La mobilità al tempo del covid: merci e aree urbane, non il Tav

Dopo questa pandemia, anche la mobilità e i trasporti non torneranno, nel bene e nel male, come prima. Iniziamo dalla domanda di trasporto, cioè cosa cambierà nelle esigenze di mobilità delle persone e delle merci. Sembra sicuro che il lavoro da casa (“smartworking”) in parte rimarrà. Infatti è connesso da un lato con la crescente “informatizzazione” di molte attività, che è in sé un bene, in parte con i risparmi di tempo e di costi per i viaggi dei lavoratori.

Ciò comporterà che, poichè le case all’esterno delle città costano meno proprio perché “scomode” per andare al lavoro, vi sarà una spinta al decentramento urbano, non più “frenato” dai disagi della pendolarità (questo è un bene assoluto: a perderci, è solo la rendita immobiliare). Comporterà anche minor domanda di trasporto pubblico, perché si sommerà a un po’ di diffidenza verso situazioni di relativo affollamento che i trasporti pubblici comportano. Anche l’inquinamento e la congestione nelle città maggiori si ridurranno.

Per le merci continuerà a crescere il valore aggiunto di quelle trasportate, cioè a diminuire la rilevanza dei costi di trasporto rispetto ad altri costi di produzione. Anche il commercio via web, di cui Amazon è il maggior rappresentante, è destinato a crescere, a causa dei bassi prezzi, della vasta scelta e della rapidità di consegna (qui alcuni problemi sono noti: pagano poche tasse e fanno sparire i piccoli negozi). Ma è certo che questo tipo di commercio diminuirà il traffico automobilistico: un furgone in un giro di consegne percorre senz’altro meno km di tanti viaggi in macchina individuali necessari ad acquistare la stessa quantità di merci.

Poi la paura dei contagi e l’abitudine alle riunioni “in remoto” colpiranno la domanda di viaggi per turismo e “business”, entrambi fattori essenziali per il trasporto aereo e ferroviario di lunga distanza (soprattutto per l’Alta Velocità). Meno domanda dunque, almeno per alcune tipologie di trasporto. L’offerta dovrà adeguarsi, ma nel complesso le luci sembrano prevalere sulle ombre: meno costi privati ed ambientali. Ma l’offerta dovrà adeguarsi anche per far fronte a palesi inefficienze del sistema.

Innanzitutto le prospettive di minor domanda di viaggi a lunga distanza rendono ancora più vistosamente inutili opere infrastrutturali, su cui già vi erano seri dubbi, a causa di una domanda insufficiente a giustificarne i costi e i ridotti benefici ambientali. Anche il calo demografico, specie al Sud, suggerisce prudenza. Poi è difficile dubitare che il sistema ferroviario, che serve una piccola frazione della domanda totale (nonostante l’altissima tassazione sul modo stradale), costi troppo alle casse pubbliche: più di 10 miliardi netti all’anno.

Ma l’altro grande sistema, quello stradale, che rende circa 40 miliardi netti allo Stato all’anno, ha problemi di manutenzione, e anche di gestione della componente autostradale: il ricorso a concessioni ha dato pessima prova. Anche qui sia per inadeguata manutenzione, con conseguenze drammatiche (dove ha pesato l’insufficienza di controlli pubblici), che di tariffe assurdamente elevate. Gli utenti hanno pagato più volte le infrastrutture, con danni economici e di efficienza (le rendite sono anche inefficienti, oltre che inique).

Il settore aereo è stato molto colpito, e forse la domanda rimarrà debole. Ma dovrà anche ridurre il proprio impatto ambientale, assai elevato per passeggero trasportato: i combustibili fossili che usa non sono tassati. Questo al contrario del sistema stradale, che internalizza per via fiscale gran parte dei costi ambientali che genera.

E a motivo della tassazione sui carburanti e degli standard europei sulle emissioni, il settore presenterà un parco veicolare sempre meno inquinante. Di questo le politiche pubbliche dovranno tener conto, accelerando tale evoluzione con azioni di supporto, che certo, costano allo Stato (per unità di emissioni ambientali abbattute), molto meno di politiche scarsamente efficaci, come si è dimostrata la “cura del ferro”.

Non si può poi dimenticare che all’orizzonte rimane, anche se rallentata, la radicale rivoluzione della guida autonoma, che potrà ridurre grandemente sia la necessità di veicoli in proprietà privata, che la domanda di mezzi pubblici tradizionali, con servizi di taxi elettrici e senza conducente, iper-economici e quindi universali.

Se dovremo porci obiettivi di crescita economica nell’uso dei fondi europei occorrerà selezionare con cura su quali settori puntare: il calo relativo della domanda e la crescente “immaterialità” del progresso tecnico non sembrano certo indicare nei trasporti un settore da privilegiare.

Pir, il grande affare per banche & C. a spese dello Stato

Il cantiere dei Piani individuali di risparmio (Pir) viene riaperto per la quarta volta in tre anni e nella legge di bilancio 2021 la maggioranza ha scodellato quasi in zona Cesarini una norma ad altissimo sex appeal fiscale che doterà i venditori di titoli “illiquidi”, cioè non facilmente vendibili, di banche e assicurazioni di un’altra arma quasi irresistibile. La norma approvata prevede in caso di eventuali perdite e minusvalenze conseguite sui Pir di tipo “alternativo” sottoscritti nel 2021 un credito d’imposta fino al 20% delle somme investite. Per usufruirne occorre detenere questi strumenti per almeno 5 anni. Con l’ulteriore zuccherino fiscale del governo l’investitore che al termine dei 5 anni riscattasse,, per esempio, investimenti su un Pir per complessivi 100 mila euro e registrasse minusvalenze per 25 mila euro, avrà diritto a un credito di imposta di 20 mila euro, da compensare in 10 anni. Un viagra fiscale che si aggiunge all’esenzione sull’eventuale capital gain, il guadagno, conseguito dopo 5 anni dall’investimento e alle tasse di successione azzerate. Insomma, se l’investimento sui fondi Pir andrà in attivo non si pagheranno le tasse, se andrà male la perdita si potrà recuperare sulla dichiarazione dei redditi in compensazione mediante F24 (in 10 quote annuali di pari importo). Lo Stato italiano sceglie in pratica di rinunciare per tre volte al gettito fiscale per favorire la sottoscrizione dei Pir.

