Il mancato #metoo di Teresa ed Elena

Trattate come lenzuola depositate in tintoria (“Le ritiro domani, no, le ritiro oggi”) non risulta che le due ministre di Italia Viva abbiano avuto un soprassalto durante le tre ore di quel One Man Show che Matteo Renzi, maschio alfa di Rignano, ha allestito sul suo palcoscenico politico, l’ultimo che avrà a disposizione, se ci saranno mai le urne. Sarebbe stato bello, coraggioso e persino democratico, se a un certo punto, Teresa ed Elena, come confidenzialmente le chiama lui, lo avessero preso contemporaneamente per le orecchie, una a destra e l’altra a sinistra, annunciando a sorpresa: “No, guarda, Matteo, ti ritiriamo noi”. Ci saremmo goduti un vero colpo di scena. E quello sconclusionato monologo che da 48 ore impegna decine di politologi a una faticosa traduzione in un italiano comprensibile almeno a Mastella, avrebbe avuto un senso compiuto. Un bel gesto di ribellione delle sue adepte che all’improvviso rifiutano il suicidio rituale. Un gagliardo #metoo contro la sfrontatezza del loro guru maschio che le esibiva in pubblico, sedute e imbavagliate, per illuminare la sua passeggiata tra le righe della cronaca politica e le 80 mila salme da Covid-19 che purtroppo se la sono persa.

Gli Italovivi

L’altra notte, mentre l’uomo più impopolare della nazione (ora iscritto alla Champions della specialità) si dileguava nel buio dopo aver sfasciato il governo, ai suoi parlamentari veniva richiesto di sacrificarsi come scudi umani su tutte le frequenze radiotelevisive. Salvo qualche eccezione, come Luigi Marattin e Luciano Nobili, che si sono limitati a un paio di generici tweet (forse adducendo ragioni familiari), la chiamata al sacrificio supremo ha coinvolto, tra gli altri, gli eroici onorevoli Ettore Rosato e Ivan Scalfarotto.

Il primo, ospite di Radio anch’io, è stato bastonato perfino dal berlusconiano Renato Schifani, che abbiamo sentito particolarmente indignato “per questa crisi inspiegabile aperta da Renzi in un momento tragico per il Paese”. È stato allora che abbiamo provato una sincera solidarietà per Rosato, persona squisita, costretto a subire le rampogne di chi, in un’altra vita, aveva sostenuto essere Ruby la nipote di Mubarak. No, era troppo.

Del valoroso ex sottosegretario Scalfarotto (recordman, fin dal lontano febbraio 2020 delle dimissioni annunciate e congelate, e adesso sbrinatosi) abbiamo colto un certo smarrimento nel motivare il martirio. Devono essere ore terribili per i deputati e i senatori di Italia Viva, tutte persone, presumiamo di buon senso, prese in ostaggio e immolate per ragioni che anche a loro devono apparire incomprensibili, come avvenne nel Tempio del Popolo con la setta del Reverendo Jones. Immaginiamo le scene strazianti nelle dimore di costoro a cui dal Macron di Rignano sull’Arno era stato garantito un futuro di soddisfazioni e di sonanti rivincite sul Pd. E che si ritrovano imballati e senza prospettiva alcuna, se non la probabile trombatura elettorale, in un partitino che non si schioda dal 3%. All’artefice di questo miracolo al contrario, bisogna comunque riconoscere due primati. La gragnuola di accuse della stampa internazionale (dal Financial Times che lo chiama Demolition Man, a Die Zeit che definisce il suo “un atto disperato”) come non si ricordava dai tempi del Caimano di Arcore. Ma soprattutto aver saputo calamitare sulla sua persona tutta l’incazzatura accumulata da un Paese stremato, giungendo finalmente alla rottamazione di se stesso.

