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L’ambiguità del Pd sulla prescrizione

Grande vergogna per la fine del procedimento contro l’establishment di Rfs Italia che di fatto pone in evidenza il problema della prescrizione. Ora ci sono le dichiarazioni di solidarietà degli esponenti del Pd nei confronti delle povere famiglie incise dal disastro, evidenziando tra l’altro il ruolo che ha avuto la prescrizione nella fattispecie. Ma non erano gli stessi che tuonavano contro Bonafede per la sua legge che annullava la prescrizione a partire dalla sentenza, diciamo negativa, in primo grado? Forse c’è un po’ di schizofrenia. E poi c’era l’immancabile “Pipiritto” che aveva in mente di far cadere il governo per questo fattore, se nel frattempo non fosse arrivato il Covid, pronunciando parole di fuoco sulla barbarie che si stava perpetrando.

Marco Olla

 

Mi sono proprio stufato dell’Innominabile

Per favore cancellate il cognome Renzi dal nostro giornale. A quasi 87 anni non lo sopporto più!

Giobatta De Gasperi

 

Ma chi l’ha detto che siete filo-governativi?

Ormai il Fatto è diventato un movimento d’opinione. Lo si deduce dalle lettere che vengono scritte dai lettori e dalla volontà di tutti noi di sostenere il “nostro” giornale, nelle battaglie legali avviate da Renzi, Boschi, Casellati. Ormai è l’unico giornale libero da condizionamenti opportunistici, politici e mediatici. Chi sostiene che il Fatto sia un giornale filo-governativo, sbaglia sapendo di sbagliare. Chi non ricorda gli articoli volti a condannare i comportamenti di Berlusconi e Renzi, quando costoro erano al posto di Conte? Ora siamo governati da persone di buon senso. Certo, non sempre adottano le giuste soluzioni, però sono onesti e corretti. Questo gruppo, nella situazione terribile in cui ci troviamo, almeno ci ispira fiducia e tranquillità.

Paolo Benassi

 

Caro Paolo, noi abbiamo criticato anche il governo Conte ogni volta che ci pareva lo meritasse: nomine sbagliate, conferma di Descalzi all’Eni, politiche dei trasporti, chiusure di cinema e teatri, “riforma” dell’abuso di ufficio. Se passiamo per filo-governativi è solo perché, diversamente da quasi tutti gli altri, non critichiamo Conte e i suoi ministri anche quando hanno ragione o fanno cose buone. Il che, per nostra fortuna, accade molto più spesso che sotto i precedenti governi.

M. Trav.

 

Tre fake news da evitare su ambiente ed economia

“Siamo in un regime neoliberista”. Con il 45% del Pil che transita attraverso mani pubbliche, una altissima pressione fiscale, imprese pubbliche o semipubbliche ai vertici della Borsa, e una burocrazia tra le meno favorevoli al mercato, sembra un’affermazione perlomeno dubbia. Darla come un’ovvietà è una fake news.

“Se ci sono molti morti in un incidente, ci deve essere sempre un colpevole”. Alcuni incidenti avvengono in seguito a una concatenazione di fatti estremamente rara, e prevale la fatalità, o l’impossibilità tecnica di individuare le responsabilità esatte. L’eccezionalità della concatenazione è dimostrabile soprattutto con le statistiche. L’assunzione a priori dell’esistenza di un colpevole, come la sua collocazione al vertice dell’organizzazione implicata, deve essere dimostrata. Affermarlo come un’ovvietà è una fake news basata su aspetti emotivi.

“L’aria in Italia (in Lombardia) è sempre più inquinata”. I dati di tutte le fonti ufficiali dimostrano esattamente il contrario per tutti gli inquinanti pericolosi per la salute umana.

La gravità della disinformazione è dimostrata da una recente ricerca europea, che contrappone la percezione pessimistica in tutti i Paesi, all’andamento reale dei fenomeni. Continuare ad affermarlo come una cosa certa è una fake news.

Marco Ponti

 

Caro Marco, sei un ingegnere e ne sai più di me.

Ma, se al punto 2 ti riferisci alla strage di Viareggio, ti ricordo che nei due giudizi di merito (Tribunale e Corte d’appello), l’ex ad delle Ferrovie dello Stato Mauro Moretti è stato riconosciuto colpevole di disastro ferroviario insieme ad altri dirigenti e condannato a 7 anni di reclusione.

M. Trav.

 

Ecco la vera grandezza della famiglia Agnelli

Gli Agnelli hanno scaricato MicroMega, hanno distrutto la reputazione della Juventus; hanno svenduto Fca ai francesi e hanno umiliato Scalfari, costringendolo a parlare solo del suo io. Gli Agnelli si sono trasformati in caprette!

Aurelio Scuppa

 

La firma di Corrias è una garanzia

Voglio esprimere la soddisfazione che mi dà leggere i pezzi di Corrias, veramente una firma che conferisce lustro a tutto il giornale.