I nuovi Pir “alternativi” introdotti dal Decreto Rilancio hanno regole di ingaggio parzialmente differenti rispetto a quelli tradizionali e prevedono che il 70% di quanto investito vada in via diretta o indiretta in strumenti finanziari (anche non negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione) di imprese italiane non appartenenti agli indici di Borsa Ftse Mib e Ftse Italia Mid Cap. Ed è possibile investire anche in prestiti erogati alle Piccole e medie imprese o nei loro crediti.

I Pir alternativi sono quindi prodotti di tipo “chiuso” che dovrebbero rivolgersi a un mercato di investitori consapevoli dei rischi maggiori di questo tipo di prodotti che potrebbe diventare illiquidi per un lungo periodo di tempo a differenza dei fondi aperti dove, in caso di uscita, bastano pochi giorni al risparmiatore per liquidare la posizione e avere i soldi sul conto. Un aspetto che chi colloca questo tipo di fondi Pir dovrebbe spiegare bene, come il fatto che investire sulle aziende non quotate in azioni o nei loro debiti non è sinonimo di sicuri guadagni come i venditori di banche, assicurazioni e reti più disinvolti fanno pur di fare raccolta su prodotti che, per chi li colloca, sono fra i più lucrosi (e questa è l’unica certezza al momento attuale).

Il contenitore del Pir alternativo può assumere qualunque forma, ma considerato l’oggetto di investimento tipicamente illiquido, meglio si prestano ad essere utilizzati tramite veicoli di investimento come gli “Eltif” e i fondi di private equity,o private debt. Prodotti complessi e incomprensibili alla maggior parte dei risparmiatori, che però potrebbero trovarsi a sottoscrivere nei prossimi mesi visto il taglio d’ingresso portato molto in basso (10.000 euro) e venditori disposti a decantarne soprattutto i punti di forza a partire dall’appeal fiscale grazie all’ulteriore misura del governo.

Il lato positivo dei Pir alternativi è che potrebbero naturalmente consentire di avvicinare il risparmio degli italiani alle piccole e medie imprese del Belpaese che spesso sono sotto-capitalizzate e rischiano di essere messe fuori mercato non solo dalla congiuntura. Il lato negativo è che non sarà facile perfino per gli addetti ai lavori che vorranno analizzare questi prodotti capire cosa c’è dentro. Se è già pericoloso sbagliare un investimento su una società quotata, lo è esponenzialmente di più su una non quotata. Il caso dei diamanti d’investimento collocati da tutte le principali banche italiane o delle azioni di banche non quotate come Popolare Vicenza e Veneto Banca è lì a ricordarcelo.

Va poi sempre spiegato che se i soldi dei risparmiatori vanno in un fondo Pir che compra azioni quotate sul mercato secondario all’economia reale non arriva niente, a differenza di quanto raccontano come un mantra i venditori dei Pir (e i legislatori amici di tutti i colori), usando il doping fiscale per fare sottoscrivere i contratti. Con i Pir, peraltro, si invitano i risparmiatori a concentrare i propri investimenti nel Belpaese che è proprio il contrario di quanto si dovrebbe fare. In Paesi come Francia e Gran Bretagna dove i veri Pir sono nati (e prendono il nome rispettivamente di Pea e Isa) non c’è assolutamente una riserva d’attività che di fatto costringe i risparmiatori che vogliono usufruire dei vantaggi fiscali a dover passare obbligatoriamente (a caro prezzo) solo dai fondi d’investimento (con commissioni mediamente del 2-3% all’anno ovvero in 5 anni il risparmiatore comunque verrà tosato del 15%) e non esistono soprattutto limiti geografici (investire solo in Italia) così stringenti. Chissà come mai. Ma da noi le lobby del settore dettano ancora legge.

Lanciati nel 2017 dal governo Gentiloni, i vecchi Pir tradizionali si sono rivelati un affare irresistibile per l’industria del risparmio gestito (23 miliardi di raccolta all’apice del successo contro gli attuali 15 miliardi per effetto dei riscatti delle perdite della Borsa) e in grado di generare centinaia e centinaia di milioni di euro di commissioni di gestione annui per banche e reti. Ora con il 2021 e grazie a questo “super bonus” si può ripartire nella raccolta e i leader di mercato si sfregano le mani per questa norma probabilmente suggerita da loro al governo. Banca Mediolanum con quasi 4 miliardi è il leader della raccolta Pir, seguono Intesa Sanpaolo (Eurizon e Fideuram e ora Pramerica) con 3,74 miliardi, Amundi (2,7 miliardi), e Arca con 2 miliardi di euro.

