Anno 2150, a Firenze nasce il dibattito sulla statua di Matteo Renzi a cavallo

Nel 2150, Firenze si meravigliò di aver potuto vivere per tanti anni senza una statua di Renzi a cavallo. Come era possibile che uno statista di tale tonnellaggio non fosse celebrato degnamente nella città natale, di cui era stato addirittura sindaco? Il dibattito prese il via alle Giubbe Rosse: lo storico caffè letterario, dove avevano posato le terga illustri Montale, Saba, Gadda, Luzi, Landolfi, Vittorini, Quasimodo, ogni sera vedeva radunarsi una nuova intellighenzia, grazie al cui fiorire improvviso la città, dopo un passato oscuro, stava conoscendo come un nuovo Rinascimento. Gli assidui erano Palla Pucci, coraggioso polemista della Nazione; Vittorio Gianfigliazzi, letterato, traduttore dell’opera omnia del poeta macedone Živko Palanka; Duccio Ricci, pittore neo-futurista; Lapo Doffi, critico d’arte; l’avvocato Manfredo Lamberti; il professor Corrado Corsini, grecista, comunista; e il professor Vieri Capponi, campione di scacchi, nonché urologo di grido. “Siamo dei bei tipi”, diceva Palla Pucci; ma i non iniziati, detti “burbe”, quando si affacciavano curiosi all’ingresso della saletta riservata ne ricavavano l’impressione di una gabbia di matti. L’idea del monumento a Renzi, lanciata da Pucci, in principio lasciò gli altri perplessi: si guardavano a vicenda, credendo a uno scherzo. “Un monumento a Renzi? E perché non al due di coppe quando a briscola comanda bastoni?” celiò Gianfigliazzi. “E perché non al figlio del povero asciugamano?” motteggiò l’avvocato Lamberti. Pucci li incalzò: “Matteo Renzi fu un uomo di genio, verso il quale i suoi contemporanei si mostrarono ingrati. Fu un anticipatore.” “Rottamò l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori,” protestò Corsini. “E difese il prestito di 6,3 miliardi di euro, con fondi garantiti dallo Stato, a Fca, che non solo aveva sede fiscale all’estero e non investiva in Italia, ma era in procinto di fondersi con il gruppo francese PSA per creare Stellantis. E si staccò dal Pd, da lui condotto a una sconfitta storica, per transumare col suo partitino, ostile ai sindacati e alle classi sociali più deboli, verso le praterie elettorali di centro-destra, orfane del Berlusca. E al Parlamento europeo aderì al gruppo di Macron. E difese gli accordi di Minniti con la Libia. E provò a far cadere un governo durante una pandemia!” “Fu un realizzatore misconosciuto,” replicò Pucci, levandosi in piedi per giganteggiare più minacciosamente. “Stava importando il blairismo in Italia! È nostro dovere toglierlo dall’ombra.” “Non fu un benefattore”, disse Corsini. “Adagio” intimò Pucci. “Non ripetiamo i luoghi comuni. Non cediamo anche noi alla faciloneria degli scettici a buon mercato, secondo i quali non ci sono di rispettabili che Giorgio La Pira e John Kennedy.” Corsini teneva duro: “Dedicargli un monumento è onorare un uomo che dovrebbe essere esposto al ludibrio del popolo e al vituperio dei giusti.” “O Corsini, oggi ti sei levato a buho torto? Abbozzala,” disse una voce. “Non spetta a me giudicare,” intervenne, a raffreddare gli animi roventi, Duccio Ricci “ma, in linea di massima, un monumento a una vecchia gloria locale non mi sembra un’idea da scartare a priori. Fisicamente com’era?” “Alto, occhi furbetti, faccia da formaggino,” disse Lapo Doffi. “Faceva spesso jogging alle cascine sotto l’acqua, seguito dal suo cane…” “Aveva un cane?” “Non lo so, io me lo immagino così. Un grosso cane pulcioso che, quando Renzi si fermava per un selfie da campione, gli poggiava le zampe in grembo inzaccherandolo, la lingua penzoloni, tutto vibrante, come a supplicargli il dono di una carezza. Al che Renzi, dopo un sorriso finto, gli dava un nocchino a tradimento che lo stramazzava al suolo”.

