Lo storico National Mall di Washington sarà chiuso al pubblico per motivi di sicurezza, mentre si discute se impedire l’accesso al Male anche nei giorni precedenti la cerimonia. Vietati certamente maxi-schermi e toilet. L’Inauguration Day di Joe Biden e Kamala Harris il 20 gennaio sarà blindatissimo, oltre che zeppo di Guardia Nazionale e agenti. Intanto proseguono arresti e incriminazioni dei partecipanti all’assalto di Capitol Hill del 6 gennaio. La pista più inquietante seguita dagli inquirenti è quella di un possibile piano dei rivoltosi con l’appoggio di informatori interni, politici, collaboratori o gli stessi agenti. Un segnale in questa direzione arriverebbe dalle parole di Ali Alexander, complottista di “Stop the steal”, che in una diretta video ha detto di avere organizzato il rally che ha preceduto l’assalto con l’aiuto di tre deputati repubblicani: Paul Gosar, Andy Biggs e Mo Brooks. Ma l’accusa più insidiosa è arrivata dalla democratica Mikie Sherill, ex procuratrice dell’ala moderata del caucus del partito, che accusa i repubblicani di aver fatto entrare il giorno prima dell’attacco i rivoltosi nel Congresso. Se così fosse, dunque si tratterebbe di un assalto organizzato e preparato, non di una reazione spontanea della folla inferocita di manifestanti. Quanto all’inaugurazione, saltato anche il tradizionale tour della Casa Bianca con il predecessore e l’arrivo in treno, Biden si impegnerà a “preservare, proteggere e difendere la Costituzione” posando la mano su una monumentale Bibbia con la croce celtica passata di generazione in generazione nella sua famiglia dal 1893. Il futuro 46° presidente degli Stati Uniti l’ha usata già sette volte da senatore e altre due da vice-presidente. All’insediamento Parteciperanno amici di famiglia, e il sacerdote gesuita Leo Donovan e il pastore metodista Silvester Beaman, apriranno e chiuderanno la cerimonia in cui Amanda Gorman, una 22enne poetessa e attivista di Los Angeles, leggerà una sua composizione. Ma, soprattutto, per l’occasione si è mobilitato lo star system: l’inno nazionale sui gradini di Capitol Hill lo canterà Lady Gaga e Jennifer Lopez intratterrà gli spettatori nella prima serata di Tom Hanks in uno speciale tv di 90 minuti senza pubblico, ma con Jon Bon Jovi, Demi Lovato e Justin Timberlake. Un cartellone di serie A, lontano dal disastroso insediamento di Donald Trump che non aveva trovato altri che Jon Voight, il coro del Tabernacolo Mormone, Big and Rich, e 3 Doors Down.
Trump studia per il 2024. Isolato, arrabbiato e furbo
Chi l’avrebbe mai detto? Nel giro di 24 ore, il ‘sobillatore in capo’ Donald Trump, che ancora martedì arringava i fan davanti al muro al confine con Messico, si (tra)veste da capo di Stato responsabile che, diligentemente seduto alla sua scrivania, pronuncia parole gravide di buon senso: condanna “inequivocabilmente” la violenza dell’assalto al Congresso, scarica i ‘trumpiani’ rivoltosi e invita gli americani a “superare gli impeti del momento”, senza fare cenno alla procedura d’impeachment. Il video di cinque minuti diffuso dalla Casa Bianca dà, del magnate presidente, un’immagine inedita e artefatta: regia e testo sono degli avvocati che preparano la sua difesa, nel processo che si svolgerà in Senato dalla prossima settimana.
Le sue parole contrastano con il Trump ‘raccontato’ dai suoi intimi ai media Usa, che ancora non capisce che cosa abbia fatto di male il 6 gennaio. Martedì, prima di volare in Texas, ad Alamo, tragico simbolo di un’epopea americana, il magnate aveva definito il suo comportamento “totalmente appropriato”, aveva respinto ogni responsabilità nelle violenze successive al suo comizio e aveva bollato come “completamente ridicola” la procedura d’impeachment, che provoca una “rabbia enorme” – suona velata minaccia – tra i suoi sostenitori. La metamorfosi di Trump si spiega con il tentativo di evitare la condanna, che comporterebbe l’interdizione dai pubblici uffici, cioè niente più rivincita presidenziale 2024. “Nessun mio vero sostenitore – prosegue il magnate – potrebbe mai giustificare la violenza politica. Nessun mio vero sostenitore potrebbe disprezzare le autorità o la nostra grande bandiera americana. Nessun mio vero sostenitore potrebbe mai minacciare o attaccare i suoi compatrioti americani. Se fate qualcuna di queste cose, non sostenete la nostra causa, la state attaccando; e state attaccando il nostro Paese. Non possiamo tollerarlo”. Quindi affronta le minacce di proteste a Washington per il giuramento di Biden: “Tutti hanno diritto di far sentire la propria voce in base al primo emendamento della Costituzione”, ma senza violare la legge.