“Suárez, niente contatti politici”: ecco la balla che inchioda Paratici

“Escludo di aver avuto contatti con il ministero dell’Interno o altri ministeri”. È l’11 novembre 2020 quando Fabio Paratici, alto dirigente della Juventus, risponde all’ultima domanda del procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, e dei pm Paolo Abbritti e Gianpaolo Mocetti. La Procura perugina sta indagando sull’esame “farsa” che il calciatore uruguaiano, ora all’Atletico Madrid, ha sostenuto all’Università per stranieri di Perugia. L’obiettivo era quello di ottenere il livello B1 nella prova di italiano, indispensabile per ottenere poi la cittadinanza ed essere tesserato dalla società bianconera come cittadino comunitario. “Ha avuto interlocuzioni con il ministero dell’Interno o altri ministeri – chiedono i pm a Paratici – sia con referenti amministrativi che politici” riguardo “la richiesta di cittadinanza di Suárez?”. Paratici lo esclude e per questo è indagato per falsa testimonianza. Due giorni dopo, infatti, viene sentita come persona informata sui fatti Paola De Micheli, ministra delle Infrastrutture: “Durante il calciomercato fui contattata da Paratici (…) Spiegò che (Suárez, ndr) non aveva il passaporto italiano, non s’erano accorti che non aveva il passaporto comunitario (…) e che il requisito della cittadinanza era indispensabile (…)”. De Micheli contattò il capo di gabinetto del Viminale, Bruno Frattasi: “Mi diede le informazioni essenziali, lo stato della pratica e motivo per cui era stata rigettata (la mancanza del requisito della conoscenza della lingua italiana) manifestandomi la disponibilità dei suoi uffici per supportare una eventuale riproposizione della domanda”. La ministra mise in contatto Frattasi e Paratici e poi non ebbe più notizie. Nessun ministero ha avuto peraltro un ruolo nella vicenda e l’affare non fu concluso.

Csm, stop alla nomina di Manzione a Lucca “Ebbe ruolo politico e troppo vicino a Renzi”

Matteo Renzi provoca non solo la crisi di governo, ma pure la spaccatura del plenum del Csm. Sfuma la nomina a procuratore di Lucca del suo amico Domenico Manzione, ex sottosegretario all’Interno, oggi sostituto pg a Firenze. Ieri, a maggioranza, il plenum ha bocciato, per la seconda volta, la sua nomina e la pratica è tornata alla competente Quinta commissione. Difficilmente sarà riproposta per la terza volta. Il nome di Renzi viene evocato in plenum finito con 8 voti a favore del ritorno in Commissione (Ardita, D’Amato, Braggion, Cavanna, Celentano, Di Matteo, Micciché, Pepe), 5 contrari (Benedetti, Cascini, Cerabona, Donati, Suriano) e ben 10 astenuti. Che tirasse aria di bocciatura, anche se la Quinta ha presentato la nomina all’unanimità, si è capito subito perché è stata la stessa relatrice, Loredana Micciché, togata di Magistratura Indipendente, a chiedere il ritorno in Commissione. Cosa le ha fatto cambiare idea? Un’intervista a Report di Manzione: “Non c’è nulla di male a essere amici di un politico, ma la dichiarazione esplicita” sull’origine della sua nomina politica “per i rapporti di amicizia e stima con il senatore Renzi non mi consente di poter sostenere questa nomina. Tale dichiarazione influisce sulla percezione di imparzialità e di indipendenza, requisiti fondamentali per il conferimento di un ufficio direttivo di un procuratore della Repubblica” per di più, rimarca Micciché, in Toscana, la regione dove “il senatore Renzi è indiscutibilmente un esponente politico di grande rilievo”. Nino Di Matteo ricorda che proprio lui aveva chiesto a settembre il ritorno in Commissione “perché il dottor Manzione, per 5 anni (fino al 2018, ndr) aveva ricoperto un incarico prettamente politico su incarico del senatore Renzi. Oggi serve un ritorno in Commissione per un vero riesame, per approfondire la comparazione con altri candidati che avevano maturato una più ampia esperienza negli uffici giudiziari rispetto a Manzione, per ben 8 anni fuori ruolo”. L’inopportunità della nomina per il suo recente ruolo politico viene spiegata da Sebastiano Ardita, di AeI con un aneddoto personale: “In missione in Vietnam, il vice primo ministro mi disse ‘Siamo colleghi, fino a poco tempo fa presiedevo la Corte Suprema”. Ora la Quinta dovrà chiedersi se davvero Manzione sia il candidato più meritevole. Comunque non è l’unico renziano in famiglia. Sua sorella Antonella è stata nominata Consigliera di Stato con il governo Renzi senza il requisito dei 55 anni.