(1. Continua)

 

È urgente ripristinare la prevenzione

Ormai siamo tutti certi che, almeno per il 2021, Covid-19 non ci abbandonerà. Lo scorso anno i nostri sforzi si sono concentrati sulla lotta al nemico, dimenticando tutto il resto. Sono passati in secondo piano la nostra vita personale, l’attività fisica, la socialità e, purtroppo, anche la prevenzione sanitaria. Se questo comportamento è giustificabile in un momento di crisi di breve durata, non lo è quando questa perdura per anni. Speriamo non sia così, ma il 2021 sarà ancora l’anno della pandemia. Bisogna interrogarsi se sarà possibile continuare la nostra vita come nei mesi passati. Sta cedendo tutto. Interi settori lavorativi sono stati cancellati, l’economia non potrà continuare per molto con “ristori” che, di fatto, sono una goccia d’acqua nel deserto. Non possiamo, in particolare, continuare a ignorare la patologia non-Covid. Negli ultimi decenni, grazie ai programmi di prevenzione, sono stati raggiunti importanti traguardi in molte patologie. Fra queste il cancro al colon: è sempre più presente nella nostra società e, grazie a screening precoci, si è riusciti a salvare migliaia di vite. Lo sappiamo, la terapia più efficace nelle patologie è la prevenzione. Durante il 2020, accanto al totale fermo di molte attività sanitarie, è stato sospeso lo screening del cancro del colon. I risultati di uno studio dell’Università di Bologna condotto in collaborazione con l’Università di Parma e dell’Irccs Humanitas di Milano, mettono l’accento sull’importanza della prevenzione attiva di questa patologia. Secondo lo studio, bastano ritardi nello screening di sei mesi per aumentare le probabilità di casi avanzati di cancro del colon-retto. Con ritardi oltre l’anno l’incidenza e la mortalità a cinque anni aumenterebbero del 12%. Non possiamo continuare a pensare che solo proteggerci dal Covid-19 ci si assicuri la salute. Visto il perdurare della crisi è urgente organizzarsi per garantire, accanto alla lotta contro il virus maledetto, l’intera sanità. Non vorrei che fra qualche mese si cominciassero a contare le vittime della mancata sanità.

 

Fisco, mini sanatoria per 50 mln di cartelle

Una nuova rottamazione (sarebbe la quarta in pochi anni) delle cartelle esattoriali e un bis per il saldo e stralcio per i contribuenti con morosità incolpevole, cioè per quelli che non sono in grado di saldare i conti con lo Stato a causa di una impossibilità sopravvenuta legata al peggioramento della situazione economica. È il progetto al quale il governo sta lavorando già da fine dicembre e che dovrebbe entrare nella fase operativa subito dopo il consiglio dei ministri sul Recovery Fund. Ma la coperta è corta e senza un nuovo scostamento di bilancio non sarà possibile un intervento verso i contribuenti su cui pendono 50 milioni di atti fra riscossioni e cartelle (34 milioni), nonchè avvisi e accertamenti (16 milioni). Insomma, una parziale sanatoria fiscale per evitare il contraccolpo della crisi. “Nessun condono”, insistono dal governo, a partire dalla viceministra all’Economia Laura Castelli (M5S), ma una boccata d’ossigeno con una nuova edizione della rottamazione sugli anni 2016-2019, che tagli sanzioni e interessi, e un “saldo e stralcio che potrebbe evitare la notifica di milioni di cartelle”. Magari anche con “un intervento strutturale che cancelli quanto non è più recuperabile”.