L’unico tratto in comune ai due Trump è l’attacco a Big Tech, che ha bloccato i suoi account social, rimosso decine di migliaia di account controversi – oltre 70 mila su Twitter, legati ai cospirazionisti di destra di QAnon – e messo al bando Parler, chat di destra. Martedì, parla di “errore catastrofico”; mercoledì, denuncia “un attacco senza precedenti alla libertà di parola. Gli sforzi di censurare, cancellare e mettere nella lista nera i nostri cittadini sono sbagliati e pericolosi”. Secondo la Cnn, Jared Kushner, il marito di Ivanka, è intervenuto con altri consiglieri per impedire che il suocero cominciasse a usare piattaforme ritrovo di estremisti, come Gab, mentre altri suoi collaboratori, come il capo del personale Johnny McEntee, stavano invece lavorando in quella direzione. Nonostante la virata, il presidente uscente va giù nei sondaggi, subisce un’emorragia di sostenitori – l’ha abbandonato anche la fedelissima consigliera Hope Hicks –, New York rescinde i contratti con la Trump Organization, compresi quelli per l’iconica giostra e le piste di pattinaggio di Central Park. Il Partito Repubblicano si prepara a un futuro senza Trump: una decina di deputati gli hanno votato contro alla Camera – la loro capofila è Liz Cheney, del Wyoming, figlia dell’ex vice di Bush jr –; e il leader della minoranza repubblicana Kevin McCarthy lo ritiene responsabile delle violenze, anche se giudica “inutile” la destituzione.
Il crescente consenso per l’impeachment tra i repubblicani è il segno di uno scontro nel partito: i ‘trumpiani’ che devono il seggio all’appoggio del presidente rischiano di restare fuori nel 2022, quando le elezioni di ‘midterm’ rinnoveranno la Camera. Un ruolo chiave lo avrà Mitch McConnell, leader repubblicano al Senato, che in privato considera l’impeachment fondato e utile per consentire al partito di voltare pagina. Se assumesse in pubblico una posizione del genere, McConnell potrebbe consentire il formarsi della maggioranza dei due terzi necessaria per condannare Trump in Senato – ci vogliono almeno 17 transfughi repubblicani e, per il momento, se ne contano una manciata. Anche gli aspiranti alla nomination repubblicana 2024 sono favorevoli a sbarazzarsi di Trump. Nikki Haley è già uscita allo scoperto, come pure il senatore Tom Cotton. Ma i giochi sono ancora aperti.
Il virologo ora è tuttologo
È nato prima il virologo o il talk show? Su questo tema la comunità scientifica non smette di interrogarsi in tv, in radio, in Rete, sui giornali. Sequenziare il tele-virologo nelle sue apparizioni multiple e quotidiane è operazione complessa, e in questi giorni proprio in Italia si è potuta isolare una nuova variante: la variante tuttologa del virologo. Fino a dieci volte più diffusiva, la variante tuttologa del virologo oltre a sfornare profezie e scenari à gogo sulla pandemia, non pone limiti alle sue capacità predittive, spazia dalle terapie intensive alla crisi dei valori, dal dovere del vaccino al diritto di voto.
Alcuni sostengono che la variante tuttologa del virologo sia nata in un laboratorio di Rignano sull’Arno, tesi corroborata dalle oggettive sincronie tra il Renzi ter, segretario di Italia Viva, e la terza ondata del coronavirus.
Di sicuro la variante tuttologa vanta una maggiore capacità di resistenza rispetto a quella del virologo comune. Si ritiene che i virologi-tuttologi possano continuare a imperversare nei talk ben oltre la fine della pandemia, probabile che continuino a essere invitati dovunque e a metterci in guardia su ogni possibile sfiga almeno fino al 2030.
Un esempio di come la variante tuttologa circoli di già nell’etere è data dal professor Massimo Galli. Lui stesso, da autentico luminare, ne è consapevole e lancia appelli accorati ai conduttori: “Non fatemi parlare di politica…” “Non fatemi fare il profeta…” “Non fatemi fare il commentatore dell’attualità…”.
Eppure un rimedio ci sarebbe: basterebbe non accettare gli inviti. Oppure, accettarne uno solo alla settimana, giusto per fare il punto sull’evoluzione pandemica, così da evitare l’effetto disco rotto. Andando in tv una volta alla settimana, ci sarebbe il vantaggio che nel frattempo è passata una settimana. Però, indipendentemente dalla variante tuttologa, i virologi sembrano poco propensi a questa soluzione.
I 100 del pci e quellicol senno di poi
Il Partito comunista italiano non ha raggiunto il secolo di vita, si è estinto precocemente nel 1990 all’età di 69 anni, eppure, guardatevi intorno, sono davvero in tanti a celebrarne il centenario.
Sulla scissione socialista di Livorno del 1921 ho contato almeno dieci libri in uscita: ricostruzioni storiche, amarcord sentimentali, testimonianze autocritiche. Benché temperato dal rispetto che si deve a un grande partito, protagonista della “più significativa esperienza di alfabetizzazione politica di massa vissuta nel nostro Paese”, come ci ha ricordato Giovanni De Luna, tende a prevalere uno spirito di rivincita nei confronti dei fondatori del Pcd’I, sezione italiana della Terza Internazionale.
