“Una femmina” ribelle vuole riscattare l’Aspromonte

Raccontare “una femmina” per includerne tante, tutte. Sono le donne della ’ndrangheta, vittime e carnefici di un sistema cristallizzato sulla famiglia criminale che solo loro possono scardinare, se non addirittura interrompere.

Argomento complesso e secretato, ha dovuto studiarlo in profondità Francesco Costabile, regista calabrese al suo debutto nel cinema di finzione, prima di realizzare Una femmina, libero adattamento del testo di Lirio Abbate Fimmine Ribelli – Come le donne salveranno il Paese dalla ’ndrangheta (Bur). Perché la materia assomiglia a un vulcano dormiente, pronto a esplodere e incenerire il mondo circostante.

La qualità del suo film è stata compresa alla 72esima Berlinale che l’ha selezionato nella sezione “Panorama”, promuovendone l’uscita nelle sale italiane (da giovedì), peraltro inizialmente penalizzata da un insensato divieto ai minori di 14 anni. Divieto tolto dopo un ricorso. Teatro d’azione è l’Aspromonte più dark mai visto al cinema, ancor più oscuro di quelle Anime nere già mirabilmente descritte da Francesco Munzi nel 2014. Tra le “fimmine ribelli” di quell’angolo di terra dimenticato dalla civiltà, tra i più arcaici, rocciosi e intimamente violenti d’Italia, sopravvive la giovane Rosa (l’intensa debuttante Lina Siciliano) orfana di madre massacrata dalla propria genitrice e dal fratello (Fabrizio Ferracane) perché aveva tradito la famiglia. Rosa intuisce, riflette, soffre ma agisce, sacrificando l’istinto per una vendetta che ha ragion d’essere in un’ottica d’opposizione all’infamia dei clan perennemente in guerra tra loro. La ragazza diviene il simbolo e il sintomo della coralità vestita di nero che sfila in fierezza alla processione locale: donne che vogliono rompere la catena di violenza di cui sono vittime, ma per farlo devono agire dal di dentro, immerse nel sangue del peccato originale.

Il film è un romanzo di formazione strutturato sulla tragedia classica declinato però sui generi dark: dal thriller al noir, fino al vero e proprio horror, specie nell’impressionante scena d’apertura informata sui codici dell’incubo. Lo sguardo di Costabile, autore del bellissimo doc In un futuro aprile, ha già una personalità, e questa è una bella notizia. Al suo fianco a co-firmare soggetto (con Abbate) e produzione l’amico e collega Edoardo De Angelis.

C’è “Kanye West”, dove il genio tocca picchi di dolore

Se il protagonista non ci avesse abituato a queste variazioni alla lettera, la miniserie documentaria jeen-yuhs, appunto “genius”, avrebbe potuto intitolarsi “Being Kanye West”, giacché ripercorre 21 anni di storia del produttore, quindi rapper, infine icona globale. Regia di Coodie Simmons & Chike Ozah, a cui dobbiamo i videoclip di Through the Wire e Jesus Walks, il primo a fine Novanta mollò un promettente futuro da stand up comedian a Chicago, folgorato sulla via di West, che con una mini-DV iniziò a riprendere tra registrazioni, live, conversazioni con la madre Donda e star quali Jay-Z, Jamie Foxx, Common, Mos Def, Pharrell Williams e Beyoncé. A Kanye Trilogy ha tre immagini-movimento, altrettanti capitoli: Vision, già disponibile su Netflix; Purpose, dal 23 febbraio; Awakening, dal 2 marzo.

