Donne di lotta e di potere. Bellanova e Bonetti, Le ministre di Renzi alla prova dell’obbedienza

 

“Ho vissuto mesi in ospedale e vi prego: fidiamoci dei medici”

Cara Selvaggia, ho letto la storia di Teresa, la figlia di Jovanotti e Francesca Valiani, e della malattia che dopo tanta paura se ne va. Voglio raccontarti la storia mia e di Thomas. Thomas è uno scricciolo nato di 540 grammi, prematuro. “Tommaso” significa gemello, e un gemello lui ce l’ha, si chiama Gabriel. Sono stati entrambi ricoverati a Taranto per un mese, Gabriel è tornato a casa prima del loro primo “complimese”. Thomas invece è stato trasferito al policlinico di Bari. Dopo cinque mesi e mezzo fra incubatrice, intubazione e tanta forza, è uscito a vedere il mondo. E ora, per i suoi fragili polmoncini gli hanno prescritto medicine con cui si sta ancora “curando”. Se vivi un’esperienza così forte, ogni tanto parlarne ammorbidisce un pezzettino di sofferenza.

Quando Thomas è stato dimesso dall’ospedale di Bari scrissi questo: “Sono arrivata nel vostro ‘mondo’ il 16 maggio di quest’anno… con la paura nel cuore di poter perdere un figlio. Ho pregato tutti i giorni in quella chiesetta del policlinico, ho chiesto di poter stare più tempo con Thomas nella terapia intensiva: dovevo parlargli, dovevo dirgli che io avevo sempre creduto in lui, che lo amavo quanto il fratellino gemello. Amo la musica e gli ho fatto sentire tante canzoni, amo leggere e gli ho letto dei libri, amo viaggiare e gli ho raccontato storie di montagna e di mare. Gli ho parlato, ma l’ho anche ascoltato… perché Thomas, ogni giorno, mi parlava con i suoi occhi così grandi. La situazione era seria, così mi è stata data la possibilità di appoggiarmi in una stanza, lì in ospedale, sullo stesso piano. L’ho usata tanto, è diventata la mia camera in questi cinque mesi. Ho conosciuto altre mamme, ascoltato tante storie (e ho capito che una sola stanza con due letti non sarebbe bastata per aiutare tutte, ma sarebbe bello fare qualcosa per quelle mamme, dare a tutte la possibilità di “appoggiarsi” in ospedale). È stata dura, ed ho scelto di farmi forza in ogni modo per trasmetterla a lui. Ho guardato avanti, sforzandomi di fare le cose normali: scendevo al bar per il caffè, insalatone e pranzo, un gelato dal gelataio vicino al policlinico. Avevo bisogno di “vivere io” per dare a Thomas le mie energie, fargli sentire quello che le mie orecchie ascoltavano, guardare quello che i miei occhi vedevano, lì fuori, nel mondo.

Ho visto quello che succede a tutte le ore in quei reparti, le urgenze, le terapie, gli infermieri, i medici. All’inizio non è semplice, ma poi comprendi determinate dinamiche. Mi sono affidata, a volte arrabbiata, poi pentita, poi incavolata di nuovo, perché quando stai lì vuoi che tuo figlio sia al centro, sia sorvegliato, coccolato, seguito. E poi ho capito che dovevo solo avere fiducia in tutti e aspettare che Thomas stesse meglio. Stanotte qui sul lettone ho accanto Gabriel e finalmente anche Thomas, dopo cinque mesi e mezzo… insieme, e vedo in loro, il miracolo della vita. Ecco, avevo scritto questo.

Vale

E io vedo il miracolo delle mamme. Di te, della mamma di Teresa. Di mamme che si scoprono potenti e piene di risorse, capaci di gestire la paura e non solo, di raccontare la fine senza retorica. Grazie.

 

“Cara Elena e Teresa, quanta libertà vi concede Matteo?”

Cara Selvaggia, a proposito delle due ministre che hai sbertucciato così bene sul Fatto Quotidiano, volevo chiederti se non trovi che alla fin fine sia normale che due miracolate, messe lì da Matteo Renzi per fedeltà a Renzi, tacciano di fronte a un finale non deciso da loro. Voglio dire, hanno taciuto per la stessa ragione per cui avevano acconsentito: perché glielo aveva chiesto Renzi. Che libertà di azione potevano avere?

Te la immagini la Bonetti che dice a Renzi: “Decido io!?”. Le scout di solito obbediscono al loro capo squadriglia. È nel loro dna. E la Bellanova? Ma cosa pretendevi che facesse? La capo sindacalista col capo più dispotico e vendicatore del pianeta terra? Rischiava di buttare decenni di carriera e di tornare nei campi. Renzi non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

Insomma. Perdonale Selvaggia, perché le due sanno quello che fanno: obbediscono.

Luigi

Ma sì, hai ragione. Che stiano serene.

 

La crisi giallorosa. L’ex rottamatore cattolico scaricato dalla Chiesa, che ora guarda a Conte

Sette anni fa, nell’ormai lontano Quattordici, tra i milioni d’italiani che presero sul serio il fenomeno del renzismo, ci fu chi si interrogò sul grado di cattolicità dell’allora presidente del Consiglio, credente di matrice Dc. Così i gesuiti della Civiltà Cattolica – tornati in auge con il pontificato del loro confratello papa Francesco – cercarono di tipizzare la fede di Matteo Renzi.

Ne venne fuori un profilo da cattolico adulto ambiguo, tra Chesterton e la sinistra demitiana, nella cui azione di premier contava più “la radice che nutre” che l’esigenza di organizzare una presenza neo(demo)cristiana nelle istituzioni. Insomma, “un cattolico liberale” contaminato dalla dottrina sociale della Chiesa. A vergare questo ritratto fu padre Francesco Occhetta, il più autorevole commentatore politico della Civiltà Cattolica diretta da padre Antonio Spadaro.

