Al Senato fanno “L’opera da tre soldi”

 

Carlo Calenda: “Mastella mi ha offerto l’ok del Pd a Roma se appoggio Conte”. Mastella: “Che squallido, sei rimasto quello che conoscevo all’epoca del Cis di Nola, che era il referente per le segnalazioni”.

 

Come in un loschissimo feuilleton, le cronache giornalistiche dal Senato e dintorni ci parlano di sordidi anfratti dove tipi poco raccomandabili “negoziano” per conto di un governo del malaffare al “‘mercato’ di Palazzo Madama” (“Corriere della Sera”). Sono “costruttori di ricatti” (“Il Giornale”), “opportunisti il cui hobby preferito è il salto della quaglia” (“Libero”), agli ordini di un premier Mackie Messer, quel “Conte che usa ristori e fisco per raccattare senatori” (“La Verità”).

È tutto un ricattare e raccattare in quest’opera da tre soldi per comprare quella sporca dozzina di Costruttori, dove si aggirano mezzani e prosseneti offrendo attempate peripatetiche del gruppo misto e delle autonomie, astenersi perditempo pagamento alla consegna (“Mackie ha un guanto sulla mano/ nessun segno resterà”).

Come per tutte le serie di successo, il maleodorante cortile del libero scambio genera uno spin-off dal titolo (provvisorio): “Il referente di Nola”. Soggetto: il rampollo di un nobile casato dei Parioli emigrato al Sud, segnala giovani meritevoli nel più grande centro all’ingrosso d’Europa dove fa amicizia con un promettente chierichetto di Ceppaloni, ma poi succede qualcosa. Nel frattempo c’è chi immagina un Grande Fratello Responsabile al Festival di Sanremo. Nel reality i senatori di Italia Viva vengono isolati in una stanza e costretti a misurarsi con le lusinghe di Bruno Tabacci e le minacce di un Bullo toscano fuori di testa, segue televoto. Mentre le vecchie volpi dattilografe scrivono cinicamente di “lagne sui voltagabbana, fuffa dei costruttori, inutili partiti del premier” (“Il Foglio”), il cronista idealista e disgustato appunta sul taccuino: “Spettacolo malinconico, trattative efferate” (“Corriere della Sera”). “Costruttori? No, palazzinari perché non lasciano il palazzo” (“Libero”). “Traditori sulla pelle del Paese” (“La Verità”). Signora mia. Si chiude con la profezia di Massimo Cacciari: “Fra 4-5 mesi saremo tutti cadaveri”. Giorno più, giorno meno.

 

La moglie scaldaletto, l’amante anarchico e il marito pistolero

Da un trattamento apocrifo di Alberto Donaudy. Una moglie, la cui sensualità è l’esasperazione di una noia inesauribile, è a letto con l’amante. Il marito, tenente dei Dragoni, è lontano, impegnato in manovre. Mentre l’amante sta esponendo certe sue idee anarchiche (“La donna appartiene non all’individuo, ma alla collettività!”), si odono due o tre colpi precipitosi alla porta. “Signora! Signora!” grida la cameriera. “Sta arrivando il signor tenente. Riconosco i fanali”. L’anarchico balza a terra da una parte del letto, indossa il necessario e scappa con il resto fra le mani: è arrivato chi comanda. La signora, simultaneamente, balza dall’altra, rincalza le coperte, rassetta i guanciali.

