“Il cuore di questa operazione non sarà più in Mali, ma in Niger”, ha detto Macron annunciando giovedì la fine della missione militare Barkhane lanciata nove anni fa nella ex colonia francese per combattere i terroristi nel Sahel. Un ritiro che coinvolge anche la task force europea Takuba, avviata appena un anno fa, circa 800 uomini, di cui 200 italiani. E mentre Bamako chiude le porte a Parigi, chiedendole anzi di smobilitare “immediatamente” i suoi militari, Niamey gliele spalanca. “L’obiettivo è che la nostra frontiera col Mali sia messa al sicuro”, ha confermato ieri Mohamed Bazoum, presidente del Niger, su Twitter. A Niamey si trova già la principale base militare aerea di Barkhane. Bazoum metterà a disposizione “nuove basi” alla frontiera con il Mali: “Accoglieranno soprattutto Takuba, cosa che ha per noi molti vantaggi – ha scritto il presidente nigeriano –. Queste forze speciali hanno la capacità di rispondere alla minaccia delle organizzazioni terroriste”. La Francia è impegnata nella regione delle “tre frontiere”, tra Mali, Niger e Burkina Faso, con Barkhane, un contingente di circa 4.600 uomini, dal 2013. Un’operazione lanciata da François Hollande per combattere la minaccia terrorista nella regione, con il benestare dell’ex presidente del Mali Dioncounda Traoré.
Lo scorso luglio Parigi aveva annunciato un parziale ritiro delle sue truppe e l’arrivo nella regione degli alleati europei di Takuba. Ma l’esacerbarsi dei rapporti con la giunta militare al potere dal duplice golpe guidato da Assim Goïta, culminato con l’arrivo sul posto dei mercenari russi della Wagner e la cacciata dell’ambasciatore francese, ha precipitato gli eventi: Parigi si dà sei mesi per ritirare i suoi 2.400 soldati dalle basi di Gao, Menaka e Gossi. I militari gli intimano di farlo “senza perdere tempo”. Ma Barkhane è davvero finita? Anche se lascia il Mali, Macron ha affermato che il Sahel resta una priorità strategica per la Francia, e di conseguenza per gli alleati europei. Con la giunta di Goïta aggrappata al potere in Mali, e il colpo di stato di gennaio in Burkina Faso, che ha rovesciato il presidente Kaboré, il Niger appare ora il solo alleato possibile. “Il Niger ha il vantaggio di essere un governo presentabile per la Francia”, ha spiegato a France24 Vincent Brisset, specialista nelle questioni di difesa all’Iris, l’Istituto di relazioni internazionali e strategiche. In un paese segnato storicamente da colpi di stato, Bazoum, 61 anni, è arrivato al potere il 23 febbraio 2021 al termine di regolari elezioni. Il Niger è uno dei paesi più poveri del mondo. Negli ultimi anni gli attacchi dei gruppi jihadisti al-Qaeda nel Maghreb Islamico e Eigs, lo Stato Islamico del Gran Sahara, si sono moltiplicati. Centinaia di civili sono morti nel 2021. In un rapporto del settembre 2021, Amnesty scriveva che sempre più bambini sono vittime dei conflitti nella regione di Tillaberi, in Niger, o vengono reclutati dai gruppi armati. Bazoum prevede che dopo il ritiro di Barkhane e Takuba dal Mali “questa zona sarà ancora più infestata e che i gruppi terroristici si rafforzeranno”. A Parigi preoccupa la regione che dal Mali scende verso il sud e il Golfo di Guinea, “diventata una priorità nelle strategie di espansione di Al-Qaida e dell’Isis”. I rapporti tra i due paesi appaiono buoni. Nel luglio 2021, quando Parigi e i membri del G5 Sahel si erano riuniti in videoconferenza per discutere la strategia francese nella regione, Bazoum era stato il solo capo di Stato africano ad essere accolto all’Eliseo. La ministra della Difesa, Florence Parly, era già stata in Niger a febbraio per “discutere delle modalità di evoluzione del dispositivo Barkhane”. Ma il sentimento anti-francese avanza anche in Niger: “La posizione di Bazoum, considerato ora l’alleato privilegiato di Parigi – dice Brisset –, è molto delicata nel contesto attuale, perché i jihadisti potrebbero fargli pagare il suo impegno con Parigi”.