Ieri, in un editoriale sul sito di Comunità di Connessioni, il religioso gesuita affronta questo tornante cruciale della crisi con toni preoccupati, riconoscendo sì alcuni “punti legittimi” al leader di Italia Viva, ma stroncando la decisione di rompere: “Nel metodo però la scelta di ritirare la propria rappresentanza di Governo contraddice il merito di migliorare ciò che si chiedeva. Per questo rimane un’incognita comprendere per l’opinione pubblica le intenzioni morali che hanno ispirato la scelta. Il Paese ne esce indebolito, bastava raccogliere l’invito del Presidente Sergio Mattarella per ritrovare l’unità nel rispetto delle differenze”. Padre Occhetta prosegue scrivendo che “il mondo cattolico può essere enzima per ricomporre la crisi”. In che modo è tutto da vedere. E fino a che punto la questione sfiora o investe anche i “costruttori” cattolici di cui si parla in queste ore, come Clemente Mastella o Lorenzo Cesa dell’Udc?

In ogni caso, l’unica novità prodotta sinora da questa crisi è il dibattito sulla fatidica gamba di centro vagheggiata dal premier Giuseppe Conte, coi “costruttori” a mo’ di embrione del suo progetto. In merito non è mancata la confusione. Si è scritto che questa nuova formazione dovrebbe chiamarsi “Insieme”, ma guarda caso questo logo già esiste e rappresenta il partitino cattolico nato recentemente con la benedizione dei vescovi italiani. Per questo gli esponenti di “Insieme”, l’economista Stefano Zamagni e l’ex senatore udc Ivo Tarolli, hanno protestato, ma non troppo. Si legge infatti in una nota: “Noi non siamo lo strumento di Giuseppe Conte, così come non siamo contrari al Presidente del consiglio per partito preso”. Appunto. Il nodo è il presunto leaderismo di cui sarebbe portatore sano il premier, nonché il camaleontismo delle vecchie volpi di matrice democristiana (Mastella ma soprattutto l’Udc di Cesa ancora nel centodestra).

In attesa di sviluppi, dal presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti (nella foto), all’Azione cattolica e alla Fuci, è tutto un aggrapparsi al nobile richiamo del capo dello Stato ai “costruttori”, accusando Renzi e Italia Viva di aver provocato “una crisi deleteria”. Solo che il tempo incombe e al momento a tenere banco è solo la soluzione parlamentare della crisi. In cui a contare sono i numeri, non altro.

 

Turati e Bombacci “attori” per il film sul Pci nascente

La regista, sceneggiatrice, attrice, fotografa Cecilia Mangini, 93 anni e una vita tra cinema e impegno politico, custodiva due bobine recuperate nello scantinato di una sezione romana del Partito socialista negli anni Sessanta, oggi risalenti a cento anni fa.

Si trattava del film Uomini e voci, Congresso socialista di Livorno, girato in 35mm, mezz’ora di durata, adesso restaurato dal Laboratorio l’Immagine ritrovata della Cineteca di Bologna. Un film che resta un mistero: “Non ha indicazioni né sulla produzione, né su chi lo abbia diretto e non ebbe mai un visto di censura. Pur essendo un documentario – spiega Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca –, è un vero esperimento perché cerca di offrire il ventaglio delle molte posizioni e delle importanti personalità che animavano quelle tumultuose, turbolente ma anche gioiose giornate, pur non avendo a disposizione il sonoro, ma solo didascalie, e una pellicola poco sensibile, che rendeva quasi impossibili le riprese all’interno del teatro. Anche se, molto probabilmente il film giunto a noi è incompleto, quello che possiamo vedere non può non sorprenderci. Sfilano davanti ai nostri occhi i rappresentanti dell’Internazionale socialista, Turati e Terracini, Bordiga e Bombacci, Argentina Altobelli e Francesco Misiano, che scappato in Urss diede vita alla casa di produzione Mezrapom, per un decennio, lo studio più innovativo del cinema sovietico”.

La copia del film è stata consegnata tempo fa dalla stessa Mangini alla Cineteca “in estremo degrado” causato dal tempo. Il Laboratorio l’Immagine ritrovata ha trasferito il film in digitale e il compositore Daniele Furlati ha realizzato l’accompagnamento musicale, ricreando oggi le sonorità dell’epoca.

Online su “Cinema ritrovato fuori sala” da oggi

Il regista Paolo Virzì, livornese doc, ha potuto vedere il film restaurato in anteprima: “Il primo esempio di un evento politico ripreso dalla macchina da presa”. E da oggi tutti potranno vedere Uomini e voci, Congresso socialista di Livorno online sulla piattaforma “il Cinema ritrovato fuori sala”. Il regista ignoto, cento anni fa, dal 15 al 21 gennaio 1921, ha realizzato un’opera modernissima che oltre al valore documentaristico ha la struttura di un film, con la ricostruzione del dibattito serrato dei protagonisti, l’utilizzo di immagini simboliche come il mare in tempesta o addirittura il ricorso all’animazione per rendere alcuni momenti come “il fattaccio”: il marxista rivoluzionario Bombacci si scaglia contro l’intransigente Vacirca impugnando la pistola e promettendo la morte all’avversario che lo aveva apostrofato definendolo “rivoluzionario da temperino”. Poco lontano poi, al Teatro San Marco, il 21 gennaio Bombacci sarà tra i fondatori del Partito comunista d’Italia insieme con Antonio Gramsci.