“Hanno problemi di sicurezza: Tesla ritiri 158mila auto”

Tesla, la società che produce auto elettriche fondata da Elon Musk, non è la casa automobilistica più redditizia al mondo, tutt’altro, ma di sicuro è la più capitalizzata in Borsa avendo sfondato il muro degli 800 miliardi di dollari nella speranza che il futuro appartenga all’elettrico e a Tesla in particolare. In attesa del mondo di domani, però, la richiesta dell’agenzia americana per la sicurezza stradale Nhtsa (National Highway Traffic Safety Administration) non è di quelle che faranno piacere ai suoi investitori: Tesla dovrebbe richiamare 158.000 auto negli Stati Uniti prodotte tra il 2012 e il 2018 per una questione di sicurezza legata alla memoria nel computer di bordo. Richiesta che segue quella di ottobre dell’agenzia cinese di ritirare 30mila auto per problemi alle sospensioni. Sembrano numeri piccoli, ma non per Tesla: nel 2020 le vendite dovrebbero per la prima volta sfiorare le 500mila auto in un anno, di gran lunga la miglior performance dell’azienda. Volkswagen, per capirci, nell’anno orribile del Covid ha venduto quasi 9,5 milioni di auto.

Modelle minorenni ridotte a squillo: 3 arresti a Palermo

“Eravamo carne da macello”. Il racconto straziante di una giovane modella siciliana, che con la promessa di poter sfilare per l’alta moda ha subito abusi sessuali finendo per prostituirsi. Gli “aguzzini” avrebbero adescato le ragazze, per lo più minorenni, sui social, lusingandole con messaggi e complimenti, fino a plagiarle. Una volta finite nelle loro grinfie, i manager avrebbero abusato di loro e condivise con amici e altri uomini d’affari. In manette, nell’inchiesta della Procura di Palermo, sono finiti i sedicenti imprenditori Francesco Pampa (41 anni), Massimiliano Vicari (43 anni) e G.F. (35 anni), accusati a vario titolo di violenza sessuale, prostituzione minorile, induzione e favoreggiamento della prostituzione.

Nei racconti delle giovani vittime si parla di “uomini con i soldi”, alcuni della Milano “bene”, e degli ambienti “della moda”. Una “strategia fatta di messaggi subdoli e perversamente seduttivi”, scrive il gip, una vera “trappola” tesa a plagiare ragazze fragili abbagliate dalla fama.

B. ricoverato a Monaco: “Problemi al cuore, situazione delicata”. Salta udienza Ruby Ter

Silvio Berlusconi è stato di nuovo ricoverato per problemi cardiaci, questa volta all’ospedale del Principato di Monaco. E la situazione sarebbe piuttosto seria, anche se non è in pericolo di vita. L’ex premier ha iniziato ad accusare aritmie cardiache lunedì scorso, tanto che Alberto Zangrillo l’ha subito raggiunto a Valbonne, nella residenza provenzale della figlia Marina, dove l’ex Cav. è tornato a stabilirsi dopo essere guarito dal Covid, a ottobre. “Ha avuto un problema cardiaco aritmologico. Lunedì mi sono recato d’urgenza in Francia per un aggravamento e ho imposto il ricovero ospedaliero a Monaco perché non ho ritenuto prudente affrontare il trasporto in Italia”, ha spiegato il primario del San Raffaele. Il trasferimento a Milano, dunque, poteva essere pericoloso.