Natale Ghinassi

Ogm – Il Parlamento sia trasparente e non accetti le nuove direttive Ue

 

Gentile redazione, scrivo a proposito dell’iter parlamentare avviato presso la Commissione Agricoltura della Camera sui decreti pro Ogm e Nbt, le nuove tecniche di manipolazione genetica che, se venissero introdotte in Italia, provocherebbero un impatto notevole sul settore agricolo. Ho partecipato insieme a molte associazioni alle iniziative di protesta contro l’uso degli organismi modificati geneticamente nelle coltivazioni e contro il libero scambio di prodotti agricoli trattati con il glifosato. Nonostante la sentenza della Corte di giustizia europea abbia ritenuto che le Nbt (new breeding techniques) siano tecniche di modificazione genetica, queste vengono presentate come la frontiera più avanzata dell’agribusiness, con buona pace delle coltivazioni biologiche e delle imprese impegnate a recuperare le colture autoctone e originarie. La ministra Bellanova nell’incontro con il segretario dell’Agricoltura statunitense, Sonny Perdue, ha assicurato “collaborazione in ricerca e innovazione, con particolare riguardo alle tecniche innovative di genomica vegetale”: è forse questa la svolta green da realizzare con i fondi europei?!?

Iolanda D’incecco

 

Gentile Iolanda, ha ragione. Di Ogm si parla poco, spesso in discussione di nicchia, senza coinvolgere e informare sufficientemente i cittadini. È un problema che interessa molti ambiti, ma su questioni vicine alla quotidianità, come ciò che arriva a tavola, l’assenza di un confronto trasparente e comprensibile pesa ancora di più. Sulle Nbt nelle scorse settimane è stato lanciato l’allarme dal Wwf, dall’Acu, Aiab, Ari, Fair Watch, Federbio, Firab, Greenpeace, Isde, Legambiente, Lipu, Pro Natura, Slow Food, Coordinamento europeo Via Campesin. Secondo tutte queste associazioni, nella distrazione da pandemia e da scadenze, le Commissioni hanno discusso le proposte di decreto legge su sementi e materiale di propagazione talmente tecniche da nascondere un primo via libera all’utilizzo anche di questo tipo di Ogm, nonostante le nostre leggi non lo prevedano e dietro lo schermo del recepimento delle direttive europee. In effetti, a guardare i testi, risultano molteplici riferimenti agli Ogm inspiegabili dato il nostro quadro normativo. Il Parlamento sul tema può solo esprimere un parere non vincolante ma ha comunque un peso. Al momento, l’ok è arrivato solo in commissione al Senato, riunita oltretutto a ranghi ridottissimi il 28 dicembre e ora si attende quello della Camera. Eppure sono effettivamente misure non necessarie né urgenti che dovrebbero essere approfondite e condivise meglio, non valutate a ridosso delle festività e in gran silenzio. Eventualmente, anche modificate. Altrimenti il sospetto che tutto sia stato fatto alla chetichella diventerebbe più che lecito.

Virginia Della Sala

Più parla di sé e più sta sulle palle

Non è nuova la tesi secondo la quale Matteo Renzi stia facendo tutto questo casino per “bisogno di visibilità”. Lo ha ripetuto, lunedì sera a Otto e mezzo, Pier Luigi Bersani, caricando sul leader di Italia Viva il termine “vigliaccata” a proposito della salute degli italiani usata a sproposito per ottenere i soldi del Mes. Ora, se è pur vero che la visibilità mediatica del senatore di Rignano è alle stelle (9.138 citazioni a fronte delle 8.754 del premier Giuseppe Conte) trattasi di una potenza di fuoco che non accresce di un solo decimale la “popolarità” del suo partitino personale, impantanata sotto un malinconico 3 per cento. Alla luce di questi numeri si potrebbe dedurre che il Rottamatore stia rottamando il principale postulato della civiltà dell’immagine (politica e non). Ovvero: parlate male di me purché parliate di me. Coniato sull’idea che la peggiore iattura che possa capitare a un essere umano sia quella di essere ignorato dai propri simili.

Ma, come è noto, Renzi è anche un innovatore e gli va perciò dato atto di avere creato, empiricamente, le basi per un secondo postulato. Ovvero: più parlo (parlate) di me e più sto sulle palle a tutti. Con un’eccezione (anche Carlo Calenda sta sulle palle a molti, pur tuttavia nei sondaggi cresce al 4 %) e un paio di corollari. Primo: provocare la crisi di governo con il Paese messo in ginocchio dalla pandemia avrebbe lo stesso effetto sulle persone di un tale che, poniamo, giura solennemente sul suo immediato ritiro della politica se perde il referendum (come è andata a finire si sa). Secondo: si può considerare la reputazione più importante dei voti, o viceversa, ma perdere l’una senza neppure avere gli altri è da bischeri (scusate il toscanismo). Esiste una terza ipotesi: che Renzi abbia deciso di sacrificarsi e di farsi esplodere, come Pietro Micca, per il bene supremo del Paese. Adesso però non c’è bisogno di ridere.

“Gli Spada a Ostia sono un clan di mafia”

Il clan Spada di Ostia è mafia. Anche per i giudici di secondo grado. Ma Carmine, detto “Romoletto”, considerato capo del clan, è riuscito a evitare l’ergastolo. La pena massima è stata confermata solo per Roberto Spada, noto per la testata rifilata al giornalista Rai Daniele Piervincenzi – vicenda che gli era già costata una condanna a 6 anni in primo grado – e Ottavio Spada, detto “Marco”. Ieri, la prima Corte di Assise di Appello di Roma ha rimodulato le pene assegnate ai 17 imputati del maxi-processo contro alcuni degli Spada, travolti dalle inchieste della Dda di Roma e dagli arresti scattati in seguito all’operazione “Eclissi” del 25 gennaio 2018.

