Rischio rosso: Lombardia e Sicilia. Altre 10 arancioni

Oggi il monitoraggio dell’Istituto Superiore della Sanità certificherà – di fatto – l’inizio della terza ondata. Stanno per cambiare nuovamente colore molte Regioni. Sulla base dei parametri indicati dall’Iss, il ministro della Salute Speranza emanerà le ordinanze che coloreranno di arancione le Regioni in cui l’indice di trasmissione del contagio Rt sarà pari o superiore a 1 o il rischio complessivo sarà considerato “alto”, un automatismo che fin qui non c’era; di rosso con Rt a 1,25. Sulla base degli ultimi dati disponibili sono a rischio arancione almeno 10 Regioni (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Trentino Alto Adige, Puglia, Umbria e Veneto), due (Lombardia e Sicilia) a rischio zona rossa. La bozza del del Dpcm, tuttavia, istituisce le zone “bianche” in caso di incidenza del contagio sotto i 50 mila casi per 100 mila abitanti e Rt inferiore a 1 per tre settimane. Uno scenario confermato dal presidente della Regione Liguria Toti (“da domenica sarà arancione praticamente mezza Italia”) che ieri con gli altri governatori ha partecipato al vertice con i ministri Speranza e Boccia e con il commissario all’emergenza Arcuri per fare il punto sulle nuove norme e sul piano vaccini: “I dati europei sono in significativo peggioramento – ha detto Speranza –. La situazione non può essere sottovalutata. Lavoriamo ad anticipare le restrizioni per evitare una nuova forte ondata”. Le nuove misure, oltre alle questioni cromatiche di cui sopra, non dovrebbero contenere sorprese. Il decreto approvato mercoledì notte e il prossimo Dpcm saranno in vigore dal 16 gennaio al 5 marzo, prorogano lo stato d’emergenza al 30 aprile, vietano gli spostamenti interregionali (salvo motivi di lavoro e necessità) fino al 15 febbraio anche per chi vive in zona gialla, introducono il divieto di asporto per i bar dalle 18, vietano lo sci fino al 15 febbraio e chiudono le palestre fino al 5 marzo. Ma riaprono i musei dal lunedì al venerdì in zona gialla.

Il contagio, intanto, non accenna a frenare. Secondo il report settimanale della fondazione Gimbe, la settimana 6-12 gennaio 2021 ha fatto segnare, rispetto alla precedente, un incremento del 5,8% dei decessi, del 2,6% delle terapie intensive, del 3,4% dei ricoverati, del 6,6% dei nuovi casi ma solo dello 0,2% del tasso di positività sul totale dei casi testati, molto alto durante le feste perché erano diminuiti i test.

Ieri i nuovi casi di contagio comunicati sono stati 17.246 a fronte di 160.585 tamponi, pari a un tasso di positività (in lieve aumento rispetto a mercoledì) del 10,7%. Ancora 522 morti, ma tornano a diminuire le degenze in ospedale (-415) e i ricoveri in terapia intensiva (-22), anche se il livello medio di saturazione nazionale è ancora al 30%, la soglia critica.

Continua a correre la campagna vaccinale. Ieri sera risultavano somministrate oltre 910 mila dosi, pari al 64% dell’attuale disponibilità: “Uno sforzo straordinario delle regioni”, ha detto il Commissario all’emergenza Arcuri, che ha anche annunciato l’intenzione di “opzionare ulteriori dosi di vaccino, perché immunizzare 30 milioni di persone in un anno non sarà sufficiente. Iniziamo tra poco con le persone che hanno più di 80 anni e andremo poi avanti con le altre categorie previste”. Sul punto, il decreto legge ha istituito una piattaforma nazionale per la distribuzione dei vaccini con l’intenzione di gestire anche prenotazioni, registrazioni delle somministrazioni e successivo tracciamento. Accadrà quando ci saranno vaccini per tutti. Molto dipende dal via libera al vaccino AstraZeneca, che può arrivare il 29 gennaio.

Farina & C., i discepoli di Pio Pompa adesso pontificano sui servizi segreti

Che Paese stupendo, l’Italia. Succedono cose che altrove sarebbero impensabili. Specialmente nel giornalismo. È in corso, per esempio, una discussione pubblica sui servizi segreti, la loro gestione, il loro controllo democratico. Innescata dal fatto che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha tenuto per sé la delega governativa sui servizi di sicurezza (come peraltro la legge gli consente di fare), mentre Matteo Renzi gli chiedeva di assegnarla a un sottosegretario.

