“Europa, attenta a Orbán: può appiccare l’incendio”

Chi potrebbe essere l’emulo di Donald Trump in Europa? Quale leader, in nome di un fantomatico ‘imbroglio elettorale’, avrebbe la spregiudicatezza di tentare un colpo di mano, una dimostrazione di forza? Anton Shekhovtsov, professore all’Università di Vienna, consulente dell’Istituto svedese di Affari internazionali, autore di numerosi articoli e libri sui movimenti di estrema destra nell’Est europeo, non ha dubbi e indica Viktor Orbán, il premier ungherese a capo del partito Fidesz (Unione civica ungherese).

Lei ha scritto che Trump ha combinato autoritarismo e populismo. Guardando alla mappa europea, chi gli assomiglia più degli altri è l’uomo che lei ha già citato: Viktor Orbán.

Direi piuttosto il contrario: è Trump ad assomigliare ad Orbán, ma il premier ungherese è più furbo, non agirebbe mai come ha fatto Trump, che è caotico e rumoroso; per questo, a mio avviso, Orbán è più pericoloso.

Professor Shekhovtsov, ma è pensabile che scene simili si ripeteranno in Europa?

Non noto un impatto così significativo nei gruppi di estrema destra europei.

La storia però sembra capovolgersi. Vedremo adesso i neonazi americani ispirare quelli europei e non viceversa, come è accaduto agli inizi del secolo scorso?

Sono destre diverse. Nonostante l’eredità comune del nazionalismo e ultranazionalismo, i movimenti sono eterogenei. Il fenomeno del neo-nazismo cospirazionista, come quello dei Proud Boys o dei Bogaloo, è prettamente americano. I movimenti statunitensi , nel complesso, hanno riscontrato difficoltà a tradursi nel contesto europeo. Solo uno si è diffuso; il cospirazionista QAnon, che ha fatto presa tra i Gilet gialli in Francia. In Germania è diventato quello dei Reichsburger, “i cittadini del Reich”, un movimento anti-semita che non riconosce la legittimità della Repubblica federale tedesca e rimane sotto osservazione delle autorità. Le origini dei gruppi sono importanti e, se parliamo di influenze reciproche, allora dobbiamo ricordare comunque che il partito fascista americano, presente sin dagli anni 30 del secolo scorso negli Stati Uniti, non è mai stato bandito, e iscriversi è legale.

In Europa l’assalto a Capitol Hill sarà da monito o da ispirazione?

Più che dalla massa arrabbiata, da principio i movimenti di estrema destra di casa nostra sono rimasti affascinati da Donald Trump, che diceva di voler sfidare liberali, democrazia, o il cosiddetto “globalismo”. I movimenti radicali in Europa sono vicini a partiti ancora marginali o estremamente piccoli, Trump è invece il leader di uno dei più grandi partiti americani e non esiste una figura analoga, con tale presa e potere, nel contesto dell’Unione. La differenza sostanziale è questa: in Europa non estremisti di destra e cospirazionisti non hanno referenti così in vetta, tranne qualche eccezione, come per esempio, l’Ungheria.

In questo periodo quali Paesi sta monitorando con più attenzione?

I Paesi di Visegrad: Polonia, Ungheria, Repubblica ceca: se parliamo di politici estremisti e neonazisti, con un seguito e bacino elettorale minimo, invece indico Slovacchia e Romania.

“Il mio allarme a Capitol Hill è stato ignorato”

Non si vedono lacrimogeni, né spari in aria, né gente braccata con piedi sulla testa o ammanettata a terra e colpita con i manganelli. Eppure nel nuovo video pubblicato dal quotidiano statunitense New York Times, si vede chiaramente la polizia di Capitol Hill cercare – senza successo, questo sì – di frenare la folla degli assaltatori seguaci di Donald Trump. Si vedono gli agenti fendere la folla che ancora manifestava davanti al Campidoglio con caschi e scudi, sistemare transenne all’ingresso delle scalinate laterali, così come impegnarsi in un corpo a corpo – restando anche incastrati tra le porte scorrevoli – per evitare che i “terroristi di casa nostra”, come li ha definiti il presidente eletto Joe Biden, avessero accesso all’interno dell’edificio. La polemica dei due pesi e due misure utilizzati dalla polizia del Campidoglio che lo stesso Biden aveva cavalcato, facendo notare la differenza di approccio tra la resistenza usata contro i supporter di Trump rispetto alla violenza usata nelle manifestazioni contro il movimento dei Black Lives Matter ad esempio, potrebbe chiudersi qui.

