Gli insorti che diedero l’assalto al Congresso il 6 gennaio volevano “catturare e uccidere” deputati e senatori e arrivarono “pericolosamente vicini” al vicepresidente Mike Pence, che consideravano un traditore per avere avallato l’esito del voto sfavorevole al presidente Trump. Gli elementi finora raccolti nelle indagini sulla presa del Campidoglio inducono a tenere alto l’allarme in vista delle proteste annunciate nel fine settimana e soprattutto il 20, quando ci sarà l’Inauguration Day di Joe Biden. Secondo l’Ap, “anni di minacce dei suprematisti bianchi” stanno arrivando al loro acme. Ci sono ora quattro volte più militari Usa a Washington, acquartierati al Congresso, con corridoi e hall trasformati in dormitori, che in Iraq e in Afghanistan, dove i contingenti sono stati ieri ridotti: 2.500 soldati in ciascun Paese; 20 mila uomini della Guardia nazionale presidiano il Campidoglio e le altre istituzioni della Capitale federale. Dall’inchiesta su Jacob Anthony Chansley Angeli, noto come “Jake lo Sciamano”, l’uomo fotografato dentro il Congresso con un copricapo di pelliccia e corna bovine, emergono “forti prove” che l’intento degli insorti fosse di “catturare e uccidere” degli eletti: lo si legge nel rapporto per la conferma dell’arresto di Angeli, ritenuto a rischio di fuga. In un biglietto lasciato sulla scrivania di Pence, lo ‘sciamano’ aveva scritto. “È solo questione di tempo, la giustizia sta arrivando”. Un veterano dell’Air Force arrestato, il tenente colonnello Larry Rendall Brock, avrebbe invece voluto “prendere ostaggi, forse processarli, forse giustiziarli”. Brock era stato fotografato al Congresso in tenuta da guerra, elmetto e giubbotto antiproiettile, con in mano delle manette: “Le ho trovate per terra e volevo consegnarle a un poliziotto, ma me ne sono dimenticato”, disse il giorno dopo al New Yorker. Lo ‘sciamano’, in quarantena in un penitenziario federale, perché positivo al Covid, chiede a Trump la grazia: “Aveva risposto alla sua chiamata”, ha spiegato Albert Watkins, legale di grido di St. Louis, che ha già ottenuto perdoni per altri clienti eccellenti tra cui Mark e Patricia McCloskey, la coppia che in estate minacciò con fucile e pistola manifestanti Black Lives Matter che sfilavano davanti alla loro casa. I McCloskey furono pure invitati alla convention repubblicana. Le indagini hanno pure accertato che Brian Sicknick, l’agente della polizia del Campidoglio ucciso negli scontri, fu colpito con un estintore durante la sommossa: 37 le persone inquisite per questo. Ieri, Pence ha chiamato la vice di Biden, Kamala Harris, per congratularsi e offrire collaborazione nella transizione: era la prima volta che i due si parlavano dopo il loro dibattito dell’8 ottobre. Trump avrebbe invece deciso di lasciare la Casa Bianca la mattina del 20 gennaio, prima che Biden giuri. Ma il magnate ha cambiato più volte programmi per quel giorno.
La manovra di Biden: sussidi e salario minimo
In Italia l’idea di stabilire per legge un salario minimo di 9 euro l’ora viene presentata come una proposta irresponsabile e “populista”, Negli Stati Uniti, presentando il nuovo pacchetto di salvataggio dell’economia di 1.900 miliardi di dollari (quasi tre volte il Next Generation Eu), Joe Biden propone un salario minimo a livello federale di 15 dollari l’ora.
In Italia la distribuzione di sussidi alle famiglie e ai lavoratori resi fragili dalla crisi viene bollata come “Sussidistan” (copyright, Carlo Bonomi di Confindustria). Il pacchetto di Biden è basato prevalentemente sui sussidi, in particolare la corresponsione di 1.400 dollari al mese a famiglia da aggiungere ai 600 dollari già deliberati dal Congresso a dicembre. In tal modo, venendo incontro alle richieste della sinistra socialista di Bernie Sanders o Alexandria Ocasio-Cortez, Biden presenta un piano di forte impronta sociale.