Il film si apre con l’ingresso dei congressisti al Teatro Goldoni e la sfilata di onorevoli, sindacalisti, giornalisti e militanti, tra cui oltre ai più noti “l’ex bidello e cameriere” onorevole Radi e l’imponente assessore Paolucci, definito con ironia “il più… magro dei congressisti” nella relativa didascalia.

E poi il dibattito. L’on. Costanino Lazzari: “Evitare più che sia possibile al nostro proletariato il pericolo dei dolori, dei terrori, e degli orrori che le disfatte del 1831, 1848, 1871 in Francia e del 1919 in Germania, in Finlandia, in Ungheria, hanno straziato la storia del proletariato europeo moderno”. La prima pagina de l’Avanti! al quarto giorno titola: “Incidenti e tumulti provocati dall’impeto delle passioni contrastanti”. Ma l’on. Elia Musatti è sicuro: “Entro un anno saremo di nuovo tutti riuniti”. E così Mario Trozzi: “Se il Partito socialista si divide, il proletariato italiano saprà riunirlo, nei momenti decisivi dell’azione rivoluzionaria”. Dall’altra parte della barricata Nicola Bombacci spiega: “Sono per la creazione del Partito comunista perché la ritengo indispensabile per la realizzazione del comunismo internazionale”. E mentre l’operaio meccanico on. Baccigalupi avanza una richiesta: “Nelle sezioni, meno bar e più biblioteche”, l’on. Ettore Croce puntualizza: “L’unità divide il Partito socialista, la scissione unifica il Partito comunista”. “L’Internazionale non si difende con le fazioni, ma coll’unità”, ribatte l’on. Francesco Frola. E l’onorevole Vincenzo Vacirca accusa furente: “Sì, noi sentiamo l’orrore del sangue, e di ciò non crediamo doverci vergognare. Non per il nostro sangue che temiamo, ma per le inutili stragi che ci darebbe una rivoluzione prematura”.

L’on. Pietro Abbo è appassionato, invece, quanto commovente: “Ricordiamoci tutti che la prima vittoria che dobbiamo riportare è su noi stessi, nel senso che la nostra personalità, le nostre ambizioni devono scomparire, per ricordarci solo che tutto ciò che abbiamo di più caro, di più santo, lo dobbiamo dare entusiasticamente al Partito”.

 

L’archivio di Umberto Eco a pezzi, col plauso degli eredi

“Il bene di un libro sta nell’essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto. Questa biblioteca è nata forse per salvare i libri che contiene, ma ora vive per seppellirli. Per questo è diventata fonte di empietà”. Le parole di Guglielmo da Baskerville nel Nome della Rosa sono un costante monito per chi governa le biblioteche: meravigliosi strumenti di conoscenza, che possono però trasformarsi in micidiali distruttori di memoria. Difficile non ricordarle di fronte all’incredibile epilogo della vicenda che riguarda proprio la mitica biblioteca di Umberto Eco, oggi smembrata: proprio come nel Medioevo, a lui così caro, si smembravano i corpi dei santi, per non scontentare nessuno degli ardenti e devoti feticisti. Alla fine – secondo l’informata sintesi di Paolo Di Stefano sul Corriere della sera – “all’Università di Bologna andrebbe la biblioteca moderna di lavoro; a Brera andrebbero gli incunaboli, le cinquecentine e le edizioni preziose (cedute per oltre 2 milioni di euro); le carte (manoscritti, carteggi e altro) un po’ a Milano e un po’ a Bologna”.

A decidere, il Ministero per i Beni Culturali: anzi, proprio il ministro in persona personalmente, almeno a leggere il titolo a nove colonne della franceschinianissima Repubblica: “Il dono di Franceschini: ‘I libri di Eco affidati all’ateneo di Bologna per 90 anni’”. Di fronte a queste manifestazioni di giubilo, perché lamentarsi e fare, letteralmente, i guastafeste? Lo spiega bene ancora Di Stefano: perché così si “finisce per disperdere la personalità intellettuale di Eco in varie tranches, frammentandone la visione d’insieme, oltre a rendere più scomoda la consultazione per gli studiosi”. Una “curiosa decisione, tanto più per un autore complesso che va considerato (funzionalmente) nel suo insieme: il semiologo e filosofo non separabile dal narratore, il narratore non separabile dal bibliofilo, il cultore di libri antichi non separabile dal saggista, il saggista non disgiunto dal lettore onnivoro, il lettore dallo scrittore in proprio metaletterario e postmoderno. Un intellettuale legato all’idea strutturalista secondo cui tout se tient (tutto si tiene)”.

La cosa davvero grave è che lo stesso Ministero per i Beni Culturali aveva emesso (l’8 ottobre 2018, ministro Alberto Bonisoli, direttore generale Gino Famiglietti) un decreto di vincolo che vieta espressamente di smembrare il “compendio archivistico-bibliografico Archivio e Biblioteca di Umberto Eco”, dichiarandolo bene indivisibile di eccezionale interesse culturale, in quanto archivio di persona e archivio letterario, e destinandolo all’Archivio di Stato di Milano. Ma contro quel decreto gli eredi Eco – fautori dello smembramento tra Milano e Bologna – presentarono un ricorso al Tar (che non si è ancora pronunciato). Una decisione legittima, ma certo non ispirata a un fair play nei confronti di uno Stato che, appone sì il vincolo, ma al tempo stesso decide di sborsare agli eredi una cospicua cifra (si dice pari a 2 milioni e mezzo di euro) per assicurare all’uso pubblico la biblioteca dei libri antichi. In ogni caso, tornato Franceschini al Collegio Romano, gli avvocati degli Eco e i vertici del Mibact si mettono a trattare: fino ad arrivare al clamoroso risultato che prevede che lo Stato dimentichi il suo stesso vincolo, e che invece di difendere quest’ultimo di fronte al Tar, accolga di fatto le istanze della controparte, dividendo in due un prezioso corpo unico e vivo – proprio come minacciava di fare re Salomone col famoso neonato conteso dalle due donne che se ne proclamavano madri. Salomone, tuttavia, si limitò a minacciare un esito così crudelmente demenziale: perché sapeva che la vera madre avrebbe preferito rinunciare ai suoi diritti che vedere suo figlio orrendamente straziato. Ma il Ministero per i beni Culturali non è Salomone, né si vede in giro un autentico amore per questo straordinario patrimonio: un amore capace di rinunciare al possesso, in nome delle ragioni più alte della conoscenza. E se non si riesce a stupirsi, ormai, per le contraddizioni e i controsensi del Mibact, lascia davvero basiti il comportamento della Biblioteca Braidense (indecentemente sottoposta alla Pinacoteca di Brera nella riforma Franceschini) e soprattutto dell’Università di Bologna.