La cameriera ha scorto dall’alto del terrazzo l’auto del padrone lungo l’erta del colle, come le ancelle di altri tempi distinguevano il destriero e l’armatura del re dall’alto del maniero, mentre la regina e il paggio si consolavano delle lunghe vigilie. Il tenente guida la Bugatti nel garage e sale in camera, trovando la moglie che si sta pettinando in négligé davanti allo specchio. “Amore!” esclama lei, sbarrando gli occhi alla silhouette riflessa del consorte. Posa la spazzola, si alza con risolutezza e gli va incontro sorridendo. Allaccia le braccia nude intorno alla testa fredda del marito, e lo bacia sotto i neri baffoni spioventi alla Federico Nietzsche. “Sei gelato!”. “Doccia bollente e poi a dormire. Sono stanco”. “Ti faccio preparare un caffè?”. “Meglio un whisky”, dice lui, posando la pistola sul comodino. Siede a bordo talamo, lascia cadere uno stivale, poi l’altro. “Ma tu eri già a letto?” le domanda, con l’espressione severa del giudice che, fidandosi più della propria intuizione che delle prove, ha già in mente la condanna. La donna esita, prima di rispondere. Dà un’occhiata al letto ricomposto, apparentemente incontaminato, e dice: “No”. Il tenente va in bagno. “Ma che stupida!” pensa adesso la donna, più pallida del solito. “Mi sono rovinata! Sentirà le lenzuola ancora calde… Non potevo dirgli che ero a letto? Geloso com’è, capirà subito… Come potrò negare?”. Versa un whisky anche per sé. “Mi uccide, stavolta mi uccide”. Quello esce in accappatoio, asciutto e rinfrancato: “Sono arrivato con un giorno di anticipo perché sono partito subito dopo le esercitazioni. Contenta?”. “Lo sai. Il tuo whisky”. Bevono guardandosi negli occhi.

La gelosia lo rendeva così sospettoso che in ogni sfumatura trovava gli indizi di una possibilità di inganno. Provvisto di un temperamento da poliziotto, aiutava gli amici a scoprire l’infedeltà delle mogli: con la sua sensibilità morbosa, al semplice sguardo e dal tono della voce capiva se una donna era fedele o adultera. Avrebbe dedotto senza indugio che in quelle lenzuola ancora tiepide era avvenuto qualcosa. Per cui è indecisa: gettarsi a terra fingendo una crisi isterica, fuggire seminuda, o sparargli una rivoltellata prima che gliela spari lui? Il marito poggia il bicchiere accanto alla pistola, si toglie l’Hppatoio e indossa il pigiama di seta. Quindi sprimaccia il cuscino e si allunga sotto le coltri. Lei, per nascondere il viso devastato dalla paura, si scioglie i capelli. Certamente non ha più di dieci secondi di vita. Tremando, solleva gli occhi verso… Oh, questa poi! Il baffo sta sorridendo! Le dice: “Tesoro, che pensierino delicato hai avuto. Hai fatto un po’ di nanna, prima, per scaldarmi il letto, vero? Sono piccole attenzioni alle quali arrivi solo tu. Come hai fatto a indovinare che sarei arrivato proprio stasera”?”. La donna sbalordisce, ma subito si ricompone, per indirizzare al marito il più casto dei suoi sorrisi: “Ti ho atteso tutte le sere, amore. E tutte le sere ti ho scaldato il letto così”.

 

Cosa omette il ‘Ft’ nel suo “addio austerità”

Se è vero che ogni crisi è un’opportunità, il Financial Times è maestro nel trarne vantaggio. Il 13 gennaio l’editorial board del quotidiano londinese ha firmato, impegnando così la linea del giornale, una sorta di mea culpa

che suona più o meno così: abbiamo sbagliato a sostenere l’austerità, ora è tempo di spendere. Per giustificare il cambio di rotta, FT afferma che l’ortodossia fiscale non è più la stessa: in un mondo con bassi tassi di interesse e Banche centrali a corto di strumenti, serve che i governi spendano di più.

Il nuovo paradigma sembra trovare consenso attraverso l’intero spettro politico. Conclusione? “L’obiettivo di mantenere in pareggio il bilancio può essere abbandonato, almeno per il momento”. È strano sentire questo consiglio dal Financial Times dopo che in Italia siamo addirittura arrivati a inserire il pareggio di bilancio in Costituzione.

Perché questo cambio di rotta? La scusa è che le cose sono cambiate: gli economisti fanno errori, ma ora la pensano diversamente. Una difesa che scricchiola. Le vecchie idee, ora rinnegate, erano colpa degli errori degli economisti? O sono davvero cambiati i fatti?

In realtà, la teoria economica dominante era inadeguata già nel 2008. Ora gli economisti mainstream e i loro corifei cercano di nascondere il proprio fallimento intellettuale dietro il paravento dei cambiamenti storici. Ma non era forse di portata storica anche la crisi dei debiti sovrani? Allora, però, la narrazione neoliberale non fece una piega. Oggi forse gli interessi a rischio sono troppo importanti: urge un riposizionamento. Che esso sia sincero è dubbio.