Se non fosse che, a proposito della Guardia Nazionale schierata durante le proteste dei Blm al Campidoglio, l’ex capo della polizia di Capitol Hill, Steven Sund, dimessosi e sostituito ad interim dall’assistente capo Yogananda Pittman, ieri intervistato dal Washington post , non abbia addossato la responsabilità ai funzionari della sicurezza di Camera e Senato che avrebbero respinto le sue richieste di chiamare la Guardia Nazionale in vista di una manifestazione a sostegno del presidente Trump. I due, Paul Irving e Michael Stenger, che fanno diretto riferimento ai rispettivi presidenti delle Camere: Nancy Pelosi – la quale ha personalmente richiesto a Sund di lasciare l’incarico – e a quello del Senato, Michael McConnell, al contrario avevano riferito che l’aiuto della Guardia Nazionale sarebbe stato possibile, peccato che dal Campidoglio, leggi Sund, nessuno lo avesse richiesto. Più di tutto avrebbe inciso proprio il parere del sergente Irving, funzionario di Pelosi che dichiarò di “non sentirsi a proprio agio con ‘la prospettiva’ di proclamare formalmente un’emergenza in vista della manifestazione pro-Trump”, secondo Sund. L’altro invece, il collega del Senato, Stenger, gli avrebbe almeno raccomandato di chiedere in modo informale alla Guardia di tenersi pronta nel caso fosse necessario un suo intervento. Ora anche Irving e Stenger hanno rassegnato le dimissioni, ma ormai è tardi. Sund giura di aver chiesto aiuto sei volte in tutto, il 10 gennaio: prima e durante l’attacco. Per sei volte la richiesta sarebbe stata negata o ritardata. Ma non sarebbe tutto: “Una volta che la folla ha raggiunto il Campidoglio alle 12.40 – sostiene Sund – ci sono voluti circa 15 minuti per superare il perimetro del lato ovest”, come mostrano le immagini del Nyt. Questo perché la polizia disponeva di 1.400 persone contro 8 mila rivoltosi. “Se ci fosse stata anche la Guardia Nazionale avremmo potuto tenerli a bada più a lungo, fino a quando non sarebbero arrivati altri rinforzi”, ha spiegato Sund, il quale ha anche raccontato di una teleconferenza con diversi funzionari delle forze dell’ordine verso le 14.26 in cui ha chiesto al Pentagono di fornire supporto. “Non mi piace l’immagine della Guardia Nazionale schierata con il Campidoglio sullo sfondo”, avrebbe detto il tenente generale Walter E. Piatt, ragione per cui, a detta sua, non poteva ordinare al segretario dell’esercito Ryan McCarthy di autorizzare il dispiegamento. Sarebbero passate più di tre ore prima dell’arrivo della Guardia Nazionale. Molto dopo che il danno al Campidoglio era già stato fatto, compreso il contagio da Covid-19 cui sarebbero stati esposti, secondo il medico del Congresso i funzionari. In molti si sarebbero infatti rifiutati di indossare le mascherine. Il primo caso è la rappresentante dem del New Jersey, Bonnie Watson Coleman.

“Incitamento all’insurrezione”. L’accusa per affondare Trump

I Democratici alla Camera vogliono bruciare i tempi, sbarazzarsi ora e per sempre di Donald Trump presidente e candidato alla presidenza, costringere il suo vice Mike Pence a uscire allo scoperto sul 25° Emendamento, tracciare il percorso per un nuovo impeachment. I Repubblicani frenano e riescono a imporre un voto di verifica: oggi, la Camera dovrà pronunciarsi su una risoluzione che chiede a Pence di attivare entro 25 ore l’emendamento della Costituzione che prevede la rimozione del presidente in caso di incapacità. I Democratici, in realtà, avrebbero già voluto varare ieri la risoluzione, ma i Repubblicani con l’arma del regolamento sono riusciti a guadagnare un giorno con manovre dilatorie. Però i Dem hanno già fatto i compiti a casa: se il 25° Emendamento sarà un binario morto, perché Pence e il governo non saranno di sicuro unanimi nell’attivarlo, è già pronto ed è già stato formalmente presentato alla Camera l’articolo per l’impeachment di Trump. L’atto di accusa cita l’avere incoraggiato, mercoledì scorso, l’assalto dei suoi sostenitori al Campidoglio che ha fatto cinque morti e diversi feriti.

Il capo di imputazione è uno: incitamento all’insurrezione. Nelle sue quattro pagine, il documento fa riferimento ai proclami di vittoria – falsi – di Trump sul suo rivale Joe Biden, alle pressioni fatte sui responsabili della Georgia per ribaltare l’esito del voto nello Stato e al comizio del 6, quando sobillò i suoi fan perché attaccassero il Congresso. Ci si muove su un terreno costituzionalmente inesplorato: per nessun presidente, s’è mai fatto uso del 25° Emendamento in casi simili – è avvenuto per interventi chirurgici in anestesia totale o, solo al cinema, in AirForceOne, quando si temeva che il presidente fosse ostaggio di terroristi -; e nessun presidente è mai stato sottoposto a due impeachment; e non c’è mai stato un impeachment ‘postumo’, a presidenza scaduta. Si pensa di avviare il processo cento giorni dopo l’insediamento di Biden il 20 gennaio, per evitare che i primi passi della nuova Amministrazione s’impantanino in beghe politiche. A quel punto, tutto si ridurrebbe all’interdizione a vita del magnate dai pubblici uffici: una mossa dettata – parrebbe – più dal timore dei Democratici si ritrovarselo candidato nel 2024 che da ansia di giustizia; e che farebbe pure gioco agli altri aspiranti repubblicani alla nomination 2024.