Oltre ai 1.400 dollari, a indennità di disoccupazione più consistenti, ai congedi retributivi e all’assistenza all’infanzia, il pacchetto prevede circa 400 miliardi di dollari per combattere direttamente la pandemia, compresi i fondi per accelerare la distribuzione dei vaccini e per riaprire in sicurezza la maggior parte delle scuole entro 100 giorni. Altri 350 miliardi di dollari aiuterebbero i governi statali e locali a colmare le carenze di bilancio.
Biden sembra affrontare la situazione avendo chiare le condizioni dei lavoratori statunitensi. Il Dipartimento del Lavoro ha riferito giovedì scorso che 1,15 milioni di americani hanno fatto nuova domanda di disoccupazione nella prima settimana del nuovo anno. Una crescita del 25% rispetto all’anno precedente. La mossa del neo presidente viene valutata da molti osservatori, a cominciare dagli assistenti di Biden, come molto più energica rispetto a quanto realizzato da Barack Obama nel 2008. Come ammette lo stesso ex presidente nella sua recente biografia, Una terra promessa, la risposta al grande crac finanziario conseguente al fallimento di Lehman Brothers del 2007, non fu all’altezza della situazione. E quel ritardo ha poi accompagnato l’Amministrazione Obama per tutti i suoi otto anni di vita, offrendo argomenti e forza all’opposizione repubblicana che si è poi coagulata attorno alla candidatura, e vittoria, di Donald Trump.
Oggi le priorità sembrano essere diverse. Il condizionale è d’obbligo perché finora Joe Biden ha formato la sua squadra pescando esattamente nel vecchio bacino politico ed economico dell’Amministrazione Obama. A parte la scelta di Janet Yallen, proveniente dalla Federal Reserve e molto gradita a Wall Street, hanno servito Obama figure prominenti come il vice di Yallen, “Wally” Adeyem, vicedirettore del Consiglio economico nazionale della precedente Amministrazione democratica, oppure Neera Tanden ora assegnata al Management and Budget Office (dove la presidenza redige il suo progetto di bilancio) a cui Obama affidò la riforma sanitaria.
Più in sintonia con le scelte sociali è la nomina a Segretario del Lavoro del sindaco di Boston, Marty Walsh, uno dei promotori del salario minimo a 15 dollari, mentre appare certa la nomina di Bernie Sanders alla presidenza della potente Commissione Bilancio del Senato, crocevia fondamentale per l’approvazione dei progetti decisivi.
“Durante questa pandemia, milioni di americani, non per colpa loro, hanno perso la dignità e il rispetto che derivano da un lavoro e uno stipendio”, ha detto Biden. Secondo Politico.com il neo presidente starebbe già pensando alle elezioni di Midterm del 2022 e al possibile rinculo, in forme non prevedibili oggi, del trumpismo.
Per il momento invia un chiaro segnale sociale. Si vedrà se sarà una rondine o una primavera.
Non solo Coronavirus: la Francia di Macron ha la società in coma
Il nuovo anno comincia male per Emmanuel Macron. La popolarità del presidente è in calo: secondo un recente sondaggio Kantar-OnePoint per Le Figaro Magazine, non più del 37% (-2 punti) dei francesi gli danno la loro fiducia; erano il 57% nel giugno 2017, subito dopo il suo arrivo all’Eliseo. A meno di due anni dalla nuova scadenza elettorale, per il presidente, che è già in campagna, si apre un periodo delicato. Dopo le tante polemiche che hanno accompagnato la gestione della crisi sanitaria sin dall’inizio, dalle menzogne sulle mascherine all’ingorgo dei tamponi di fine estate, si è aggiunto a inizio anno il flop dell’avvio della campagna vaccinale contro il Covid-19, cominciata a passo di lumaca rispetto alla grande maggioranza dei Paesi europei. La sfuriata di Macron, messa in scena sulla copertina del Journal du Dimanche, ha dato uno scossone al governo, che ora sta facendo i salti mortali per recuperare il ritardo. Ma oltre a dover fare i conti con la crisi sanitaria, che non gioca a suo favore, Macron deve vedersela anche con la crisi sociale. Dopo la “pausa” delle feste di fine anno, i francesi si preparano a scendere di nuovo nelle strade.