Su che cosa sia meglio, più efficace, più democratico, si può discutere all’infinito. Il bello è però che a discettare elegantemente di spie e politica, sui giornali, sia una pattuglia trasversale di giornalisti che scrivono di corda in casa dell’impiccato, o meglio, che quella corda l’hanno in casa, visto che sono stati coinvolti di persona nella più brutta storia repubblicana di compromissione dei giornalisti con i servizi segreti, dopo quella sulle stragi di Stato: è la vicenda di Pio Pompa, grande manovratore sotterraneo dell’informazione negli anni del berlusconismo. Aveva tra i suoi referenti giornalisti come Renato Farina, Luca Fazzo, Claudia Fusani, Claudio Antonelli. Proprio alcune delle firme che in queste settimane hanno scritto di Conte, servizi e caso Barr. Fusani sul Riformista rimprovera a Conte “l’incontro segreto nel 2019 con l’uomo di Trump, William Barr, di cui non fu informato neanche il Copasir” (cioè il comitato parlamentare di controllo sui servizi). Barr, allora procuratore generale degli Stati Uniti, era venuto in Italia alla ricerca di elementi per smontare il Russiagate (il sostegno di Putin alla prima campagna elettorale di Trump) e per incastrare Barack Obama e Hillary Clinton, magari con la sponda di qualche spia di casa nostra, come il maltese Joseph Mifsud, professore della Link University di Roma, presunto agente della Cia impegnata a far perdere le elezioni a Trump. Fazzo sul Giornale c’insegna quanto sia importante che “la chiave dei segreti dell’intelligence non cada nelle mani sbagliate”. Antonelli su Libero ipotizza che Conte, sconfitto Trump, “abbia perso la sponda degli Usa”. Farina, sempre su Libero, discetta invece di Trojan nel telefono del magistrato Luca Palamara, cioè del programma-spia che ha permesso ai giudici di conoscere le sue trattative di potere con toghe, politici, imprenditori. Sarebbe bene, allora, non dimenticare che cosa si venne a scoprire nel 2006, quando i magistrati Armando Spataro e Ferdinando Pomarici, indagando sul sequestro dell’imam Abu Omar rapito nel 2003 da uomini della Cia, scoprirono un ufficio dei servizi segreti in via Nazionale a Roma. Era il regno di Pio Pompa, detto “shadow”, l’ombra di Nicolò Pollari, direttore del Sismi, il servizio segreto militare. Pompa aveva accumulato una mole di dossier illegali su magistrati, giornalisti, politici, intellettuali, da “disarticolare” perché “nemici” dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ma aveva anche l’incarico di tenere (e inquinare) i rapporti con i giornalisti: soffiava notizie, chiedeva informazioni, diffondeva dossier (spesso farlocchi, come quello del Nigergate, sull’uranio che il Niger avrebbe passato a Saddam Hussein per le sue “armi di distruzione di massa”).

Nelle carte processuali compaiono molti nomi di giornalisti che telefonavano con assiduità a Pompa. Tra questi, Stefano Cingolani, Claudia Fusani, Andrea Purgatori, Oscar Giannino. E Renato Farina, l’“agente Betulla” remunerato con almeno 30 mila euro, che in alcune esilaranti intercettazioni viene “preparato” da Pompa che gli fa “ripassare la lezione” prima di una falsa intervista a Spataro e Pomarici, organizzata per poter riferire ai suoi superiori che cosa la Procura di Milano sapeva sul rapimento di Abu Omar. Luca Fazzo, allora a Repubblica, spiava i movimenti di due suoi colleghi, Peppe D’Avanzo e Carlo Bonini, per raccontare le loro mosse e anticipare i loro articoli al suo amico dentro il Sismi, Marco Mancini. È meraviglioso che in Italia, a darci lezioni sulle “barbe finte”, siano scesi in campo giornalisti diventati “esperti del ramo” per essere stati fin troppo vicini ai servizi segreti. Ora ci insegnano la democrazia e il giornalismo.

Renzi scrive a Casellati: “Open, rischio intercettazioni illegittime”

“Ma quale mossa del cavallo? Renzi ha solo paura di fare la fine di B.”. In queste ore concitate in cui tutti si interrogano sul perché il leader di Italia Viva abbia voluto innescare lo showdown del governo giallorosso senza nemmeno essere inebriato dai fumi del Papeete, c’è chi ha le idee chiarissime: Renzi più che del vulnus democratico che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrebbe inflitto al Paese con la scusa dell’emergenza Covid, sembra avere una paura matta delle iniziative della Procura di Firenze che lo riguardano. E che teme arrivino in Parlamento a comprometterne l’agibilità politica. “Non è che destabilizzare il quadro serve a convincere gli alleati ad assicurargli l’immunità? O comunque a garantirsela con ogni mezzo utile a far breccia anche tra le file dell’opposizione?”, sussurra qualcuno a Palazzo Madama a cui non è sfuggito un fatto.