Biden, che punta sulla riconciliazione e non sull’inasprimento delle divisioni, si mantiene estraneo dell’operazione orchestrata dalla speaker della Camera Nancy Pelosi, che non è affatto sicura che l’impeachment passi. La Camera, dove i Democratici sono maggioranza e dove già si contano nero su bianco 218 adesioni (su 435 deputati), approverà la messa in stato d’accusa del magnate, forse anche con qualche voto repubblicano. In Senato, però, per la condanna serve una maggioranza dei due terzi: democratici e repubblicani sono 50 pari; bisognerà trovare 17 senatori repubblicani che votino con i democratici – ammesso che questi siano compatti – e, finora, a uscire allo scoperto contro Trump, sono stati solo Mitt Romney, Lindsey Graham, Lisa Murkowski e Pat Toomey. Trump, che secondo vari media si sarebbe pentito di avere dato via libera a una transizione pacifica dei poteri e che non parlerebbe con Pence dal 6, sta formando la squadra di legali per difendersi dall’impeachment: dovrebbero farne parte Rudolph Giuliani e Alan Dershowitz, che hanno già lavorato per lui nel primo impeachment, un anno fa. Giuliani, però, ha pure i suoi guai: rischia l’espulsione dall’Ordine degli Avvocati di New York per le dichiarazioni ai sostenitori del magnate prima che assaltassero il Congresso. Un’inchiesta è in corso.

Il Vaccino globale in otto mosse

Secondo il College of Physicians di Philadelphia, il tempo necessario allo sviluppo di un vaccino va dai 10 ai 15 anni perché richiede la decifrazione del genoma del virus, lo sviluppo del farmaco e tre fasi di test clinici. Ma, in occasione di questa pandemia, le cose sono andate diversamente.

Il 9 gennaio 2020 il governo cinese ha riferito che era stato identificato il virus responsabile della Covid-19 e il 12 gennaio ne rendeva disponibile la sequenza genetica. Agli inizi di giugno circa 170 gruppi di ricerca erano scattati nella gara all’invenzione del vaccino; a fine luglio già 26 vaccini erano candidati alla sperimentazione sugli esseri umani; a fine ottobre oltre 200 vaccini erano in fase di sviluppo. Il 9 novembre il gruppo Pfizer-Biontech ha annunziato che il suo vaccino era pronto e l’8 dicembre la sua prima dose è stata somministrata nel Regno Unito. Il 17 dicembre gli Stati Uniti hanno approvato il vaccino dell’azienda Moderna. Dunque, per creare l’antivirus sono bastati più o meno gli stessi mesi che occorrono per mettere al mondo un bambino.

Parlando a Rai3, il farmacologo Silvio Garattini ha spiegato che questo miracolo è dovuto almeno a tre fattori concomitanti. Il primo consiste non solo nella tempestività con cui si è agito ma anche nella modalità con cui si è cercata la soluzione: mai prima d’ora era stato creato un vaccino con la tecnologia Rna, per cui è stato possibile modificarlo con un processo più rapido, senza bisogno di effettuare grandi test e senza il pericolo di interagire poi con il nostro Dna.

Il secondo fattore, che ha consentito di realizzare in pochi mesi ciò che di solito richiede molti anni, consiste nelle risorse economiche di cui hanno potuto disporre i ricercatori. Se le imprese farmaceutiche avessero dovuto contare solo sui propri capitali, si sarebbero comportate in modo molto più prudente; avere a disposizione enormi finanziamenti pubblici le ha incentivate a tagliare i tempi. Ad esempio, hanno cominciato a produrre le dosi del vaccino prima ancora che si testasse definitivamente. Se i test fossero risultati negativi, si sarebbero gettate tutte le scorte accumulate, ma se fossero risultati positivi (come poi è stato) si sarebbero avute, con enorme anticipo, milioni di dosi già pronte per essere somministrate. Il terzo fattore consiste nell’eliminazione o nello snellimento di molti passaggi burocratici.

Il processo di creatività collettiva che si è squadernato sotto i nostri occhi in questi mesi ha superato per ampiezza e costi la corsa alla produzione della bomba atomica organizzata a Los Alamos nel secolo scorso, quando il progetto Manhattan coinvolse per sette anni nove università e numerosi altri laboratori americani. E ha superato persino il “Progetto Genoma” per la mappatura del Dna.

Ogni singola azienda e ogni singolo gruppo ha operato per proprio conto, in gran segreto come gli scienziati atomici a Los Alamos. Invece gli Istituti superiori di sanità e i governi dei vari Paesi – soprattutto quelli europei – si sono tenuti in contatto permanente tra loro, come avevano fatto i laboratori del “Progetto Genoma”. Dunque l’egoismo e l’agonismo economico delle singole aziende hanno soddisfatto il vecchio liberismo di Adam Smith; il lauto finanziamento pubblico ha soddisfatto l’interventismo di Roosevelt e di Keynes; la paura del virus globalizzato, che ha contagiato democraticamente tanto Johnson e Macron quanto l’ultimo degli inglesi e dei francesi, ha fatto il resto.

La rapida creazione dell’antivirus ci ha fornito anche un’utile occasione per comprendere come procede la scienza nel suo sviluppo incessante. I primi epistemologi che se ne occuparono (Locke, Berkeley, Hume, Kant, Russell) erano convinti che il progresso scientifico dipendesse esclusivamente dalle straordinarie capacità induttive di singoli scienziati geniali come Galileo o Newton. Altri epistemologi (Popper, Lakatos, Kuhn) hanno avanzato l’ipotesi che il progresso dipende dai paradigmi elaborati e condivisi dalle comunità scientifiche.