 

Monete virtuali, buchi reali: la minaccia Tether

A spingere il trading online è anche la nuova bolla delle criptovalute che hanno sfondato i massimi del 2017 grazie al bitcoin, infiammando gli speculatori e attraendo molti neofiti. Ma il rischio di bruciarsi è altissimo: un’indagine in corso negli Usa potrebbe fare crollare parte di questo comparto, che oggi vale 900 miliardi di euro. L’indagine Usa incrocia cripto-imprenditori italiani, paradisi fiscali come Panama e Bahamas, la Svizzera e il Regno Unito, il riciclaggio di centinaia di milioni di narcodollari in Polonia e importanti ex banchieri israeliani.

Dai minimi del 14 marzo scorso, quando la pandemia l’aveva fatto crollare ad “appena” 4.826 euro, l’8 gennaio il bitcoin ha toccato i 33.7900 euro con una capitalizzazione di 700 miliardi, per poi ridiscendere sabato scorso a 30.800 euro. Il valore del bitcoin è collegato solo a domanda e offerta. Sugli exchange, le piattaforme di scambio, questo asset digitale non è scambiato tanto con la moneta a corso legale emessa dalle Banche centrali, quanto con altre criptovalute. Le uniche collegate a monete reali sono le stablecoin, “monete stabili”, garantite da dollari, euro e altre divise accantonate alla loro emissione dalle società che le “stampano”. Ma nel Far West digitale non tutto è sempre come sembra.

Tra le stablecoin più importanti c’è Tether, usata come porta di accesso al bitcoin in nove contratti di acquisto su dieci. Tether non circola in una quantità predefinita ma viene “stampata”: nel 2020 i tether in circolazione sono passati da 4 miliardi a gennaio sino a 21,8 a fine anno. Dunque da qualche parte dovrebbero esserci 21,8 miliardi di dollari a garanzia. La criptovaluta è emessa da una società di Hong Kong collegata all’exchange Bitfinex, gestita anche dall’italiano Giancarlo Devasini (in foto a sinistra). Tether ha sempre fatto professione di trasparenza ma le sue ultime cifre certificate risalgono al 2018, quando la criptovaluta in circolazione era un decimo rispetto a oggi, rendendo noti i suoi rapporti con la Deltec Bank delle Bahamas. Nei giorni scorsi la Deltec ha detto di aver fatto forti acquisti di criptovalute, ma non è noto se in connessione con Tether o no.

Ad aprile 2019, però, Tether rivelò che solo il 74% della sua criptovaluta era coperto da contanti e titoli liquidi, mentre prima sosteneva che lo fosse al 100%. Lo scoprì il Procuratore generale di New York, che accusò le società di aver nascosto la scomparsa di riserve dei clienti e di fondi societari per 850 milioni di dollari, svaniti in transazioni con una banca ombra di Panama, la Crypto Capital. L’inchiesta fu smentita da iFinex, società del gruppo Bitfinex-Tether, ma l’indagine non si è chiusa. Venerdì scorso scadevano i termini entro i quali la Procura di New York e iFinex dovevano depositare i materiali d’accusa e difesa, la cui analisi richiederà tempo. Ma se dovesse emergere che dai fondi di Tether mancano somme a garanzia, la criptovaluta potrebbe crollare e trascinare il bitcoin facendo implodere il comparto.

Il fatto è che Crypto Capital ha strane connessioni. Il 30 aprile 2019 il Dipartimento di Giustizia Usa spiccò un mandato d’arresto per frode bancaria, gestione illegale di fondi per exchange di criptovalute e violazioni antiriciclaggio. Due conti bancari individuati erano aperti per la società svizzera Global Trading Solutions, che controllava Crypto Capital. I ricercati erano l’americano Reginald Fowler, proprietario di una squadra di football poi arrestato, e l’israeliana Ravid Yosef, ancora latitante. Global Trade Solutions è stata bloccata il 19 settembre 2019 e il 26 maggio 2020 è stata messa in liquidazione coatta dalla Finma, la Consob svizzera. A ottobre 2019 la polizia polacca ha poi arrestato con l’accusa di riciclaggio Ivan Manuel Molina Lee per riciclaggio di 350 milioni di cartelli della droga colombiani. Molina Lee era uno degli amministratori di Crypto Capital e Global Trade Solutions.

Quanto alla Yosef, a Londra era tra i quattro fondatori e partner della Finnovative Holdings Ltd. Finnovative, fondata il 16 gennaio 2019, tra i manager conta anche gli israeliani Eitan Tregar e Amit Raz, due dei manager della Global Trade Solutions, oltre a Avraham Kochva. In Israele Kochva è un nome di peso: dopo una carriera nell’esercito di Tel Aviv, nel 2011 è stato assunto da Bank Hapoalim, la seconda banca del Paese, e nell’agosto 2014 ne è stato nominato consigliere di amministrazione e responsabile dell’innovazione digitale, sino alla sua uscita datata 15 gennaio 2018. Ora chi investe nelle cripto aspetta che la sentenza di New York faccia luce su questi intrecci: tutti vogliono sicurezze, ma il rischio è che i giudici scoprano un vaso di Pandora.

Wall Street dal salotto: il Covid ha pompato il trading fai-da-te

La pandemia ha fatto tornare di moda il trading online. Com’è già accaduto più volte negli ultimi vent’anni, anche stavolta la recessione – con il carico di rinforzo dei lockdown – ha spinto molti verso le sirene che su siti e giornali raccontano com’è facile far soldi comprando e vendendo via web azioni, titoli, strumenti finanziari o criptovalute. Ma in nove casi su dieci gli improvvisati Gordon Gekko finiscono per perdere i loro soldi.