Lo stesso FT, infatti, consiglia di non abbandonare l’obiettivo della sostenibilità fiscale (con la solita storiella dei governi in balìa dei mercati) e di preservare il vecchio ruolo delle Banche centrali. Ecco, ammettere i propri errori è certamente una buona cosa, ma così è troppo facile.

Ecco perché Matteo non le faceva parlare

Dalle poche parole che le due ministre dimissionate hanno proferito durante la conferenza stampa del capo si è capito perché egli avesse tanta reticenza a farle parlare.

Ma le avete sentite? Vi sembrano figure adatte a fare i ministri della Repubblica? Il passo più pregno del discorso di Bonetti è stato quando ha ricordato “il suo percorso accademico e di scout”; Bellanova… Qui c’è da fare una riflessione: è nota la tendenza del leader di Italia cosiddetta viva a circondarsi di persone se possibile meno valide di lui, meglio se donne, messe lì non per le preclare qualità morali e intellettive, ma perché donne, dunque inattaccabili se non si vuole incorrere nell’accusa di sessismo, con l’aggravante, nel caso Bellanova, di anti-bracciantismo, anti-agricolturismo, etc.

Della ministra ricordiamo l’appoggio al Jobs Act (via l’art. 18, contratti “a tutele crescenti”: quindi semmai è lei a essere contro i lavoratori) e una sanatoria flop, annunciata con le lacrime, per braccianti e colf, a cui ha aderito un decimo degli interessati. Insomma la sostanza, se è lecito parlarne, è scarsa. Ma visto che al leader che intima “escilo” al Cdm via Twitter ultimamente sta a cuore la forma, parliamo di quella. Dopo lo sbrego istituzionale, Bellanova è andata a Tagadà, e lì ha infilato una serie di indecifrabili (secondo i canoni della lingua italiana) retromarce da cui si evince il concetto “siamo disponibili a far ripartire l’agenda di governo”. Ma non s’era dimessa? Pure Faraone ha invitato Conte a “sciogliere i nodi”. Che si stiano accorgendo, gli italici vivi, che il capo è una mezza schiappa? Riacquistino la favella e agiscano davvero “nell’interesse esclusivo della Nazione”, al netto del fatto che la Nazione ormai li detesta. Tina Anselmi, Lina Merlin, Nilde Iotti la parola non se la facevano dare dai maschi: se la prendevano, e parlavano dritte e chiare. Forse perché quei maschi non erano mediocri che si circondavano di mediocri che gli dovevano tutto.

Lista Sala, il capo è il figlio di Carmelo Conte, ex “viceré” craxiano di Napoli

Il nuovo che avanza, a Milano, si chiama Emmanuel Conte. È il capo – insieme a Martina Riva, 27 anni – della lista civica “Beppe Sala Sindaco”. È stato scelto direttamente da Sala per guidare la sua lista personale, quella che esprime più direttamente gli orientamenti del sindaco, senza le mediazioni di partiti e gruppi alleati.

Chi è, Emmanuel Conte? Ha 41 anni, è nato a Salerno, ma da anni vive a Milano, ha studiato all’università Bocconi e lavora a Banca Imi. Fa parte del cerchio magico di Sala, che lo aveva già candidato nel 2016, infilandolo nella lista più a sinistra della sua coalizione, “Milano progressista”, dove è stato eletto consigliere comunale e poi scelto come presidente dell’importante commissione Bilancio. Emmanuel però è socialista, anzi, proprio socialista craxiano. L’unico suo intervento memorabile in Consiglio comunale è stato quello in cui ha chiesto di dedicare una via di Milano a Bettino Craxi. È una passione di famiglia: Emmanuel è figlio di Carmelo Conte, uno dei “quattro viceré di Napoli”, insieme a Paolo Cirino Pomicino, Giulio Di Donato e Francesco De Lorenzo, con cui si spartiva il potere in Campania e a Roma, dove fu deputato del Psi per quattro legislature, dal 1979 al 1994; nel 1980 fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con la delega più ambita al Sud, quella per la Cassa del Mezzogiorno; e infine per tre legislature fu ministro per le aree urbane.