Ma quanto è avvenuto in questi mesi tira in ballo altri epistemologi, secondo i quali la scienza progredisce senza alcun metodo, in base al caso e alle occasioni (Fayerabend), e altri ancora (Lakatos soprattutto) secondo cui progredisce in base ai programmi dei governi o delle grandi imprese che decidono quali programmi finanziare e quali no. Ad esempio Pfizer eBiontech, già esperte nel trattamento dell’Rna, di fronte all’occasione della pandemia hanno capito che questo era il loro momento e hanno immediatamente dirottato sul progetto Covid-19 più di 1.200 ricercatori.

In materia di Intelligenza Artificiale, l’Human Brain Project della Ibm vi sta investendo somme iperboliche impegnando per dieci anni oltre 10.000 addetti. Per obiettivi analoghi la Huawei sta impiegando 80.000 ricercatori con un investimento di 20 miliardi di dollari l’anno. Con programmi così mastodontici e mirati come può non progredire la scienza in questo campo? L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che i vaccini salvino ogni anno tra i 2 e i 3 milioni di persone ma che, se tutti nel mondo avessero uguale accesso alle vaccinazioni, si potrebbe salvare un altro milione di individui. Il fatto è che gli scienziati lavorano per i programmi che interessano chi li paga.

Dunque la rapidità con cui è stato messo a punto il vaccino anti-virus è funzione di almeno otto fattori. Anzi tutto la genialità delle migliaia di scienziati che hanno condotto le ricerche, tra cui spiccano la biochimica ungherese Katalin Karikó, vicepresidente della Biontech e la tedesca Kathrin Jansen, senior vicepresidente della Pfizer. Va notato, per inciso, che durante tutti questi mesi la Jansen ha diretto l’intera operazione lavorando in smart working.

Altri fattori determinanti sono stati l’occasione del tutto casuale, fornita dall’improvvisa esplosione della pandemia; l’immediato stanziamento di grandi finanziamenti pubblici convogliati sulla ricerca dell’anti-virus; lo scatto concorrenziale delle aziende più veloci nell’afferrare un’occasione di business senza precedenti (quella che Hirshman chiamerebbe hability to invest); il know how manageriale sfoderato dalle aziende migliori nel pianificare il loro processo creativo (quella che Hirshman chiamerebbe capacity to invest); la competitività tra decine di aziende agguerrite e soprattutto tra Pfizer-Biontech e Moderna; la potente e sofisticata strumentazione tecnologica oggi disponibile; il pungolo implacabile con cui i media hanno incalzato governi, aziende e ricercatori, trasformando la ricerca dell’anti-virus in una ricca caccia al tesoro tra aziende e tra nazioni.

 

La benzina sul fuoco “populista”

La democratica Nancy Pelosi con la richiesta di impeachment, e il democratico Twitter con la censura social si stanno attivavando a favore di Donald Trump per rimetterlo rapidamente in sella. È davvero sconcertante la costanza con la quale una certa classe liberal degli Elevati (corrispondente qui da noi alla sinistra cosiddetta progressista, o della Ztl) non faccia altro che alimentare con le sue crociate da weekend il vittimismo dell’America perdente convenuta il 6 gennaio a Washington. Che se vogliamo non è che l’altra faccia del complottismo di QAnon, scatenato contro le élite che dominano il mondo. Cosicché un presidente bollito, sputtanato e con la valigie in mano viene trasformato con poche mosse nel simbolo del martirio ordito da quelle stesse élite per liberarsi definitivamente del beniamino di 74 milioni di elettori Usa, sconfitto dalla più gigantesca congiura dei brogli della storia. Una narrazione della frustrazione che andava lasciata sedimentare e svelenire e sulla quale invece la vendicativa presidente della Camera dei Rappresentanti ha versato benzina a volontà. Dopodiché, sulla base dell’impeachment preteso, l’uomo dalla chioma arancione potrà costruire con rinnovata gagliardia la campagna elettorale per la rielezione del 2024. In genere, quando arriva, la seconda ondata è sempre peggio della prima e senza paragonare, per carità, il sovranismo al Covid, dalle due coste dell’Atlantico si farebbe un colossale errore a considerare già vinta la battaglia globale contro la destra trumpista e nazionalista. È difficile dire se Joe Biden riuscirà nell’impresa di riunire le Americhe separate da un fossato che la “persecuzione” a questo punto abbastanza inutile di Trump non può che approfondire. Lo stesso vale per l’Europa dove le elezioni del 2019 hanno fermato l’avanzata dell’egoismo populista, puntando in extremis sui valori della cooperazione. Non dimenticando il ruolo protagonista avuto dal M5S che oltre ad aver drenato e ricondotto nelle istituzioni il partito della rabbia ha determinato l’elezione al vertice della Commissione europea di Ursula von der Leyen. Una presidenza fondamentale nel riavvicinare Bruxelles a Roma, e nel concederci i 209 miliardi di aiuti in pieno tsunami virus. Infatti, con la stessa cieca supponenza dei Democrat di Capitol Hill, gli amiconi italiani di Biden (Matteo Renzi ma non solo) godono un mondo a sperare in una disfatta elettorale dei 5stelle. Dopodiché la seconda ondata del Salvini &Meloni potrà finalmente dilagare.

