima in due pubblicazioni (marzo e luglio) e poi in un aggiornamento quasi costante sul sito dedicato, che hanno dato un contributo importante per conoscere le fasce più a rischio. È seguita la querelle sul numero dei tamponi risultati positivi interpretati come casi positivi. Purtroppo se ne è parlato, ma l’errore continua, diventando sempre più significativo. La differenza tra tamponi esaminati e soggetti sottoposti al test è sempre ampia.

Nessuno si prende cura di scremare i dati e così i numeri dei positivi si gonfiano sempre più. Infine la comunicazione giornaliera della percentuale dei tamponi trovati positivi. Più il campione si restringe ai soggetti sintomatici o ai loro stretti contatti, maggiore sarà la percentuale di risultati positivi. Tutti numeri che non danno alcun contributo per la delineazione del fenomeno pandemico.

Adesso è arrivata anche la proposta di regolare le misure di contenimento in base al numero di positivi per 1000 abitanti. Il criterio sarebbe ottimo se però si definisse in maniera omogenea il campione di popolazione da esaminare. Si chiede troppo se si consiglia di consultare un esperto di statistica?

 

Destra e Iv imbarazzanti: sicuri siano peggio i responsabili?

Ascoltare Conte e poi gente tipo Borghi, Sgarbi e Scalfarotto, mi ha dato come la sensazione di trangugiare una damigiana di sugna rancida dopo aver degustato un Pinot Nero della Borgogna. Un dislivello tremendo e imbarazzante. Conte ha usato bastone (Renzi) e carota (liberali, riformisti, socialisti). E ha concesso molto sui Servizi segreti. Basterà per la maggioranza assoluta al Senato? No. La maggioranza relativa è più alla portata, ma credo – temo – solo se Iv si asterrà. Affidarsi ai “responsabili” è avvilente, ma davvero qualcuno pensa che Genny Migliore sia migliore (ops) di Fantetti, Nobili di Brunetta e Boschi di Binetti? Io no: siamo dentro un disastro e tocca scegliere in ogni caso il meno peggio. Fascisti a parte, nulla è politicamente più irricevibile degli ultrà renziani. Riuscirà (tutto) il Pd a resistere al masochismo idiota di tornare da Renzi? Non lo so. Di sicuro qualsiasi (autentico) campo progressista non potrà fare a meno di Conte.

Giusto ignorare Matteo e bene le aperture agli ex Pd e M5S

In attesa di capire quanti voti avrà al Senato, bisogna essere grati a Conte almeno per una cosa: non aver mai esplicitamente nominato Renzi. La scelta di ignorarlo limitandosi a chiarire che non si faranno nuovi accordi con chi ha iniziato a minare l’esecutivo subito dopo averlo fatto nascere, lascia sperare che se il governo andrà avanti assisteremo finalmente a dei dibattiti tra politici di maggioranza con opinioni diverse, ma desiderosi di trovare punti in comune. Le possibilità ci sono. Dopo aver ascoltato Conte, i fuoriusciti di Pd e M5S sanno che verranno ben riaccolti in maggioranza. E che lo stesso trattamento sarà riservato a chiunque non si identifichi con il sovranismo di Meloni e Salvini. La promessa di una legge proporzionale serve proprio per ingolosire gli indecisi. Mentre la rinuncia alla delega sugli 007 serve a dimostrare quanto fosse pretestuosa la questione sollevata da Renzi. Insomma, se il governo ce la farà avrà magari dei voti in meno, ma molta tranquillità in più. Speriamo che sappia approfittarne.

Va sottolineato ancor di più: è criminoso perdere tempo adesso

Senza nominare Renzi, Conte ha descritto gli effetti della rottura voluta dal capo di Italia Viva: sgomento dei cittadini davanti a una crisi “senza plausibile fondamento”, rischio per l’intera classe politica di “perdere contatto con la realtà”. Nel frattempo Renzi ha infittito ancor più la nebbia di cui son fatti i suoi discorsi: ripete che un accordo ci sarebbe se il governo prendesse i miliardi del Mes, ben sapendo che non esiste una maggioranza pronta a chiederli. Il Mes è dunque una scusa. Conte ha evocato le “scelte di portata tragica” che il governo ha compiuto per fronteggiare il Covid. A mio parere ha insistito troppo poco sulla tragedia pandemica. Perché se le vaccinazioni dovessero rallentare, c’è il rischio che il virus muti al punto di divenire resistente ai vaccini. Se questa è la prospettiva, e questi i pericoli, è criminoso perder tempo con crisi che indeboliscono il prezioso ma fragile patto anti-Covid fra cittadini e governo.