Conte senior ebbe anche una brutta avventura giudiziaria: negli anni Novanta gli arrivò un avviso di garanzia per collusione con la camorra. A lieto fine: le accuse di alcuni collaboratori di giustizia restarono senza riscontri nel processo e così fu assolto. Durante gli anni di Mani pulite, poi, tutti i suoi uomini a Salerno furono indagati, arrestati, processati e il suo formidabile sistema di potere crollò insieme alla Prima Repubblica. Ora si dedica a sostenere la carriera politica dei figli: Emmanuel a Milano, Federico a Roma, dov’è deputato di LeU.

Naturalmente, le colpe, o i meriti, dei padri non ricadono sui figli. Ma la famiglia è molto unita: nel 2016, Carmelo è salito di persona a Milano per dare una mano al figlio in campagna elettorale e promette di rifarlo anche questa volta. È uno che se ne intende: ai suoi tempi, portò il Psi a Salerno dal 10 al 30 per cento dei voti. “Craxi merita un posto nel pantheon della sinistra italiana”: lo dice Carmelo a Salerno, lo ripete Emmanuel a Milano.

“Lega, i contabili puntavano ai prestiti del superbanchiere”

Uffici della Guardia di finanza di Milano, le dieci di mattina del 21 dicembre. Il commercialista milanese Michele Scillieri è seduto di fronte al procuratore aggiunto Eugenio Fusco e al pubblico ministero Stefano Civardi. Per Scillieri è il terzo interrogatorio davanti ai magistrati che indagano sui contabili della Lega e sul caso che riguarda la fondazione regionale Lombardia Film Commission. Scillieri, come i colleghi Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, è accusato di evasione fiscale e peculato. I due, rispetto a lui, hanno un legame diretto con il partito di Matteo Salvini avendo gestito le finanze del Carroccio a partire dal 2014 assieme al tesoriere Giulio Centemero (non indagato). L’interrogatorio si apre con una domanda del dottor Fusco. Una domanda che sorprende Scillieri, sempre un po’ avaro nelle risposte. “Lei – inizia Fusco – conosce Francesco Caputo Nassetti?”.

Scillieri, che dopo il suo arresto ha deciso di collaborare con la Procura di Milano, resta spiazzato. Dopodiché risponde in modo affermativo, spiegando come sia riuscito a stringere rapporti con uno dei manager più apprezzati nel panorama internazionale dell’alta finanza e oggi al vertice di una importante società svizzera “di consulenza finanziaria specializzata in operazioni straordinarie d’impresa”, alla quale, dice Scillieri, intendevano rivolgersi i commercialisti della Lega per ottenere finanziamenti. Il curriculum di Nassetti, ferrarese classe ’58, è di quelli importanti. È stato vicedirettore generale prima della banca Commerciale italiana e poi di Banca Intesa, ha lavorato in Deutsche Bank. Oggi insegna anche Diritto bancario all’Università di Ferrara e soprattutto non è indagato nell’inchiesta sui presunti fondi neri della Lega.

Ai magistrati che lo interrogano, Scillieri spiega che il contatto con Nassetti gli è stato procurato dalla famiglia Del Bue, fondatori assieme ad altri della svizzera Banca Arner (nel 2014 passata alla veneta Finint che ha acquistato la parte italiana) con sede a Lugano, e già presente a Milano in corso Venezia 54. Qui, negli anni, hanno aperto i propri conti Silvio Berlusconi e persone a lui vicine come Ennio Doris e l’ex ministro Cesare Previti. Dopodiché Scillieri spiega di essere imparentato con la famiglia Del Bue. Particolare che la Finanza aveva già ricostruito in una nota agli atti dell’indagine. Banca Arner Sa è stata poi titolare di un pegno in una società amministrata da Scillieri e schermata da una anonima lussemburghese.