Stop alla disoccupazione
Una giornata di mobilitazione nazionale per dire stop ai licenziamenti è annunciata per sabato 23 gennaio. In Francia il numero dei disoccupati continua a crescere (+0,9 a novembre, cioè 35 mila in più senza lavoro) e per la Banque de France il peggio deve ancora arrivare: nel 2021 il tasso di disoccupazione potrebbe superare il 10%. In nome del Covid, i piani di ristrutturazione annunciati da grandi aziende come Danone o Total si moltiplicano. Il recente annuncio di Michelin che taglierà 2.300 posti in Francia nei prossimi tre anni è stato uno choc. Ristoratori e baristi poi sono sull’orlo di una crisi di nervi. I locali restano chiusi a causa dell’epidemia (solo l’asporto è permesso) e su di loro pesa ora anche il coprifuoco anticipato alle 18 che entra in vigore oggi in tutto il Paese. Il governo ha confermato due giorni fa l’estensione dei dispositivi di sostegno ai lavoratori in difficoltà. Ma tanti temono di dover abbassare la saracinesca definitivamente: “Il malcontento dei ristoratori non è più controllabile. La professione è all’agonia”, diceva ieri Jacques Mestre, presidente dell’Unione dei Mestieri e dell’Industria alberghiera della regione Occitania.
Martinez contro l’esecutivo
Philippe Martinez, il segretario della Cgt, uno dei principali e radicali sindacati dei lavoratori, accusa il governo di non fare abbastanza per attenuare l’impatto sociale della crisi sanitaria: “L’esecutivo distribuisce molti soldi alle aziende e niente ai dipendenti”, ha denunciato sul Journal du Dimanche. I sindacati hanno attaccato anche il ridicolo aumento del salario minimo (dello 0,99%) che appare una provocazione oggi dopo un anno di Covid, sapendo che molti lavoratori che si sono ritrovati in prima linea durante la crisi sono proprio quelli che guadagnano meno. I preavvisi di sciopero si sono moltiplicati nelle ultime settimane.
Sanità, che degrado
Il 21 riprendono a scioperare gli operatori sanitari e altre date sono annunciate per febbraio. A Parigi un raduno è atteso sin dalle 10 del mattino davanti al ministero della Salute. I sanitari denunciano da anni, da molto prima dell’apparizione del Covid, il degrado degli ospedali pubblici. Lo scorso luglio, il governo ha preso una serie di misure, tra cui l’aumento degli stipendi, che per gli ospedalieri però restano insufficienti. Chiedono soprattutto nuove assunzioni e la creazione di nuovi posti letto, oltre che la distribuzione equa del “bonus Covid” a tutti gli operatori sanitari.
Scuola in subbuglio
Il 26 gennaio scioperano gli insegnanti. Protestano contro il budget attribuito all’Educazione nazionale per il 2021, non all’altezza della situazione, a loro avviso, chiedono aumenti degli stipendi ma anche condizioni di lavoro più sicure sul piano sanitario. Parigi si vanta di essere uno dei paesi ad aver garantito il maggior numero di ore di scuola in presenza durante la pandemia. Ma da settembre gli studenti fanno circolare i video degli assembramenti che si formano davanti agli istituti, nei corridoi e soprattutto nelle mense. Di fronte al rischio della variante inglese del virus, più contagiosa, ma anche per tentare di placare la protesta di studenti e insegnanti, il governo ha annunciato un nuovo protocollo per le mense e tamponi a tappeto negli istituti.
La marcia per la libertà
Già da oggi i francesi tornano nelle piazze contro la legge sulla “sicurezza globale”. La mobilitazione principale è attesa il 30 gennaio, a Parigi. Il governo ha promesso di ritirare l’articolo 24 – sanzioni a chi diffonde filmati di polizia in azione – ma il collettivo #StopLoiSécuritéGlobale chiede il ritiro totale del testo. Il governo però non intende rinunciare.