L’altra sera, alla ripresa dei lavori, si è scoperto che tra gli atti arrivati alla Giunta per le autorizzazioni a procedere di Palazzo Madama, c’era una lettera inviata da Renzi al presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati già lo scorso 11 dicembre. In cui la informava di aver scritto al procuratore aggiunto di Firenze dove è indagato per finanziamento illecito, assieme a Maria Elena Boschi e Luca Lotti, nell’ambito dell’inchiesta sulla Fondazione Open. Che cosa chiede Renzi alla Procura di Firenze? Se come riferito da alcuni quotidiani, esistono intercettazioni che riguardano lui e gli altri eletti, “nonché l’inserimento nelle chiavi di ricerca di telefonini e computer sequestrati dei nomi dei parlamentari della Repubblica”. Ciò configurerebbe, a suo avviso, una violazione dell’articolo 68 della Costituzione che prevede che per le captazioni e tutte le altre operazioni di indagine che riguardano i parlamentari sarebbe stato necessario chiedere, in via preventiva, l’autorizzazione alle Camere di appartenenza. Tradotto: se si dovesse materializzare una richiesta di autorizzazione da Firenze, andrebbe respinta al mittente in quanto velata dal fumus persecutionis. A Renzi gli inquirenti contestano di aver beneficiato delle somme incassate dalla Open, circa 7,2 milioni dal 2014 al 2018, e messe a disposizione della corrente renziana del Pd.

Il leader di Italia Viva ha già sollevato la questione della competenza territoriale nel tentativo di far spostare l’inchiesta a Roma o a Pistoia: richiesta respinta dalla Cassazione pochi giorni fa, dopo che lo stesso aveva fatto la Procura di Firenze a inizio di dicembre. Quando improvvisamente era di nuovo tornata ad alzarsi la temperatura all’interno della maggioranza, con Renzi da un lato impegnato a cannoneggiare Conte sulla governance del Recovery e dall’altro a prendere carta e penna per scrivere al Senato in cerca dello scudo dell’immunità.

All’estero Matteo diventa Demolition man

Nasci rottamatore e finisci demolition man. E non è proprio la stessa cosa, per quanto l’ego di Matteo Renzi possa confondere l’epiteto per un complimento. A ogni modo, la definizione arriva dal Financial Times, quotidiano britannico trai più letti al mondo che ieri ha definito così – demolition man, appunto – il leader di Italia Viva, sintetizzando la crisi di governo italiana con un titolo esplicativo: “Demolition man Renzi roils Rome”, Renzi il distruttore agita Roma.

C’è da dire che il Financial Times è in buona compagnia. Quasi tutta la stampa estera assiste incredula ai fatti di casa nostra e dà conto di come un politico ritenuto “vendicativo e ambizioso” – e qui citiamo il New York Times – avesse “il potere di distruggere” e non sia riuscito “a resistere alla tentazione di usarlo”. Dalla carrellata di titoli e pezzi, Renzi non esce per nulla bene. L’agenzia Reuters, per esempio, torna sulla fama dell’ex premier con un articolo del corrispondente Gavin Jones: “Ha completato la trasformazione da riformatore a distruttore”. E ancora: “Oggi è tra le figure più impopolari del Paese, quasi sinonimo di slealtà e spietate manovre politiche”.

Per restare alle testate più autorevoli del mondo, c’è il Guardian: “L’Italia è precipitata nel caos dopo che l’ex primo ministro Matteo Renzi ha ritirato le sue ministre. La manovra di Renzi ha lasciato perplessi gli osservatori. La sua popolarità è calata notevolmente da quando è stato costretto a dimettersi da premier dopo il fallimento del referendum nel 2016 e oggi Italia Viva attira meno del 3 per cento degli elettori nei sondaggi”. In Germania usa toni duri Der Spiegel: “Sembra la lotta di un uomo disperato. È quasi come un tragico duello: da una parte Conte, il presidente più popolare d’Italia negli ultimi 25 anni, dall’altra Renzi, uno dei politici più impopolari”.

Dalla Francia arriva invece la domanda retorica di Le Figaro: “Chi si assumerà la responsabilità della caduta del governo italiano in un momento in cui l’Italia sta attraversando una crisi senza precedenti?”. Politico.eu, dorso europeo della nota testata americana, inquadra con amarezza i fatti di ieri: “L’Italia non è nuova all’incertezza politica e ai cambi di potere, ma l’ultimo sconvolgimento arriva durante la morsa del coronavirus, aggiungendo urgenza alla ricerca di una soluzione”.

El País, uno dei più letti quotidiani spagnoli, rinnova i dubbi di molti: “La crisi arriva in un momento molto delicato che nemmeno gli italiani riescono più a capire. Nel bel mezzo di una pandemia, proprio quando si deve decidere il destino di200 miliardi che arriveranno dall’Ue e quando il Paese deve presiedere il G20, l’Italia si prepara a cercare la formula per un possibile terzo governo in questa legislatura”. Sul catalano La Vanguardia, Renzi è “il re degli intrighi di palazzo”, mentre Handelsblatt, il giornale finanziario tedesco, prende in giro l’ex premier citando un passaggio della sua conferenza: “Ha detto di averlo fatto perché ha a cuore l’Italia. Non più di quanto abbia a cuore il potere”.

Una degna cartolina finale la offre il già citato New York Times, che riporta il giudizio del professor Massimo Galli: “L’orchestra suona mentre il Titanic affonda”. E in questa crisi non è complicato capire chi sia l’orchestra e chi il Titanic.