Il servizio streaming ha sborsato 30 milioni di dollari per assicurarselo e sono ben spesi: per la mole del soggetto e per l’intimità dell’accesso allo stesso, jeen-yuhs riecheggia pietre miliari quale Don’t Look Back, il Bob Dylan di D.A. Pennebaker (1967), Gimme Shelter (1970) sui Rolling Stones o la recente miniserie beatlesiana Get Back di Peter Jackson. Non c’è il solito rise and fall, ma l’ascesa e il plateau ultimo scorso. Il secondo capitolo termina con la cerimonia dei Grammys 2005, allorché con The College Dropout Kanye vince nella categoria miglior album rap. Un trionfo e un trampolino, ma quanto genio frustrato prima, quanta fatica: il nume Jay-Z non se lo fila, sebbene West gli produca nel 2001 molte tracce del seminale The Blueprint, e lo stesso fa l’etichetta Roc-A-Fella, che lo riconosce grande producer ma piccolo MC. Eppure, se al mixer è un campione, al microfono non sfigura: fa cadere la mascella a Mos Def, incanta Pharrell, ma dovrà penare per il riconoscimento pubblico del proprio valore, di cui personalmente non ha mai dubitato. Abbiamo visto i primi due movimenti di jeen-yuhs, ed è bello – e buono – (ri)trovarvi il musicista prima dell’influencer, l’artista prima del fenomeno: tra scandali e gossip complice l’ex moglie Kim Kardashian, il sostegno a Donald Trump e la candidatura alle elezioni del 2020, rischiavamo di dimenticarcelo. Però non finisce qui: la corsa sbilenca e farsesca alla presidenza degli Stati Uniti, su cui jeen-yuhs si chiude, è la stazione terminale di una Via Crucis eticamente problematica, deontologicamente infida, su cui la critica americana si è soffermata. Coodie deve spegnere spesso la camera perché quel che sta riprendendo non è più la musica, ma la malattia: il disturbo bipolare diagnosticato a West, che è il terzo movimento sotterraneo di questa sinfonia rap. Kanye ha fatto tira e molla nel concedere i diritti per due decenni, ha protestato su Instagram fino all’ultimo, ma non tutto il male che si vede viene per nuocere: l’artista precedentemente noto come Kanye West è un genio che soffre. Oggi diversamente da ieri, sempre soffre.

 

“La prima volta? Cacciati. Dopo 30 anni siamo qui…”

Cari Ale e Franz, non è che sia a distanze davvero siderali…

(In coro) Il nostro asteroide? È su una galassia non ancora scoperta.

Bugiardi. L’Alefranz 15379 è in orbita tra Marte e Giove.

(A) Io non c’entro. È stato un amico di Franz, l’astronomo Paolo Chiavenna, a battezzarlo così, nel 1997.

(F) Ale continua a dare la colpa a me perché teme che un giorno cada sulla Terra e distrugga il Canada. O che si scopra che l’asteroide è tassato.

(A) Oddio, una patrimoniale. Di sicuro c’è l’Imu spaziale da versare.

Non finiremo come su Don’t look up, spero. Ma sull’elenco degli asteroidi, a quel nome si legge “popular Italian comedian duo”.

(F) Eppure non abbiamo molti fan tra gli alieni.

(A) Non ancora.

Fate coppia da trent’anni. Fu colpo di fulmine?

(A) Frequentavamo entrambi il Centro Teatro Attivo, una scuola di Milano. Franz era alle prese con un lavoro di Woody Allen, al regista serviva qualcun altro che facesse una piccola parte, buttarono dentro me.

(F) Una spalla.

(A) Argh, in effetti…

Siete stati costretti a sopportarvi?

(A) Ma no, siamo ancora buoni amici. Non saremmo durati, se non avessimo coltivato lo stesso desiderio, i medesimi progetti. Li ammucchiamo nel cassetto. Non ci ha costretti il medico a frequentarci.

(F) Siamo autori a doppia firma, scriviamo gli spettacoli così come gli spazi da Fazio. Non è che uno abbia voglia di smarcarsi. Ci manca solo di fare le vacanze in coppia.

Però il calcio vi fa litigare.

(F) Ogni tanto arriva qualche buona notizia. Il ko dell’Inter l’altra sera in Champions.

(A) Sì, ma che bello controllare il calendario della Coppa e vedere che il Milan non ha impegni.

La serata più traumatica della vostra carriera?

(F) La prima. Un disastro.

(A) Fu imbarazzante. Ingaggiati da un pub sperduto nelle risaie vercellesi. Avevamo preparato un pezzo complesso, fisico, teatralmente impegnativo. Ma c’era una festa di ragazzi. Non smisero un attimo di fare chiasso.

E?

(A) Poco dopo l’inizio il proprietario ci chiese di fermarci. “Andate via, non siete capaci”.

Un trauma.