Il commercialista, in affari con i contabili della Lega, svela il nome della finanziaria di cui oggi Nassetti è amministratore delegato. Si tratta della Swiss Merchant Corporation (Swi.Me.Co.) di Lugano nel cui board operano alcuni parenti dei fondatori di banca Arner. La denominazione precedente di questa società era Arner Merchant Sa. E ad oggi la Swiss Merchant Corporation, non coinvolta nell’inchiesta di Milano, risulta detenere il 99,9% delle quote della Arner Corporate Finance srl in liquidazione dal giugno scorso con sede in corso Venezia 54. In corso Europa 7 sempre a Milano, invece, ha la sede la Swiss Merchant Advisory anch’essa collegata al gruppo della Swiss Merchant Corporation. Una rete fitta di rapporti al momento priva di rilevanza penale. Scillieri spiega ai magistrati che i contatti diretti erano con Nassetti perché era lui a mettere l’ultima parola sui finanziamenti. Ed è per questo che i commercialisti della Lega chiedono a Scillieri di poter entrare in contatto con il board della società per chiedere finanziamenti anche a sei cifre. La pista investigativa appare buona anche se ancora da costruire. Scillieri spiega di non sapere come sono poi andate le operazioni, se ci siano addirittura mai state. Anche su questo la Procura insisterà nel prossimo interrogatorio la cui data è già stata fissata.

Un finanziamento della Merchant va a buon fine. Nel gennaio 2018 quattro società lussemburghesi che controllano tre srl italiane, tutte domiciliate in via Angelo May a Bergamo (sede degli uffici di Di Rubba e Manzoni), poco prima dell’ingresso di Scillieri come amministratore, costituiscono un pegno a fronte di un apertura di credito di 20 milioni dalla società di Nassetti. Denaro da restituire in 7 anni. L’atto viene redatto dal notaio Angelo Busani, già segnalato in una nota dell’antiriciclaggio per un bonifico da 18 milioni al collega Mauro Grandi, lo stesso che ha gestito parte dell’affare Film Commission. I due notai non risultano indagati e la storia dei 18 milioni non pare riguardare la Lega. Il pegno nei confronti di Swiss Merchant Corporation sarà cancellato in soli 5 mesi come da atto redatto nel maggio 2018. La pista dei soldi della Lega si alimenta di più rivoli investigativi e i rapporti di Scillieri con il board di Swiss Merchant Corporation se al momento non hanno rilevanza penale, chiariscono meglio i contatti ad alto livello di questo commercialista nei cui uffici la Lega di Matteo Salvini ha eletto il suo primo domicilio.

Inchiesta a Firenze sul caso Palamara

La Procura di Firenze sta indagando sulle fonti che il 28 maggio 2019 rivelarono ai cronisti di Repubblica e Corriere della Sera notizie coperte dal segreto istruttorio sul caso Palamara.

Parliamo dell’inchiesta di Perugia che accusa l’ex presidente dell’Anm (che il Csm ha espulso dalla magistratura) di corruzione per l’esercizio della funzione. L’inchiesta che rivelò, grazie al trojan che infettò il suo telefono, le manovre in corso per la successione di Giuseppe Pignatone a capo della Procura di Roma. Palamara ne discuteva la notte tra l’8 e il 9 maggio 2019, con i parlamentari Luca Lotti e Cosimo Ferri, puntando a far nominare l’attuale procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, che nulla sapeva di quegli incontri e quelle trattative.

Le trame per la successione alla guida della Procura di Roma furono rivelate con lo scoop pubblicato il 29 maggio da Corriere e Repubblica. Il punto è che si trattava di notizie coperte dal segreto istruttorio e in possesso soltanto dei magistrati inquirenti e degli investigatori della Guardia di finanza.

Ad avviare l’inchiesta fiorentina – competente a indagare sui magistrati perugini – è stato proprio Palamara, con un esposto, due mesi fa. Palamara suggerisce una pista d’indagine. Il 28 maggio, l’uno all’insaputa dell’altro, Il Fatto e La Verità lavoravano a un altro scoop, che fu pubblicato il giorno seguente: il pm di Roma, Stefano Fava, aveva presentato un esposto al Csm che riguardava Pignatone. “La vicenda dell’esposto Fava, rispetto alla quale ribadisco di sentirmi totalmente estraneo (Palamara è accusato per questo episodio di concorso in rivelazione del segreto, ndr), anche perché il collega Fava mi aveva sempre ribadito di averne parlato con i consiglieri Ardita e Davigo, sembra essere il motivo scatenante degli articoli del Corriere della Sera e di Repubblica del 29 maggio 2019”. In altre parole, secondo Palamara, l’imminente pubblicazione della notizia sull’esposto di Fava portò qualcuno a rivelare ai cronisti di Repubblica e Corriere notizie sull’indagine che lo riguardava. Gli articoli si concentrarono giustamente sulla notizia più importante: le manovre per la Procura di Roma. E inevitabilmente mutarono l’esito della nomina per Piazzale Clodio.