Emilia-Romagna: il Tar annulla la Dad, lunedì scuole aperte
Dopo la Lombardia, anche in Emilia-Romagna il Tar ha deciso di annullare l’ordinanza regionale che chiudeva le scuole superiori, in presenza, fino al 23 gennaio. “Qui le sentenze si rispettano, siamo abituati così, non prevedevo che avrebbe annullato un provvedimento sanitario, ma siamo pronti”, puntualizza il governatore Stefano Bonaccini aggiungendo però una considerazione. “Ritengo incomprensibile come si possa affidare a singole ordinanze regionali e ad altrettante singole sentenze dei Tar regionali la soluzione della questione scuola, così cruciale per il Paese. Noi ci siamo assunti la nostra responsabilità, adesso tocca al governo”.
Da lunedì, quindi, nella Regione arancione si riprenderanno le lezioni in presenza al 50% delle scuole superiori grazie al ricorso presentato da una ventina di famiglie. Secondo il tribunale amministrativo, l’ordinanza di Bonaccini comprime in “maniera eccessiva”, “immotivatamente” e “ingiustificatamente”, il “diritto degli adolescenti a frequentare di persona la scuola quale luogo di istruzione e apprendimento culturale nonché di socializzazione, formazione e sviluppo della personalità”. Il Tar evidenzia come non siano indicati “fatti, circostanze ed elementi di giudizio che indurrebbero a un giudizio prognostico circa un più che probabile che non incremento del contagio riferibile all’attività scolastica in presenza nelle scuole secondarie di secondo grado”.
Di più, “in ogni caso neppure è ventilata l’ipotesi secondo cui il virus si diffonderebbe nei siti scolastici distribuiti sul territorio regionale più che in altri contesti”. Soddisfatti i parlamentari M5S emiliano-romagnoli: “Prendiamo atto che sia tutto pronto per la ripartenza, che poteva dunque verificarsi senza che intervenisse il Tar. Le linee di indirizzo date dal ministero sono chiare per le zone gialle e arancioni, con le superiori in classe con almeno il 50% e massimo il 75% degli studenti”.
La Pfizer taglia i vaccini Arcuri: “Grave danno”
La somministrazione del richiamo a chi è stato sottoposto alla prima dose del vaccino Pfizer-Biontech potrebbe essere a rischio. La casa farmaceutica Usa che ha messo a punto il primo siero anti-Covid ha fatto sapere al governo italiano che consegnerà meno dosi rispetto alle 470 mila alla settimana previste: “Alle 15,38 di oggi (ieri, ndr) la Pfizer ha comunicato unilateralmente – ha detto il commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri – che a partire da lunedì consegnerà al nostro Paese circa il 29% di fiale di vaccino in meno rispetto alla pianificazione che aveva condiviso. Non solo: ha unilateralmente deciso in quali centri di somministrazione del nostro Paese ridurrà le fiale inviate e in quale misura. Analoga comunicazione è pervenuta a tutti i Paesi della Ue. Ha altresì annunciato che non può prevedere se queste minori forniture proseguiranno anche nelle prossime settimane, né tantomeno in che misura. Il Commissario all’emergenza – prosegue la nota – preso atto della gravità della comunicazione nonché della sua incredibile tempistica, ha inviato una formale risposta a Pfizer Italia, nella quale esprime il proprio disappunto, indica le possibili conseguenze di una riduzione delle forniture e chiede l’immediato ripristino delle quantità da distribuire nel nostro Paese. Riservandosi, in assenza di risposte, ogni eventuale azione conseguente in tutte le sedi”.
Tutto sarebbe causato da problemi di produzione che si abbattono su tutta Europa. La presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen ha detto di aver ricevuto rassicurazioni dal ceo di Pfizer, Albert Bourla, sulla consegna delle dosi pattuite per il primo trimestre, ma i ritardi nella distribuzione hanno già portato i ministri di sei Paesi – Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lituania e Svezia – a scrivere a Bruxelles per esprimere “grande preoccupazione”.