La volatilità dei mercati, il bisogno di redditi alternativi e la clausura domestica hanno spinto molti, nel mondo e in Italia, a provare il trading online. Secondo Assosim, l’associazione degli intermediari italiani che rappresenta il 90% del mercato nazionale, le “zone rosse” di marzo e aprile scorsi hanno fatto triplicare su base annua il trading online e addirittura quintuplicare le compravendite di azioni. Con la ritrovata libertà, la bolla ha iniziato a sgonfiarsi: nei primi quattro mesi del 2020 la crescita delle compravendite a Piazza Affari si è ridotta all’81% e a fine giugno le operazioni su azioni erano cresciute del 60%, quelle sui bond del 48% e quelle su Etf del 147%. Per l’intero 2020 è previsto un aumento dei volumi in linea con i dati del primo semestre.

Il fenomeno è arrivato in Italia vent’anni fa con il boom delle dotcom. A fine 2005, quando l’attività durava da un lustro, su 3,7 milioni di conti titoli abilitati al trading solo 520mila erano davvero attivi e meno di un decimo di questi mostrava un’operatività continua e consistente. All’epoca da 355mila conti online erano partiti fino a 12 ordini di investimento al mese. Altri 100mila registravano da 13 e a 50 ordini mensili. I trader che passavano l’intera giornata davanti al computer erano il 9% del totale: 33.500 conti facevano segnare da 51 a 200 operazioni mensili, altri 11.500 oltre 200 ordini ogni 30 giorni. Ancora oggi la suddivisione è rimasta simile.

L’appeal dell’investimento via web cresce nelle fasi di mercato volatili, specie se al rialzo. C’è chi vede nel trading online un passo verso l’autonomia finanziaria, ma il fai-da-te consapevole però riguarda un’esigua minoranza di utenti competenti, oltre a qualche cassettista che investe per il lungo periodo, il che comunque non basta a evitare i rischi. Nella realtà il boom assomiglia più alla piaga sociale dell’azzardo sul web: la maggioranza dei giocatori sono condannati in partenza dall’ignoranza dei meccanismi e dal calcolo delle probabilità che gioca a loro sfavore. Come i surfisti, ai trader sono necessarie competenze per cavalcare i trend di Borsa, informazioni in tempo reale per evitare gli scogli ma anche prudenza per tenersi alla larga dai troppi squali in agguato con le loro truffe. È inevitabile che, alla lunga, la maggior parte non regga lo stress di giornate consumate davanti ai monitor. Anche perché per piazzare l’ordine “giusto” spesso non basta studiare bilanci e interpretare segnali grafici se la controparte possiede informazioni migliori e usa l’intelligenza artificiale nel trading ad alta frequenza, che apre e chiude gli ordini in 5-10 milionesimi di secondo.

Ecco perché l’Esma, l’authority Ue che vigila sui mercati finanziari, ha messo in guardia i trader dall’aumento dei rischi causati dalle turbolenze finanziarie dovute alla pandemia e ha chiesto agli intermediari di agire in conformità con l’interesse dei clienti e le norme che tutelano i loro diritti. Il che non sempre è facile: la Consob ha messo a disposizione sul web (cercare sul motore di ricerca con le parole chiave “Consob” e “Occhio alle truffe”) un vademecum di regole di prudenza. L’autorità spiega che per prima cosa occorre verificare sul suo sito l’elenco delle società autorizzate, in Italia o negli altri Paesi Ue. Mai fidarsi di chi non è nella lista ufficiale o dei broker segnalati tra gli avvisi ai risparmiatori. Ma la rincorsa a bloccare le truffe è il tentativo di svuotare il mare con un setaccio: la Consob e le sue gemelle esaminano in continuazione siti e app, bloccandone a centinaia e segnalandoli alla magistratura e ad altre autorità, ma ne spuntano sempre di nuovi. A volte poi le autorità non hanno uomini, mezzi o esperienza sufficienti: per questo molti broker si registrano a Cipro, dove la Consob locale Cysec pare avere manica larga. Poi, con il passaporto cipriota in tasca, le piattaforme di trading sono autorizzate a operare in tutta la Ue. C’è però chi vede dietro questa elasticità il rischio di aprire le porte a fenomeni come truffe o riciclaggio.

Non pare questo il caso di eToro, una delle maggiori multinazionali del trading online che conta quasi un milione di clienti italiani su 17 milioni in 100 Paesi e l’anno scorso ha registrato oltre 5 milioni di nuovi utenti. Fondata da imprenditori israeliani, attraverso la succursale di Cipro è sbarcata in Europa, poi nel Regno Unito e negli Usa. Con eToro si può fare trading sui Cfd, i contratti per differenza che sono derivati con i quali si vince o si perde in base ai prezzi all’inizio e alla fine del contratto. Sulla piattaforma si possono trattare anche singole azioni, fondi passivi come gli Etf, indici, materie prime, valute e persino le criptovalute.

Il 12 febbraio 2013 eToro ha patteggiato con la Cysec una multa da 50mila euro per carenze antiriciclaggio, ma oggi assicura di non avere alcuna verifica in corso e, “in qualità di broker regolamentato”, di “soddisfare pienamente tutti i requisiti antiriciclaggio Aml e verificare tutti i clienti come richiesto”. La richiesta di informazioni inizia quando i clienti aprono un account. I clienti che sono registrati alla piattaforma ma non hanno finanziato il proprio conto non sono obbligati a completare la procedura delle domande antiriciclaggio. Appena intendono depositare fondi, devono però completare l’intero processo Aml “in conformità con le migliori pratiche” e in aderenza “a tutti gli standard rilevanti richiesti dai regolatori in ogni giurisdizione”. Vuoi mettere la sensazione di sentirsi cool perché si investe su eToro via computer o smartphone con pochi clic, come suggerisce il testimonial Alec Baldwin, l’attore che ha preso in giro Trump in tv? Peccato che i Cfd spesso si trasformino in trappole che erodono tutto il capitale investito. Così la stessa eToro è obbligata dalle autorità a mettere nero su bianco sin dall’homepage che “il 71% dei conti degli investitori retail perde denaro negoziando Cfd con questo fornitore”, perché in passato molti investitori non ne hanno compreso i rischi.