Altro deficit per 30 mld: dl Ristori tra una settimana

Mentre il giornale sta andando in stampa, è in corso il Consiglio dei ministri che dovrebbe dare il via libera alla richiesta di uno scostamento del bilancio pubblico per il 2021 fino a circa 30 miliardi, a stare alle indiscrezioni, un punto e mezzo di Pil. È il maggior deficit necessario per varare il nuovo decreto Ristori, il quinto della serie, che dovrebbe accompagnare questa nuova fase di restrizioni dovute all’emergenza Covid-19: un provvedimento “indispensabile e urgente” secondo il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che però – va ricordato – è stato rallentato dalla crisi di governo in corso da settimane e deflagrata l’altroieri.

Il decreto, in ogni caso, dovrà aspettare che il Parlamento voti – a maggioranza assoluta – la richiesta di maggior deficit arrivata dal governo: questo dovrebbe avvenire (non ci sono timori sui numeri) mercoledì prossimo, il 20 gennaio, solo a quel punto il decreto potrà essere effettivamente varato. Ieri, il ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia, ha rassicurato i governatori proprio sul fatto che non ci sono rischi di stallo o rinvii: “Il contesto politico generale non ci impedirà di correre per garantire tempi rapidi. Faremo con le Regioni un aggiornamento ad hoc, anche in corso d’opera, durante i lavori sul decreto”.

In sostanza, il governo promette che convocherà di nuovo l’assemblea Stato-Regioni per “tarare meglio, e in linea con le istanze che arrivano dai territori, alcuni ristori specifici che ci vengono indicati soprattutto sulle attività economiche limitate con forti stagionalità invernali (impianti sciistici, alberghi di montagna, eccetera, ndr). Sono confermati interventi cospicui su bar, ristoranti e su tutte le altre attività penalizzate per le chiusure”.

Al momento, va detto, il clima in Parlamento non è così tranquillo come lasciano intendere i membri del governo: vero è che per la fine della settimana prossima, quando arriverà il decreto, la situazione dovrebbe essersi risolta in un modo o nell’altro e nessuno avrebbe comunque interesse a bloccare un provvedimento che deve trasferire soldi a chi è in difficoltà.

Il principio per ricevere i sussidi pubblici stavolta non sarà basato sui famigerati codici Ateco o i colori delle Regioni, ma solo sul calo di fatturato (il 33% nel semestre o nell’anno), includendo anche le professioni ordinistiche. Ai “ristori” veri e propri nel testo si affiancheranno provvedimenti come i nuovi finanziamento per la Cassa integrazione o per spese sanitarie (i vaccini, ad esempio). Questi 30 miliardi che l’esecutivo intende trasferire all’economia italiana andranno a sommarsi ai 100 miliardi già deliberati (anche se non completamente spesi) nel corso dell’anno appena concluso per far fronte all’epidemia di coronavirus e ai provvedimenti presi per limitarla.

C’è un capitolo, in ogni caso, su cui il ritardo del testo rischia di innescare un bizzarro cortocircuito. Il 1°gennaio è scaduta la moratoria sulle cartelle fiscali (compresi gli interessi di mora ovviamente) e giusto mercoledì è stato raggiunto un accorto tra l’Agenzia delle Entrate Riscossione e i suoi lavoratori: in sostanza, da lunedì si riparte con l’invio di milioni e milioni di cartelle esattoriali e con i meccanismi di riscossione previsti dalla normativa (anche il pignoramento degli stipendi, per dire).

Il punto è che nel decreto potrebbe trovare spazio (ci si lavora) una nuova moratoria e (assai probabile) un nuovo intervento di rottamazione delle cartelle notificate tra il 2016 e il 2020 per pulire il “magazzino” del fisco italiano. Si tratta del provvedimento – la quarta “rottamazione” delle cartelle – più volte annunciato dalla viceministra dell’Economia Laura Castelli: un “saldo e stralcio” per le cartelle dagli importi più piccoli e una nuova definizione agevolata. Insomma – nonostante il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini abbia chiarito che si partirà a scaglioni e con calma proprio per aspettare il legislatore – c’è il concreto rischio che pratiche appena riaperte debbano fermarsi tra qualche giorno o settimana (ovviamente questo non vale per le nuove cartelle: per aderire alla rottamazione le pratiche vanno consegnate). A sera, per ovviare al problema, circolava voce di un possibile decreto volante per prorogare la moratoria sulle cartelle al 31 gennaio e intervenire poi con tutta calma.

Bellanova-Bonetti: la profonda dignità delle statue di sale

Davvero un capolavoro la lettera di dimissioni delle ex ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti nonché del sottosegretario Ivan Scalfarotto (sotto-segretario, appunto, perché martedì, in conferenza stampa, tanto per citare un’altra famosa lettera, la sua faccia era sotto i piedi di Renzi senza chiedergli nemmeno di stare fermo).

Un capolavoro che merita un’analisi più approfondita di alcuni passaggi, perché sarebbe davvero un peccato dimenticarli così, in tutta fretta, mentre veniamo travolti dai prossimi accadimenti.