Dalle prime parole di Zangrillo la situazione sembra seria, anche alla luce delle sue precarie condizioni di salute. Berlusconi, che il 29 settembre ha compiuto 85 anni, nel 2016 ha affrontato un’operazione a cuore aperto per la sostituzione della valvola aortica, con l’applicazione di un pacemaker. E non dimentichiamo che a settembre ha avuto il Covid, con diverse settimane passate al San Raffaele, da cui si è negativizzato solo la prima settimana di ottobre. Nel corso della giornata poi sono arrivare parole tranquillizzanti sia dal medico che da esponenti di Forza Italia. Ma, a quanto si apprende, la situazione sarebbe invece delicata, con preoccupazione di tutti, in primis della famiglia. Decisive saranno le prossime 24/48 ore. La serietà della situazione è dovuta soprattutto alle patologie pregresse e al fatto che il Covid l’ha molto debilitato.

In giornata, però, è uscita una nota dello stesso Berlusconi. “Voglio tranquillizzare tutti: sono in buone condizioni di salute. Il mio ricovero si è reso necessario per alcuni accertamenti poco più che di routine”, recita la nota dell’ex premier. Che poi ha parlato di politica. “Qualunque sia la soluzione della crisi è necessario attuarla al più presto”, ha aggiunto la nota del leader forzista. Il ricovero, tra l’altro, ha consentito a Berlusconi di assentarsi per legittimo impedimento all’udienza del processo Ruby ter in corso a Siena dove ieri avrebbe dovuto fare dichiarazioni spontanee. Nello stralcio senese, Berlusconi è imputato per corruzione in atti giudiziari. Per l’accusa avrebbe pagato Danilo Mariani, pianista in servizio ad Arcore, per indurlo a testimoniare il falso sul caso Olgettine.

Mascherine, I pm: “Arcuri non sapeva degli illeciti”

Non ci sono elementi per ritenere che Domenico Arcuri sapesse delle attività illecite che erano state poste in essere nell’ambito dell’acquisto, da parte del Governo italiano, di 801 milioni di mascherine dalla Cina. Per questo la Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione per il commissario straordinario e per il suo vice, Antonio Fabbrocini. Arcuri e Fabbrocini sono indagati dal 9 novembre 2020, con l’accusa di aver “concordato una provvigione costituente utilità corruttiva, che i pubblici ufficiali garantivano al terzo, nonché a se stessi, attendendone, secondo gli accordi, il riversamento di quota parte”. Iscrizione necessaria per poter adempiere ad alcuni accertamenti. I pm avevano anche intercettato, da settembre a novembre 2020, Arcuri e Fabbrocini. Il 3 dicembre poi il reato di corruzione è stato declassato in “traffico d’influenze illecite”, solo a carico degli intermediari. Restano indagati Andrea Tommasi (Sunsky srl), che ha incassato 59 milioni dai fornitori cinesi e Mario Benotti (Microproduct srl), giornalista Rai in aspettativa, che ha ottenuto 12 milioni sempre dai cinesi. Le forniture, per i pm, sarebbero state “intermediate illecitamente da Benotti, che ha sfruttato la personale conoscenza” con Arcuri, “facendosene retribuire, in modo occulto e non giustificato da esercizio di attività di mediazione professionale/istituzionale”. La conoscenza fra Arcuri e Benotti, mai nascosta, è stata documentata pure attraverso i tabulati telefonici. Fra il 2 gennaio e il 6 maggio 2020 risultano 2.529 tra telefonate (buona parte a vuoto) ed sms, 1.780 dal cellulare di Benotti. Lo stesso che in un’intercettazione ambientale del 10 novembre dice: “Venerdì mattina alle 8 sono dal presidente del Consiglio”. “Conte non l’ha mai incontrato”, smentisce Palazzo Chigi.