(A) E dire che erano gli anni del boom del cabaret. La cui coda ci portò a Zelig.

(F) Non siamo più tornati in quel pub. Ma dovremmo. Per farci pagare il cachet.

Vi capita di sognare la platea vuota?

(A) No, il mio incubo è di salire sul palco e non ricordare le battute, mentre naturalmente nel sogno Franz sa tutto.

(F) Tranquillo, è il mio stesso incubo. C’è sintonia onirica.

Nel caso sciagurato, sapreste improvvisare.

(F) I nostri spettacoli sono scritti al 90 per cento, poi magari dopo cinquanta repliche trovi il guizzo e cambi battuta lì per lì. Il bravo attore va su un copione fisso facendo credere che stia improvvisando.

Siete in tournée con Comincium. Che si prova a tornare in scena dopo la peste?

(F) La tremarella. Per l’emozione di condividere con il pubblico, dopo tutto questo tempo cupo, un rituale e gli spazi ai quali eravamo disabituati.

(A) I lockdown ci hanno insegnato a godere di nuovo per cose che prima davamo per scontate. Che bello il teatro, quando si riapre il sipario.

In Comincium sbucate sul palco e fingete di ignorare l’esistenza del pubblico.

(F) C’è una scala, ci saliamo come se dovessimo posizionare bene un faro.

(A) Rimettiamo a posto.

Si ride molto, ma non c’è più il mood sociale per il ficcanaso che rompe le scatole a uno sconosciuto sulla panchina.

(F) Quei personaggi oggi sarebbero inverosimili. Ti siedi accanto a uno che legge il giornale, quello si sente in pericolo, si alza e se ne va.

Si canta, anche.

(F) Piuttosto male, ma ci perdonano. Anche perché le canzoni sono suonate dal vivo da un chitarrista mostruoso come Luigi Schiavone, che di solito lavora con Enrico Ruggeri.

(A) Proponiamo le perle di Gaber, Jannacci, la Ma mi di Strehler. La Milano in cui siamo cresciuti.

Di questi miti avete frequentato solo Enzo.

(F) Fummo coinvolti da Fazio in uno speciale Rai su e con Jannacci. Un genio che mischiava generi e forme d’arte con leggerezza.

(A) Metteva insieme cantautorato, surrealismo, poesia. Con messaggi profondi. El purtava i scarp del tennis. Non fermarti se vedi un barbone morto per strada, vai a lavorare e non perder tempo.

La satira deve essere sempre feroce e cieca?

(F) Attacchiamo l’eccesso di politically correct, ma a noi non piacciono le parolacce né che si oltrepassino i limiti quando si parla di malattie o disabilità.

(A) La satira deve scuotere, non ferire. Se lasci cicatrici sulla pelle altrui hai fallito.

“Caro Michele, pentiti di che? Noi ‘cattivi’ solo con i potenti”

Come in una canzone dei Baustelle – “il futuro desertifica/la vita ipotetica” – gli ex ragazzi di Cuore osservano la foto ingiallita di trent’anni fa. La loro rivista è stata una gemma del giornalismo satirico e una fabbrica di titoli dissacranti e fenomenali, piantati nell’immaginario collettivo: “Scatta l’ora legale. Panico nei socialisti”; “Hanno la faccia come il culo”; “Aiuta lo Stato, uccidi un pensionato”; “I mafiosi onesti: ‘Basta con Andreotti’”. Cuore era un’avanguardia che aveva visto arrivare l’onda anomala di Tangentopoli persino prima della stampa “seria”. Aveva intercettato e contribuito a edificare il sentimento di un Paese sfinito dalle ingiustizie e dalla voracità rapace della sua classe dirigente.

Trent’anni dopo il più famoso dei ragazzi di Cuore, il fondatore Michele Serra, da tanto tempo corsivista di Repubblica, ha confessato il suo pentimento. In linea con un sentimento di revisionismo di quegli anni oggi molto in voga, Serra ha detto, scritto e fatto capire di riconoscersi poco nella satira di Cuore. Ha abiurato una scelta in particolare: “Se avessi diritto di censura postuma, non farei la prima pagina con Craxi dietro le sbarre e il titolo ‘Pensiero stupendo’. Non è mai un pensiero stupendo qualcuno in galera”.