“Aveva ragione Turati”, è la morale che i più sembrano sposare. Cioè aveva ragione il vecchio riformista la cui mozione di rifiuto della via rivoluzionaria arrivò ultima in quel congresso, con meno del 10% dei delegati. Il senno del poi si nutre di una parola già da tempo divenuta buona per tutti gli usi: riformismo. Tutt’al più troveremo ex dirigenti del Pci (Macaluso, Petruccioli) che riconoscono nell’atto fondativo di Livorno un “errore provvidenziale”, propedeutico al vasto radicamento di massa che il partito di Togliatti avrebbe conseguito nel dopoguerra grazie alla sua pratica di gradualismo riformista. Al fine di legittimare una tale visione di eterogenesi dei fini, Luciano Canfora si spinge addirittura a sostenere che nel 1944 si sarebbe verificata una “metamorfosi” del Pci; quasi che il “partito nuovo” rifondato da Togliatti al suo rientro in Italia scaturisse dall’implicita negazione del suo atto di nascita.
Troppo facile, mi viene da obiettare, questa pretesa di abiura postuma della fede nella rivoluzione proletaria che animò la grande maggioranza dei congressisti di Livorno; non solo i comunisti guidati da Bordiga, Terracini e Gramsci, ma anche i socialisti massimalisti di Giacinto Menotti Serrati credevano fermamente nella via rivoluzionaria.
Evito di prendere in considerazione la tesi più ingenua e colpevolizzante, secondo cui sarebbe stata la scissione di Livorno a propiziare nel 1922 l’ascesa al potere del fascismo. Semmai andrebbe ricordato che il nucleo di rivoluzionari intransigenti che diedero vita al partito comunista rimase quasi solo a reggere un’opposizione organizzata durante il ventennio di Mussolini. Se ne avrebbe avuta conferma nel ruolo determinante assunto dai comunisti nella struttura politico-militare del movimento partigiano.
Migliaia di comunisti furono arrestati e confinati. Altre migliaia morirono combattendo nelle file della Resistenza. Senza quella fede, senza l’aspirazione messianica alla redenzione degli oppressi, degli sfruttati, dei perseguitati, ben pochi avrebbero messo a repentaglio la loro stessa vita.
Commette un grave errore chi liquida la speranza rivoluzionaria alla stregua di una momentanea infatuazione o, peggio, di una superstizione popolare. Lo spiega bene Eric Hobsbawm, grande storico marxista del Novecento: deve cadere una Bastiglia, deve intravedersi una Nuova Gerusalemme, affinché gli uomini e le donne destinati ai margini della storia se ne impossessino e la mettano in moto. È precisamente ciò che accadde in Europa dopo la Rivoluzione russa del 1917: a Leningrado era avvenuto l’impossibile, o almeno così parve a moltitudini di proletari già disposti a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Pregustavano l’Utopia? D’accordo, ma da sempre è questa una leva potentissima della storia: insieme alle scoperte scientifiche e geografiche, a propiziare i grandi progresso sociali sono proprio i movimenti collettivi ispirati dalla fede in un Mondo a Venire.
Perfino Karl Marx, il fondatore del socialismo scientifico, pensatore ateo e razionale, indicava la meta ultima dell’“estinzione dello Stato” e un ribaltamento dei rapporti sociali di produzione da perseguire – nel mezzo dell’epoca dei più accesi nazionalismi – concependo un’associazione Internazionale dei lavoratori. Una sorta di terreno Messia collettivo.
Chiedo scusa per questa che può apparire solo una divagazione e che invece ci riporta al contesto storico in cui maturò la scissione di Livorno. Il movimento socialista si trovava davanti a un’alternativa concreta: rivoluzione o riformismo. La Prima guerra mondiale aveva visto gran parte dei riformisti rinnegare la vocazione internazionalista e rassegnarsi al fatto che i proletari si combattessero nelle trincee gli uni contro gli altri. Dopo la vittoria di Lenin e la nascita della Repubblica dei Soviet sulle ceneri dell’Impero zarista, nel 1919 altre due rivoluzioni ebbero breve vita e furono represse nel sangue, in Baviera e in Ungheria. Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, teorici del consiliarismo e dell’autogoverno operaio erano stati appena trucidati a Berlino per iniziativa di sedicenti riformisti come Noske.
È vero che in Italia la contrapposizione tra le due fazioni del movimento socialista non era così violenta, ma rimaneva pur questo il clima in cui si veniva chiamati a compiere la scelta fra riformismo e rivoluzione. Non dimentichiamolo: lo stesso fascismo si presentò nella forma di un socialismo nazionalista e – proprio evocando il pericolo della rivoluzione “giudeo-bolscevica” – avrebbe creato il mostro del nazionalsocialismo.
Anche in Italia si manifestavano visioni diverse sia all’interno del campo riformista sia tra i rivoluzionari. Filippo Turati, da convinto parlamentarista, era assertore del primato dell’azione politica sulle pratiche sindacali, cooperative e mutualistiche che avevano trovato in Osvaldo Gnocchi Viani, fondatore della Camera del Lavoro di Milano e della Società Umanitaria, il dimenticato sostenitore. Se il riformismo italiano rimase “incapace di suscitare passioni” (cito ancora Giovanni De Luna) lo si deve anche al vizio originario che lo distaccava dalla sua base sociale. Ma pure tra i rivoluzionari convivevano opposte visioni: quella rigidamente ideologica di Amadeo Bordiga e quella torinese dell’Ordine Nuovo, aderente alle dinamiche sociali, forgiata nell’esperienza dei consigli di fabbrica e ispirata al protagonismo delle masse. Sarà quest’ultima a prevalere e a favorire il radicamento, oltre che l’originalità culturale, del Partito comunista italiano.