Una condizione di stallo di fronte alla quale è proprio il governo italiano a proporre una possibile exit strategy. Vale a dire l’applicazione su scala europea del “meccanismo di correzione” nella distribuzione che il commissario all’emergenza Domenico Arcuri ha illustrato ieri alle Regioni. Meccanismo, basato su un algoritmo, che in teoria mantiene la distribuzione dei vaccini in rapporto alla popolazione regionale, nella pratica divide le regioni in tre cluster: A, B, C. L’obiettivo è garantire la stabilità della scorta di magazzino (30%) necessaria per il richiamo. I nuovi criteri suddividono le regioni sulla base dell’andamento delle somministrazioni dei 14 giorni precedenti. Nel primo confluiranno quelle che hanno dosi disponibili oltre il 30% per coprire le due settimane successive: avendone più del necessario riceveranno solo una scorta di sicurezza di 1.170 dosi. Poi ci sono le regioni del cluster B. Sono quelle hanno dosi eccedenti rispetto alla percentuale fissata, ma non sufficienti per altri 14 giorni. In questo caso avranno le quantità complementari necessarie. Infine, ci sono le regioni che dell’area C, che hanno dosi pari al valore normale del magazzino, vale a dire il 30%, e riceveranno il dovuto in funzione della popolazione residente, con l’aggiunta di quelle non inviate ai territori che fanno parte dei primi due cluster.
Aifa: “Anche qui sperimentazione dei monoclonali”
“Anche l’Italia partirà con un progetto di ricerca sugli anticorpi monoclonali, su Eli Lilly e Regeneron, quelli con cui è stato curato Trump”. Lo ha annunciato il presidente dell’Aifa Giorgio Palù. “Il cda ha approvato la ricerca. Sono una terapia, non sono prevenzione. Essendo antivirali vanno dati entro le prime ore dall’esordio dei sintomi, altrimenti non sono efficaci. Possono essere una risorsa per curare i pazienti a casa”, ha spiegato. Parole brevi e scelte, per evitare il fastidio di tornare sull’inerzia in materia dell’agenzia che presiede dal 4 dicembre. Specie dopo il caso del “trial mancato” rivelato il 17 dicembre dal Fatto. Palù, tempo una settimana, mise all’ordine del giorno il tema monoclonali.
L’inchiesta aveva ricostruito che a inizio ottobre, tra le avvisaglia della seconda ondata, la multinazionale di Indianapolis Eli Lilly aveva offerto gratuitamente all’Italia la possibilità di sperimentare 10 mila flaconi del suo monoclonale Cov555, il primo farmaco autorizzato al mondo che si era dimostrato efficace nel ridurre il rischio di ospedalizzazione. Una certezza per il virologo Guido Silvestri che da Atlanta aveva speso energie e credenziali per riuscire a offrire ai pazienti italiani, tramite trial clinico programmato, l’accesso a cure che sembravano prerogativa esclusiva degli americani.
Non sarebbe costato nulla, a fronte di costi di ricovero altissimi.
Per resistenze, mai del tutto chiarite, l’Aifa lasciò cadere la proposta nel vuoto accampando problemi di autorizzazione europea e dubbi sull’efficacia dei farmaci che – evidentemente –avrebbe potuto sciogliere allora. “Meglio tardi che mai – commenta Silvetri – dopo tre mesi approvano esattamente quello che io avevo proposto di fare con 10 mila dosi gratis”. Sulla vicenda aleggia anche il sospetto di un rifiuto per scelte fatte a monte: quella di investire milioni in uno studio italiano condotto dalla fondazione Toscana Life Science (TLF), diretto da Rino Rappuoli con la collaborazione dell’Istituto Spallanzani di Roma. Determinanti, le valutazioni critiche di Giuseppe Ippolito che lo dirige e al tempo stesso è nel Cts per emergenza Covid di Aifa. Il dg Bruno Magrini arrivò a negare l’esistenza stessa della proposta che nel frattempo però, era arrivata anche sul tavolo del ministro Speranza, anche se fuori tempo massimo: il tergiversare di Roma fu tale che fece prima Washington ad autorizzare l’uso d’emergenza e accaparrarsi il primo milione di dosi. Una volta fissato il prezzo, restava l’opzione acquisto.