A guadagnarci sono i broker, ma quelli non quotati come eToro non danno cifre. Alcune analisi dimostrano che invece il 90% dei clienti ci rimette, a volte anche l’intero investimento. Così non appena i mercati tornano in fase di calma piatta la tribù dei trader registra periodiche “estinzioni di massa”, due solo tra il 2000 e il 2005.

Gli utenti difficilmente raccontano quanto hanno perso: come nella ludopatia, più scommettono più vanno sotto. È toccato anche a Josè Alvarez, compagno del portavoce della presidenza del Consiglio Rocco Casalino: in appena due mesi ha perso 18mila euro. Secondo Casalino “nei giorni del lockdown è stato più volte chiamato da un call center di una società collegata a un sito di trading online. Gli suggerivano come e dove investire, prospettandogli guadagni facili”. La finanza comportamentale spiega questi tonfi con la “miscalibration” (errore nella valutazione della probabilità), con l’eccessivo ottimismo sulla propria capacità (“Io sono più bravo della media”) e l’illusione del controllo (“Smetto quando voglio”). In pochi riescono davvero a prendere per le corna il toro delle Borse.

Ululì Ululà. Che bello vivere in una comune. Si condivide tutto, ma la mamma è una sola

Il mese scorso ho deciso di andare a vivere in una comune. Si avete capito bene! Quelle case dove i giovani abitano insieme, dividendo tutto: la luce, il gas, il telefono, la spesa… un po’ come nel ’68.

Era tempo che volevo farlo, ma non mi decidevo mai, poi un giorno, Manolita mi ha convinta: “Ma dai, alla tua età, non si può stare in casa con la mamma che ti lava, stira e cucina” – “Ma io con mamma sto bene!” – “Sì, lo capisco, ma adesso basta! È tempo di tagliare il cordone ombelicale”. E così siamo partiti per una nuova vita: io, Manolita, sua cugina Silvana, e una coppia di fidanzati amici loro, molto simpatici. Tutto bene. Finalmente sono libera di fare ciò che voglio, mangiare quando mi pare, tornare a casa a qualunque ora senza controlli, e soprattutto senza dovermi giustificare.

Però come in tutte le cose, ecco in agguato il classico rovescio della medaglia. I due fidanzati, tanto carini ed educati, si sono rivelati molto rumorosi, fanno l’amore a tutte le ore del giorno e della notte. Immaginatevi: gemiti, rantolii, urla, ululati accompagnati dagli immancabili scricchiolii del letto.

Avoja a batte’ sul muro, a fingere colpi di tosse. Niente da fare, il loro concerto amoroso non conosce pause. Un inferno, tutti i giorni! “Ma cos’è questa, la seconda o la terza?” – “Macché, sarà la quarta o la quinta solo in un’ora!” – “Sono peggio dei conigli!” – “Zitti, zitti c’è silenzio. Forse hanno finito !” – “Meno male, io ho sete, devo andare in cucina” – “Io devo andare in bagno”.

Forse hanno capito che non reggevamo più, in fondo sono carini, li abbiamo giudicati male. Aaah, aaah, aaah, ancoraaa, ancoraaa. Oh no, ricominciano con gli ululati. Qui bisogna intervenire, chiamare la forza pubblica, i pompieri con gli idranti, oppure… riattaccare il cordone ombelicale, se non altro mia madre non ulula!

 

Felicità in versi Gianni D’Elia, il poeta che setaccia oro nella sabbia quotidiana. Su pagine di serenità

“Bisognerebbe avere il coraggio di dire / Che la Poesia è più antica delle religioni. / E che non chiede di credere e di obbedire / Ma di aprirsi all’ignoto. Che non vuole padroni”. Cito alcuni versi del testo Lezioni all’aperto di Gianni D’Elia, pagina novantasette del suo ultimo volume di poesia, Il suon di lei (Luca Sossella Editore).

I suoi libri di poesie non sono mai “raccolte”, ma lunghi, tesissimi racconti. Come sempre, anche in quest’opera sto cercando il modo in cui il poeta D’Elia setaccerà oro dalla sabbia quotidiana. Non ho problemi critici né autorevolezza di lettore colto perché, come molti affezionati a questo poeta, subisco il fascino (il suono) della voce e mi rendo conto che qui non vivo nel bello e nel meno bello, tra verso limpido e verso oscuro, a volte nel cuore, a volte ai confini di ciò che è poesia.

Passano figure e voci e segmenti di vita (come flash di luce intensa che dura solo un istante) di cui condividiamo solo frammenti (“lo spavento e il piacer di spazio e tempo/ Il perdersi dell’io dentro al tutto / L’endorfina che secerne il momento/ L’adrenalina del lontano frutto…”) e poi li perdiamo; perché’ l’avventura continua, la scrittura inquieta eppure calmissima di D’Elia sta spostando la scena e il racconto. Siamo sotto un platano “come un angelo che dall’alto contempli, Stordito dallo scampanio dei templi”. Siamo “quando la bella età ci viene incontro, / la scelta tra svogliato e appassionato / Imprime al cuore sopra il nostro volto/La smorfia tardiva del dono sprecato”.

Siamo dove “continuamente noi viviamo/ Al sorso d’ogni sguardo la natura / Se sempre il suono del mondo ascoltiamo / Se gusto,odorato e tatto è nostra cura”.