Quell’impronta – collocarsi sempre e comunque dalla parte dei lavoratori, anche quando ciò comporti la condivisione di una sconfitta – caratterizzò le ultime, controverse, scelte di Enrico Berlinguer: nella vertenza Fiat del 1980 e nel referendum sulla scala mobile da lui voluto nel 1984. Oggi molti adulatori di Berlinguer, che amano fregiarsi a sproposito del titolo di riformisti, se lo dimenticano. Per lui il Pci era e doveva restare il partito della classe operaia. Dopo, sappiamo com’è andata.
MailBox
La politica deve aiutare l’inclusione dei disabili
In Italia, nonostante tanti bei proclami di attenzione al tema della disabilità da parte vostra, il tasso di occupazione delle persone disabili è molto più basso che nel resto dell’Europa e in alcune categorie la percentuale di occupazione non supera lo 0,2%. Per questo motivo, noi associazioni che ci occupiamo di garantire i diritti fondamentali sanciti dalle varie convenzioni internazionali a cui anche il nostro Paese ha aderito, speravamo di trovare all’interno delle prime bozze del Recovery Fund almeno un accenno sul tema dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. E invece nulla, se non un accenno al potenziamento delle soluzioni di smart working e un supporto per sviluppare le competenze digitali. Chiediamo quindi che nella stesura definitiva venga prevista una misura specifica esclusivamente dedicata al potenziamento dei servizi di inserimento e accompagnamento al lavoro di queste persone fragili che preveda, ad esempio, un maggior coinvolgimento del terzo settore che negli anni ha maturato specifiche competenze in questo campo, ovviamente in sussidiarietà con il sistema del collocamento mirato pubblico che dall’uscita della legge 68/99 purtroppo non si è mai rivelato all’altezza delle aspettative di tante persone disabili in attesa di lavoro.
Emanuela Buffa, Coordinatrice GGL di Torino
Propongo un hashtag:#AvantiConConte
Caro direttore, mi permetto di proporti di pubblicare tutti i messaggi di sostegno dei lettori al presidente Giuseppe Conte con l’hashtag #AvantiConConte. Sarebbe una bella dimostrazione di affetto verso un grande uomo.
Francesco Vignola
Il mio sogno per salvare il governo e fregare B.
Anch’io come Padellaro ho sognato uno scenario per liberarsi di Renzi, salvare il governo e fregare B. Come ha ricordato Giacomo Salvini, Berlusconi desidera il Quirinale. Allora perché M5s e Pd non glielo promettono sottobanco in cambio del sostegno da parte di FI per poi rinnegare l’accordo alla scadenza del mandato di Mattarella?
Loris Calanni Rindina
Una crisi che dovrebbe mobilitare gli italiani
Egregio direttore, vorrei che mi spiegasse perché mai gli italiani dovrebbero assistere al teatrino di una politica che ci propina da anni personaggi come l’Innominabile, senza poter far niente. Mi spieghi dove sono finiti, in questo particolare momento storico, i vari movimenti del “Vaffa”, delle Sardine, ecc. Sarebbe questo il momento giusto di far sentire la nostra voce pacifica contro la destabilizzazione di un sistema che, nonostante tutti i difetti (che vengono da lontano e non certo per colpa di Conte), oggi è in guerra contro un virus. E scendere in piazza per chiedere a Mattarella una legge elettorale che dia una governabilità certa e non un sistema studiato ad hoc per creare altri mostri.
Leonida Ambrosio
Caro Leonida, il Covid sconsiglia assembramenti. Ma la piazza virtuale del web sta reagendo in massa.
M. Trav.
La disgrazia di averequel nome con la “M”
Matteo è decisamente un nome che sarebbe piaciuto a Oscar Wilde, se avesse avuto la ventura di osservare le nostre piccole vicende politiche. Non crede anche lei, direttore?
Marco Maria Cortellari
Caro Marco, non penalizziamo tutti gli incolpevoli Matteo d’Italia per colpa dei vari Matteo politici!
M. Trav.
L’attacco del “Misirizzi” che non mi è sfuggito
Gentile Direttore, guarda che mercoledì il Misirizzi ti ha attaccato nella trasmissione di Mentana, dicendo che i responsabili le vanno bene solo nelle situazioni a lei favorevoli.
Marco Olla
Caro Marco, ci vuole tanta pazienza con certi omuncoli che non sanno neppure distinguere fra sistemi maggioritari e sistemi proporzionali e fra le libere scelte di un parlamentare senza vincolo di mandato e la corruzione di senatori a botte di 3 milioni di euro.