Gli altri di Cuore che ne pensano, si riconoscono nella stessa foto ingiallita? Sono pentiti anche loro? Ad ascoltarli, pare proprio di no. Andrea Aloi è stato l’ultimo direttore e l’inventore del mitico titolo sull’ora legale: “Nessuno augurava il carcere a Craxi – dice —, quelle sbarre erano un artificio. Lui era il simbolo del potere. Non era il Craxi delle monetine o di Hammamet; non abbiamo fatto satira su di lui quando è caduto in disgrazia. Era al suo apice e lo prendevamo sonoramente per i fondelli”. In ogni caso, ragiona Aloi, “giudicare i fatti di ieri con gli occhi di oggi ha davvero poco senso”.

Alessandro Robecchi è stato uno dei giovani talenti adottati dalla redazione di Cuore. Li ricorda come anni “irripetibili”: “Non riesco a commentare un titolo di 30 anni fa. Se allora funzionò, vuol dire che colse lo spirito dell’epoca. Non sono incline al pentimento”.

Qualcuno invece va giù duro sull’ex compagno Serra. Il disegnatore Riccardo Mannelli non ha mai nascosto l’indole ruvida e radicale proprio come Il Male, la rivista satirica di cui fu tra i protagonisti, antenata di Cuore, ancora meno incline a certi scrupoli morali, o moralistici. “Questo pentimento è triste – dice Mannelli –, è il segno di un’omologazione ipocrita. Non sempre i discorsi morali sul linguaggio sono una forma di emancipazione, spesso diventano forzatura, piaggeria, conformismo”.

Secondo Vauro Senesi, senza tanti giri di parole, “Michele ha detto una bella cazzata”. C’è poco da pentirsi: “Ai tempi, per fortuna, facevamo cose molto peggiori di quel titolo su Craxi. Non avevamo il virus del politicamente corretto che adesso infesta la fantasia collettiva. Oggi pare che la libertà da questo morbo sia monopolio della destra. E che la sinistra abbia abdicato alla fantasia in nome di un conformismo che nasconde la nullità di visione politica”.

Luca Bottura ai tempi di Cuore era un giovane autore satirico, più tardi ha ritrovato Serra a Repubblica. Ha un giudizio più sfumato: “Michele fa un ragionamento personale che in parte è condivisibile, la maturità ti può portare a considerazioni diverse. Ma Cuore ha sempre mirato ai potenti. Attaccavamo Craxi prima della sua caduta. Quando anche i magistrati sono diventati un potere, abbiamo fatto satira sul pool: io curavo personalmente il filone su Di Pietro ‘superman’, prendevamo in giro la sua santificazione pubblica”. Anche Lia Celi è cresciuta in quella straordinaria fucina: “Più che giustizialisti eravamo donchisciotteschi. Eravamo così sicuri di essere nel giusto che abbiamo sdoganato un linguaggio che forse è diventato un’arma a doppio taglio. Lo usavamo per mettere alla berlina il potere e anche per ballare intorno alla ghigliottina. Con la speranza che da quella ghigliottina nascesse un Paese più giusto ed equo”.

Claudio Sabelli Fioretti fu direttore di Cuore dal 1994, solo per un anno e mezzo. “A me non piacciono i pentiti – dice – se approfittano del clima che è cambiato. Trent’anni fa Cuore doveva fare esattamente quello che faceva. A che serve rinnegarlo ora? Per andare in Paradiso con qualche anno di ritardo? Non esiste la satira buona”. Cuore viveva di titoli borderline. “Intanto in quella prima pagina accanto a Bettino, dietro le sbarre, c’era anche il figlio Bobo, sotto al titolo ‘Pensierino stupendino’. Forse era più una carognata quella… Io poi ho fatto uno dei titoli più orrendi in assoluto sull’ex ministro Guidi (che è disabile, ndr). Avevo piazzato in prima pagina dei suoi fotomontaggi mentre andava in bicicletta e faceva il salto con l’asta. Il titolo era: ‘Si finge disabile per ottenere la poltrona’. Fui lapidato persino dai fan di Cuore, notoriamente più cattivi di Cuore stesso. Ma Guidi mi telefonò per ringraziarmi: ‘Sei il primo che mi tratta come una persona normale’”.