Come faranno i professori di quest’ultima – che siano filologi, storici della letteratura, giuristi dei beni culturali o cultori del diritto amministrativo – a insegnare l’importanza cruciale di rispettare l’unità degli archivi delle personalità culturali che studiamo, e quella di non sottoporre agli interessi (o capricci) privati l’interesse pubblico, che coincide con “lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica” (art. 9 Cost.)?

C’è poco da fare: “Quando entra in gioco il possesso delle cose terrene, è difficile che gli uomini ragionino secondo giustizia” (Umberto Eco).

“Politici senza potere: fuggono dallo stress con l’autodistruzione”

La politica è incomprensibile? I comportamenti degli uomini politici ci sembrano irragionevoli, poco logici, lontani dalla realtà? Quel che segue è una breve indagine psicopatologica, una rassegna superficiale ma non affrettata delle ragioni possibili dei disturbi del comportamento.

Dottor Sarantis Thanopulos, perché Matteo Renzi fa così?

Perché porta con sé – escludendo le questioni di merito che non mi competono – il phisique du role del giocatore d’azzardo. Un ruolo che presumo lo affascini, perché lo costringe spesso all’eccitazione di puntare in un battibaleno tutte le sue fortune e scommettere nel successo. Il giocatore d’azzardo conquista anche vittorie strabilianti ma non ne è mai sazio. Non si ferma, perché il suo vero destino è perdere tutto al banco.

Se ne fosse consapevole potrebbe correggere questo comportamento?

Guardi che a volte si cerca la buccia di banana. È un atteggiamento certo inconsapevole che però la mente attua come estrema difesa. Penso alla figura di Dominique Strauss-Khan, economista di prima grandezza. Era a un passo dalla presidenza della Repubblica francese e di sicuro sapeva di questa sua compulsività sessuale, questo lato debole della sua personalità, questo bisogno nel sesso di andare oltre. Benché a conoscenza dei danni che avrebbe provocato alla propria reputazione, proseguì fino a sbattere il muso e distruggere la carriera.

Dunque è un atteggiamento masochistico?

È figlio indiretto dell’esasperazione della personalità e il basculamento tra due estremi: l’eccitazione e la depressione. L’uomo politico deve apparire esemplare, nel senso di sapere sempre come fare fronte a un accadimento, come mitigare una crisi collettiva, come illustrare, per eventi di natura differente, l’exit strategy adeguata, corretta, opportuna. È davvero molto difficile vedere uno di questi che di fronte a un fatto che provoca allarme sociale dice: “Non so come fare”. E così può accadere che lo stress induca una parte di sé a trovare una via d’uscita rischiosa da una condizione che si fa angosciante. E dunque arriva la buccia di banana: quel che a noi pare incomprensibile ha una forma di spiegazione, un recinto entro cui è maturata, una motivazione sul perché il protagonista l’abbia voluta calpestare.

I politici farebbero bene a sostenersi con la psicoanalisi?

Tutti noi faremmo bene ad analizzarci. Ma arriviamo sul lettino quando il nostro disagio è giunto a un livello insopportabile. È anche vero che se tutti scegliessimo il lettino esso diverrebbe un orribile trattamento obbligatorio. Ma allenare la mente, intuirne i passaggi, governare le emozioni, è cosa saggia.

Se trovasse in treno Giuseppe Conte, quali consigli gli darebbe?

Di verificare bene la capacità di gestire questi momenti. Di avere sempre presente che chi ha il potere viene visto come il detentore di ricette salvifiche. E purtroppo la classe politica non è oggi in grado di determinare gli indirizzi dei veri padroni del vapore, di coloro nelle cui mani il danaro e il potere sono avvinghiati. Gruppi monopolisti, società o singoli che determinano fortune e disgrazie. I ricchissimi del pianeta non rispondono nei fatti alle leggi e ai governi.

Pfizer ha appena comunicato la riduzione unilaterale delle dosi di vaccino.

Questa scelta esemplifica la potenza dei rapporti in campo. Noi cosa possiamo fare? Denunciare alla Corte dell’Aja? Gli faremmo un solletico. Ma il danno che patiremo è grande, e i governi sovrani non hanno armi per ridurlo. Questa impotenza produce un forte stress per chi è chiamato a gestire le ansie collettive, le disgrazie ed è destinatario di petizioni urgenti.

E di questo tipo di stress parlerebbe a Conte.

Assolutamente sì. Ha chiara la sua capacità nella funzione di governo in una situazione così insana, così disperante? Una buona consapevolezza dei limiti entro i quali opera, ridurrebbe lo stress delle emozioni, permetterebbe la loro sedimentazione, elaborazione, ed un’organizzazione del proprio agire non impulsiva ma razionale.