M. Trav.
DIRITTO DI REPLICA
In qualità rispettivamente di Presidente e di Responsabile gestionale del Centro per gli Studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia, vi contattiamo in relazione a quanto pubblicato nel quotidiano del 9/01 sotto il titolo “Sequestro dei Malavoglia e di altri inediti di Verga”: i materiali verghiani sotto sequestro sono custoditi in condizioni di piena sicurezza e ottimale conservazione all’interno del Centro per gli Studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia (non in “un armadio di un seminterrato”, né in “uno scantinato umido”), in ottemperanza alle prescrizioni di tutela della Soprintendenza archivistica e bibliografica della Lombardia.
Gianfranca Lavezzi, Nicoletta Trotta
Gentili professoresse, ci siamo basati sugli atti prodotti dai legali, secondo cui il vostro Centro studi (almeno al momento del sopralluogo) si trova al piano interrato. Lungi da noi asserire che i documenti non vengano conservati in condizioni di sicurezza.
Vincenzo Bisbiglia
Medici di famiglia. Sono pochi posti, ci vuole una vera riforma strutturale
Caro direttore, il mio nome è Simone Ruffini, giovane medico da poco entrato nel mondo del lavoro nella continuità assistenziale (ex guardia medica) come sostituto. Ossia, con contratti di un mese prorogabili per i successivi due. Veniamo al motivo della lettera. Per me, così come per molti miei colleghi, è impossibile sperare di arrivare un giorno ad avere il posto da titolare a meno di non riuscire a ottenere l’attestato di medico specialista in medicina di famiglia. Ma, anche qui, come per le altre specializzazioni, c’è un test da superare. E il numero di borse di studio, decise su base regionale, è esageratamente basso perfino nelle regioni più ricche e meglio organizzate. Grazie all’ormai famigerato decreto Calabria, vengono messi a disposizione dei posti aggiuntivi (non coperti da borsa) nella speranza di coprire le carenze, ma anche in questo caso si tratta di numeri a dir poco irrisori. Inoltre il concorso, previsto per fine gennaio, è stato rimandato a data da destinarsi, peggiorando così il quadro psicologico e lavorativo del momento. Ho anche scritto, per questo, al ministro Speranza con l’intento di suggerire di sfruttare questo lasso di tempo aggiuntivo. Il decreto Calabria apre posti non coperti da borsa a medici che hanno lavorato per il SSN almeno due anni nei dieci precedenti la data del test. Perché non cambiare questa parte del decreto? Si potrebbe aprire il percorso a tutti i medici che abbiano intenzione di seguirlo a proprie spese, lasciando le borse per i più meritevoli. Potremmo così coprire l’enorme carenza che abbiamo.
Simone Ruffini
Gentile Simone, il problema di cui lei parla è esploso prepotentemente con la pandemia, anche se da anni i medici segnalavano la necessità di aumentare le borse di studio per coprire la carenza di specialisti, a fronte di un errore di programmazione che si trascina da tempo. Sono le Università a stabilire annualmente il numero e l’ammontare delle borse di studio da attribuire ad ogni scuola di specializzazione: un monopolio formativo che è un unicum in Europa ed è aspramente contestato dai sindacati dei medici. Con il decreto Calabria, che consente anche al Servizio sanitario di reclutare specializzandi, si è tentato di tamponare le falle. Ma servirebbe una riforma complessiva, che coinvolga Mur, ministero della Salute, Regioni, medici e sindacati, nella determinazione del fabbisogno di nuovi specialisti.
Natascia Ronchetti
#ioapro, da criminali aderire oggi a questa lotta dei ristoratori
Cari proprietari e gestori di bar e ristoranti, comprendiamo e condividiamo tutto: la vostra rabbia, la preoccupazione per il futuro, le vostre lamentele per i ristori troppo bassi. E anzi, siamo disposti a batterci con voi perché da qualche parte si trovino i denari necessari per nuovi e più alti risarcimenti. Una cosa però non possiamo accettarla: che col vostro comportamento mettiate a rischio la salute e la vita degli italiani. Per questo ci sentiamo di dirlo chiaramente: chi tra di voi aderirà oggi alla manifestazione #ioapro accogliendo i clienti nei propri locali fino alle 21:45 non è un pericoloso imbecille, ma un criminale. E non perché violerà le regole anti-Covid sancite per contenere le infezioni, ma perché ciascuno di voi sa benissimo che più persone riunite per cenare rendono possibile il contagio.
Dopo undici mesi di pandemia, lo abbiamo imparato tutti. In tv, sui siti, sui giornali abbiamo visto grafici e modelli che dimostrano come al chiuso il virus si diffonda anche attraverso l’aerosol provocato dalla respirazione. Abbiamo letto studi scientifici che raccontano come senza finestre aperte e apparati di filtraggio adeguati il rischio aumenti a dismisura e come anzi, in presenza di riscaldamenti ad aria, venga moltiplicato. E non serve essere laureati in Medicina per capire la differenza tra un negozio e un ristorante. Nel primo si indossa sempre la mascherina, nel secondo no. Si mangia, si beve e spesso si resta a tavola per ore.
Tutte le obiezioni a queste semplici verità sollevate dagli organizzatori della vostra protesta sono baggianate. Il rispetto delle distanze, i tavoli da quattro persone, il plexiglass e gli altri ammennicoli previsti dai protocolli ministeriali che verranno messi in campo questa sera, servono solo per ridurre i pericoli, non per azzerarli.