Mail box

 

L’asse Usa-Italia tra complottisti e boiate

I complottisti sono particolarmente fantasiosi, hanno la mente fervida. In America ancor di più. Ann Vandersteel, giornalista e consulente della recente campagna elettorale di Trump in Florida, ha scritto su Twitter che gli italiani hanno truccato il voto 2020, in America. In particolare, l’arguta Vandersteel ha sostenuto che, oltre a Obama, Matteo Renzi “ha orchestrato tutto con l’aiuto della Cia”. Ma come è possibile? L’ex rottamatore non è stato capace neppure a far vincere Scalfarotto alle Regionali in Puglia!

Marcello Buttazzo

 

Non mi piace il nuovo “Espresso”

Domenica 13 dicembre ho comprato Repubblica. In regalo l’Espresso. Gli articoli firmati Damilano e Turco, fantastici. Pieni di non notizie e turbate. A pagina 18 una frase in maiuscolo: “Col Covid si è trasformato prima era prudente e diplomatico. Ora è diventato decisionista e accentratore” accanto una foto di Di Maio. Così crediamo sia una frase di Di Maio. Invece è una frase della Turco. Non male. L’esordio: abbiamo un premier a forma di piramide. Spiegazione? Lui è poliedrico nel senso di poliedro ed è a pareti lisce, al contrario di una piazza, di un emiciclo, di una tavola rotonda. Chiaro no? Arriva l’accusa perché Conte lavora di notte che, come si sa, protegge i malfattori. È giusto. Di notte il premier dovrebbero organizzare festini a casa loro. E le bugie? Renzi voleva snellire il Parlamento eliminandone il Senato. Peccato che con la vittoria del Sì il Senato sarebbe rimasto. Termino solo sottolineando come l’importante sia riempire le pagine di falsità, di bugie che sembrano verità e far passare come uno statista chi ci invitava a chiedere scusa a Berlusconi. E a far dimenticare che Conte ha dimostrato di essere persona onesta che fa leggi per il Paese e non per sé. Capito perché l’Espresso lo regalano?

Enzo Formisano

 

Un appunto su Feltri e i miei ringraziamenti

Caro Marco, mi è cascato l’occhio sull’editoriale di Vittorio Feltri, che iniziava con il tuo nome. Leggendo ho capito che elogiava la tua insuperabile capacità di scrittura. Niente di nuovo, visto che te lo dicono tutti. Solo che mi sarei aspettato dal Vittorio furioso e becerante che evidenziasse, oltre a un senso di invidia, almeno una briciola di contestazione sul contenuto dei tuoi scritti, e non solo far riferimento ai tuoi elenchi di chi dovrebbe dir cose almeno sensate e non solo bischerate, variabili secondo gli umori del loro acume politico, il cosiddetto pensiero anti Conte o anti Cinquestelle, che a dir il vero sono gli unici estranei a ricatti e conventicole spartitorie del denaro pubblico. lo ti ringrazio, invece, per quegli elenchi, semplicemente perché leggere certi contenuti mi fa venire il mal di stomaco e nei tuoi elenchi li trovo semplificati. Ti penso in contemporanea in ottima salute, che non vorrei fosse per te compromessa, come di solito accade quando si mangiano troppo spesso cose disgustose e indigeste.

Luciano Giovannini

 

Caro Luciano, per fortuna godo ancora di buona salute. Quanto a Feltri, usa il solito metodo dei nostri detrattori: non risponderci mai nel merito. Per questo non l’ho considerato neppure degno di risposta.

M. Trav.

 

Ma davvero B. potrebbe rappresentare lo Stato?

Da alcuni giorni cerco assolutamente di sapere se Berlusconi puo candidarsi alla presidenza della Repubblica. So benissimo che non spetta a voi la risposta ma, sono certo che avete la competenza per rispondermi.

Biagio Stante

 

Caro Biagio, in teoria sì, essendo stato “riabilitato” dalla Corte di Appello di Milano e avendo terminato il periodo di interdizione dai pubblici uffici. Almeno fino a un’eventuale nuova condanna definitiva.

M. Trav.

 

È un vero piacere leggere Tana De Zulueta

Leggo con immenso piacere, dopo un bel po’ di tempo, sulle nostre colonne del Fatto Quotidiano, la bravissima Tana De Zulueta. Lucida, precisa come me la ricordavo. Spero di rileggerla ancora spesso sul nostro giornale.

Walther Casadei

SanPa. “Mio figlio tra i salvati: la serie è solo su Muccioli. Ma la comunità?”