Fontana sconfitto, il Tar: “Riaprire subito le scuole”

Se la Lombardia non ritornasse “rossa” lunedì gli studenti potrebbero ritornare a scuola in presenza al 50%. Infatti il Tar ha accolto un secondo ricorso contro l’ordinanza con la quale la Regione (che farà a sua volta ricorso) aveva imposto la didattica a distanza al 100 per 100 nelle scuole superiori fino al 24 gennaio. Dopo il comitato di genitori “A scuola”, anche un gruppo di medici, scienziati e docenti universitari ne ha infatti ottenuto la sospensione. A guidarli ci sono Sara Gandini, epidemiologa e direttrice dell’area ricerca dell’Istituto europeo di oncologia, e Paolo Spada, volto pubblico del team di medici e scienziati “Pillole di ottimismo”. Sono assistiti dall’avvocato Giovanni Taddei Elmi. E nessuno di loro è disposto a fermarsi. Nei prossimi giorni presenteranno ricorso anche al Tar della Campania, contro la decisione della Regione di tenere chiuse parte delle classi del primo ciclo.

“Questa è una battaglia di civiltà e giustizia – dice Gandini –. Nessuno afferma che a scuola non ci si può contagiare. Ma attraverso un minimo di controllo e precauzioni la diffusione del virus si contiene. La verità è che le Regioni sono spaventate. Temono di non poter reggere il carico dei tamponi da effettuare e non riescono a riorganizzare il servizio di trasporto pubblico per evitare gli assembramenti. Poi, per giustificare le loro scelte si mascherano dietro report con alcuni grafici sull’andamento della curva epidemica che non evidenziano nulla. Noi siamo andati a vedere anche se l’indice Rt diminuiva in coincidenza con la chiusura delle scuole: e non è così”.

Ora, sempre che non diventi zona rossa, in Lombardia gli studenti delle superiori potranno tornare in classe da lunedì prossimo. Non prima, come hanno precisato il prefetto di Milano Renato Saccone e la direttrice dell’Ufficio scolastico regionale Augusta Celada al presidente del Tar lombardo: ma solo per una questione di “tempi minimi insopprimibili” per dare attuazione al decreto del Tribunale. È stata Gandini a coordinare uno studio (insieme a lei biostatistici, medici, biologi) che ridimensiona drasticamente l’impatto dell’apertura delle scuole sulla diffusione dei contagi.

Proprio come, nei giorni scorsi, ha del resto fatto anche l’Istituto superiore di sanità, che tra le evidenze scientifiche da considerare ha citato anche la ricerca di Gandini. Uno studio che ha evidenziato, per esempio, come la curva epidemica abbia continuato a crescere vertiginosamente in Campania, nell’ottobre scorso, anche dopo che il governatore Vincenzo De Luca aveva ordinato la chiusura delle scuole. E che mostra come l’indice di positività in rapporto ai tamponi effettuati nei bimbi e nei ragazzi sia solo dell’uno per cento (indice rilevato dal 14 settembre al 7 dicembre). Questo secondo ricorso, come spiega Giovanni Taddei Elmi, pone anche la questione del “conflitto tra diritti costituzionali: quello alla salute e quello all’istruzione, che devono essere bilanciati. E per comprimerne uno devi essere in grado di dare dimostrazione scientifica della necessità di farlo”.

C’è poi il confronto con il resto dell’Europa. “Nessun Paese ha chiuso per tanto tempo le scuole – osserva Gandini –. La Germania lo ha fatto solo per due settimane. E ci sono studi internazionali che dimostrano come la chiusura abbia effetti economici, sociali, psicologici che possono essere devastanti. Se non li teniamo in considerazione, rischiamo di distruggere il Paese”.

Fin dal 5 febbraio sapevano del problema rianimazioni

Già il 5 febbraio 2020 Stefano Merler, il ricercatore della Fondazione Kessler incaricato di studiare il possibile impatto di Sars-Cov2 in Italia, aveva presentato i suoi scenari all’Istituto superiore di sanità. Prevedevano fino a 10 mila persone in terapia intensiva in qualche mese anche nell’ipotesi di media gravità e il 12 febbraio sono stati illustrati al Comitato tecnico scientifico. La presentazione il 5 febbraio spiega perché il 6, secondo gli appunti della task force istituita il 22 gennaio al ministero della Salute, il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro abbia suggerito di “implementare i posti di terapia intensiva”. Ce n’erano poco più di 5.000. Non se ne farà nulla fino a marzo quando l’Italia, da Codogno (Lodi) in poi, era già stata travolta dal virus.