Intanto l’incipit. “Signor presidente del Consiglio, la politica è la più alta e nobile forma di servizio”. Ma tu pensa. Si parte spiegando a un premier cosa sia la politica. Perché è il caso che non lo sappia, che magari Conte ritenga che sia uno sport acquatico. E poi: “Non è interesse di parte, non è ambizione personale”. Due ministre renziane che dicono “La politica non è ambizione”. È un po’ come se due ex seguaci di Osho dicessero “La spiritualità non è settarismo”.

A seguire, un altro passaggio favoloso: “Lasciare un incarico di governo richiede lunghissime, dolorose e assai profonde considerazioni”. Qui a seguire le lunghissime, dolorose e assai profonde considerazioni: “Pronto Teresa?”. “Sì?”. “Oggi io ti dimetto”. “Ok”.

E ancora: “Abbiamo deciso di rimettere il nostro mandato in nome della dignità e della nobiltà della politica e della nostra libertà e responsabilità individuale”. Quella dignità e quella libertà che traboccavano, esplodevano, deflagravano mentre Renzi spiegava le dimissioni delle SUE ministre in conferenza stampa e loro, le ministre, fissavano gli stucchi veneziani. Poi: “Potremmo a lungo argomentare su moltissime cose che ci hanno lasciati perplessi: l’utilizzo ridondante dello strumento del Dpcm”. Ridondante. Una pandemia, ospedali al collasso, bare portate via dai camion, 80.000 morti e questo bullo di Conte si mette a utilizzare il Dpcm con ridondanza. Ma tu pensa. Avrebbe potuto utilizzarlo con un po’ più di parsimonia, in effetti, e magari ideare una strategia di contenimento del virus più moderata, delegandola che so, a Vittorio Sgarbi. Io per la terza ondata, nel caso, ci penserei.

Ma nella lettera c’è una dura accusa anche alle imperdonabili modalità di comunicazione del premier: “…l’eccesso di dirette a reti unificate durante la pandemia, l’utilizzo dei propri canali social personali rilanciati dalla televisione di Stato”. Be’, come non capirle, le ministre. Vuoi non far cadere un governo perché il premier fa qualche diretta su fb durante una pandemia?”.

Come ha poi detto la ex ministra Bonetti nella micro-frazione temporale in cui ha parlato: “Sono una donna delle istituzioni, il mio percorso da scout e da ministro porta a questo, alle dimissioni!”. Cercate di capirla. Una scout non può soprassedere, non può ignorare una deriva così dittatoriale, rischia di inimicarsi le piante, gli animali, l’amicizia dei cerbiatti e di tutte le creature di Dio. E poi un altro rimprovero a Conte, nella lettera: “(ci ha lasciate perplesse) la timidezza con cui si sono condannati i disordini di Washington e il loro mandante!”. Eh, “quel post era moscio” mi pare un argomento solido per fare gli scatoloni. Chissà come mai i buoni rapporti tra Trump e Conte non sono stati un timido impedimento per accettare i ruoli di ministro e sottosegretario, ai tempi.

E poi: “Possiamo altresì comprendere che la maggioranza dei cittadini possa non essere particolarmente interessata a temi di questo genere, ma…”. Che detto in parole povere vuol dire: “Reclamiamo attenzione su quel che non interessa agli italiani, come fa a ignorare questa nostra esigenza così altruistica e democratica?”. E infine, la spruzzata di retorica: “Signor presidente, la parola ‘potere’ per noi è un verbo, non un sostantivo”. Sì, noi-non-potere-dire-di-no-al-capo.

E guai a chi insinua che questa lettera sia una comunicazione fredda e impersonale, piena di argomenti pretestuosi e gratuiti che celano solo una indecorosa e acritica ubbidienza al capo. Si sente davvero che c’è qualcosa di intimo, di sentito, di loro – di Teresa, di Elena, di Ivan – in questa appassionata missiva: la firma. Forse.

“Vergognati” “Fai pena, traditore” “sparirai”

Sono curiosi gli argomenti con cui Matteo Renzi ha aperto la crisi di governo durante la pandemia. Il principale sembra essere la comunicazione di Giuseppe Conte. “La nostra Costituzione – ha detto Renzi – non è una storia su Instagram. Basta con le dirette a reti unificate e i comunicati roboanti sui social”.

Proprio lui, che è stato il primo premier della storia italiana a sfruttare con metodo la propaganda digitale. Renzi è stato il più svelto a capire il potenziale delle dirette sui social (l’esordio di #matteorisponde, aprile 2016, raggiunse un milione di spettatori), il più rapido a dotarsi di una sua “Bestia”, prima ancora di Salvini (la galassia di pagine non ufficiali come “Matteo Renzi News”), il più spregiudicato nel rompere le consuetudini istituzionali (il tweet “arrivo, arrivo” postato dal Quirinale nel giorno del suo incarico).

Per sommo paradosso, oggi l’immagine di Renzi in Rete è completamente devastata. La sua impopolarità esonda dalle stesse piattaforme su cui prima comandava e sperimentava nuovi linguaggi. Mercoledì se n’è avuta l’ultima prova, la più limpida. Mentre Renzi parlava, sulla sua pagina Facebook veniva seppellito dagli insulti. Non sempre i commenti sui social sono una fotografia fedele della realtà, ma in questo caso il flusso continuo di messaggi negativi ha assunto una consistenza impressionante. Un plebiscito al contrario.