Massoni e 007, il sollievo della “Stampa”

Credo di non essere il solo a considerare il direttore de La Stampa, Massimo Giannini, un giornalista autorevole, oltreché una eccellente persona (un abbinamento non così frequente nel nostro mestiere). Ritengo perciò di avere condiviso con altri l’allarme suscitato dal suo editoriale domenicale sul presunto “network” che farebbe capo al premier Giuseppe Conte, messo in piedi al fine di reclutare nuovi senatori per supportare la fragile maggioranza di governo. Quando poi ho letto di un presunto coinvolgimento dei Servizi segreti, per non parlare della presenza di poteri cosiddetti opachi, se non addirittura occulti – il tutto, neanche a dirlo, organizzato “col favore delle tenebre” – ho avuto la conferma dei miei peggiori sospetti. Infatti, pur considerando pienamente legittimo l’arrivo in soccorso del governo di una truppa di Responsabili, o di Costruttori, o di Volenterosi che dir si voglia, non sono mai riuscito a evitare che nella mia testa su questa definizione si sovrapponessero alcune figure (o meglio, figurine). Quelle della premiata coppia Razzi&Scilipoti, per non parlare dell’ex senatore Sergio De Gregorio passato dalle cronache politiche a quelle giudiziarie per avere ceduto al “corteggiamento” di Silvio Berlusconi.

Un cupo stato d’animo, il mio, peggiorato alla lettura di titoli come quelli del Giornale (“Intrigo finale, 007 e generali a caccia di voti per Conte”), e de La Verità (“Le trame di Conte dietro le quinte”). Insomma, la merda nel ventilatore (e scusate il francesismo). Quando poi, trasmesso in edizione virale da esponenti renziani, è comparso sul mio cellulare lo strepitoso video di Corrado Guzzanti mentre, provvisto di cappuccio massonico d’ordinanza, mostra orgogliosamente un bomba stragista, mi sono chiesto come fosse possibile tollerare un minuto di più che un presidente del Consiglio di tal fatta continuasse a guidare il Paese.

È stato dunque con animo turbato da fosche sensazioni che ieri mattina nel leggere su La Stampa, in un box a piè di pagina, il comunicato di Palazzo Chigi che definisce “destituite di ogni fondamento le gravissime insinuazioni” di cui sopra, ho cercato nelle righe successive una controreplica con i fiocchi contenente le prove di quanto denunciato nell’editoriale, o qualcosa del genere. Ecco che, invece, il direttore dichiara di avere accolto “con sollievo la smentita” e che “le notizie sul network circolano da una settimana, non smentite su altri giornali”. E dunque Giannini dice di averne scritto “con una certa inquietudine, perché non potevo credere che dietro al premier vi fosse ‘una rete non ufficiale’ così attiva”. Conclusione: “Se questa rete non esiste è una buona notizia per la nostra democrazia”. Be’, caro Massimo, ammetto che ci sono rimasto di stucco. Col favore delle tenebre, s’intende.

Pure Dini pontifica sul trasformismo

Chi meglio di Lamberto Dini può raccontare l’arte di ricattare un governo con un partitino da prefisso telefonico? Nessuno. Infatti l’ex ministro viene interpellato sulla crisi politica e si concede una lezioncina gratis ai microfoni di Un giorno da pecora. Il suo vaticinio è funesto per il governo: “Domani Conte non avrà la maggioranza, lui vuole rimanere per soddisfare la sua vanità, se avesse un po’ di dignità, se i voti al Senato fossero meno di 155 dovrebbe presentare le sue dimissioni al Colle. Ha perso una parte della sua maggioranza, non può sostituirli con questi voltagabbana altrimenti avremmo un governo peggiore di quello attuale”. Uno spettacolo notevole: Dini che pontifica su vanità e voltagabbana è lo stesso che ha frequentato (da destra a sinistra) tutte le coalizioni della Seconda Repubblica. Il medesimo che ha fatto cascare un governo – chiedere a Prodi – in compagnia di quel Mastella a cui oggi si riferisce con tanto disprezzo.

Andreassi, le Br e la scuola Diaz. Gabrielli: “Una grande eredità”

Con Ansoino Andreassi, scomparso ieri a Roma, se ne va un pezzo della memoria dell’Antiterrorismo anni 70 e 80 e anche un testimone chiave del processo che portò alla condanna di importanti dirigenti della polizia per i fatti avvenuti alla scuola Diaz di Genova al termine del sanguinoso G8 del luglio 2001. Era vicecapo della polizia e fu rimosso subito dopo dal ministro Claudio Scajola, che invece lasciò al suo posto il capo, Gianni De Gennaro. E il prefetto Andreassi aiutò i pm Enrico Zucca e Francesco Albini Cardona a ricostruire il clima in cui maturò la scelta di perquisire la scuola assegnata ai movimenti anti-globalizzazione: finì con oltre 60 feriti anche molto gravi e 93 arresti con prove false come le molotov portate dagli stessi poliziotti. “Percepii un cambio di strategia, si voleva passare a una linea più incisiva, mi feci da parte”, disse. Secondo Andreassi, si voleva riequilibrare un bilancio segnato dalla morte del 23enne Carlo Giuliani ucciso da un carabiniere, centinaia di feriti, danni ingenti, violente cariche ingiustificate riprese dai media di tutto il mondo a fronte di un numero esiguo di arresti.