A “Sanpa” è andato mio figlio quando aveva 16 anni. Avevamo visto altre comunità, sentito i pareri contrari di alcuni terapeuti, visitato altre colline, superato altre soglie. Però San Patrignano ci sembrava la più adatta. Nessuna vendetta per quel ragazzo magro e ladro di oggetti, di affetti e di se stesso, ma la consapevolezza che soltanto passando dal lavoro duro su se stessi, non per questo forzato, che avrebbe potuto salvarsi. Perché quando avevo a che fare con lui, avevo a che fare con un tossico: era la sua dipendenza ad agirlo e non volevo nessuna complicità con essa. Quando è entrato faceva tenerezza. Era un coglioncello perso. Lo abbiamo rivisto dopo un anno circa. Quel giorno mio figlio si presentò tutto contento. Avevo lasciato un ragazzino perso e avevo davanti mio figlio, luce, sorriso, bocca, occhi, parole, pensieri riconoscibili. Piansi molto ma sorrisi molto anche. Ci portò a vedere la comunità, i settori, a farci conoscere le persone. A ogni settore che visitavamo, il o la responsabile ci accoglieva e ci spiegava cosa facevano: falegnameria, tessile, formaggi, pane. Mio figlio ci portò alle chimiche, il settore dove lavorava. Andammo a mangiare nel grande salone comune. Provate voi a stare con altre 1.300 persone, in silenzio, prima di sedersi a tavola. Un respiro comune, una energia incredibile. È il respiro di 1.300 persone che lottano tutte per uscire dalla droga, per recuperare se stessi. Quando la sera uscimmo, abbracciai al cancello mio figlio. Avevamo occhi pieni di lacrime e di gratitudine. Mio figlio è uscito da Sanpa dopo 4 anni. Quando è tornato a casa aveva la forza del mare e voglia di fare, non di farsi. Aveva imparato un mestiere, a Sanpa, ma aveva anche imparato a stare in piedi, a camminare facendo il suo percorso. Da allora non l’ho più perso. Sono pieno di meraviglia e ammirazione per lui.

Quindi Sanpa, la serie Sanpa, e la comunità, che si dissocia. L’ho vista la serie. È davvero ben fatta, costruita benissimo, sicuramente onesta negli intenti. Io non ho conosciuto Muccioli. Posso quindi credere che la figura che ne esce, dalla serie, corrisponda al vero. Posso capire la lettura che ne fa Selvaggia Lucarelli, posso capire il fastidio, il mio stesso fastidio nel sentire e vedere un super-padre, questo bisogno ossessivo di difendere la comunità e quindi se stesso da ogni sbavatura, sento la forzatura di certi suoi discorsi, vedo e intuisco le crepe e gli strappi e non giustifico i morti, le botte, la violenza e forse la complicità. Vedo però anche il contesto; conosco quanto possa essere disperante avere un figlio tossico, la paura continua, la violenza, l’ansia e l’angoscia e quindi il bisogno lacerante di una soluzione a tutto quel dolore. Quello che ha permesso la nascita della Comunità che ha salvato mio figlio esce dal racconto di quell’uomo così chiaroscurale, che si credeva un santone, che si comportava da padreterno, che forse è complice di un crimine… Quest’uomo così sapientemente dipinto per essere il centro di una serie che non porta il suo nome, come dovrebbe, ma il nome di ciò che ha creato e che tuttora vive. Se si decide di puntare la luce su un fatto si deve essere consapevoli delle ombre. Ecco, la serie Sanpa ha forse questo limite: una lettura bidimensionale che fa finta di non avere priorità. Chi oggi conosce Sanpa, la vive e la giudica per quello che è riuscita negli anni a fare ed essere, anche e soprattutto grazie a Muccioli, e la gratitudine infinita che ognuno di noi ha provato e prova per la Comunità resta intatta.

Francesco Faina

Genesi e peculiarità del renziano: specie in via d’estinzione

Oggi analizzeremo una specie in estinzione: il renziano. Stabilitasi in una parte circoscritta dell’emisfero occidentale tra il 2013 e il 2016 dopo Cristo, tale specie non troppo pacifica si è anzitempo estinta. Le cause non sono ancora note: chi parla di meteorite, chi di propensione all’autodissoluzione, chi di un tweet di Luca Bizzarri. Anche una delle antropologhe che con più trasporto si è interessata alla specie, la dottoressa Gaia Tortora, non è a oggi in grado di fornire una spiegazione esaustiva. Sì, ma chi erano i renziani? Com’erano fatti? Cosa li caratterizzava?

1. Il renziano concepiva la politica come i paninari negli anni Ottanta concepivano l’estetica. Viveva di slogan, non sapeva nulla di nulla e privilegiava la forma al contenuto. Ben sapendo che non aveva né l’uno né l’altro.

2. Il renziano diceva di essere di centrosinistra ma era di centrodestra, e questa tutto sommato era l’unica cosa che lo rendeva di centrosinistra.

3. Il renziano si ispirava a Berlusconi ma ne ricalcava in tutto e per tutto gli stilemi, che è un po’ come voler combattere Pol Pot diventando più ditttaore di lui (È un’iperbole. Lo specifico per gli Anzaldi e le Bellanova).

4. Il renziano conquistò il potere forte della peggiore classe dirigente dai tempi dei visigoti di seconda fila. La loro incapacità totale in qualsiasi campo della retorica, e della politica, era così accecante da affascinare grandi e piccini. “Se ce l’hanno fatta loro tutto è possibile!”. Così pensavano le genti e per questo, un tempo lontano, li supportavano.

5. Il renziano aveva un’idea padronale di democrazia e informazione, ma parlava sempre di complotti e stampa avversa. E il bello è che larga parte dei media gli dava spago, decantandone le lodi in una tiratissima gara di depravazione intellettuale.

6. Il renziano odiava la Costituzione con ferocia cieca, e per questo tentò di distruggerla dalle fondamenta all’apice del successo. Era il 2016 e la vittoria sembrava sicura. Appunto: sembrava.