In primo grado, Carmine, detto “Romoletto”, e i due reggenti Roberto e Ottavio, erano stati condannati all’ergastolo come mandanti, nel 2011, del duplice omicidio Galleoni-Antonini. Ieri, in Appello, i giudici hanno rideterminato le responsabilità di quell’omicidio, indicando in “Robertino”, 45 anni, e “Marco”, 32 anni, gli unici ad aver recitato un ruolo di primo piano in quel regolamento di conti.

Così – salvo diversi pronunciamenti in Cassazione – per “Romoletto” gli anni da scontare in carcere saranno “solo” 17 (“sono soddisfattissimo”, ha commentato il suo difensore, l’avvocato Mario Giraldi), mentre è di 12 anni e mezzo la pena per Ottavio. In totale, i giudici hanno inflitto agli imputati oltre 150 anni di carcere, contestando a vario titolo reati come l’associazione a delinquere di stampo mafioso, l’omicidio, l’estorsione e l’usura. La sentenza della Corte d’Appello conferma dunque l’impianto accusatorio portato avanti in questi anni dalle inchieste della Dda di Roma che aveva individuato nel clan Spada un “gruppo criminale” che si era “impossessato di un pezzo di città”, facendo di fatto sistema con i “cugini” Casamonica e Di Silvio, seppur su fronti geografici diversi. Traffico di stupefacenti, racket, usura, minacce, estorsioni, attribuzione fittizia di beni, controllo di attività economiche come stabilimenti balneari, sale giochi e esercizi commerciali di vario genere: gli Spada sono stati i padroni di Ostia per almeno tre lustri. Una escalation, di affari e di sangue, iniziata nel 2002, dopo il vuoto creatosi a seguito dell’omicidio di Paolo Frau – e culminata nel 2011, con il duplice omicidio di Francesco Antonini detto “Sorcanera”, e Giovanni Galeoni detto “Baficchio”. A quell’evento seguì la pax mafiosa imposta dal boss di Afragola, Michele Senese, detto “O’ Pazz”, che regalò agli Spada carta bianca sugli affari del litorale.

Dopo la sentenza, la sindaca della Capitale, Virginia Raggi, in un tweet ha scritto: “A Roma non c’è spazio per questi criminali. Noi siamo al fianco dei cittadini onesti che denunciano violenze e soprusi”. Per Giampiero Cioffredi, presidente dell’Osservatorio per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio, è “una sentenza che rafforza la fiducia dei cittadini nello Stato e conferma che le mafie non sono invincibili”. Ma Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, avverte: “Ora si deve iniziare a capire quanto rilevante sia il concorso dei cosiddetti ‘colletti bianchi’, quelli che occasionalmente si rapportano ai sodalizi senza affiliarsi agli stessi”.

Oliverio, assolto, sfida il Pd. Ma è imputato in 3 processi

Quattro gennaio. Pagina Facebook dell’ex presidente della Regione Mario Oliverio: “È una sentenza netta, chiara. La giustizia finalmente è arrivata, in ritardo ma è arrivata”. Stesso giorno e stesso social. La deputata Enza Bruno Bossio: “Vi ricordate il processo ‘Lande Desolate’? Oliverio, io e Nicola siamo stati tutti assolti perché il fatto non sussiste”. In realtà l’ex governatore è stato assolto mentre la parlamentare e il marito, l’ex vicepresidente della Regione Nicola Adamo, sono stati prosciolti in udienza preliminare. Poco cambia: per tutti e tre, secondo il gup, non sussistono i reati di corruzione e, per il solo Oliverio, nemmeno quello di abuso d’ufficio che gli era stato contestato dalla Procura di Catanzaro.

Il legittimo entusiasmo fa subito spazio ai messaggi indirizzati al proprio partito che, alle ultime elezioni regionali, ha parcheggiato in un angolo l’imputato Oliverio preferendogli l’imprenditore Pippo Callipo. “Ora – si sfoga l’ex presidente – è necessaria una riflessione approfondita”. Quale non è dato saperlo. Il giorno dopo, però, lo svela la Bruno Bossio. Nel mirino c’è Nicola Zingaretti: “Mi aspettavo che il segretario nazionale del Pd o chi per lui, chiedesse scusa a Mario Oliverio e alla Calabria per aver bruciato, attraverso la mancata candidatura alle scorse elezioni regionali, l’esperienza del centrosinistra in questa regione”. “La verità – aggiunge – è che la sostanziale subalternità della politica ai pm è problema culturale e politico”. La deputata ne fa quindi una questione quasi personale: “È questo il nodo da tagliare”. Ma vediamo cosa raccontano le carte processuali. Mentre la Bruno Bossio ha risolto tutti i suoi problemi giudiziari, Mario Oliverio e Nicola Adamo dovranno ancora frequentare le aule di giustizia, ovviamente innocenti fino al terzo grado di giudizio. Appena un mese fa, infatti, Mario Oliverio è stato rinviato a giudizio per abuso d’ufficio per aver revocato nel 2015 l’incarico al presidente di Fincalabra, Luca Mannarino, in violazione degli articoli 54 e 97 della Costituzione. L’udienza è fissata a settembre ma prima Oliverio ha altri due processi. Come quello sul contributo che la Regione Calabria ha concesso per il “Festival di Spoleto”: 95mila euro di fondi pubblici per finanziare “un evento giornalistico con finalità privatistiche di promozione politica”. Per la Procura l’ipotesi di reato è il peculato e a novembre l’ex governatore dem è stato rinviato a giudizio con l’ex deputato del Partito democratico, Ferdinando Aiello.