Ci si è trovati così davanti al paradosso delle fiale che uscivano pure da uno stabilimento di Latina per curare pazienti americani e canadesi, non italiani. Dietro la svolta, probabilmente, anche la constatazione del ritardo nel progetto italiano. Lo stesso Rappuoli ieri ha ammesso: “Abbiamo avuto rallentamenti con i nostri anticorpi, le americane Eli Lilly e Regeneron sono più avanti. Spero arrivino al più presto, così anche gli italiani li avranno. Noi invece saremo pronti tra aprile e maggio. Prima di giugno potremmo avere l’approvazione”. L’insediamento di Palù, da sempre pro monoclonali, ha dunque cambiato approccio e tempi dell’Aifa: le candidature dei protocolli di sperimentazione scadono l’1 febbraio 2021. La svolta non cancella però il paradosso: Aifa dovrà acquistare i farmaci che gli erano stati offerti, gratuitamente, quattro mesi fa.
Lombardia e Sicilia in zona rossa. In arancione 33 milioni di italiani
Torna la zona “rossa”, cioè divieto di circolazione anche di giorno e negozi chiusi, per la Lombardia e la Provincia di Bolzano. Si aggiunge la Sicilia dove lo stesso presidente Nello Musumeci aveva chiesto di passare al “rosso”. Ben nove Regioni da domani diventano arancioni, quindi bar e ristoranti chiusi anche a pranzo: per la prima volta c’è il Lazio e poi Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Umbria e Valle D’Aosta. Si aggiungono a Veneto, Emilia-Romagna a Calabria, già arancioni da una settimana. Resistono in zona “gialla” solo Campania, Toscana, Basilicata, Sardegna e Provincia di Trento: appena 12 milioni di abitanti, un quinto del Paese.
Il monitoraggio settimanale di ieri “conferma il peggioramento generale già osservato la settimana precedente”, scrive la cabina di regia del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di Sanità. Per la seconda settimana consecutiva aumenta l’incidenza: 368,75 nuovi casi per 100.000 abitanti nei 14 giorni tra il 28 dicembre e il 10 gennaio contro 313,28 fra il 21 dicembre e il 3 gennaio: il 17,7% in più. Peggio di tutti il Veneto (365,61 ogni 100.000 in 7 giorni) che però cala, Bolzano (320,82), Emilia-Romagna (284,64) e Friuli-Venezia Giulia (270,77). Considerando i dati più recenti comunicati dalle Regioni, l’incidenza settimanale media in Italia è aumentata fino a 190 in 7 giorni. Sale Rt, l’indice di riproduzione del virus: 1.09 tra il 23 dicembre e il 5 gennaio, “in aumento da cinque settimane” come sottolineano gli esperti del ministero e dell’Iss, ricordando anche il “contesto europeo caratterizzato da un aumento nel numero di casi e la circolazione di varianti virali con una potenziale maggiore capacità di trasmissione”. La situazione più preoccupante è nel Regno Unito che ieri ha contato altri 1.280 morti e 55.571 nuovi casi (sia pure con 700 mila test), ma anche la Germania (1.113 decessi e 44.994 contagi), mentre alla variante inglese e a quella sudafricana se n’è aggiunta una brasiliana che preoccupa: Londra ha già bloccato i voli dal Brasile, il governo italiano valuta.
La Lombardia registra il valore medio di Rt più alto: 1,39 nei 14 giorni fino al 4 gennaio. Da notare che la Lombardia ha un’incidenza inferiore a quella di molte altre Regioni (133,3 a settimana ogni 100 mila abitanti) perché fa meno tamponi. L’opposto del Veneto dove Rt è a 0.95 o del Friuli-Venezia Giulia a 0,93. In Lombardia la tensione sale, il presidente Attilio Fontana qualche giorno fa aveva detto che “stiamo peggiorando in tutti i parametri” e “ci stiamo avvicinando alla zona rossa”, ma ieri ha reagito male all’ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza: “Bisogna rivedere i parametri”. Ha annunciato un ricorso al Tar, potrebbe farlo anche Bolzano. Premono su Fontana le imprese, la Lombardia è grande, le province di Bergamo e Cremona stanno molto meglio delle altre.