Restare vicini e insieme a questo poeta è indispensabile perché chi legge sente nello stesso tempo (e in una sequenza impossibile) una forza poderosa e una dolcezza che non esiste più. Una scrittura che è come un frusciare di vento (c’è molto vento, bello, felice, in queste pagine), come il muoversi (noi diciamo agitarsi) della natura. Una qualità misteriosa dello scrivere poetico di Gianni D’Elia è che le sue parole sono pesanti come una sentenza, e leggere come una canzone, e ci conducono tra le righe che non scorri, che non salti facilmente, a trovare un senso lieve di felicità che non si compie, ma non è lontana da qui.

“Qui” è dove scorre come un fiume agile la poesia di Gianni D’Elia, segnando in modo netto il territorio, senza scheggiare neppure una pietra. Lo leggi e non puoi che dire grazie.

 

Il suon di lei Gianni D’Elia – Pagine: 189 – Prezzo: 15 – Editore: Luca Sossella Editore

Didattica a distanza, Sanremo in presenza: davvero la gente capirà?

 

PROMOSSI

Sono una signora Giovanna Botteri mette un punto definitivo sulla (non) questione delle sue chiome ingrigite. “Sono una giornalista, scrivo, faccio reportage, il mio lavoro è tutto qui andare in tv, essere al mio posto”, ha spiegato durante un collegamento con Fabio Fazio. “Da me la gente non si aspetta pettinature hollywoodiane, si aspetta di sapere le news. E’ vero, non mi sono tinta i capelli, non indosso abiti firmati. Credo che sia un diritto di ognuno di esprimersi al meglio, essere quello che siamo. Io faccio la giornalista non faccio la soubrette, cerco di essere vestita in modo civile, decente ma da professionista che lavora”. C’è qualcosa da aggiungere?

Inafferrabile Lupin Le serie Netflix continuano a tenere banco. Dopo la discussa, discutibile e ultra kitsch “Bridergeton”, stavolta tocca a Lupin, disponibile dall’8 gennaio per gli abbonati. La serie è ambientata ai giorni nostri a Parigi ed è interpretata da Omar Sy, sul quale molti critici hanno espresso perplessità. Noi invece stiamo con Marco Giusti (intervistato da mowmag.com) che ha elogiato le qualità dell’attore: “Ha un tono da gentiluomo che non è semplice vedere nel cinema di oggi, trovo la serie piena di attrici bravissime come Ludivine Sagnier e Nicole Garcia”. Siamo perfettamente d’accordo (Sy si conferma bravissimo), ma ora urgono le ultime cinque puntate!

Gianna, Gianna, Gianna ”L’aria sta finendo”, è il singolo tratto dall’ultimo album (“La differenza”) di Gianna Nannini. Il videoclip (d’animazione) ha però urtato la sensibilità di un sindacato di polizia perché in una scena alcuni poliziotti vengono raffigurati come maiali che picchiano una persona di colore (evidente il richiamo all’omicidio di George Floyd, anche dal titolo). La divisa richiamerebbe quella della polizia italiana e dunque il video sarebbe “un un grave oltraggio alla dignità e al sacrificio di migliaia di donne e uomini. Gianna Nannini ritrovi lucidità e si scusi”. La cantante si è spiegata (nessuna intenzione di offendere i poliziotti, ma gli abusi di potere vanno combattuti e l’arte è uno “Stato indipendente”). E comunque: loro si scuseranno per la Diaz, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, e gli altri morti di Stato?

 

NON CLASSIFICATI

Rai, di tutto di più? Giovedì scorso – il giorno dopo il nuoco Dpcm – ai microfoni di Rtl, Amadeus ha confermato date e format di Sanremo 2021, previsto dal 2 al 6 marzo (cioè praticamente domani). Un festival della normalità, con il pubblico tamponato e isolato e i giornalisti in sala stampa. Ventisei big più otto nuove proposte, Fiorello, Ibra e tutto il resto: insomma musica e intrattenimento, gara canora è glamour. Ora, c’è da dire che mercoledì notte il consiglio dei ministri ha prorogato lo stato d’emergenza fino al 30 aprile e le misure restrittive fino al 5 marzo (dunque, compreso il periodo del Festival). Coprifuoco, locali chiusi, attività produttive ridotte al minimo. Potrà Sanremo godere di una sorta di extraterritorialità? A ogni obiezione viene risposto che è sempre possibile spostarsi per ragioni di lavoro, e che tutto verrà fatto “secondo le regole”. Ad oggi gli spettacoli dal vivo con il pubblico semplicemente non si possono organizzare (a Sanremo però il palco Nutella dovrebbe essere allestito). La Prima della Scala non c’è stata e la Berlinale si svolgerà per gli addetti ai lavori (negli stessi giorni di Sanremo) completamente da remoto (il pubblico invece potrà vedere i film in giugno). Al di là delle questioni squisitamente pratiche e giuridiche (su cui autorità politiche, sanitarie e di pubblica sicurezza qualcosa dovranno dire prima poi), si pone una non piccola questione di opportunità: il servizio pubblico può presentarsi davanti a un Paese chiuso in casa da un anno, psicologicamente ed economicamente in ginocchio e 500 morti al giorno, con un’edizione “normale” di Sanremo? Le scuole sono chiuse, ma l’Ariston è aperto. Sicuri che i cittadini capiranno?