7. Il renziano adorava un personaggio davvero buffo e oltremodo caricaturale, a cui per motivi insondabili concedeva reverenza assoluta. Tal Condottiero pareva uscito da una satira minore di Aristofane, parlava male l’inglese e malissimo l’italiano, ma si prendeva tantissimo sul serio. Faceva morire dal ridere, ma era sempre l’ultimo ad accorgercene.

8. Il renziano si era creato una bolla comunicativa entro la quale loro erano Illuminati e gli altri reietti. Di questa bolla, durante gli anni d’oro, fecero parte quasi tutti. Era un po’ come il Minculpop dell’Unione Sovietica, però a colori. E con Nobili al posto di Breznev.

9. Il renziano scalò dall’interno il centrosinistra, lo portò al successo e il giorno dopo lo spolpò. Quindi promise di smettere, ma non smise. Continuò a perdere, sprofondando e alfine evaporando. Da tali ceneri non risorse alcuna fenice, ma giusto una Fusani. Fu molto triste. Ma anche molto liberatorio.

10. Dopo l’estinzione, come un pessimo spin off scritto da uno sceneggiatore assai sciatto, nacque (si fa per dire) una sorta di post-renzismo. Era un gruppetto infinitesimale che esisteva solo nel sottoscala sfitto di Twitter, ma i media davano a tale pulviscolo gran peso. Come ogni colpo di coda di regime, il post-renzismo si rivelò molto livido e belluino. Gli ultimi renziani abbaiarono alla Luna e distrussero tutto quel che trovarono, per poi ritirarsi per sempre nelle catacombe del loro ego vilipeso. Non prima di aver detto a se stessi, un’ultima volta, che nessuno era bello come loro.

 

Trump ha un merito: ha tolto il velo alla democrazia Usa

Poiché a noi anziani le Autorità, politiche, scientifiche, mediche impediscono ogni socialità, per tutelarci naturalmente, facendoci così morir di inedia, il giorno dell’Epifania, non avendo null’altro da fare, mi sono messo a rivedere le cassette di alcuni vecchi talk. Fra gli altri mi è capitato fra le mani uno Speciale Sottovoce dell’ottobre 2002 condotto da Gigi Marzullo. C’erano due scrittrici, Barbara Alberti e Patrizia Carrano, che presentava il suo libro Le armi e gli amori, la bella, affascinante e simpatica Moran Atias, di origine israeliana, conduttrice televisiva, Katia Pietrobelli, attrice, Rossana Casale, cantante, Paola Rivetta, anch’essa conduttrice Tv, il giovanissimo Diaco, e il sociologo Sabino Acquaviva l’unico prof della compagnia. Io presentavo Il vizio oscuro dell’Occidente. Manifesto dell’Antimodernità. Poiché si dava già per certo l’attacco americano all’Iraq, responsabile di possedere armi chimiche (che per la verità gli avevano fornito gli americani, i francesi e, via Germania Est, i sovietici in funzione anticurda e antiraniana e che non aveva più, per la semplice ragione che le aveva già usate, nel silenzio generale, sulla cittadina curda di Halabya – 5.000 morti in un sol colpo – e contro l’esercito iraniano) il discorso collettivo s’è fatalmente concentrato sul mio libro. Quindi su questioni storiche, sociali, culturali cruciali: la liceità di portare la Democrazia e i nostri valori in Paesi “altri”, il rispetto di culture diverse dalle nostre, fino a che punto può spingersi questo rispetto quando vengono lesi diritti considerati universali, eccetera. Come ho detto non c’erano specialisti, storici, filosofi, ideologi, ma a parte le due scrittrici, gente dello show business. Eppure il dibattito, sotto la mano leggera di Marzullo, oltre che molto educato è stato di grande spessore.

La cosa mi ha colpito confrontando quel vecchio dibattito con la maggior parte dei talk di oggi, non tutti ovviamente: gazzarre, quasi sempre prive di contenuto, fra politici di parte avversa, fra politici e giornalisti, fra giornalisti e giornalisti, a moine reciproche, mai una domanda che sia una domanda. Gigi Marzullo era allora considerato, ingiustamente, poco più che un frillo, eppure era in grado di produrre e condurre una trasmissione di prim’ordine con ospiti, diciamo così, normali. In un intermezzo dedicato a Bova anche il bel Raul faceva, intellettualmente, la sua porca figura. In vent’anni, che tutto sommato non son molti, siamo precipitati.

Io mi sento di dir grazie a Donald Trump. Per alcuni motivi. Perché almeno per un po’ ci toglierà dalle palle il Covid, l’ossessivo e ossessionante parlar di Covid su tutte le Tv e tutti i giornali. Perché mi sono sbellicato dalle risa davanti all’ipocrita orrore che ha colto tutte le “anime belle” di fronte a quanto stava succedendo a Capitol Hill. Per il velo che The Donald ha tolto alla mitica democrazia americana, quella che vorremmo esportare nel mondo intero, e, sia pur con gradazioni diverse, anche alle altre democrazie occidentali. Persino Recep Tayyip Erdogan e il cinese Xi Jinping hanno osato darci lezioni in proposito. Siccome è da parecchio tempo che si parla di “crisi della Democrazia”, sia pur in modo obliquo e vellutato senza mai andare alle origini del problema, chissà che la lezioncina di Trump non ci induca a promuovere qualche “Speciale” su questa questione fondante. Magari condotto da un sia pur invecchiato Gigi Marzullo.