Tramontata l’idea di facilitare il passaggio alla zona rossa, legata com’era all’incidenza settimanale che però dipende dai tamponi, il nuovo Dpcm in vigore da oggi fino al 5 marzo semplifica le procedure per l’arancione: basta la valutazione di rischio “alto”, anche se Rt non supera 1. “Rispetto all’occupazione dei posti letto ordinari e delle terapie intensive, la curva si è un po’ fermata. C’è un lieve aumento dei ricoveri, ma sostanzialmente siamo in una fase ancora di stabilità”, ha detto il professor Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss. Le terapie intensive sono occupate da malati Covid per il 30%, che è la soglia d’allerta; nei reparti ordinari siamo al 36, sotto la soglia del 40%. Stabili i decessi, ieri 477. Sono stati notificati 16.146 nuovi casi, per la prima volta il bollettino riporta insieme ai tamponi molecolari (156.647) i test rapidi antigenici (116.859), così il totale fa 273.506 e l’indice di contagio scende dal 10,7 al 5,9%. Calcolato sulle 80.885 persone testate è al 20%, in calo. “L’Italia – ha detto ancora Brusaferro – ha una situazione di lieve ricrescita. Ha però una fase di crescita lieve e questo probabilmente è anche frutto degli sforzi che tutti noi abbiamo fatto durante il periodo festivo”. Ora si attende di valutare l’effetto delle nuove restrizioni.
“’Sta schifosa… via!”: la sindaca della Lega che nega i pacchi alimentari agli stranieri
“Non è perché questi sono marocchini, allora hanno tutti i diritti”. Michela Rosetta, sindaca leghista di San Germano Vercellese, in provincia di Vercelli, si rivolgeva così a Antonella Mentegazzi, responsabile comunale del servizio segreteria sociale, indicando la revoca degli aiuti alimentari a una famiglia nordafricana, durante la prima ondata dell’epidemia Covid. Aiuti finanziati con i fondi governativi. Tutto ciò mentre, secondo gli inquirenti, concordava con il suo assessore, Giorgio Carando, di fare “figli e figliastri” nella distribuzione delle risorse.
È quanto emerge dall’inchiesta dei carabinieri del Noe di Vercelli. Ieri Rosetta e Carando sono finiti ai domiciliari. Nel fascicolo della Procura di Vercelli sono indagate anche altre sette persone, tra cui due imprenditori. Peculato, falso materiale e ideologico e abuso d’ufficio i reati contestati a vario titolo. Il 23 aprile 2020, Rosetta parla con Mentegazzi. La funzionaria aveva appena ricevuto un messaggio da Halima Zituoni, in cui la donna (sola con due figli e invalida) chiede, per la consegna successiva, di ricevere yogurt al posto della carne. L’email aveva mandato in escandescenza la sindaca: “Ma chi cazzo pensa di essere questa?! Sta schifosa… (…) Via! Annulla il protocollo”. Intransigenza non valida per tutti. “Sono in due, ma fai conto che sono in quattro”, dice Rosetta a Carando il 14 maggio, parlando di un destinatario che, secondo chi indaga, non avrebbe avuto diritto agli aiuti. Non solo. Carando in un’altra occasione dice a Rosetta: “Dipende dalle famiglie… sai che noi facciamo figli e figliastri no?…”. I due parlano anche di “pacco dei poveri e pacco da sfigato”, intendendo quelli per le famiglie effettivamente bisognose e quelli per gli altri conoscenti. Gli inquirenti documentano la composizione dei pacchi-aiuto. Il 27 maggio, Corando spende oltre 1.700 euro in una pescheria per acquistare, tra le altre cose, mazzancolle tropicali, capesante e spiedini di gambero. Carando è anche accusato di aver sottratto dai pacchi una serie di prodotti alimentari, come pasta, latte e sughi vari. La sindaca e l’assessore sono accusati anche di aver redatto un falso verbale, in cui si afferma che la Follie’s Group di San Giuseppe Vesuviano era l’unica azienda ad aver risposto alle richieste per la fornitura di 2.000 mascherine, procedura curata da Carando. Gli inquirenti hanno scoperto che Carando era il rappresentante commerciale della società campana.