 

Salvini: quando l’ex ministro “legge e ordine” predica l’illegalità

 

PROMOSSI

Insindacabile. Se le ragioni della salute e quelle dell’economia siano naturalmente predisposte a trovarsi le une contro le altre, o se la vera genesi della contrapposizione sia da ricercarsi nella strumentalizzazione politica che ne è stata fatta, non lo sapremo mai. Quello che invece sappiamo per certo è che le ingerenze di personaggi politici che si sono fatti paladini delle une o delle altre, con l’obiettivo di utilizzarle come carburante di consenso, hanno contribuito ad avvelenare il clima e ad allontare qualsiasi compromesso virtuoso. Questa settimana alla lista delle strumentalizzazioni si è aggiunto il sostegno di Matteo Salvini, con tanto di rilancio sui social, alla manifestazione di disobbedienza civile di un ristoratore pesarese che ha deciso insieme ad alcuni colleghi di tenere aperti i locali anche dopo le 18, in polemica con il governo. Il commento puntuale all’inopportunità di una figura istituzionale che alimenta un’antitesi pericolosa e improduttiva come quella tra salute ed economia, l’ha fatto l’altra involontaria parte in causa, il sindaco di Pesaro Matteo Ricci: “Che un ex ministro degli Interni sostenga apertamente azioni illegali è di per sé molto grave. Che poi lo faccia in un momento come questo, in piena pandemia, è irrispettoso nei confronti di chi soffre e di tutti gli altri ristoratori in difficoltà che rispettano le leggi italiane. Le associazioni di categoria mi hanno chiesto di essere intransigente nei controlli di chi non rispetta le regole. Tutti vogliono sconfiggere il virus e riaprire il prima possibile. Caro senatore Salvini, a Pesaro le leggi si rispettano, e così dovrebbe essere in tutta Italia”. Il sindaco ha chiaramente ragione.

Voto 7

 

BOCCIATI

Derrida sull’arno. Che a Bruxelles nessuno capisca che diavolo stia avvenendo in Italia e che alle cancellerie europee le mosse di Renzi sembrino quelle di Arlecchino, tanto alla fine paga sempre Pantalone, lo dimostrano i titoli della stampa estera. “Demolition man”, come lo chiama il Financial Times, sta rendendo incomprensibile e inaffidabile l’Italia agli occhi di quei partner europei che hanno accettato di vederla principale beneficiaria del Next generation Ue con 209 miliardi. Tutto questo lo sa bene un altro ex premier che in nome dell’affidabilità agli occhi delle cancellerie e delle istituzioni europee venne chiamato a costruire un’esperienza di governo, Mario Monti. “Quello che mi addolora profondamente di fronte ai politici che abbiamo, è che stanno dimostrando che l’Italia non è capace di stare in Europa come un paese normale. Oggi l’Europa pratica una generosità di cui stiamo facendo cattivo uso. I fondi diventano il pomo della discordia tra politici che guardano soprattutto, essenzialmente al loro interesse personale e di partito. Questo è intollerabile. Abbiamo bisogno di persone che siano disposte a sacrificare qualcosa del proprio interesse personale pur di mandare avanti questo Paese che si sta rendendo ridicolo in Europa e nel mondo”, ha commentato il senatore a vita, riferendosi in modo molto poco velato al Derrida della politica. D’altronde il decostruttivismo è un destino: chi nasce rottamatore non può che morire “Demolition man”.

Voto 2

 

Calcio sul lastrico. Tasse da (non) pagare, Mbappé in saldo e licenziamenti in corso

La curiosità è grande: quale sarà il “colpo di mercato” della sessione gennaio 2021? Per meglio dire: chi riuscirà a portare un po’ di euro nelle proprie casse trovando un compratore folle disposto a metter mano al portafogli per un giocatore, o disposto a prenderlo gratis accollandosi la zavorra di un ingaggio milionario? Ebbene sì: complice il Covid il mondo (anche quello del calcio) è andato a gambe all’aria e tutto si è capovolto. Ricordate gli acquisti da mille e una notte del Paris Saint Germain dello sceicco del Qatar Nasser Al-Khelaïfi capace di sborsare 222 milioni sull’unghia per convincere Neymar a lasciare Barcellona e altri 180 per portare sotto la Tour Eiffel il 18enne Mbappé del Monaco?

Beh, mettetevi comodi: la notizia di questi giorni è che il club parigino ha messo in disoccupazione parziale 400 dipendenti di marketing, ticketing, amministrazione e ufficio legale che lavoreranno da uno a cinque giorni in meno la settimana. E ancora, sempre di oggi è la notizia che il Psg sembra intenzionato a non opporsi alla partenza di Mbappé, il cui contratto scade nel 2022, con destinazione Real Madrid: si accontenterebbe della metà dei soldi spesi per il suo acquisto, e a Madrid ci stanno pensando. Ma siccome anche lì sono finiti i tempi delle follie per Zidane e Ronaldo, per CR7 e Bale, per prendere Mbappè a prezzo di saldo hanno deciso di spendere zero euro al mercato estivo 2020, zero al mercato di gennaio 2021, vendere tutto il vendibile per racimolare un gruzzoletto sufficiente a convincere lo sceicco del Qatar a privarsi del suo più luccicante gioiello. Detto en passant: il Real ha appena abbassato il suo salary cap (leggi: monte-stipendi) del 27% passando da 641 milioni a 468,5. Taglio doloroso per i giocatori, ma niente in confronto alla sanguinosa amputazione del 43% praticata dal suo rivale storico, il Barcellona: che ritrovatosi a rischio fallimento è stato costretto a scendere da 671,4 milioni a 382,7, quasi dimezzando il monte-ingaggi.