Processo all’assistente, Vattimo: “Ho soltanto aiutato le persone”

“Sono un uomo che si è goduto la vita fino a quando non ha avuto qualche problema di salute e che ha aiutato e fatto stare bene le persone che gli stavano intorno”: così, rispondendo a una domanda della difesa, si è definito il filosofo ed ex europarlamentare Gianni Vattimo, 86 anni, comparso ieri in tribunale a Torino per testimoniare al processo che vede imputato di circonvenzione di incapace un suo stretto collaboratore, il 37enne Simone Caminada, il quale avrebbe approfittato della sua fragilità inducendolo a effettuare bonifici e spese ingiustificate.

Oggi torna la Gazzetta del Mezzogiorno

Torna oggi in edicola, dopo quasi sette mesi di assenza, La Gazzetta del Mezzogiorno, storico quotidiano di Puglia e Basilicata. Il nuovo direttore responsabile è Oscar Iarussi. “Sarà – spiega – un quotidiano fortemente meridionalistico, non campanilistico, di servizio, che farà battaglie culturali sul versante Sud Europa/Mediterraneo”. La Gazzetta aveva cessato le pubblicazioni il 1º agosto 2021 dopo 133 anni, a seguito del fallimento delle due società editrici e proprietarie della testata. Al termine di una lunga procedura fallimentare il Tribunale di Bari ha omologato a ottobre la proposta di concordato della società Ecologica spa del gruppo Miccolis. Il nuovo editore ha quindi avviato le procedure per consentire il ritorno in edicola.

Festival Economia: Torino boicotta Laterza e se stessa

“Cambiare le date significa annullare gli impegni presi e il lavoro fatto”. Giuseppe Laterza respinge al mittente l’appello a far slittare dall’inizio alla fine di giugno, per evitare incroci con Trento, il Festival dell’Economia di Torino. “Il mercato vive di diversità: c’è una grande domanda di informazione economica di qualità – sostiene l’editore –. Spero che le istituzioni vogliano continuare a crederci per dare a Torino quel grande festival internazionale che i cittadini si aspettano”. L’appello è arrivato da fondazione bancarie e enti locali che hanno deciso di vincolare il finanziamento alla scelta di una nuova data per evitare la sovrapposizione con manifestazioni analoghe e ripercussioni nella partecipazione di ospiti, pubblico e organi di stampa. Il riferimento è al Festival dell’economia di Trento, che dopo il divorzio proprio da Editori Laterza, da quest’anno viene organizzato dal Sole 24 Ore.

La risposta dell’editore non si è fatta attendere. “Abbiamo scelto Torino come sede del Festival dopo aver ricevuto una lettera formale di impegno su tutta una serie di condizioni tra cui il budget, il periodo quinquennale e le date del festival cioè il primo weekend di giugno – sostiene Laterza –. Le date (2-5 giugno, ndr) sono state pubblicate con grande evidenza già il 28 ottobre dell’anno scorso, il sindaco Lo Russo e il presidente della Regione Cirio dichiaravano pieno sostegno al festival. Le date non sono casuali, combinano la pausa dagli impegni didattici degli economisti stranieri con il ponte del 2 giugno”.

Prof rimprovera classe, i genitori lo aggrediscono

Un rimprovero collettivo perché la classe “faceva chiasso e disturbava la lezione”. Un rimprovero a quanto pare di troppo che ha fatto scattare ore dopo una spedizione punitiva nei confronti del professore, docente in una scuola media di Casavatore, nel Napoletano. La vicenda è raccontata su Facebook dallo stesso insegnante: “Stamane – scrive il prof. Enrico Morabito – ho richiamato un’intera classe, una prima media, all’ordine, dal momento che facevano chiasso disturbando di continuo la lezione. Oggi pomeriggio, alle ore 16, mi hanno citofonato dei tizi dichiarandosi come miei amici. Conoscevano il codice del mio citofono e persino il mio nome. Scendo. Mi chiedono se io insegnassi nella scuola di zona. Dico loro che ho svolto solo un breve supplenza, non sono docente di ruolo e ho chiesto loro chi fossero. Erano in 5. Età fra 40 e 50 anni. Pieno pomeriggio. Viso scoperto. Non mi hanno dato tempo di fare altre domande che subito mi hanno aggredito verbalmente e fisicamente. Ho sempre pensato che la rovina dei figli sono i genitori”.