Ad aprile, invece, inizia il processo “Passepartout” su alcune presunte irregolarità nei bandi di gara per la costruzione del nuovo ospedale di Cosenza, della metropolitana di superfice e del Museo di Alarico. Oliverio è accusato di corruzione, turbativa d’asta, traffico di influenze e abuso d’ufficio. Tranne quest’ultimo, sono tutti reati per i quali è imputato anche Nicola Adamo, pure lui dunque coinvolto nel processo “Passepartout”.

Adamo inoltre a dicembre scorso è stato rinviato a giudizio pure nel maxi-processo “Rinascita-Scott”, che inizia oggi nella maxi aula bunker realizzata allo scopo a Lamezia Terme. Adamo dovrà difendersi dall’accusa di traffico di influenze. Stesso reato per il quale, l’anno scorso, ha ricevuto l’avviso di garanzia nell’inchiesta “Thomas” dove sono emersi i suoi contatti con Pino Tursi Prato, l’ex consigliere regionale del Psdi già condannato per concorso esterno con la ‘ndrangheta. Ma anche con l’ex presidente del Credito cooperativo di Crotone Ottavio Rizzuto che i pm considerano “l’anello di congiunzione tra gli ambienti della politica e quelli della imprenditoria mafiosa”.

Con indagini e processi ancora in corso, quindi, Oliverio si gioca la carta dell’assoluzione per le elezioni regionali. Attacca Luigi De Magistris e, sull’ipotesi di una candidatura del sindaco di Napoli con il centrosinistra, replica: “Mi auguro proprio di no. La Calabria non è l’Etiopia che pure è stata una colonia che ha subito danni enormi”. L’obiettivo è riprendersi la Regione e, dalle colonne del Corriere della Calabria, avverte il Pd: “Io farò la mia parte affinché si rinsavisca e si torni con i piedi per terra”.

“Aliquota di riserva”, l’elenco antifrode per le scorte vaccinali

Si chiama “l’aliquota di riserva”, l’elenco di operatori sanitari che hanno manifestato la volontà di sottoporsi alla vaccinazione e che siano rapidamente reperibili qualora a fine giornata dovessero avanzare delle dosi di vaccino anti-Covid (che deve essere dunque iniettato entro sei ore). Alcune Asl queste liste le hanno già create, altre devono farlo. L’obiettivo è evitare gli sprechi, ma anche che si ripetano casi, come quello di Modena. Un errore “in assoluta buonafede”, ripete da giorni Silvana Borsari, direttrice sanitaria dell’Ausl modenese, a cui fa capo il punto unico di somministrazione del vaccino di Baggiovara dove la sera del 5 gennaio due medici e un volontario hanno vaccinato sei famigliari per non dover buttare altrettante dosi di siero avanzate. Parenti (non aventi diritto, in questa prima fase rivolta solo agli operatori sanitari e sociosanitari e agli anziani delle Rsa) ai quali dovrà ora essere garantito, peraltro, il richiamo. Dopo l’errore, l’azienda sanitaria – che ha aperto una inchiesta interna – è corsa ai ripari. Ora anche qui, ogni giorno, deve essere garantita la cosiddetta “riserva”. Con tanto di responsabile, che ha il compito di gestire quell’elenco. Una procedura che tante strutture sanitarie hanno già adottato per evitare sprechi. Perché se avanzano dosi, le alternative sono due: o si gettano o si trovano velocemente altri operatori a cui somministrarle.

Ma come è possibile, a fine giornata, trovarsi con dosi in eccesso? I motivi sono svariati. Ci può essere chi non si presenta. Oppure chi è in condizioni cliniche che quel giorno lo rendono inidoneo alla vaccinazione. E poi ci sono gli errori dei sistemi informatici sui quali vengono caricate le prenotazioni. In pratica: il sistema registra l’appuntamento ma non dà la conferma all’operatore, che così prenota un’altra volta, ma per un altro giorno. “A noi è successo e una sera ci siamo trovati con 18 dosi in più – spiega Gabriele Gallone, medico all’ospedale San Luigi di Orbassano, in provincia di Torino –. Abbiamo risolto chiamando altri medici e infermieri”. Ogni giorno nei vari punti vaccinali vengono consegnati vassoi con 975 dosi l’uno. Ma la catena della preparazione e della somministrazione comincia con i farmacisti, a cui spetta il compito di diluire il siero (parliamo di quello messo a punto da Pfizer-BionTech, utilizzato in questa prima fase, in attesa anche del vaccino di Moderna) con 1,8 ml di soluzione fisiologica. 0,3 ml invece è la quantità da prelevare per l’iniezione. Un problema comunque potrebbe presentarsi quando questa prima parte della compagna sarà agli sgoccioli: con il personale della sanità quasi interamente vaccinato non ci saranno più riserve a cui attingere e non si sa che fine faranno le dosi avanzate.