Con gli incassi al botteghino che non ci sono più (e chissà quando torneranno), il marketing crollato, gli sponsor che se ne vanno e le tv che offrono meno soldi visto che il colpo d’occhio, con le partite giocate in stadi vuoti, è a dir poco desolante, il tempo delle vacche grasse è ufficialmente finito. E se a risentirne, oltre alla Liga spagnola, è anche la Premier League inglese, e cioè il movimento più ricco del mondo (l’Arsenal ha appena licenziato 55 dipendenti a dispetto del taglio del 12,5% degli stipendi chiesto ai giocatori), immaginate le condizioni in cui si trova la Serie A italiana; che infatti è entrata nell’ordine di idee di vendere letteralmente l’anima al diavolo (per ora solo il 10%: ceduto per 1,7 miliardi ai fondi “private Equity” CVC, Advent e Fsi), ma che si dibatte in una crisi senza fondo testimoniata dai bilanci in perdita dei suoi club (Roma -204 milioni, Milan -195, Inter -102, Juventus -90) e dalla sopraggiunta impossibilità di pagare gli stipendi. “Il nostro movimento paga ogni anno 1-1,2 miliardi di gettito fiscale – ha detto Marotta, d.g. dell’Inter – e quello che vorremmo è avere almeno un differimento della tassazione. Il Governo deve permetterci di modulare i pagamenti in modo differente”. Traducendo: fammi dare gli 8 milioni a Lukaku e a Ibra e a Dybala subito; per le tasse invece ne riparliamo.

Domanda: a bar e ristoranti no e al pallone sì. A voi pare giusto?

 

Se una notte d’insonnia leggi Carlo Rovelli. “Potenti, cosa siete nell’infinito del cosmo?”

Capita. Capita anche a chi avrebbe cento motivi per dormire come un sasso di soffrire improvvisamente d’insonnia. E di cercarsi un libro di poche pagine con cui trascorrere un paio d’ore. L’ultima notte che mi è capitato ho estratto da uno scaffale, guidato da non so quale calamita, un libretto di 85 pagine. Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli, insigne fisico teorico, di cui (e me ne scuso) conoscevo solamente il nome. Gli ho dato una scorsa veloce. Vi si parla di Einstein che legge Kant; e che lascia la Germania di cui non sopporta i rigori liceali per raggiungere la famiglia a Pavia, dove il padre ingegnere installa le prime centrali elettriche in pianura padana. Vi si parla di Anassimandro e della sua rivoluzione scientifica. Gli ingredienti sembrano quelli giusti. Sono proprio quelli che attirano i lettori della mia età, con in cuore la nostalgia perenne degli studi classici da approfondire “come si deve” quando ci sarà tempo, cioè mai. Rituffarsi negli odori dei nomi e dei temi che hanno popolato l’adolescenza o la prima giovinezza è sempre operazione inebriante; e, in questo caso, dal finale sorprendente.

Fra la teoria della relatività e quella dei quanti giungo infatti all’architettura del cosmo e lì mi incanto. Cielo, terra, Parmenide, Pitagora, Aristotele, Dante, Copernico. Ragazzi, qui si sogna. Ma quale fisica, questa è letteratura, è poesia, è ricordo di effluvi, di spruzzi marini e di sospiri notturni. Rovelli disegna il cosmo che si increspa di onde e vibra. Disegna in successione le idee di cosmo che l’uomo ha coltivato dal primo homo sapiens a oggi: terra piatta e terra sferica, terra al centro e terra che gira intorno, il sistema solare che è soltanto uno dei tanti. La galassia, anzi “le” galassie.

A un certo punto mette su una mezza pagina una fotografia presa dal telescopio in orbita Hubble. È l’immagine più profonda del cielo. Vedete tutti questi puntini neri? Chiede. Ecco, ogni punto nero è una galassia con cento miliardi di soli simili al nostro. Perché nell’universo esistono migliaia di miliardi di miliardi di pianeti come la terra, spiega. Mi fermo. Rileggo: “Migliaia di miliardi di miliardi di pianeti”. Me lo ripeto e resto sconvolto. E noi crediamo di pensare in grande se parliamo di globalizzazione e di politica estera. “Migliaia di miliardi di miliardi”. Bisognerebbe riscriverlo cento volte al giorno, come si fa con le aste all’asilo, per capire quanto sia ridicola la gara del potere (perché mica solo di fisica vi volevo parlare). Compresa quella dei grandi dittatori.

Nel senso che se queste sono le dimensioni dell’universo noi che viviamo su questo infinitesimale sputo che è la terra possiamo fare solo una cosa. Viverci al meglio, in pace tra noi. E chi fa politica solo a questo dovrebbe pensare. A come fare star bene chi per avventura viva nel suo stesso tempo, senza tragicomiche lotte di potere.

Chi sei in fondo tu, homo politicus, in quelle migliaia di miliardi di miliardi di pianeti? Nulla, zero virgola zero periodico. Se poi per essere lo zero virgola zero periodico perdi nel mezzo di una tragedia collettiva anche la stima residua di chi un giorno ti votò felice mentre ora conta i morti e le paure intorno a sé, desiderando solo sopravvivere e tornare a rivedere i prati e le spiagge e le labbra delle persone amate, allora ti conviene leggere questo libretto di fisica e gli altri intorno. Perché sei proprio un brighella, come dicono a Milano.

Studia dunque almeno il capitolo sul cosmo, per avere il senso delle proporzioni. Per sentirti pulce quanto è giusto. E per scoprirti incommensurabilmente ridicolo quando ti atteggi a leone. Forza, ripetilo con me: migliaia di miliardi di miliardi. Magari ti vergogni. Potrebbe essere la tua salvezza (ogni riferimento alla situazione politica dell’Italia odierna è del tutto casuale…).