Il procuratore di Firenze, Giuseppe Creazzo – che in quel momento era candidato a guidare gli uffici giudiziario capitolini e, al pari di Viola, ha presentato ricorso dopo la nomina di Michele Prestipino – dovrà astenersi. L’inchiesta, se condotta con rigore, può rivelare nuove verità inquietanti sulla magistratura. Quelle notizie non erano ancora pervenute al Csm e dunque i casi sono due: o furono rivelate dalla procura di Perugia, o dagli investigatori della Guardia di finanza. Non è indifferente sapere chi commise il reato e soprattutto perché.

Regeni, la Procura indaga sulle navi vendute al Cairo

La Procura di Roma ha aperto un fascicolo sulla vendita di due navi da guerra all’Egitto. L’indagine nasce da un esposto presentato da genitori di Giulio Regeni e verrà seguita in prima persona dal procuratore-capo Michele Prestipino Giarritta e dal pm Sergio Colaiocco, che già si occupano del caso della morte del ricercatore friulano, torturato e ucciso al Cairo fra gennaio e febbraio 2016. Claudio e Paola Regeni accusano lo Stato italiano di avere violato la legge 185 del 1990 in tema di vendita di armi ai Paesi esteri. Il riferimento è alle due fregate della classe Fremm Bergamini – valore di 1,2 miliardi – realizzate da Leonardo (ex Fincantieri) e cedute all’Egitto. Una delle navi è già stata consegnata alle autorità del Cairo, giunta nel porto di Alessandria d’Egitto il 30 dicembre. La denuncia è stata redatta dall’avvocato Alessandra Ballerini e annunciata durante la trasmissione Propaganda Live di La7, andata in onda il 31 gennaio.

All’articolo 1, comma 6, lettera d, la legge citata vieta “l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’Ue o del Consiglio d’Europa”. All’articolo 2, comma 2, lettera f, della stessa normativa, nel definire “materiali di armamento”, si fa espresso riferimento a “navi e relativi equipaggiamenti appositamente costruiti per uso militare”. L’esposto ha ricevuto il supporto dei Verdi, il cui coordinatore Angelo Bonelli ha intrapreso un’iniziativa simile, con un esposto che andrà a integrare la posizione dei denuncianti.

Le indagini della Procura di Roma sulla morte del ricercatore friulano, portate avanti dai carabinieri del Ros, ha individuato i responsabili in quattro alti ufficiali della National Security egiziana – per i quali sarà chiesto il rinvio a giudizio – fra cui il presunto esecutore materiale delle torture e dell’omicidio “volontario”, il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Allo stesso tempo, i magistrati romani hanno contestato i depistaggi e la scarsa collaborazione alle indagini delle autorità egiziane. Nell’atto di chiusura delle indagini, reso noto il 10 dicembre, i pm parlano di sevizie durate giorni, avvenute in una struttura dei servizi egiziani, che causarono a Giulio acute sofferenze fisiche messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni. Gli inquirenti del Cairo pochi giorni dopo hanno replicato che “per il momento non c’è alcuna ragione per intraprendere procedure penali in quanto il responsabile dell’omicidio resta sconosciuto”. A loro avviso, inoltre, Regeni in Egitto avrebbe tenuto comportamenti “non consoni al suo ruolo”.

I magistrati dovranno ricostruire la filiera decisionale che ha portato alla vendita degli armamenti all’Egitto. Il tema della legge 185/90 era già stato sollevato nei mesi scorsi dalla Rete Italiana per il Disarmo. Sul punto, il 16 luglio 2020, interpellato in audizione in commissione d’inchiesta parlamentare sull’omicidio Regeni, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, aveva dichiarato che “il governo ha dato l’autorizzazione a negoziare” ma che a decidere sulla firma del contratto sarebbe stata la Uama, l’organo tecnico della Farnesina che valuta e autorizza la vendita degli armamenti all’estero. “Qui – aveva detto Di Maio – non c’è stata una regia dello Stato o del governo nell’incentivare rapporti commerciali, ma solo una dinamica commerciale legata ad’azienda privata”, in questo caso l’ex Fincantieri. La violazione della legge, qualora accertata, è punita “con la reclusione fino a cinque anni” o “con la multa da due a cinque decimi del valore dei contratti”.

