Il 2020, si sa, ha segnato il de profundis per la cosmologia dei concerti e di tutti gli altri grandi, o piccoli, eventi dal vivo. E non poteva essere altrimenti. Adesso, certo, sta arrivando la vaccinazione di massa, ma occorrerà del tempo, e resta perciò massima la confusione sotto il cielo del rock e dintorni.
Che fare? Sacrificare a priori, forse con eccesso di pessimismo e zelo, l’anno appena iniziato, o ricorrere invece a un gramsciano ottimismo della volontà? Magari confermando, Vasco Rossi docet, i mega-tour fissati nell’estate 2021? Manca a un po’ a tutti noi, in maniera sempre più implacabile, quella magica fiamma bioritmica che solo gli spettacoli oggi definiti “in presenza” possono accendere. Diciamoci la verità: per chi non appartiene alla Generazione Z, lo streaming è giusto un succedaneo. Ci vorrebbe allora, in attesa dell’immunità di gregge, una terza via. Una exit strategy a tempo determinato per riaccendere i motori dell’industria live. Prima che il trauma collettivo, economico e socio-culturale, si estenda ulteriormente. E, perché no, provando a pensarli e a riprodurli i nuovi appuntamenti dal vivo, con modalità e lineamenti non troppo dissimili di quelli che possedevano in un tempo remotissimo, appena un anno fa e rotti. Fatte salve, ovviamente, le indefettibili precauzioni del caso.
Mentre alle nostre latitudini divampano le ipotesi sull’imminente festival di Sanremo (si legga il pezzo qui accanto, ndr), c’è chi congettura, allargando il discorso, una primavera-estate lastricata di biglietti elettronici Covid-free (“Sei vaccinato? Ok, puoi entrare e buon concerto”) e di spray disinfettanti-immunizzanti, da spruzzare sula folla in estasi. Un esempio concreto e illuminante arriva dalla Spagna e porta la firma del Primavera Sound, il festival indie per eccellenza. Più di mille persone hanno partecipato, lo scorso 12 dicembre, a una sperimentazione clinica (nome tecnico, Primacov) tenutasi nella mitica sala concerti Apolo di Barcellona. Un test codificato da importanti autorità sanitarie del territorio. Obiettivo: quello di verificare la possibilità di celebrare, fin da subito, eventi live senza distanziamento sociale, ma in sicurezza. Prima di accedere, gli astanti (tra i 18 e i 59 anni) erano stati sottoposti a test antigenici rapidi e a un tampone molecolare che hanno dovuto ripetere otto giorni dopo. E poi tutti tranquillamente dentro. A ballare e cantare, come in un weekend del 2018.
L’unico scotto pagato al new normal, l’obbligo di indossare, per l’intera durata dell’happening (ben cinque ore tra chitarre e dj-set), una mascherina certificata N95. Che si poteva togliere solo in alcune aree, per esempio per bere un drink. La ventilazione del locale era stata ottimizzata ad hoc, gli steward controllavano che non si formassero code per andare al bagno. Null’altro. E dai primi risultati è emerso che nessuno del nutrito campione ricontrollato è risultato positivo al Coronavirus.