Prima di governare indagare l’ “interna corporis”.

Procedura corretta e piuttosto saggia.

La sai l’ultima?

 

Cina Kung Fu alla Tafazzi: si colpisce l’inguine con un palo di legno massiccio di 40 chili

Buone nuove dal paese del Dragone: Tafazzi esiste davvero ed è cinese. Il protagonista di questa storia si chiama Wang Liutai, 65 anni, esperto di arti marziali e in particolare cultore della nobile tradizione del “cavallo di ferro”. Lo racconta il sito Today, ma il merito di aver scovato questa notizia trascendentale è dell’Huffington Post (versione Usa). “In che cosa consiste l’‘iron crotch’ è presto detto: si prende un bel tronco di legno massiccio – 2 metri di lughezza per circa 40 chili di peso – e lo si appende, con robuste catene e mantenendolo orizzontale, ad una solida intelaiatura costruita per la bisogna. Si fa oscillare il tronco come un ariete medievale che cerca di sfondare il portone d’ingresso di un castello, e il gioco è fatto. Con la non trascurabile variante che, al posto del portone, c’è il maestro di kung fu che si espone a prendersi la legnata nel basso ventre”. Una pratica che ti rimette in pace col mondo, sostiene Wang: “Se ti impegni seriamente ti sentirai benissimo”.

 

Canada Porta il marito a guinzaglio per aggirare le norme anti-Covid e si becca una multa di 1.500 dollari

La moglie che tiene il marito a guinzaglio è una dinamica tutt’altro che infrequente nei rapporti di coppia, ma è molto raro che si vada oltre il senso figurato. In Quebec è successo davvero. Una donna ha letteralmente messo la catena al consorte e i due sono usciti di casa violando il coprifuoco per il Covid. Più che imposizione psicologica, pare fosse un tentativo bizzarro e provocatorio per contestare l’obbligo di restare in casa: tutto il mondo è Dpcm e anche in Canada i cani da portare a spasso sono gettonatissimi. Così gli agenti hanno fermato una donna che accompagnava l’uomo a guinzaglio a fare pipì vicino casa. “Secondo quanto riferito dai media locali – riporta Fanpage – i due hanno detto alla polizia che stavano seguendo la regola per gli animali domestici ma per il dipartimento di polizia di Sherbrooke la coppia ‘non ha collaborato affatto con gli agenti’. Per questo entrambi sono stati multati con una sanzione di 1.546 dollari canadesi”.

 

Spagna L’ultima teoria del complotto, i negazionisti della neve: “È di plastica, ci stanno prendendo in giro”

Ogni settimana la fucina culturale del negazionismo ci regala emozioni diverse, nuove sfumature di imbecillità. L’ultima affascinante teoria del complotto arriva dalla Spagna. Una donna ha scoperto l’ennesima beffa orchestrata dai padroni del mondo per prendersi gioco della gente: la neve di plastica. La signora è riuscita a smascherare questo inganno delle élite grazie al suo ingegno e ad un semplice accendino: la fiammella passata sotto una manciata di neve non riusciva a scioglierla. “Pura plastica”. Il video ovviamente spopola sui social. Un biologo si è preso pure la briga di provare a spiegare il fenomeno su basi scientifiche: “Nel caso della palla di neve della donna la fiamma è stata applicata su un punto localizzato e la maggior parte del calore che riceve si è dissipata attraverso il resto della massa di ghiaccio senza farlo sciogliere, a causa dell’elevato calore specifico del ghiaccio”. Chissà chi lo paga.

 

Usa Non ricorda la password del conto virtuale: rischia di perdere 220 milioni di dollari in Bitcoin

Si è dimenticato la password per accedere al suo conto virtuale e ora rischia di perdere 220 milioni di dollari. È un po’ come sbagliare il pin del cellulare, con la posta in palio appena più alta. Lo smemorato si chiama Stefan Thomas, la sua storia la racconta il sito di Rainews. “Per otto volte ha sbagliato la password d’accesso, che ha dimenticato. Gli restano due tentativi e per il programmatore tedesco che vive a San Francisco, non è un problema di poco conto: se dovesse fallire anche le opzioni 9 e 10 perderà per sempre 220 milioni di dollari in Bitcoin. Il problema è che Thomas ha perso, anni fa, il foglio dove aveva scritto la password per accedere alla sua personale IronKey. La ‘chiave’ concede nove possibilità di sbagliare, alla decima blocca per sempre l’accesso”. Una misura anti-hackeraggio che stavolta può essere fatale. Thomas la prende con filosofia: “Mi metterò sul letto e proverò a pensarci poi andrò al computer e farò il nono tentativo”.

 

Urbino Il professore delle Belle Arti fa sesso durante la lezione online e poi si dimette dall’Accademia

Quanti danni sta facendo la didattica a distanza: un docente dell’Accademia delle Belle Arti di Urbino si è dimenticato di spegnere la sua webcam e si è fatto beccare mentre faceva sesso durante la lezione. Bisogna riconoscere che è un salto di qualità notevole rispetto alle altre gaffe tipiche di Zoom, la cui letteratura abbonda in tempi di pandemia. “L’insegnante – scrive il Corriere della Sera – dopo aver spiegato in diretta un argomento, avrebbe voluto completare la lezione con un video”. Fatto partire il filmato, convinto che la sua webcam fosse spenta, il prof ha iniziato a occuparsi di altro, diciamo. “Dopo lo stupore degli studenti, l’episodio ha fatto il giro dell’ateneo e il docente è stato convocato dal direttore dell’Accademia di Belle Arti, Luca Cesari, per fornire delle spiegazioni. Quindi il professore ha inviato anche una lettera agli studenti per esprimere il suo profondo rammarico e ha rassegnato le dimissioni”. Si trattava peraltro di un docente “molto amato”, sostiene il direttore. Espressione calzante.