Intanto continuano i controlli dei carabinieri dei Nas in tutta Italia: le verifiche riguardano le liste di chi deve vaccinarsi, ma anche la tipologia di conservazione delle fiale e i circa 300 punti di stoccaggio e somministrazione. Finora non sono state riscontrate irregolarità, oltre gli episodi non dolosi di Modena e Scicli (Ragusa), dove grazie ad un “passaparola” il giorno dell’Epifania sarebbero stati vaccinati soggetti non aventi diritto per la mancata presentazione di chi era in lista. Poi ci sono annunci di esposti a Salerno, dove un ex dipendente dell’Asl locale sostiene che il vaccino è stato somministrato a impiegati e sindacalisti dell’Asl non a contatto con il pubblico. E a Napoli, con l’associazione Noiconsumatori che sostiene di aver ricevuto una decina di segnalazioni. Qui c’è anche il caso della Mostra d’Oltremare dove un paio di centinaia di persone hanno provato, senza fortuna , a infiltrarsi per ricevere il vaccino. I Nas stanno verificando se abbiano agito di propria iniziativa o siano stati chiamati da qualcuno. Proprio in Campania fa discutere la lista del piano vaccinale redatto dall’Unità di crisi antivirus della Regione. L’ordine di priorità colloca le direzioni strategiche degli enti sanitari al punto cinque, prima dei medici di base, relegati al punto sei. Al punto otto (su 11) ci sono i componenti dell’Unità di crisi, che si sono autodichiarati “categoria a rischio” e sarà anche vero.

“Il piano pandemico non è solo sanitario. Ma la bozza va bene”

“Il ministero della Salute ha fatto passi da gigante rispetto al 2006, la bozza del nuovo piano pandemico 2021-2023 è un grande salto di qualità. Ma ci sono direttive internazionali non recepite fino in fondo”, osserva l’ex generale Pier Paolo Lunelli, esperto di guerra chimica e batteriologica, autore del rapporto che afferma che l’Italia avrebbe avuto migliaia di morti in meno con un piano pandemico aggiornato, ora agli atti della Procura di Bergamo che indaga per epidemia colposa. “L’Oms utilizza termini militari: livello operativo, livello tattico, esercitazioni. È una pianificazione quasi militare che riguarda il ministero della Salute ma investe anche carceri, istruzione, trasporti, eccetera. E i piani regionali e locali non sono secondari. Il piano della Lombardia non sarà quello della Sardegna”.

Quali sono in concreto le direttive internazionali?

La base è il documento A checklist for pandemic influenza risk and impact management aggiornato nel 2018 dall’Oms. Al punto 2.0 c’è la chiave: “Prepararsi all’emergenza”. Cioè il concetto operativo, il ruolo dei diversi soggetti.

Cosa manca?

Il livello più alto. Non riguarda solo il ministero della Salute. Può funzionare per la Svizzera, non per l’Italia. In Gran Bretagna hanno fatto l’errore iniziale di puntare all’immunità di gregge, ma il piano c’era, del 2011, con integrazioni specifiche su mascherine, scuole, disponibilità del personale sanitario, comunicazione. Nel 2016 hanno fatto l’esercitazione “Cygnus” e pubblicato un report delle lezioni apprese: non hanno risolto il problema delle scorte di dispositivi e se lo sono ritrovato. È il lavoro da fare in Italia, la bozza è un punto di partenza. Si discute sull’etica della scelta di chi curare con risorse scarse, ma serve una legge.

Ci penseranno i magistrati, come a Bergamo, dove si discute di molte morti per mancanza di respiratori.

Non può essere un medico a decidere. Né può entrare nel merito l’Oms, che deve rivolgersi a Paesi poveri e ricchi e non può dire quante terapie intensive per abitante bisogna avere. Altro esempio: il protocollo violato dall’anestesista che ha deciso di fare il tampone al paziente 1 di Codogno anche in assenza di relazioni con la Cina

La prima circolare era giusta, poi le direttive Oms hanno richiesto link epidemiologico.

L’Oms dà uno standard minimo. Poi ci devono pensare gli Stati. Chi raccoglie i dati? Lo Stato. Il piano deve prevederlo

Ci vogliono tanti soldi.

No, tanto tempo, organizzazione e formazione. La Germania aveva 21.500 terapie intensive, noi 5.000. Quando sono arrivati a 12 mila posti occupati hanno potenziato fino a 32.500: era previsto, il personale era addestrato anche a questo e le attrezzature le costruiscono in casa. In Svizzera spetta al ministero della Salute indicare le strutture da trasformare in postazioni di triage, poi la Protezione civile ha le tende, i progetti. Nel 2014 hanno fatto un’esercitazione in cui il piano è stato applicato senza energia elettrica, con i generatori. Ma la Svizzera ha una legge sulle epidemie del 2012 che dice chi fa cosa. Da noi quando si cercano i riferimenti normativi si parte ancora dai Regi decreti.