 

Barabba è in Italia viva e il Pd fa Ponzio Pilato

Mettiamo subito in chiaro due cose: 1) crisi ed eventuali elezioni a seguire dentro la doppia emergenza sanitaria ed economica sarebbero un azzardo, certificherebbero una irresponsabilità imperdonabile di chi le avesse provocate; 2) costui ha un nome e un cognome, quello di Matteo Renzi. Neppure merita indugiarvi, tanto è manifesto. Chi negasse la strumentalità dell’insopportabile tormentone inflittoci per mesi da parte di Italia Viva offenderebbe la nostra intelligenza. Il merito non c’entra nulla, come dimostrano sia l’elenco sterminato delle questioni artatamente sollevate (cui ogni giorno se ne aggiunge una, comprese le più eccentriche), sia la sequela infinita di attacchi portati sui media anziché la leale discussione interna alla maggioranza della quale i renziani farebbero parte. Con l’uso indecoroso delle due donne ministre, da mesi dimissionarie annunciate. Un uso umiliante per loro (che si prestano) e per le istituzioni. Dunque: irresponsabilità, strumentalità, slealtà.

Alla fine lo hanno compreso tutti: Renzi mira solo allo scopo di rimuovere Conte da Palazzo Chigi. Con due obiettivi: 1) dare mostra di contare nel Palazzo, nella disperata speranza che visibilità e protagonismo (Manzoni direbbe: “Una popolarità mal acquisita”), possano strappare lui e il suo partitino da una irrilevanza nel Paese ove il suo consenso sta sotto il 3% e dunque a rischio sparizione; 2) eliminare un competitor politico-elettorale che gode di un cospicuo consenso e spezzare il rapporto Pd-M5S quale asse portante di uno schieramento alternativo al centrodestra, nella convinzione di dischiudere così, con spregiudicate operazioni trasformistiche, qualche prospettiva neocentrista. Un disegno velleitario, che, tuttavia, di sicuro, rende un prezioso servizio alla destra, la quale giustamente fa il tifo per lui, apprezzato come guastatore professionale di un’alternativa a essa.

Non sono un fan di Conte, anche se penso che, nelle condizioni date, politiche e non (la drammatica congiuntura), egli abbia operato bene.

Neppure sottoscriverei la formula, francamente eccessiva, del Conte alto “punto di riferimento dei progressisti” (copyright di Zingaretti). Ma, al netto di questo e persino del consenso personale di cui gode certificato dai sondaggi, piaccia o non piaccia, Conte rappresenta l’elemento di equilibrio non solo del governo di oggi, ma – ecco il punto cruciale – della sola prospettiva strategica suscettibile di allestire un’alleanza che possa competere con la destra-centro oggi favorita. Ripeto: se non vincere, quantomeno competere.

Qui si innesta il problema rappresentato dal Pd, che – è di tutta evidenza – non ha sostenuto con continuità, coerenza e determinazione Conte. Facendo filtrare distinguo, terzietà tra i due contendenti (Renzi e Conte), persino autorizzando il primo a maramaldeggiare al punto da consentirgli di proclamare sfrontatamente che il Pd la pensasse come lui, solo trattenuto da pavidità e ipocrisia. Non senza qualche riscontro se si considerano il renzismo e i renziani che ancora allignano nel Pd, specie al vertice dei gruppi parlamentari. È innegabile se non la doppiezza quantomeno la linea ondivaga del Pd, che ha aperto più di una breccia alla strategia ricattatoria di Renzi. Sono palesi le responsabilità attive e omissive del Pd. La prova? Chiarissimamente, per arginare i taglieggiatori, vi era un solo, unico argomento: prospettare le elezioni per davvero, non tatticamente, non per finta, tenendo il punto. A giorni alterni qualche dirigente Pd lo ha fatto, ma tutti hanno inteso che si trattava di un bluff e Renzi ha potuto rassicurare il manipolo dei suoi transfughi – conosce la pasta di cui sono fatti – che elezioni non vi sarebbero. Privandosi dell’unica arma efficace, il Pd si è messo nelle mani di Renzi e del suo crescendo di provocazioni. Giro la questione a Zingaretti: il problema non è Conte, ma la incerta visione complessiva del Pd. Mi pareva di avere inteso che egli avesse investito sulla prospettiva di un’alleanza strategica – la sola possibile per competere con il centrodestra – che, in concreto, passa attraverso un asse con Conte e il M5S. Vorrei capire se la si è abbandonata. Essendo la sola che abiliterebbe il Pd – notare: che non ha mai vinto una sola elezione politica – ad andare al governo, una buona volta, dopo avere prevalso nelle elezioni. Almeno a provarci. In omaggio a una non ambigua e velleitaria “vocazione maggioritaria”, che, per un partito al 20%, presuppone alleanze.

In questa storia, non c’è Gesù, c’è Barabba, ma c’è anche Ponzio Pilato. Quella non fu storia a lieto fine, il suo epilogo fu la Crocifissione. Improbabile che, nel nostro caso, segua la Resurrezione.