Difficile, al momento, indicare le cifre in ballo. Finchè il governo non chiarirà le sue intenzioni, l’Agenzia delle Entrate guidata da Ernesto Maria Ruffini non può fornire alcuna stima dell’impatto per le casse pubbliche di un’operazione come quella prospettata dalla Castelli. Senza contare che la nuova iniziativa si andrebbe a sovrapporre alle rottamazioni precedenti le cui rate sono state finora sospese, pesando notevolmente sul bilancio dello Stato. Come ha riferito il ministero del Tesoro, fra gennaio e novembre 2020, il gettito delle entrate tributarie derivanti da attività di accertamento e controllo è crollato del 31,6 per cento. Così, le casse statali hanno incassato 7,4 miliardi, ben 3,4 miliardi in meno rispetto ad un anno prima proprio per effetto della sospensione dei termini di versamento stabiliti dal decreto Cura Italia e dalle successive proroghe. L’ultima, in ordine temporale, nel decreto Ristori-Ter che ha rinviato i pagamenti della terza edizione della rottamazione al primo marzo 2021. Una magra consolazione per i contribuenti che hanno optato per la definizione agevolata visto che, nella stessa data, dovranno pagare anche la prima rata di quest’anno, pena la perdita del beneficio della rottamazione.

Inoltre, a questo punto, nulla potrà bloccare l’invio dei 50 milioni di atti dell’Agenzia. Come ha puntualizzato Ruffini in audizione ieri in commissione finanze, “qualunque nuova rottamazione o forma di pace fiscale non può prescindere dall’invio degli atti e delle cartelle da parte dell’agenzia delle Entrate e di Entrate-Riscossione”. Così, come previsto, nei prossimi giorni scatterà “l’invio degli atti sospeso in questi mesi, che è indispensabile perché il contribuente deve essere messo a conoscenza di quanto gli è richiesto”. Toccherà poi al governo trovare la soluzione più adeguata al contesto socio-economico creato dall’emergenza sanitaria. Sapendo che la rottamazione Ter e il saldo e stralcio, varati dal governo giallo-verde, avrebbero dovuto portare nelle casse pubbliche 2,8 miliardi nel 2020. Ma già ad ottobre, in un’audizione, Ruffini ha ritoccato al ribasso la previsione di 400 milioni.

Recovery, sì al regolamento: ora si rischia nuova austerità

La buona notizia è che il Recovery Fund (o Next generation Eu) ha finalmente un regolamento che disciplina l’utilizzo dei fondi, dopo mesi di linee guida e documenti di lavoro. La cattiva è che il complesso schema (un documento di quasi 80 pagine) approvato ieri dalle Commissioni Bilancio ed conomica del Parlamento europeo complicherà non poco la gestione dei fondi a diversi Paesi, specie quelli più in difficoltà e con debiti pubblici più elevati. L’aspetto più critico riguarda le regole fiscali europee, oggi solo sospese per la pandemia: il testo prevede infatti la possibilità di bloccare l’erogazione dei fondi in caso di violazioni del Patto di Stabilità o se non ci si adegua alle raccomandazioni delle procedure per gli squilibri macroeconomici.

Il tema non è secondario e disegnerà il futuro dell’Unione. Ieri gli europarlamentari di Lega e Fratelli d’Italia si sono astenuti denunciando il rischio di “un ritorno dell’austerità”. Il Pd ha votato a favore. Per i 5Stelle “è un’occasione mancata”, ha spiegato Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente dell’Europarlamento: “Avevamo proposto una serie di emendamenti alla prima bozza del testo per rimuovere tutte le condizionalità, ma purtroppo è prevalsa una linea di compromesso nel difficile negoziato tra i gruppi politici e tra i 27 Stati nel Consiglio”. A ogni modo i 5Stelle parlano di “passi avanti” rispetto alla prima stesura e voteranno a favore nella sessione plenaria che discuterà il testo la prossima settimana. Si annuncia, come ieri, un voto favorevole a larga maggioranza (solo l’estrema destra si asterrà).