Protesta conto restrizioni Covid, la polizia arresta due leader

I camionisti che per tre settimane hanno bloccato Ottawa contestando le restrizioni per la pandemia ieri sono stati costretti dalla polizia a sgomberare; e due leader sono stati arrestati. Si tratta di Tamara Lich e Chris Barber. Quest’ultimo secondo le indagini è uno degli organizzatori principali del Freedom Convoy, il “Convoglio della libertà”. Sia Lich che Barber sono stati indicati in una causa legale da residenti e aziende della Capitale che chiedono danni per milioni di dollari, derivati dal blocco delle strade e delle merci. Oltre alla causa civile potrebbe scattare anche un’inchiesta penale. Il portavoce del Convoglio, Dagny Pawlak, ha detto che si tratta di un “momento oscuro” nella storia canadese e “una vergogna per qualsiasi democrazia”. Per avviare lo sgombero il premier Trudeau ha fatto ricorso allo stato d’emergenza: in Canada non si utilizzava da 50 anni.

La Muraglia Cinese sull’informazione

I segnali ci sono tutti: Pechino starebbe estendendo anche a Hong Kong la sua Grande Muraglia digitale, il sofisticato e invalicabile sistema online già attivo in Cina per bloccare e censurare contenuti esterni e indipendenti da quelli ‘approvati’ dal governo centrale, inclusi Facebook, Google e Twitter. Possibili canali di comunicazione con l’Occidente, che Pechino utilizza come strumenti della propria propaganda diretta soprattutto a cittadini cinesi emigrati all’estero, ma che non ammette sul proprio territorio. L’ultima possibile vittima di questo nuovo attacco alla libertà di espressione? Il sito di Hong Kong Watch che è, da alcuni giorni, inaccessibile per gli abitanti di Hong Kong. HKW è una charity che, dal Regno Unito, monitora “le libertà fondamentali, lo Stato di diritto e il rispetto dell’autonomia promessa secondo il principio ‘un paese due sistemi’” alla base degli accordi con cui, il 1º luglio 1997, l’ex colonia britannica è passata sotto la sovranità della Repubblica Popolare Cinese. In violazione di quel principio di autonomia e per il tramite di un governo fantoccio, Pechino ormai esercita una censura ferrea su ogni manifestazione di dissenso. L’estensione della censura anche allo spazio online sarebbe un salto di qualità. Secondo il direttore di HKW, Benedict Rogers, il blocco del sito, che tuttora non ha una spiegazione ufficiale, è “un grave colpo alla libertà di Internet”: quello di HKW è il quarto sito non più raggiungibile fra quelli di informazione alternativa a quella ufficiale, mentre la repressione della libertà di stampa ed espressione ha già portato alla chiusura di quotidiani pro democrazia come Apple Daily e alla detenzione del suo fondatore Jimmy Lai e di alcuni dei suoi giornalisti.

Fra i siti messi fuori gioco, HK Charter 2021, fondato da attivisti pro democrazia costretti all’esilio, e HK Chronicles, utilizzato dagli attivisti per rivelare l’identità di poliziotti o sostenitori del regime. Rogers, che aveva una rubrica su Apple Daily, in un editoriale sul sito della Union of Catholic Asian News ha tracciato uno scenario in cui, dopo anni di erosione graduale, oggi si assiste all‘implosione totale delle libertà” a Hong Kong, con “ogni singola voce pro-democrazia ridotta al silenzio: imprigionata, discriminata, estromessa dalla politica o in esilio” e la città si sta trasformando in una “Pyongyang (la Capitale del regime nordcoreano) con una luce migliore”. Ha condannato l’inazione della comunità internazionale e chiesto apertamente l’attivazione di sanzioni contro Pechino e i suoi ‘quisling’, collaborazionisti, sull’isola. Che non si fermano: il governo di Hong Kong ha appena annunciato una legge contro le fake news, che lo stesso Rogers considera l’ennesimo pretesto per ulteriori interventi di censura.