Astrazeneca, primo passo per il via libera al vaccino. Oggi le nuove restrizioni

Sono arrivati lunedì i dati, l’Agenzia europea del farmaco Ema valuterà il 29 gennaio l’autorizzazione provvisoria per il vaccino Astrazeneca/Oxford su cui la Commissione Ue e l’Italia hanno scommesso di più anche perché è europeo, costa meno di quelli americani, si conserva nei normali frigoriferi. In Gran Bretagna, come sappiamo, è già in uso. Per il nostro Paese, da contratto, sarebbero 40 milioni di dosi entro giugno, sempre che le scadenze siano rispettate dopo i ritardi della multinazionale anglo-svedese. Si devono probabilmente alla minor consistenza del campione (23 mila contro i 43 mila di Pfizer/Biontech) che ha richiesto tempi più lunghi per il verificarsi di un numero significativo di casi rilevanti di Covid-19 che consentisse di valutare la percentuale di protezione di coloro che avevano assunto, rispettivamente, il vaccino e il placebo. Ma anche al problema della mezza dose iniziale somministrata per errore (seguita dalla seconda, intera, dopo un mese), che però ha funzionato meglio (90% dichiarato) di quella intera da protocollo (63%) almeno con un campione molto limitato (appena 2.741 persone) e per di più composto di soli under 55, ovviamente meno suscettibili di ammalarsi gravemente.

Astrazeneca cambierebbe le prospettive di una campagna vaccinale che, per quanto prosegua a ritmi elevati (ieri siamo arrivati a 752 mila, siamo a circa 50 mila al giorno), riguarda ancora solo il personale sanitario, in misura variabile ma minore le residenze per anziani e non ancora gli over 80 che non vivono nelle case di riposo. Senza Astrazeneca non ci si arriva presto. Pfizer/Biontech, al cui vaccino si è aggiunto ieri quello di Moderna, dovrebbe garantire 8,749 milioni di dosi entro marzo, tuttavia per ora ne consegna 450/470 mila a settimane: in tre mesi fa al massimo 5,6 milioni, diciamo pure che valgono come 6,7 aggiungendo il 20% che si ricava con le fiale da cinque dosi che diventano sei, ma non sono 8,749. Si tratta sulle consegne ma una data fissata per il loro incremento non c’è ancora. Ieri sono arrivate le prime 47 mila dosi di Moderna, ne arriveranno 780 mila entro febbraio, dovrebbero essere 1,346 milioni entro marzo. Al ritmo attuale di Pfizer il totale fa circa 8 milioni: con due dosi ciascuno, alla fine del primo trimestre si completerebbero gli operatori sanitari (1,4 milioni) e gli ospiti e il personale delle Rsa (570 mila), ma non anche gli ultraottantenni (4,4 milioni, in parte però già conteggiati nelle Rsa). Come ripete il commissario Domenico Arcuri la strada “è ancora lunga”. La Commissione Ue ragiona di un “patentino” per i vaccinati.

Fa discutere l’idea di somministrare la prima dose al maggior numero possibile di persone e ritardare la seconda fino a 120 giorni (contro i 21 del protocollo Pfizer), come stanno già facendo in Gran Bretagna a volte anche somministrando prima un vaccino e poi l’altro. L’ha rilanciata ieri sul Corriere della Sera l’illustre farmacologo Giuseppe Remuzzi dell’Istituto Mario Negri, riferendosi – ha spiegato – alla seconda fase della campagna vaccinale. Ma molti esperti, come il professor Giuseppe Ippolito dello Spallanzani, non sono d’accordo a stravolgere il protocollo. Al ministero della Salute ritengono che la Gran Bretagna, in una situazione al momento più grave della nostra, abbia scelto di rischiare una minore protezione individuale a favore di una maggiore protezione di comunità. Noi per ora possiamo risparmiarcelo.

Non che le cose vadano bene. Oggi il ministro della Salute, Roberto Speranza annuncia in Parlamento le misure allo studio, un decreto legge un nuovo Dpcm in vigore da sabato 16 gennaio, i cui contenuti abbiamo già anticipato: prorogati lo stop ai movimenti interregionali, il coprifuoco alle 22, il sistema dei colori; zona arancione automatica dove la valutazione di rischio è alta e comunque Rt è pari o superiore a 1, zona rossa a 1,25. Il Comitato tecnico scientifico ha detto sì allo stato d’emergenza fino al 31 luglio, Giuseppe Conte vorrebbe limitarlo al 30 aprile.

I contagi aumentano: siamo sui 200 in più a settimana ogni 100 mila abitanti, l’ultimo report settimanale era a 152. Ieri 14.242 nuovi casi con 141 mila tamponi, indice al 10% in calo, sulle persone testate al 26,6% in lieve discesa. Migliora un po’ la situazione in Veneto, non in Emilia-Romagna e in Lombardia. Il carico sugli ospedali è stabile ma alto. Ieri altri 661 morti.