Si può anche abbozzare una cronaca minuto per minuto dello show renziano attraverso (una piccola parte) dei commenti pubblicati in tempo reale sul suo Facebook.

Minuto 1 – Stefano Di Lello: “Complimenti, davvero gli italiani non contano niente e spero verrete cancellati una volta per sempre dalla politica italiana”.

Minuto 2:48 – Fabio Strazziari: “Non era proprio il momento, ma il tuo ego è più forte di tutto! D’altra parte sei l’unico politico capace di passare dal 40 al 3% in 3 anni”.

Minuto 5:06 – Enza Ferrara: “Non hai mai avuto interesse per gli italiani. Hai avuto la visibilità che cercavi. Ora liberaci della tua presenza”.

Minuto 5:41 – Carla Giordano: “Complimenti! Speriamo che almeno tutto ciò, che mette nei pasticci tutti noi, ti faccia sparire definitivamente”.

Minuto 6:08 – Niccolò Beccastrini: “La storia terrà memoria delle vostre azioni, sarete ricordati come coloro che hanno messo i propri interessi personali davanti a quelli del popolo italiano durante una pandemia”.

Minuto 8:12 – Carlo Cocco: “State agendo per le vostre pance grasse, non per chi soffre in bilico tra la vita e la morte… Tra Covid e morire di fame”.

Minuto 8:58 – Filippo Munda: “Se come dice lei foste responsabili, sareste rimasti in maggioranza. Questo non è un gioco delle tre carte, qua si specula sulla pelle degli italiani”.

Minuto 9:14 – Laura Corradi: “Un grande politico pensa al bene di tutti, non si affida all’orgoglio rincorrendo obiettivi personali. Folle irresponsabile”.

Minuto 11:21 – Leonardo Castelli: “Penso che una figura come quella che stai facendo rimarrà negli annali. Complimenti. Grazie per averci fatto apparire in Europa e nel mondo come un Paese di irresponsabili”.

Minuto 12:24 – Barbara Petruzzi: “Scelta assolutamente irresponsabile. Spero, per il bene dell’Italia, che lei sparisca definitivamente dalla scena politica”.

Minuto 12:34 – Anna Maria Pinto: “Senso di responsabilità? Si deve vergognare! Ha ottenuto i suoi 5 minuti di gloria, arrivederci a mai più, spero”.

Minuto 14:09 – Annalisa Penazzi: “Ha tagliato milioni alla Sanità quando era al governo e ora parla di responsabilità… internatelo!”.

Minuto 15:01 – Laura Bosisio: “L’unica consolazione è che finirete sotto l’uno per cento. Fai pena. Tu e quelli che ti seguono. Il disastro che seguirà all’arrivo della destra al potere è tua responsabilità”.

Minuto 21:01 – Annalisa Penazzi: “Gli puoi scrivere che la lingua italiana non ha parole per definire l’essere ignobile e vergognoso che è”. Da parte di mia madre che non ha Facebook”.

Minuto 23:15 – Manuela Cataldo: “Tu sei un Distruttore, non un costruttore. Sarai ricordato per sempre per quello che sei. In una PANDEMIA non è possibile fare ciò che stai facendo”.

Minuto 23:29 – Grazia Ferreri: “Spero che questo tuo gesto, assolutamente immorale nella situazione in cui siamo, ti faccia sparire dalla scena politica definitivamente. La gente è meno stupida di quello che pensi”.

Minuto 27:05 – Davide De Martis: “Vergognoso, se a causa sua ritarderà il piano vaccinazioni avrà sulla coscienza (sempre che ne abbia una) migliaia di vittime”.

La diretta di Renzi dura 70 minuti e 31 secondi, ha collezionato oltre 50mila commenti. Quasi tutti di questo tenore.

Tutti da Nencini: è suo il simbolo che stacca l’ossigeno a Italia Viva

Ieri pomeriggio il senatore più cercato a Palazzo Madama era Riccardo Nencini. Fiorentino, ultimo mohicano del socialismo italiano ed ex viceministro ai Trasporti nei governi Renzi e Gentiloni, è lui la chiave di volta dell’operazione “costruttori”. Nencini infatti porta in dote il simbolo del Psi, grazie al quale esiste il gruppo di Italia Viva al Senato. E se mercoledì pomeriggio, nel bel mezzo della crisi, Nencini iniziava a prendere le distanze da Renzi provando a fermarlo (“Matteo, pensaci bene”) ieri è uscito allo scoperto insieme al deputato Enzo Maraio, primi a mollare il leader di Iv: “Noi siamo costruttori – hanno scritto in una nota – Va ricomposto il quadro politico senza soluzioni di fortuna con drappelli di senatori presi uno a uno”.