 

Las Vegas Presentata la prima mascherina smart con microfono, condizionatore e retroilluminazione

Se non eravate già abbastanza depressi per questo 2021 che somiglia moltissimo al 2020, sappiate che è in arrivo l’irrinunciabile mascherina smart. Non sappiamo ancora quanto a lungo dovremo campare con una pezza di tessuto davanti alla bocca, di conseguenza i pionieri dell’high tech cominciano a esplorare le enormi potenzialità di questo mercato. L’azienda di gaming Razer ha sviluppato quella che è probabilmente la più avanzata smart-mascherina del mondo. Ha una scocca di plastica trasparente, un design ultramoderno, un microfono incorporato che amplifica la voce dell’utente (per contrastare le parole ovattate che escono quando la bocca è coperta), un sistema di ventilazione e di condizionamento della temperatura dell’aria in entrata e in uscita e un dispositivo di illuminazione interna per illuminare la bocca di chi la indossa quando è buio. Questo prodigio della tecnica non è ancora sul mercato – mannaggia! – e non sappiamo quanto costerà nel momento in cui ci dovesse finire. Per una pandemia fichissima.

 

Montreal Successo straordinario per il ristorante cinese onesto: “Da noi non si mangia molto bene”

“Il nostro cibo non è molto buono”. L’approccio di questo ristorante cinese di Montreal ha conquistato la clientela, come racconta il Guardian. Onestà brutale: si mangia bene ma non benissimo. Se lo dicono da soli e lo scrivono sul menù: “Rispetto al pollo General Tao questo piatto non è granché” – si può leggere accanto alla descrizione di un piatto di manzo agrodolce – “ma comunque non sono un grande fan del cibo cinese cucinato in Canada, sentiti libero di scegliere”. Un’altra pietanza è presentata così: “Non farti trarre in inganno dal nome, questa non è cucina cinese autentica”. E un’altra ancora così: “Non siamo soddisfatti al 100% del sapore, ma migliorerà presto. Ps: Siamo sorpresi che ci siano clienti che ordinano ancora questo piatto”. Il culto dell’ understatement del ristorante di Feigang Fei ha riscosso un successo inspiegabile: un tweet del menù è diventato virale e il locale è stato preso d’assalto. E il proprietario, che per sette anni aveva mandato avanti questa taverna senza infamia e senza lode, se la ride per l’immeritato successo.

Il Wsj: “In Israele la 1ª dose di vaccino ha ridotto i contagi del 33 per cento”

È una notizia che fa sperare, anche se va presa con le pinze: dai primi dati rilevati in Isreale, la nazione che ha condotto la più veloce campagna vaccinale anti Covid – su un quarto della popolazione in meno di un mese – emergerebbe che la già la prima dose di vaccino Pfizer Biontech possa diminuire la trasmissione del contagio del 33%. Il che farebbe sperare anche rispetto ai problemi relativi alla mancanza di dosi sufficienti a garantire che due dosi di vaccino siano somministrate nei tempi previsti dai protocolli vaccinali. Pfizer ha annunciato il taglio alla distribuzione delle dosi del 29%, indatti, e da domani arriveranno in Italia ben 100 mila dosi in meno. Il Regno Unito ha deciso di posticipare la somministrazione della seconda dose fino a 12 settimane dopo la prima, e non 21 giorni, come prevede il protocollo Pfizer. Scelta criticata da molti esperti nel mondo, ma che invece ha un senso secondo altri.

“È una questione urgente e su cui bisogna discutere subito”, spiega Giuseppe Pontrelli, epidemiologo clinico, ex Istituto superiore di sanità. La controversia ruota attorno a due approcci. Il primo: seguire i protocolli sperimentali somministrando la seconda dose a 21 giorni dalla prima per Pfizer raggiungendo la la massima copertura del 95%, e dopo 28 per giorni per Moderna, per avere al 94%, evitando così di addentrarsi nell’incertezza, ma lasciando fuori un gran numero di soggetti ad alto rischio. Anche l’Agenzia del farmaco europea (Ema) ha dichiarato: “Il lasso di tempo massimo di 42 giorni da far trascorrere tra la prima e la seconda dose del vaccino Pfizer Biontech deve essere rispettato per ottenere la massima protezione”, ha dichiarato il 4 gennaio. “Le prove dell’efficacia si basano su studi in cui le dosi sono state somministrate da 19 a 42 giorni di distanza l’una dall’altra. La protezione completa è accertata dopo sette giorni dal richiamo”. L’altro approccio, come quello adottato dal Regno Unito, prevede di spostare fino a 12 settimane più avanti le seconde dosi destinate ai sanitari, per offrire la prima dose a quante più persone ad alto rischio. Rinunciando alla copertura ottimale accertata del 95 e 94% e rischiarne una minore. Lo sostengono molti esperti di alto profilo scientifico, come Akiko Iwasaki, immunobiologa all’Università di Yale. Moderna ha testato il vaccino anche nella forma di unica dose in un gruppo di volontari. Si è visto che l’efficacia scende all’80%. Dai dati Pfizer, che hanno utilizzato due dosi su tutti i volontari del gruppo dei vaccinati, si evince che dal 10° giorno dalla prima dose fino al 21° (data in cui si è iniziata a somministrare la seconda dose) c’è comunque una significativa differenza nel numero di malati Covid registrati nel gruppo placebo e in quello che ha ricevuto la prima dose. “Certo, dopo il 21° giorno non possiamo dire più nulla su quanto la prima dose avrebbe continuato a proteggere dalla malattia”, spiega Pontrelli. “I dati non li abbiamo. Lo studio condotto in Israele, non ancora pubblicato e tutto da confermare, offre una speranza sul puntare sulla prima dose per salvare quante più vite possibile. Come riporta il Wall Street Journal il più grande provider di assistenza sanitaria di Israele, Clalit Health Services, ha confrontato i tassi di positività al SarsCov2 tra un gruppo di 200 mila persone oltre i 60 anni che hanno già ricevuto il vaccino, con 200 mila che non lo hanno ricevuto. Fino al 14° giorno, c’era poca differenza nel numero di infezioni contratte rispettivamente nei due gruppi. Ma dal 15° giorno in poi, i dati mostrano un calo del 33% dei tassi di infezione tra chi ha ricevuto la prima dose e chi nulla. Il che potrebbe dare un’importante e nuova indicazione anche rispetto alla capacità del vaccino Pfizer di proteggere anche contro il contagio, non solo contro la possibilità di sviluppare la malattia Covid.