Nato nel 1940, in polizia nel 1968, è stato funzionario e poi capo della Digos di Roma dopo il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro. Alla fine degli anni 90 è stato direttore della polizia di prevenzione. Concluse la carriera da numero due dell’allora Sisde. “Un fine analista, un acuto investigatore, ma soprattutto un uomo da cui ho imparato il rispetto delle Istituzioni e il loro essere al servizio dell’interesse generale – così lo ricorda il capo della polizia Franco Gabrielli, che con Andreassi lavorò tra l’altro sulle ultime Brigate rosse –. Se n’è andato con quella schiva delicatezza che gli è propria ma ci ha lasciato una grande eredità etica che cercheremo di preservare e far fruttare per i colleghi che verranno dopo di noi”. Luigi Notari, a lungo nella segreteria del Siulp, ne ricorda “la grande cultura non solo giuridica e l’attaccamento alla Costituzione”.

Si porta a casa del pane destinato al macero. L’azienda lo licenza per “motivi disciplinari”

Sembra una storia tratta da un romanzo del secolo scorso, invece è successa davvero solo poche settimane fa in un’azienda romana: un lavoratore afghano, addetto presso un forno artigianale, è stato licenziato per aver “rubato” due filoni di pane che tra l’altro, essendo venuti male, erano destinati al macero. Secondo i suoi capi – i proprietari della Strong, società che produce con il marchio Grande Impero – tanto è bastato per fargli perdere il posto. Sullo sfondo, una situazione più complessa: un clima di intimidazione più o meno diretta che in quell’impresa ha coinvolto negli ultimi anni tutti quelli che si sono avvicinati al sindacato Flai Cgil. E che, negli ultimi mesi, ha visto un proliferare di provvedimenti disciplinari contro gli iscritti alla sigla. L’operaio è tra questi; pochi mesi prima di essere messo alla porta con quella motivazione, aveva vinto una causa contro l’abuso di contratti a tempo determinato, ottenendo una reintegrazione che è durata poco.

Il regolamento aziendale permetteva a tutti di portare a casa un filone di pane a fine turno; lui ne ha inseriti altri due nel sacchetto poiché non vendibili e riteneva non facessero testo. All’uscita dal cancello ha incontrato l’ex amministratore della società che era stato costretto a lasciare la carica proprio perché in passato aveva manifestato la sua avversione per il sindacato e le sue azioni erano costate all’azienda una condanna per discriminazione in sede civile. In quell’occasione emerse anche la registrazione di un colloquio aveva avuto con i lavoratori extra-comunitari: “Tu magnavi le cavallette e oggi stai qua – diceva –. Che ce stai a fa’ dentro casa mia se te senti sfruttato?”. E dichiarandosi “fascista”, ribadiva la sua avversione al sindacato: “Con i comunisti non voglio avere niente a che fare, con la feccia non mi ci sporco”. Oggi è imputato al Tribunale di Roma per aver prospettato il licenziamento ai lavoratori dediti all’attivismo sindacale. Dopo questi episodi non risulta formalmente più al vertice della società, fatto sta che è stato lui a scoprire e segnalare il “furto” di pane. “Con questa azienda abbiamo già vinto una causa – spiega Sara Taranto della Flai –, ora appare più dialogante, ma continua a colpire una serie di lavoratori con motivazioni contestabili o futili. Quindi stiamo avviando una nuova causa”. Questo licenziamento e gli altri che appaiono ritorsivi stanno per essere impugnati in tribunale con ricorsi dell’avvocato Carlo De Marchis. L’azienda non ha risposto alle domande del Fatto.

Rettore e parroco a rischio giudizio anche in Italia

Già imputati in Vaticano, i presunti responsabili degli abusi nei confronti dei cosiddetti “chierichetti del Papa” rischiano il processo anche in Italia. La Procura di Roma ha chiuso l’inchiesta per episodi di violenza sessuale su un minore che sarebbero avvenuti tra il 2010 e il 2012 al Preseminario San Pio X, in territorio Vaticano, a due passi da Casa Santa Marta, la residenza di Papa Francesco. Il principale indagato è Gabriele Martinelli, ex seminarista, oggi sacerdote, accusato di aver violentato un suo compagno di seminario, di un anno più giovane e all’epoca dei fatti minorenne. Rischia il processo per concorso in violenza sessuale – articolo 40, comma 2, del codice penale – anche monsignor Enrico Radice, all’epoca rettore della struttura: per gli inquirenti, l’attuale maestro di cerimonie del Duomo di Como era a conoscenza dei fatti e non li ha denunciati. In Vaticano, il processo è in fase dibattimentale e la prossima udienza si terrà il 4 febbraio. Monsignor Radice, interrogato lo scorso 19 novembre, ha negato ogni responsabilità.