L’operazione portata avanti dalla maggioranza sarebbe questa: Nencini dovrebbe togliere il simbolo al gruppo di IV per fare in modo che 5-6, ma c’è chi dice 8, renziani possano rientrare nel Pd. Tra questi c‘è Donatella Conzatti che mercoledì aveva aperto al “patto di legislatura” e ieri, in un altro vertice dei parlamentari di IV, ha addirittura paragonato Renzi a Conte. Gli altri pronti a lasciare Renzi e tornare nei dem sarebbero Daniela Sbrollini, Leonardo Grimani, Eugenio Comincini, Mauro Marino e forse anche l’ex M5S Gelsomina Vono. Questi ieri hanno criticato la scelta di aprire la crisi. Renzi, dalla sua, prova a bloccare l’operazione: “Bisogna votare il prima possibile in aula – ha detto ieri ai suoi parlamentari – ogni giorno che passa da Chigi cercheranno responsabili spaccando il nostro gruppo”. Ai renziani in uscita si aggiungerebbero gli ex grillini Gregorio De Falco (“se il governo cambia passo, io ci sono” dice al Fatto), Tiziana Drago (“Siamo disponibili”), qualcuno dal Maie e gli ex M5S Martelli, Pacifico, Ciampolillo e l’ex Pd Cerno. Non è escluso che un sostegno possa arrivare anche dall’Udc. Nel frattempo parte la controffensiva della Lega per portare via qualche possibile “responsabile” alla maggioranza. Martedì la conta in aula.

Il Pd molla Renzi. “È inaffidabile in ogni scenario”

A scaricare definitivamente Matteo Renzi, l’ipotesi di un Conte ter e la voglia di ridimensionare il premier, il Pd ci mette meno di mezza giornata. Con quello che ormai a livello mondiale è considerato Demolition man è impossibile avere a che fare. Per dirla con Nicola Zingaretti, Iv è “inaffidabile” in qualsiasi scenario.

C’è una strana atmosfera di leggerezza tra i dem, come dopo un divorzio sofferto, che pareva impossibile: così i dem riescono ad archiviare (forse) definitivamente il fu Rottamatore, guardato con astio e sospetto dalla maggioranza del partito pure quando era segretario e tollerato sempre meno dopo la scissione.

A questo punto, al Nazareno parte il cambio di scenario con il via ufficiale alla soluzione Responsabili. Ci sono Roberto Gualtieri e Andrea Orlando, Dario Franceschini, Andrea Marcucci e Graziano Delrio all’ufficio politico di ieri mattina. Insieme alla segreteria. Al Nazareno si respira un’aria di compattezza inevitabile. Conte mercoledì ha offerto un’apertura, per quanto relativa, Renzi ha sbattuto la porta. Nessuno ha particolari rimpianti, tra chi davvero ha cercato fino all’ultimo momento di tenerlo dentro la maggioranza e chi ha lavorato soprattutto perché non ci fossero dubbi su chi stava rompendo. Il trattativista che più ha lavorato a ricucire nelle ultime ore, il capodelegazione dem Franceschini dà la linea: “Le maggioranze in un sistema non più bipolare si cercano e si costruiscono in Parlamento, è già avvenuto due volte in questa legislatura, e non c’è niente di male nel dialogare apertamente e alla luce del sole”.

Dal Senato gli è stato dato ieri il quadro della situazione. In corso ci sono una serie di operazioni. Quali sono i paletti lo dice lo stesso ministro: devono essere disponibili a sostenere un governo “europeista”, in grado di gestire “l’emergenza sanitaria, il Recovery”. Ma anche di approvare “una legge elettorale su base proporzionale”. La richiesta del Pd a Giuseppe Conte è che costruisca una “maggioranza politica”, ovvero che chi arriva dia delle motivazioni precise. I dem a Palazzo Madama stanno lavorando sul Gruppo Misto. E poi, soprattutto, per riportare nel Pd una parte del gruppo di Iv (si parte da 5, si punta a 7-8): sarebbe un tassello a favore della tesi che il governo resta nel perimetro della maggioranza, ove l’operazione andasse in porto. “Non è fatta, non è facile”, mettono le mani avanti un po’ tutti nel Pd. E dunque, al Nazareno delineano anche l’unico scenario possibile in caso di fallimento: un governo istituzionale guidato da Marta Cartabia, che porti il Paese al voto a giugno. Perché di esecutivi di tutti, i dem non vogliono sentir parlare.

Se Conte dovesse spuntarla alla prova del Senato, l’idea è di fare subito dopo il tavolo programmatico e discutere solo allora di assetti di governo. Su una cosa i dem sembrano decisi a tenere il punto: la delega ai servizi segreti il premier la deve lasciare. Comunque vada, a questo punto il Pd cerca di capitalizzare la crisi per portare a termine il progetto complessivo alla base del governo giallorosso: un’alleanza organica con M5s, una federazione di liste, con a capo proprio Conte. L’uscita di Renzi dovrebbe facilitare il raggiungimento dell’obiettivo: al suo posto, come gamba centrista, dovrebbe entrare Carlo Calenda.