Ne consegue che se qualcuno tra i vostri dipendenti e clienti si ammalerà e finirà in ospedale, voi ne sarete responsabili. E sarete moralmente responsabili pure degli eventuali decessi delle persone più anziane contagiate da chi, dopo aver cenato, porterà il virus in famiglia. E per favore, risparmiateci il consueto interrogativo: e allora perché nelle zone gialle ci fanno restare aperti fino alle 18? La risposta intanto la conoscete pure voi. In quelle aree, meno colpite di altre dalla pandemia, si pranza, ma non si cena per ridurre del 50 per cento la possibilità d’infezione, non per azzerarla. È un rischio calcolato che lo Stato, e non voi, ha deciso di assumersi per non mettere in ginocchio anche zone del Paese dove il Covid è meno presente. Se dal punto di vista sanitario abbia fatto bene o male dobbiamo ancora capirlo. Ma questo non vi autorizza a fare come vi pare.
I vostri – lo ribadiamo – problemi sono reali. Le vostre richieste sono spesso sacrosante. Ma la strada giusta per ottenere ascolto non è quella di mettere in pericolo la collettività. Le aperture di questa sera non sono disobbedienza civile, sono invece egoismo incivile. Per questo lascia sbigottiti che chi, come Matteo Salvini, continua a ripetere “prima gli italiani” si dichiari senza se e senza ma al vostro fianco invece di dirvi “restate chiusi per tutelare la salute dei cittadini, intanto in Parlamento faremo le barricate per farvi ottenere altri ristori”. O che il suo discepolo Armando Siri si faccia vedere in diretta live con gli organizzatori di #ioapro. Voler bene agli italiani, signori della Lega, è un’altra cosa. Significa battersi per il loro benessere. Non per aumentare il numero dei ricoverati in terapia intensiva.
È innaturale. Un altro anno di questa vita masturbatoria
Cento anni fa sarebbe stato possibile a un governo democratico, e anche non democratico, imporre a un’intera popolazione di non uscire di casa se non per andare a lavorare, contingentare i rapporti fra i famigliari, annullare di fatto cerimonie religiose o altri riti consolidati? Fra il 1918 e il 1920 la “spagnola” uccise solo in Europa un numero di persone imprecisato, comunque milioni. Ma nessun governo dell’epoca pensò di applicare misure come quelle che vediamo oggi. Eppure le capacità devastanti delle pandemie erano ben note visti i precedenti (la peste nera del 1300, la peste del 1600 di manzoniana memoria, per dire solo di alcune). Del resto nemmeno in seguito, anche in un’epoca relativamente recente, penso all’“asiatica” del 1957, furono prese precauzioni che ricordino nemmeno lontanamente quelle utilizzate per il Covid 19, per il quale da quasi un anno viviamo in una sorta di lager sovietico o nazista, con la differenza che siamo reclusi a casa nostra e non in baracche fatiscenti. Cos’è cambiato? Un maggior potere dei governi, una loro maggiore capacità di persuasione, lo spirito di un gregge che non osa ribellarsi più a nulla, un maggiore senso di responsabilità, una maggiore paura della morte? Tutti questi elementi concorrono, ma a mio parere l’ultimo, la paura della morte, è il più incisivo. La morte, la morte biologica intendo, quella che prima o poi tocca tutti, non sta nella società del benessere e in una cultura che ha sancito il “diritto alla ricerca della felicità” (Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, 1776) che però l’edonismo straccione contemporaneo ha metabolizzato in un diritto alla felicità tout court rendendo con ciò, ipso facto, l’essere umano più infelice di quanto lo sia normalmente. Che felicità ci può mai essere se poi, a conti fatti, si muore lo stesso? E quindi nella nostra società la morte, quella biologica, è stata interdetta, proibita, scomunicata.
Ai primi del Novecento, benché la Rivoluzione industriale fosse in atto già da un secolo e mezzo, la società rimaneva ancora largamente contadina ed era ancora assorbita da quella mentalità. L’uomo-contadino che viveva a contatto con la natura sapeva bene, attraverso il ciclo seme-pianta-seme, che la morte non è solo la conclusione inevitabile di ogni vita, ma ne è la precondizione. Non ci sarebbe la vita senza la morte. Inoltre quell’uomo viveva in famiglie allargate, in comunità coese, a stretto contatto con la natura di cui si sentiva parte. Noi viviamo invece attorniati da oggetti che non si riproducono ma sono sostituibili, alla cui sorte ci sentiamo sinistramente omologhi, e quindi la nostra morte ci appare come un evento radicale, strettamente individuale e quindi inaccettabile. In realtà questa favolosa società del benessere che abbiamo inseguito e creato sembra essersi paradossalmente e dolorosamente capovolta in uno straordinario malessere. Nel 1650, un secolo prima del take off industriale, i suicidi in Europa erano 2,6 per centomila abitanti, nel 1850, con statistiche certamente più accurate, erano 6,9 per centomila abitanti, triplicati, oggi sono mediamente 20 per centomila abitanti, decuplicati. E il suicidio non è ovviamente che la punta di un iceberg molto più profondo. Nevrosi e depressione sono malattie della modernità. Negli Stati Uniti, il Paese più ricco, più forte del mondo, che gode di rendite di posizione che gli derivano dalla vittoria nella seconda guerra mondiale, più di un americano su due (560 su mille) fa uso abituale di psicofarmaci, cioè non sta bene nella propria pelle. Il fenomeno devastante della droga, una volta riservata alle élite ma che oggi coinvolge soprattutto i giovani, è sotto gli occhi di tutti. Sono cose su cui varrebbe la pena riflettere invece di continuare a credere ostinatamente, con l’ottuso ottimismo di Candide, di vivere nel “migliore dei mondi possibili”.