Ma su tutti i social Matteo fa flop: “Irresponsabile”

Per dare il benservito al governo, Matteo Renzi oggi farà una conferenza stampa. Ma un assaggio, alla vigilia del Consiglio dei ministri, lo ha dato ieri nella sua e-news in cui ha attaccato il governo su piano pandemico, Mes, vaccini, scuola, prima di chiedere ai propri utenti di sostenere, iscriversi e difendere il piccolo partito “sui social”. Peccato che non gli sia andata benissimo: la maggior parte dei commenti su Twitter e Facebook sono di utenti, ex elettori e cittadini che attaccano a testa bassa l’ex premier per aver aperto la crisi di governo. Stefano Cligeri, suo ex elettore, è deluso e Renzi non lo voterà più: “Il più grande errore di valutazione della mia vita” risponde su Twitter. Stessa idea di Andrea Lecchi che si rivolge a Renzi ricordandogli la fine politica di Italia Viva in caso di voto anticipato: “Appena si andrà a votare ci penseranno gli elettori a farti sapere cosa ne pensano delle tue proposte e delle tue spregiudicate manovre politiche” cinguetta. Anche Promezia, da ex sua sostenitrice, è amareggiata: “Tipo la proposta della poltrona per la Boschi a Bolzano. Mi spiace, dopo avervi creduto adesso non vi credo più”. E così via.

Quelli di ieri sono solo alcuni dei tantissimi commenti negativi che Matteo Renzi è stato costretto a leggere nelle ultime settimane sui propri profili social dove ogni giorno ha pubblicato interviste, interventi, conferenze stampa e propri “pensierini della sera”. A ogni post che faceva preludere alla crisi del governo Conte, 9 commenti su 10 erano in dissenso dalla posizione dell’ex premier. L’accusa più comune è quella – lanciata per esempio su Facebook da Elena – di essere “un irresponsabile”: “Sei nella coalizione di governo, per cui dovresti provare a mediare invece che lanciare lo spauracchio della sfiducia ogni due per tre giusto per avere quelle due poltrone in più”. Poi c’è chi, come Riccardo, gli fa notare che parla “come un leader dell’opposizione” e in molti gli ricordano due evidenti contraddizioni: quando, nel 2016, disse che in caso di sconfitta al referendum si sarebbe ritirato dalla politica e poi, nel maggio 2017, quando Renzi definì “inaccettabili i veti dei piccoli partiti”. Ovviamente non manca chi accusa il leader di Iv di aver aperto una crisi di governo “in piena campagna vaccinale” e con l’Italia che ha avuto “80mila morti” per Covid. Ma il mese terribile di Renzi sui social network è stato caratterizzato anche dall’ironia che ha accompagnato le sue manovre politiche. In primis i molti meme: da Renzi che, come Jep Gambardella ne La Grande Bellezza, ha il potere “non solo di partecipare ai governi ma anche di farli fallire”, fino all’ex premier che fa “Ciaone” a Conte con riferimento al nome del suo piano, ma anche la ministra Teresa Bellanova ripresa con alle spalle un carrello stracolmo di valigie per tutte le volte in cui ha minacciato di andarsene con la solita frase: “Io ho la valigia pronta”, diceva insieme alla sua collega, Elena Bonetti, per avvertire delle sue dimissioni.

Ma il video che è spopolato in Rete è una vecchia intervista di Renzi quando era ancora a Palazzo Chigi (settembre 2016) alla Bbc in cui dava sfoggio di un inglese quantomeno rivedibile. Parlando del referendum sulla Brexit, l’ex premier iniziava così, con una bizzarra sintassi e una pronuncia che ricordava i tempi del più celebre “shish”: “This is was the first reaction: SHOCK! Shock because in our mind everything is totally connected with the Uk” (La nostra prima reazione era stata di choc, perché nella nostra mente tutto è connesso con la Gran Bretagna). E giù parodie e meme sugli choc delle fidanzate che chiedono “scusa” per la prima volta o sui baristi del nord che pretendono 20 centesimi per un bicchier d’acqua. Non una bella figura, insomma, per Renzi, che nel 2020, è l’unico leader politico italiano ad aver perso follower su Facebook, mentre tutti gli altri crescevano: meno 5 mila utenti.

Renzi col 2% è Mr. Ovunque: quotidiani, radio e talk

Interviste a tutta pagina sui grandi giornali, brevi comizi durante i tg con risposte spot da 15 secondi, colloqui fiume nei talk show da mane a sera (soprattutto sui canali Mediaset), ma anche qualche ospitata radiofonica e, visto che avanzava tempo, brevi dirette sul web per galvanizzare i propri follower.

Matteo Renzi nell’ultimo mese è stato ovunque. A ogni orario, su ogni mezzo. Senza soluzione di continuità. I dati parlano chiaro: 10 interviste ai giornali in 37 giorni (quasi una ogni quattro), 13 in tv per un totale di 245 minuti (oltre 4 ore di video) e altre 3 via radio (36 minuti). Ergo: con 26 interviste in poco più di un mese, quasi ogni giorno sui media italiani era presente la voce di Renzi. E questo nonostante il senatore di Scandicci sia il leader politico meno popolare d’Italia (11% secondo gli ultimi dati Ipsos) e il suo partito, Italia Viva, non riesca da mesi a superare la soglia del 2%. Eppure, da quando ha deciso di aprire prima la verifica e poi la crisi di governo, Renzi è stato il leader politico più presente sui media italiani.