Arcuri: “Fra 7 giorni gli 80enni”. Cts: “Si deve ritornare a scuola”

È del 29% la percentuale dei posti letto occupati nelle terapie intensive in Italia. È quanto si evince dal grafico dell’Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. Scende dunque al di sotto della soglia critica fissata al 30% la percentuale dei posti letto occupati. L’ultimo aggiornamento dei dati calcolati al 16 gennaio, vede per le terapie intensive un calo dal 31% dello scorso 13 gennaio, al 29%. In calo anche l’occupazione dei posti letto in area non critica: è al 36%. Anche in questo caso, al di sotto della soglia di criticità fissata al 40%. E il saldo delle ultime 24 ore indica -17 pazienti in rianimazione, -27 nei reparti ordinari. Questo è il dato più incoraggiante insieme al numero delle vittime, sempre spaventoso, ma che comincia a scendere: ieri 377. Forse si stanno cominciando a vedere gli effetti delle misure natalizie. Ieri i nuovi casi registrati sono stati 12.545, quattro mila in meno di sabato ma con quarantamila tamponi in meno.

Questo è lo scenario nel quale il Cts ieri è intervenuto sulla scuola e dopo l’indicazione inserita nell’ultimo Dpcm è arrivato il via libera: da oggi le scuole superiori possono tornare in presenza nella misura del 50% e fino al 75% della popolazione studentesca. Le Regioni, comunque, potranno procedere con maggiori chiusure se lo riterranno necessario. Ovviamente soddisfatta la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina: “Il Cts ha ricordato che le scuole hanno un ruolo limitato nella trasmissione del virus. E ribadito che l’assenza prolungata da scuola può provocare conseguenze gravi nei ragazzi, per gli apprendimenti e per la sfera emotiva e relazionale”. Ecco quindi che dopo Toscana, Abruzzo e Valle d’Aosta, dove le lezioni sono già riprese in presenza, oggi riapriranno gli istituti di Molise, Piemonte, Emilia-Romagna e Lazio. Nessuna campanella suonerà invece per gli alunni delle regioni rosse, ovvero Lombardia, Alto Adige e Sicilia. Rinviato di una settimana, poi il ritorno tra i banchi dei ragazzi in Puglia, Liguria, Umbria e Campania. Infine posticipata fino al termine di gennaio la didattica digitale integrata per gli studenti in Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Calabria, Veneto, Marche e Sardegna.

Ieri a Domenica In su Rai1 il commissario Domenico Arcuri rispetto ai ritardi sui vaccini ha spiegato: “Per ora la Pfizer ci ha fatto sapere che questa riduzione di dosi sia soltanto per una settimana. Speriamo che sia vero, noi su questo argomento rimaniamo litigiosi come dobbiamo essere. Sulla salute non si scherza. Abbiamo scorte sufficienti, basse sì, ma sufficienti per permettere il richiamo del vaccino a chi già ha fatto la prima dose. Gli 80enni sono la seconda categoria con cui continueremo la campagna dei vaccini. Già dalla prossima settimana, inizieranno la vaccinazioni, dosi Pfizer permettendo. Mi auguro che la situazione si risolva il prima possibile. Poi vogliamo anticipare la somministrazione per le altre categoria: le persone fragili di 60 o 70 anni, le persone che sono esposte a contagi”.

Il “patriota” Matteo punta a tenere in ostaggio il Pd

“Né con me, né senza di me”: la sintesi dell’ultima posizione assunta da Matteo Renzi suona più o meno così. Come una sorta di estrema variante traslata in politica del catulliano “né con te, né senza di te”, base di tutte le relazioni di dipendenza. Qui la passione c’entra poco, ma la voglia di imprigionare un premier, un intero governo e soprattutto un partito, il Pd, moltissimo. Perché senza stare né dentro, né del tutto fuori, il senatore di Scandicci riesce a ostacolare la formazione di un nuovo equilibrio politico, con soggetti che entrano per sostituirlo.

Ha ritirato le Ministre? “Sì, ma se Conte vuole, da parte nostra c’è apertura”. Voterà la fiducia? No, ma la farà passare con l’astensione. Resta in maggioranza? No, ma dirà sì a ristori, scostamento di bilancio e chissà quale altro provvedimento. È un Renzi particolarmente nervoso quello che nello studio di Lucia Annunziata a “In mezz’ora in più” cerca di motivare la sua posizione. Fino ad arrivare a definirsi “un patriota”.