È uno dei ritardi su cui lavora la Procura di Bergamo. Ieri la Guardia di Finanza è andata al ministero della Salute e all’Iss per acquisire, tra l’altro, “appunti, ogni tipo di documento e file relativi alle riunioni della task force”. Li abbiamo pubblicati il 23 dicembre scorso. In particolare il 29 gennaio 2020, un giorno prima dello stop ai voli dalla Cina e due giorni prima dello stato d’emergenza in Italia, il professor Giuseppe Ippolito dello Spallanzani di Roma aveva consigliato di “riferirsi alle metodologie del Piano pandemico di cui è dotata l’Italia e di adeguarle alle linee guida rese pubbliche dall’Oms” (l’Organizzazione mondiale della sanità), come si legge nel decreto di perquisizione di ieri. Secondo gli appunti, nessuno gli ha risposto. La Finanza è andata anche alla direzione del Welfare della Regione Lombardia, alla Ast Bergamo Est, alla Asst di Bergamo e all’ospedale di Alzano Lombardo: sono ipotizzati epidemia colposa e falso ideologico per la frettolosa riapertura del nosocomio nella Bergamasca trasformatosi in focolaio il 23 febbraio 2020 e per la mancata istituzione delle zone rosse in quelle aree. Sono indagati dirigenti locali e l’ex direttore della Sanità lombarda, Luigi Cajazzo.

I pm, si legge nell’ordine di esibizione, vogliono accertare se il piano del 2006 sia stato “aggiornato”, come raccomandava l’Oms e prescriveva il Parlamento europeo (ma questo sembra ormai escluso anche dalla bozza del nuovo piano di cui abbiamo scritto giorni fa) e soprattutto se sia stato “attivato e applicato” dopo il 5 gennaio 2020, quando l’Oms ha diramato il primo alert sulle polmoniti d’origine sconosciuta in Cina, o quando il virus è arrivato in Francia e in Germania (24 e 28 gennaio) o dopo la dichiarazione di emergenza sanitaria internazionale diffusa in ritardo dall’Oms il 30 gennaio. Per quanto vecchio e ritenuto “inapplicabile” da qualificati esperti sentiti a Bergamo, il piano del 2006 prevedeva fin dalla fase d’allerta gli approvvigionamenti di dispositivi di protezione (mascherine e altro) per il personale sanitario e appunto il censimento di stanze di isolamento e apparecchi per le terapie intensive. L’assenza di un piano aggiornato e verificato, secondo uno studio del generale Pier Paolo Lunelli acquisito dalla Procura, potrebbe essere costato fino a 10 mila morti nella prima ondata, molti dei quali nella provincia allora più colpita dove è nato il comitato “Noi denunceremo” che ha dato impulso alle indagini del procuratore Angelo Chiappani.

L’ordine di esibizione del procuratore aggiunto Maria Cristina Rota e dei pm di Bergamo era rivolto al segretario generale del ministero della Salute Giuseppe Ruocco, al direttore dell’Ufficio 5 Malattie infettive Francesco Paolo Maraglino, alla responsabile dell’Ufficio 1 Affari generali Anna Caraglia, alla funzionaria del Gabinetto Filomena Pistacchio. Riguarda gli atti relativi al piano del 2006 e al “piano nazionale sanitario in risposta a un’eventuale emergenza pandemica da Covid-19” poi elaborato in base agli scenari di Merler dal Cts, che l’ha allegato al verbale del 2 marzo a epidemia già in corso. I finanzieri hanno sequestrato documenti e memorie digitali e fatto visita a Pescara anche a Claudio D’Amario, già direttore della Prevenzione ora a capo della Sanità abruzzese. Nessun dirigente del ministero è indagato, saranno interrogati come persone informate. Entro fine mese toccherà anche al ministro Roberto Speranza, già sentito lo scorso giugno come il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e altri sulle zone rosse mancate.