Tutto questo tralasciando le decine di interviste – con ieri siamo a quota 66 – che i suoi fedelissimi e parlamentari (dalle ministre Teresa Bellanova a Elena Bonetti, passando per Maria Elena Boschi ed Ettore Rosato) hanno rilasciato solo ai grandi giornali per sostenere la causa “anti-Conte”. Ma nonostante questo, il suo adepto in Commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi, da giorni sostiene che “Italia Viva sia oscurata” dal Tg1 fino a parlare di “cinegiornale luce” e paragonare Conte al dittatore nordcoreano Kim Jong-un. Non solo: ieri lo stesso Renzi nella sua e-news ha fatto riferimento al racconto della crisi di governo da parte dei mezzi di informazione italiani. Ma nella sua testa è stato lui a essere stato penalizzato dai media: “A differenza di ciò che raccontano a reti unificate i cantori del pensiero unico – ha scritto il leader di Italia Viva – non c’è nessuna richiesta di poltrone, nessuna polemica pretestuosa, nessun atto irresponsabile. Quello che noi stiamo facendo si chiama politica: studiare le carte, fare proposte, dare idee”. Resta da capire dove abbia trovato il tempo visto che nell’ultimo mese era sempre in tv, sui giornali o sui social.

I giornaloni alle spalle. La prima intervista che aveva fatto accendere una spia a Palazzo Chigi era stata a La Stampa il 5 dicembre, lo stesso giorno in cui il premier Giuseppe Conte aveva deciso di illustrare parte del Recovery Plan in un colloquio con Repubblica. Ma Renzi, come al solito, aveva deciso di rovinargli la festa minacciando la caduta del governo in caso di voto negativo sulla riforma del Mes in Senato che sarebbe arrivato quattro giorni dopo. Titolo dell’intervista: “Se andremo sotto in Aula il premier dovrà dimettersi. Il rimpasto? È troppo tardi”. Due giorni dopo, la prima minaccia alla vigilia del voto a Palazzo Madama con un’intervista a Repubblica: “Conte si fermi, basta metodi sprezzanti. No a inutili task force”. E così via, con un’escalation di minacce e penultimatum durati oltre un mese: l’11 dicembre al Messaggero (“Al voto in caso di crisi? No, si vede se c’è una maggioranza”), il 12 di nuovo a La Stampa (“Conte si scusi e ritrovi lucidità altrimenti pronti a farlo cadere”) e il 18 al Corriere della Sera (“Ora tocca al premier dare risposte altrimenti il governo va a casa”). A cavallo di Capodanno, sul governo non era sceso il sereno. Anzi, Renzi iniziava a minacciare di andare “all’opposizione” (intervista al Sole 24 Ore del 31.12) fino a sfidare il premier “alla conta in aula” (Il Messaggero, 2.1). Il 4 gennaio al Corriere invece il leader di Italia Viva si sostituiva al presidente della Repubblica: “Aspettiamo Conte in Senato, tutti sanno che non si andrà a votare”. Le ultime due interviste risalgono a domenica scorsa quando, contemporaneamente a Repubblica e La Stampa, Renzi ha fatto capire che per lui il governo era arrivato al capolinea: “Dal premier zero risposte, se vuole la conta in aula fa un errore politico e numerico” (Rep.). Ma la frase più indicativa l’aveva concessa al quotidiano torinese: “Basta con questa telenovela, se il piano non è ok via le ministre”.

Per non farsi mancare nulla, Renzi si è poi concesso a due giornali esteri: l’11 dicembre allo spagnolo El Paìs e ieri al tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. Altre due occasioni per silurare il governo.

A reti unificate. Nel frattempo, dal 5 dicembre in poi, il leader di Italia Viva non poteva fare a meno anche di apparire in video. E così ha collezionato ben 13 interviste tra Tg e talk show in cui ogni volta ha alzato il tiro su ogni argomento possibile: la task force il Recovery Fund, il Mes, il ponte sullo Stretto, la “mancanza di visione”, il ritardo della campagna vaccinale, la delega ai Servizi segreti, il “caso Barr” e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo in due ospitate a Tg5, Stasera Italia (il talk show di Rete4 di Barbara Palombelli), L’Aria che Tira di Myrta Merlino su La7 e #Cartabianca di Bianca Berlinguer su Rai3. Nel mezzo interviste al Tg2, Tg3, Quarta Repubblica di Nicola Porro sempre su Rete4 e non poteva certo mancare, il 9 dicembre, la terza camera: Porta a Porta di Bruno Vespa su Rai1. Il totale delle interviste è impressionante: 245 minuti, pari a oltre quattro ore di video.

Radio e web. Nella scorpacciata comunicativa di Renzi anche la radio ha avuto un ruolo con tre interviste: due a distanza di dieci giorni, 18 e 28 dicembre, sui programmi di Radio 1 (Radio Anch’io e Zapping) e una su Rtl 102.5 di lunedì mattina a Non Stop News. È qui che il leader di Iv ha fatto capire che le cose sarebbero precipitate rispondendo a un retroscena del portavoce del premier Rocco Casalino, smentito, secondo cui “andiamo in Senato e asfaltiamo Renzi”. Il senatore ha replicato: “Bene, andiamo in aula e ci conteremo lì”. L’iperpresenzialismo di Renzi si è manifestato anche sui social con retweet dei suoi parlamentari e post in cui riproporre le sue interviste con hashtag bizzarri (tipo #escilo, riferito al piano sul Recovery), ma anche un breve video del 21 dicembre per perorare la causa del Mes, che i 5Stelle non vogliono perché sono “populisti antieuropei come ai tempi del Conte-1”. Toni che hanno portato alla rottura definitiva.