Il Pd sta cercando di neutralizzarlo. Operazione che passa per lo svuotamento di Italia viva e contribuire a toccare in Senato la soglia dei 160-161 voti. Ma tutto passa per il mantenimento di un equilibrio difficile: non aprire a Renzi, ma neanche attaccarlo di petto per evitare falli di reazione, non avallare l’idea di un appoggio esterno di Iv al governo, ma cercare quello dei singoli renziani. E fermare chi nel partito può ancora pensare a una collaborazione con l’ex premier.

Ieri, Nicola Zingaretti in direzione ha fatto un appello alla “luce del sole” alle “sensibilità democratiche, liberali ed europeiste” in Parlamento. Un’apertura formale ai cosiddetti “Costruttori”. Non ha neanche nominato Renzi e, dopo la sua relazione, la direzione è stata aggiornata a dopo il voto delle Camere. Era previsto un dibattito, ma non c’è stato: meglio evitare di dare voce a interventi meno netti. Ora il Nazareno è attestato sulla linea del “mai più con Renzi”, ma, per dirla alla Andrea Marcucci, “in politica mai dire mai”.

Sfilare il gruppo a Renzi non è così facile, dopo che lui ha annunciato l’astensione. E poi, con un capogruppo di “frontiera” in Senato, come lo stesso Marcucci, l’operazione è più complessa. Senza contare che ci sono figure che ostacolano la conquista di voti al governo, sempre in nome della vicinanza all’ex premier: come Pierferdinando Casini, presentato da lui alle ultime elezioni nel collegio di Bologna, uno che ha una certa influenza rispetto alle scelte dei senatori Udc.

Insomma, la situazione è scivolosa. Come dice Peppe Provenzano, ministro del Mezzogiorno, sempre dalla Annunziata in risposta alla domanda se è possibile lo scenario di Iv ancora nel governo, “quello lo ha chiuso Renzi”.

Per ora le linee di dialogo sono interrotte. Da mercoledì in poi si capirà se il Pd resta così granitico e fino a che punto ha intenzione di far pesare le sue richieste a Conte (patto di legislatura, dimissioni, rimpasto). Sempre ammesso che il premier resista.

Al Nazareno non esiste un piano B, in caso si vada verso la dissoluzione del quadro attuale. Ma qualche figura che sarebbe in grado di mettere insieme questa maggioranza (senza Iv) e di portarci dentro l’Udc e quella parte di Forza Italia sulla quale stanno lavorando anche i dem esiste. A partire dal capo delegazione dem, Dario Franceschini, che però sa benissimo che M5s non lo reggerebbe.

“Italia in pericolo, io a Roma per votare la fiducia a Conte”

È domenica mezzogiorno. La senatrice a vita Liliana Segre, 90 anni, è appena tornata a casa dopo aver partecipato alla raccolta di coperte, indumenti e cibo per i senzatetto promossa da Daniele Nahum di fronte al Memoriale della Shoah di Milano, sorto intorno a quel binario 21 della Stazione Centrale da cui fu anche lei tradotta prigioniera verso Auschwitz. La sua presenza, così come l’adesione di molti cittadini donatori, ha felicemente sorpreso gli organizzatori: la Comunità ebraica, i City Angels, Progetto Arca. Ma ora Liliana Segre sta preparandosi a un viaggio imprevisto.

Dunque ha deciso di andare a Roma?

Sì, parto domani (oggi, ndr) per essere pronta a fare il mio dovere martedì a Palazzo Madama. Non partecipo ai lavori del Senato da molti mesi perché, alla mia età, sono un soggetto a rischio e i medici mi avevano caldamente consigliato di evitare. Contavo di riprendere le mie trasferte a Roma solo una volta vaccinata, ma di fronte a questa situazione ho sentito un richiamo fortissimo, un misto di senso del dovere e di indignazione civile.

Posso chiederle come ha deciso di votare?

Certamente. Ho deciso di dare la mia fiducia al governo. Questa crisi politica improvvisa l’ho trovata del tutto incomprensibile. All’inizio pensavo di essere io che, con la mia profonda ingenuità di persona lontana dalle logiche partitiche, non riuscivo a penetrare il mistero. Poi però ho visto che quasi tutti, sia in Italia che all’estero, sono interdetti, increduli, spesso disgustati.

Ha parlato di indignazione civile…

Sì, confesso che il sentimento prevalente che mi muove è proprio quello dell’indignazione. Non riesco ad accettare che in un tempo così difficile, in cui milioni di italiani stanno facendo enormi sacrifici e guardano con angoscia al futuro, vi siano esponenti politici che non riescono a fare il piccolo sacrificio di mettere un freno a quello che Guicciardini chiamava il particulare.

Qual è il suo giudizio sull’operato del governo?

Tutti i governi del mondo, ed a maggior ragione il nostro visto che l’Italia è stata colpita dall’epidemia per prima tra i paesi europei, hanno dovuto procedere per tentativi ed errori. Come anche la scienza, del resto. Quindi è scontato che anche il governo Conte abbia fatto errori. Però mi pare che si debba riconoscere che ha fatto nell’ultimo anno un lavoro gigantesco per reggere l’urto di un’emergenza spaventosa; ed ha ottenuto una svolta storica nelle politiche europee.

Senatrice Segre, nella sua valutazione pesa anche la degenerazione violenta delle contrapposizioni politiche culminata nell’assalto al Congresso degli Stati Uniti?

Certamente, abbiamo visto fino a che punto può arrivare chi non ha a cuore il rispetto delle regole della democrazia, un bene prezioso di cui scopriamo la fragilità e che tutti siamo chiamati a tutelare.

Ricordo che questo governo è nato allorché i partiti che lo formarono ritennero di superare le forti divergenze che già allora si manifestavano, perché occorreva preservare il Paese da gravissimi pericoli. Dunque mi chiedo: ma quei pericoli sono svaniti?.