Da quasi un anno quindi noi, e non intendo in particolare gli italiani, viviamo in un sistema da lager. Fino a quando potremo reggere questa situazione? Si confida nei vaccini ma è dubbio che possano essere risolutivi, perché il virus, che non è cretino, in dieci mesi è già mutato, per quel che ne sappiamo, quattro volte, e se i vari vaccini riescano a coprire queste mutazioni è una questione ancora aperta nella comunità scientifica. Un altro anno di questa vita solipsistica, masturbatoria e innaturale non è pensabile. Prima o poi, per dirla con Ortega y Gasset, ci sarà una “ribellione delle masse”. Per la paura di morire ci stiamo rifiutando di vivere.
Renzi mira a Conte solo percspaccare il PD e l’M5S
È un coro: la crisi aperta da Renzi è incomprensibile. Mi si perdoni la presunzione: per me non è incomprensibile. Irragionevole (Cei), lunare, irresponsabile sì, non incomprensibile. Mi spiego. Certo, molte sono le contraddizioni. Il governo Conte lo ha voluto lui, Renzi, e ora lo rappresenta come un fallimento, che dunque sarebbe innanzitutto suo. Manifestamente pretestuose e strumentali sono le questioni sollevate. Troppe per essere plausibili. Ogni giorno inventandosene una nuova, spesso eccentrica, preferibilmente scelta con cura in quanto divisiva della maggioranza. Secondo la logica incrementale del “più uno”. Anche dopo avere incassato il massimo sul solo, vero dossier: quello del Recovery. Lo ha notato Prodi evocando il precedente di Bertinotti: “io mediavo, ma lui mirava alla rottura”. Se non stessimo dentro un dramma, ci sarebbe da sorridere a fronte della requisitoria di Renzi contro Conte dipinto come autocrate narciso, che violerebbe le regole della democrazia. Sembrava un autoscatto: l’ego, il reality, il cesarismo, una vena populista, l’omesso dialogo con sindacato e forze sociali, i vulnus alla Costituzione, le forzature parlamentari ( come scordare i “canguri”, la fiducia sulla legge elettorale, la cacciata dalle Commissioni di parlamentari PD critici sulla riforma costituzionale?). Persino il trasformismo (Italia Viva è per intero una formazione di transfughi eletti con il PD). La retorica del “martirio” delle ministre che eroicamente lasciano le poltrone in realtà usurpate, in quanto assegnate in quota al PD, mollato un minuto dopo (il PD, non le poltrone). Donne ministro, va detto, usate e manovrate (con il loro assenso) dal capo maschio-alfa come pedine del suo gioco di potere.
Tante dunque le contraddizioni, ma – insisto – non una crisi incomprensibile. Né sotto il profilo soggettivo, né sotto quello politico oggettivo. Basti un po’ di memoria. La fulminante ascesa di Renzi si deve alla sua fama di “rottamatore”. Un “demolition man”, secondo il Financial Time. L’opposto del “costruttore” richiesto dalla situazione e, autorevolmente, dal presidente Mattarella. Prendo a prestito le parole del direttore del Giornale Sallusti, che, a sua volta, non si mostra stupito: Renzi? Uno che “si fa gli affari suoi”, che “fa casino”, “un serial killer della politica”. Conclusione: “chiunque sarà il prossimo premier riceverà il suo abbraccio mortale …. Fino a che un governo si reggerà sui voti decisivi di Renzi, sarà un governo a termine, per cui auguri al prossimo”. Prima ancora che il suo cinico calcolo, è la sua natura, il suo istinto. Giustamente si è evocata la favola di Esopo della rana e dello scorpione. Non so come si sortirà dalla crisi, ma le parole di Sallusti sono una profezia e un avvertimento preziosi.
Al netto dei profili soggettivi, nell’opera distruttiva di Renzi c’è una logica, un senso politico. Il suo accanimento personale e politico contro Conte si spiega con la consapevolezza che egli, pur con i suoi limiti, rappresenta oggi e soprattutto in prospettiva il punto di equilibrio e la saldatura tra PD e M5S. E cioè l’asse portante di uno schieramento, il solo, che, dentro e a valle dell’esperienza di governo, possa costituire un’alternativa in grado di competere con la destra. Prefigurando una contesa a due, dall’esito per nulla scontato, tra un centrodestra a trazione sovranista e un centrosinistra imperniato appunto sul rapporto PD-M5S a guida Conte. Qui si rivela con chiarezza come il suo spregiudicato personalismo faccia premio sugli enfatici proclami europeisti. Stando così le cose, PD e M5S devono sapere quali sono, oltre la congiuntura, il senso e la portata della sfida e regolarsi sin d’ora di conseguenza.