Nuove regole da oggi, 8mila ristoratori: “Noi apriamo”

Sono 475 i decessi registrati in Italia nelle ultime 24 ore per Covid-19 e 16.310 i nuovi contagi. Calano di poco i ricoveri e il tasso di tamponi positivi, al 6,2%, è più basso dei dati delle settimane precedenti solo perché nel computo dei test vengono inseriti anche quelli rapidi da due giorni.

Sono 22.784 i pazienti ricoverati, 57 in meno rispetto a ieri, 2.520 dei quali in terapia intensiva (con 170 nuovi ingressi e un saldo di -2). Le persone in isolamento domiciliare sono 532.413; 260.704 i tamponi effettuati in un giorno e i 16.186 guariti, fanno salire a 1.729.216 il numero di quanti si sono lasciati il virus alle spalle. Il numero dei vaccinati ha superato il milione. Entrano in vigore da oggi, fino al 15 febbraio, le nuove restrizioni.

Fuori regione.Da oggi non è consentito oltrepassare i confini regionali e delle province autonome salvo per motivi di necessità, lavoro e salute. È sempre consentito, però, il rientro nella propria residenza, domicilio o abitazione.

Nella regione. È consentito lo spostamento verso una sola abitazione privata abitata, una volta al giorno, tra le ore 5 e le 22, e nei limiti di due persone ulteriori rispetto a quelle già conviventi (limite che non si applica ai minori di 14 anni e alle persone disabili o non autosufficienti conviventi). I due visitatori si potranno spostare all’interno della propria regione se questa sarà in zona gialla, altrimenti solo nel proprio comune se questo si troverà in zona arancione o rossa; tuttavia, chi vive nei comuni con meno di 5mila abitanti potrà continuare a spostarsi “per una distanza non superiore ai 30 chilometri dal confine, con esclusione dei capoluoghi di provincia”.

Nel Comune. Per le strade o piazze nei centri urbani, “dove si possono creare situazioni di assembramento, può essere disposta per tutta la giornata o in determinate fasce orarie la chiusura al pubblico, fatta salva la possibilità di accesso e deflusso agli esercizi commerciali legittimamente aperti e alle abitazioni private”.

Coprifuoco.Dalle ore 22 alle 5 “sono consentiti esclusivamente gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, da situazioni di necessità oppure per motivi di salute”. Resta raccomandato, per la restante parte della giornata, di non spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, salvo che per esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi.

La scuola. Sempre aperte ovunque quelle dell’infanzia. Da lunedì 18 gennaio le superiori dovrebbero adottare “forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica”, in modo che “almeno al 50% e fino a un massimo del 75% della popolazione studentesca sia garantita l’attività didattica in presenza”.

Musei e altro. Nelle zone gialle i musei saranno aperti nei giorni feriali. Restano chiusi teatri, palestre, piscine, centri benessere e centri termali. Ancora chiuse le sale da ballo, discoteche, sale giochi, casinò, bingo, sale scommesse. Restano aperti, invece, i luoghi di culto per le cerimonie religiose. Ripartono le navi da crociera.

Bar e ristoranti. Saranno aperti nelle regioni gialle fino alle 18, nelle zone arancioni e rosse solo per asporto e consegna a domicilio fino alle 18. Ieri ottomila ristoratori hanno protestato: “Io apro in sicurezza”.

I colori. Rosse: Lombardia, Sicilia e Alto Adige. Arancioni: Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Umbria e Valle d’Aosta. Gialle: Campania, Basilicata, Molise, Trentino, Sardegna e Toscana.