Sensori non messi “con dolo”: nuovo reato per Aspi
Autostrade ignorò lo studio dei consulenti che invitavano a installare un sistema di sensori “intelligenti” per monitorare le oscillazioni del Ponte Morandi. Ed evitò di sostituire i vecchi sensori, già meno efficaci, quando durante una lavorazione la controllata Pavimental ne tranciò i cavi. Questi comportamenti sono oggetto di una nuova contestazione della Procura di Genova: “Rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”, che prevede pene da tre a 10 anni. Questa contestazione farà spostare la competenza da un giudice monocratico al collegio.
Intanto ieri l’assemblea di Atlantia ha dato il via libera alla scissione (e successiva quotazione) di Autostrade, il percorso alternativo studiato a settembre in caso di fallimento della trattativa con Cdp e soci, dai quali è attesa l’offerta vincolante, che dovrebbe arrivare a valle della due diligence. Cdp però offre molto meno di quanto chiede Atlantia, che ieri ha ammesso di non aver ottenuto risposta agli esposti contro il governo italiano inviati a Consob e Commissione europea.
La nuova creatura di Toti: l’ufficio stampa con un consulente da 10mila euro al mese
La priorità della Regione Liguria è il look. E a disegnarlo sarà un superconsulente della comunicazione che guadagnerà 10mila euro mensili (11mila e 600 con il bonus produzione), per 18 mesi. La riforma Madia ha messo parecchi paletti in tema di incarichi esterni alle amministrazioni pubbliche. Ma il nuovo guru li potrà aggirare, non essendo inquadrato nell’ente pubblico, ma in una società partecipata, Liguria Digitale. Un’azienda in house dai compiti poliedrici: partita come volano dell’informatizzazione pubblica, nel tempo è stata usata per allestire un red carpet tra Santa Margherita e Portofino e promuovere la focaccia al formaggio di Recco.
Non è un mistero che il governatore Giovanni Toti, ex giornalista Mediaset, tenga molto alla comunicazione. Nel 2019 la Regione Liguria ha speso 2 milioni di euro in pubblicità istituzionale. Dal 2015, anno di elezione di Toti, i servizi affidati a Primocanale, principale emittente locale, sono aumentati del 555%. Liguria Digitale è anche la miglior cliente di Telenord, seconda tv ligure: 557 mila euro di affidamenti in sei anni. E sul Secolo XIX, maggiore quotidiano della Regione, la giunta regionale comprò la scorsa primavera 22 pagine di pubblicità (60mila euro) in un solo giorno per lanciare la campagna di comunicazione Ripartiamo insieme.
Il nuovo manager gestirà una sorta di super ufficio stampa regionale, che per l’opposizione diventerebbe addirittura la seconda testata ligure come dimensioni. Sarà affiancato da un comitato editoriale di cui faranno parte due figure di fiducia del governatore: il segretario regionale Pietro Giampellegrini e la portavoce Jessica Nicolini. Il fulcro del nuovo progetto è il portale di promozione territoriale “La mia Liguria”: una creazione di Marco Pogliani, spin doctor di Beppe Sala, che per Regione Liguria ha una consulenza da 200mila euro. Il marchio è già registrato, sui colori è mancata forse un po’ di fantasia: scritta bianca su sfondo arancione e azzurro. Gli stessi del logo di Cambiamo. Il partito fondato da Toti ha fatto il pieno alle Regionali (20% dei voti) e ora vorrebbe ripetere l’exploit anche a livello nazionale, dove i sondaggi lo attestano per ora su un magro 1,2%. Ma gli investitori sembrano dargli fiducia e nel 2020, con 530mila euro di donazioni private, è stato il partito più finanziato d’Italia.