Con tutta evidenza, Renzi, mirando a Conte, confida di spaccare PD e M5S. Nella speranza di aprire un varco a operazioni neocentriste, che ne scongiurino l’estinzione. Incurante della circostanza dello straordinario servizio reso i trampiani di casa nostra, oggi e in prospettiva. Qui si vede chi, in concreto, aiuta gli emuli nostrani di Trump. A loro volta, PD e M5S sono chiamati a venire a capo delle loro contraddizioni irrisolte che hanno aperto un’autostrada ai ricatti renziani. Il M5S a portare a compimento la sua evoluzione/maturazione come forza di governo di ispirazione europeista che abbandoni finalmente la opportunistica teoria del né di destra né di sinistra, il PD a fare quel congresso rifondativo sin qui omesso che si metta alle spalle il renzismo e la presa dei renziani interni che fanno di Zingaretti un leader dimezzato. Ce la faranno?
Libri, pillole dell’amore, sogni e la Bellucci: i dubbi della settimana
E per la serie “Il cazzo nel ventilatore”, la posta della settimana.
Caro Daniele, diventerò ricchissimo. Oggi nel laboratorio di chimica dell’università ho sintetizzato la prima pillola per pompini. Una pillola per pompini! La ingoi, e la pillola ti fa un pompino. Non so bene come funziona, ma chi se ne frega? L’importante è che funzioni. Sai dov’è l’ufficio brevetti più vicino? (Casimiro Chen, Milano)
No, ma sei fortunato: anni fa, il prof. Franco Saltamerenda, l’inventore della pillola che dà lo sperma al sapore di fragola, ha sintetizzato la pillola per l’ufficio brevetti più vicino. La ingoi, e la pillola ti dice dov’è l’ufficio brevetti più vicino. La vendono in farmacia. Sai dov’è la farmacia più vicina? No? Sei fortunato: anni fa, la biologa Jadranka Narz, inventrice della crema solare con fattore di protezione 500 (respinge i raggi solari al mittente), ha sintetizzato la pillola per la farmacia più vicina. La ingoi, e la pillola ti fa sapere dov’è la farmacia più vicina. La vendono in ferramenta. Sai dov’è la ferramenta più vicina? No? Sei fortunato: anni fa, il chimico Norris Hogoboom (suo il brevetto del tabacco da masticare per cani) ha sintetizzato la pillola per la ferramenta più vicina. La ingoi, e la pillola ti fa sapere dov’è la ferramenta più vicina. Sai dove la vendono? All’ufficio brevetti.
Il lockdown da pandemia mi ha fatto riscoprire il piacere della lettura. Hai qualche buon libro da consigliarmi? (Lavinia Mariani, Roma)
Se ti piacciono i saggi, le case editrici di riferimento sono Einaudi (imperdibili i due classici di Robert Pachiderma, “Introduzione al twerking” e “Introduzione all’introduzione al twerking”), Adelphi (Massimo Cacciari, “Altre innovazioni fashion del sottoscritto, che per primo si annodò le maniche di un maglione intorno al collo”), La Nave di Teseo (Oscar Farinetti, “Metodi di estrazione del plusvalore assoluto”), Marsilio (Dalai Lama, “Armi atomiche nel combattimento corpo a corpo”), Carocci (Mogol, “Come fischiettare una canzone di Zucchero senza finire dentro una canzone di Battisti e rischiare una causa intentata dalla vedova Battisti”), Quodlibet (Agamben, “Chi ha scritto Nancy Brilli?”) e Bollati-Boringhieri (Sigmund Freud, “Come impedire ai tuoi pantaloni di velluto di fare quel rumore imbarazzante quando cammini”). Se invece ti piace la narrativa, ti regalo il mio metodo per ridurre il disagio della scelta: leggo solo libri con la parola “Stefano” nel titolo (“Guerra e pace e Stefano”, “Orgoglio, pregiudizio e Stefano”, “Chi ha paura di Virginia Woolf? E di Stefano?”).
Cosa sognano i non vedenti? Per loro è tutto buio: cosa possono sognare? (Gilberto Oddis, Roccaraso)
Ho girato la domanda a un mio amico cieco. Mi ha risposto: “Be’, non so gli altri. Io sogno la vagina di Monica Bellucci”.
L’altro giorno ho telefonato a un servizio di escort per una squillo con tampone negativo, e chi mi hanno mandato? Mia moglie! È stata davvero una sorpresa: non sapevo che arrotondasse. Comunque l’ho pagata 500 euro, che ha usato per comprare le tende nuove del salotto. Per cui credo che ci abbiamo guadagnato tutti. Giusto? (Prisco Brogi, Siena)
Infatti. Del resto, non è tutto qui il segreto di un matrimonio felice? Comportarsi con tua moglie come ti comporteresti con la moglie di un altro. È sublime anche come dichiarazione: “Ti amo come se tu fossi la moglie di un altro”. Ho sempre considerato fessi quelli che mostrano la moglie agli amici attraverso il buco della serratura senza farsi pagare.
Cercate anche voi una guida spirituale? Scrivetemi (lettere@ilfattoquotidiano.it).