Ritardo Pfizer, gli over 80 dovranno aspettare aprile

Oggi arriveranno circa 340 mila dosi del vaccino invece di 450/470 mila, il 29% in meno della fornitura settimanale concordata. Il colosso Usa, che produce il vaccino Corminaty con la tedesca Biontech, l’ha comunicato venerdì al commissario Domenico Arcuri. Ieri Arcuri ha parlato con Pfizer, ma non c’è niente da fare, devono fare i lavori negli impianti di Puurs in Belgio per aumentarne la produttività; il sospetto che preferiscano rifornire Paesi extraeuropei che pagano di più resta solo un sospetto. Pfizer ha comunicato anche i quantitativi che consegnerà a ciascun hub regionale, così salta pure l’algoritmo con cui Arcuri avrebbe voluto anticipare forniture maggiori fino al 30% alle Regioni che vanno più spedite (Campania, Lazio, Veneto). Siamo a quasi 1,1 milioni di (prime) dosi somministrate e bisogna rallentare.

“Il mercato – dice il commissario – va lasciato libero, ma non deve calpestare il diritto alla salute. L’etica dovrebbe prevalere”. Arcuri ha scritto alle Regioni: da giovedì 21 priorità ai richiami di chi ha avuto le prime dosi a fine dicembre-inizio gennaio. Come indicano l’agenzia europea Ema, il ministero della Salute e l’Aifa, l’Italia non ritarderà i richiami – come fanno in Gran Bretagna – se non al massimo di una settimana. Secondo un comunicato di Pfizer, sarà ripristinato il “calendario iniziale di distribuzione all’Ue a partire dalla settimana del 25 gennaio, con un aumento delle consegne dalla settimana del 15 febbraio”. Vedremo. A quanto pare i contratti segreti firmati dalla commissione Ue non prevedono penali rilevanti per i ritardi.

Se Pfizer non raddoppia le consegne (e non arriva molto presto il vaccino di Astrazeneca/Oxford, sul quale Ema dovrebbe decidere il 29 ma l’autorizzazione potrebbe essere limitata agli under 55) sarà impossibile vaccinare entro fine marzo gli ultraottantenni. Sono 6 milioni di persone: 1,4 il personale sanitario, 570 mila nelle Rsa e 4 milioni gli over 80. Per due somministrazioni servono 12 milioni di dosi. Anche con 470 mila a settimana fa 5,6 milioni a fine marzo, con il 20% in più dell’ormai famosa sesta dose su ogni fiala da cinque fa 6,7 milioni, più 1,33 milioni promessi da Moderna siamo a 8 milioni, poco meno del quantitativo teoricamente spettante all’Italia dalla sola Pfizer/Biontech (8,749 entro marzo disse il ministro Roberto Speranza) secondo gli accordi iniziali dell’Ue. La svolta può venire solo da Astrazeneca.

Suscita allarme la notizia di 23 anziani deceduti in Norvegia pochi giorni dopo la prima dose del vaccino Pfizer/Biontech, resa nota dalla locale agenzia Legemiddelverk, Norvegian medical agency (Noma). “Le reazioni avverse comuni ai vaccini a mRna, come febbre e nausea, possono aver contribuito – scrive Noma – a un esito fatale in alcuni pazienti fragili. Gli ampi studi su Comirnaty (Biontech/Pfizer) non includevano pazienti con malattia instabile o acuta e includevano pochi partecipanti di età superiore agli 85 anni”, appena qualche decina su 43 mila. Noma però ricorda che “stiamo vaccinando gli anziani e le persone in case di cura con gravi malattie sottostanti” e “in media” ne muoiono “400 ogni settimana”. Pfizer collabora con Oslo per valutare la situazione e lo stesso accade, secondo il British Medical Journal, per 10 analoghi decessi in Germania. “Non è uno scandalo vaccinare persone molto anziane perché il rischio di morire di Covid è altissimo – spiega Armando Genazzani di Ema –, ma sono gli unici su cui non abbiamo i dati”. L’ipotesi di Genazzani e di altri è che la Norvegia abbia sbagliato nel “vaccinare a tappeto gli anziani, anziché escludere quelli con le patologie più gravi”. Sono attese in Italia, su questo, linee guida dell’Aifa, perché finora non c’erano. Tre persone sono morte di infarto dopo la somministrazione in Italia, negli Usa e in Portogallo. Negli Usa numerosi shock anafilattici, da noi due casi di paresi facciale, risolti però, dice Aifa, uno in un’ora e uno in due. “Ma sui morti – dice Genazzani – bisogna approfondire”.