Nel frattempo, ieri le truppe renziane si agitavano piuttosto disorientate. Si racconta di un colloquio tra Ettore Rosato e Andrea Orlando, con il primo che chiedeva notizie sul Conte ter, solo per sentirsi rispondere che non ci sono più le condizioni.

Renzi, comunque vada, sembra definitivamente all’angolo. Ma gli amici raccontano che già lavora all’ennesima mano di poker: cercare di rilevare l’eredità politica di Silvio Berlusconi e offrirsi a Matteo Salvini come puntello moderato. Il prossimo film, il prossimo rischiatutto.

Conte, operazione Costruttori: ora anche Mattarella ha detto sì

L’avversario che voleva abbatterlo ha sbagliato l’ultima mano, da pokerista ingordo. E ora Giuseppe Conte sembra poter superare la seconda crisi di governo in tre anni, facendo leva proprio su quei Responsabili che mercoledì sembravano eresia per Pd e Quirinale, e a cui adesso i dem lavorano “alla luce del sole” (Dario Franceschini dixit) e che anche il Colle è pronto ad accettare. Tra lunedì e martedì il presidente del Consiglio sarà alle Camere (prima a Montecitorio, martedì in Senato) per le “comunicazioni sulla crisi” e quindi sottoporsi a un voto che di fatto sarà di fiducia. Con la convinzione di avere i numeri.

Lo ha confermato ieri a Sergio Mattarella, da cui ha avuto il via libera per andare in Parlamento, e che nell’attesa ha concesso di prendere ad interim la delega della ministra all’Agricoltura appena dimessasi, la renzianissima Teresa Bellanova. Niente dimissioni insomma. E se la prossima settimana supererà i passaggi in Parlamento, compresa la votazione sullo scostamento di bilancio, il premier potrà uscirne perfino più forte. Ergo, si è rovesciato tutto in poche ore, dopo la conferenza stampa di mercoledì sera di Matteo Renzi, che invece di incassare la retromarcia di poche ore prima del premier (“Il governo può andare avanti solo col sostegno di tutte le forze della maggioranza”) ha strappato ugualmente, facendo dimettere le sue due ministre e dicendo di tutto contro il presidente del Consiglio. Ma così ha bruciato il lavorio del Pd e del Quirinale per un Conte-ter, costretti a prendere atto dell’inaffidabilità del fu rottamatore. E ha cementato come non avveniva da un’era geologica i 5Stelle, tutti compatti sul premier. “E dire che mercoledì Conte era pronto a fargli concessioni importanti…”, sussurra un grillino.

Ora invece da Palazzo Chigi parlano di “clima molto buono”. E salutano come “un ottimo segnale” l’uscita allo scoperto dei socialisti Maraio e Nencini, che al Senato ospitano sotto le loro insegne Italia Viva. “Siamo costruttori” fanno sapere. Tradotto, sono pronti ad accogliere i Responsabili pro-Conte nel loro gruppo (e si parla di una dicitura “per Conte”). Mentre diversi di Iv sono dati come in rientro nel Pd. Dove Franceschini giustifica così l’operazione: “Siamo in un sistema parlamentare in cui le maggioranze di governo si cercano in Parlamento, senza vergognarsene”. Del resto “i numeri ci sono ampiamente” celebrano i grillini. Anche perché Conte ieri ha passato buona parte della mattina a fare telefonate per blindare l’operazione. Finora aveva delegato solo a emissari, del Movimento. Ieri si è mosso per chiedere e rassicurare. “Non ha promesso posti” giurano. Qualcosa, anzi di più, dovrà dare, è ovvio. Ma il più è fatto, secondo Conte. Ed è per questo che ieri è tornato con un altro spirito al Colle, dicendo a Mattarella di voler “parlamentarizzare la crisi”. E il presidente gli ha concesso la prova in Parlamento. D’altronde al Colle avevano già ampiamente registrato la frattura tra Renzi e il Pd.

Ma qualcosa potrebbe aver spostato anche il M5S, che nel corso di varie riunioni ribadisce il sostegno al premier e l’addio definitivo a Iv. “A un nuovo governo con i renziani non darò la mia fiducia” chiarisce su Facebook la senatrice Barbara Lezzi, vicina ad Alessandro Di Battista. Ed è la conferma che tutte le anime del Movimento sono pronte a deglutire i Responsabili, pur di liberarsi del fu rottamatore e di ripartire con Conte. Lo ha constatato anche il reggente Vito Crimi, che ha consultato tutti i big del Movimento (compreso Di Battista), E che ieri lo ha detto nella riunione con i 5Stelle di governo: “Dobbiamo accettare i Responsabili, perché senza di loro la situazione potrebbe solo peggiorare”. Ma con determinati paletti, spiegano fonti del M5S: “Serve un gruppo di ispirazione liberale, lontano dai sovranisti”.

Per questo la mossa di Nencini fa gioco, mentre la Lega come azione di disturbo fa sapere che presto toglierà qualche senatore ai grillini. Dove qualcuno invoca ancora un rimpasto di governo. Ma Conte punta a sostituire solo le due ministre e il sottosegretario renziano. Sui sostituti discuterà presto con i partiti, e con i Responsabili.