Il testo ha subìto una stretta nel negoziato. Per evitare irregolarità e ritardi vincola l’erogazione dei fondi a target e obiettivi (milestone) precisi. Se non li si rispetta i fondi possono essere sospesi o revocati dal Consiglio su raccomandazione della Commissione. La parte relativa al rispetto degli aiuti di Stato è stata sfumata, evitando una specifica verifica ad hoc, una duplicazione che avrebbe allungato i tempi. Nel complesso, è uno schema di regole ben più rigide rispetto a quelle dei normali fondi comunitari – su cui pure l’Italia non eccelle – che metterà parecchio sotto stress le strutture amministrative.

La parte più critica, come detto, riguarda però il futuro, cioè il vincolo al rispetto delle rigide regole fiscali europee, in sostanza l’armamentario contenuto nel Patto di Stabilità (vincolo del 3% del deficit e del 60% del debito in rapporto al Pil) e reso più stringente dal Fiscal compact. Il testo prevede che la Commissione possa sospendere l’erogazione a chi non rispetta il Patto di Stabilità e non prende misure efficaci per “ridurre i deficit eccessivi”. Il Consiglio (cioè i governi dei 27 Paesi) può respingere la proposta a maggioranza qualificata entro un mese, altrimenti vale il silenzio assenso. La sospensione può valere fino a un 25% dei fondi impegnati sull’anno successivo (o lo 0,25% del Pil nominale), ma può salire al 100% in caso di “violazioni ripetute”.

Lo stesso discorso vale per le raccomandazioni in seno alle procedure per squilibri macroeconomici eccessivi, che al momento sono in vigore. Le regole fiscali sono invece sospese, vista la pandemia, e lo saranno per tutto il 2021: sul loro ripristino è in corso un forte scontro politico. Il blocco nordico (Paesi Bassi in testa) spinge per ripristinarle così come sono.

Lo European fiscal board, organo di consulenza tecnica di Bruxelles, ha invece chiesto di rivederle e la stessa Commissione ha avviato a febbraio un dibattito su come migliorare le regole, fortemente contestate ormai da una vasta schiera di esperti. L’economista Zsolt Darvas del think tank europeista Bruegel ha spiegato che ripristinarle sarebbe un disastro.

Al netto dei tecnisimi, queste regole impongono ai Paesi molto indebitati (e post-pandemia lo saranno ancora di più) strette fiscali ingiustificate, perché basate su parametri controversi come il “Pil potenziale”, la cui stima è fortemente influenzata dai risultati degli anni precedenti. In sostanza, più la crescita è stata bassa, più il Pil potenziale cala e così lo sforzo chiesto da Bruxelles per arrivare al pareggio di bilancio aumenta. Fu così che, dopo la crisi del 2008, si chiese a Paesi già in crisi (Italia, Spagna, Grecia) di varare strette fiscali che aggravarono la recessione portando a ulteriori richieste di austerità in futuro. Un “circolo vizioso” che rischia di ripetersi dopo il Covid. Ma stavolta l’Italia si troverebbe con l’ipoteca aggiuntiva dei fondi del Recovery.

L’assessore Donazzan canta Faccetta Nera in radio: Zaia la salva, i social la rimuovono

Elena Donazzan perde i social, ma non la poltrona. Tutto sommato poteva andare peggio all’assessore all’Istruzione della Regione Veneto in quota Fratelli d’Italia: qualche sera fa, durante il programma radiofonico La Zanzara, la Donazzan aveva intonato il noto canto fascista Faccetta Nera, provocando le unanimi richieste di dimissioni dall’opposizione.

Ieri però il governatore Luca Zaia ha preferito graziarla e non rimuoverla dalla giunta, pretendendo solo pubbliche scuse: “Ne conosco la sensibilità e sono sicuro che, se non ha ancora provveduto a rimediare, lo farà – ha detto il presidente della Regione -. Quantomeno le scuse sono doverose. Faccetta Nera è una canzone che riprende un periodo buio della nostra storia”.

E in effetti le scuse dell’assessore – che a dimettersi non ci pensa proprio – sono arrivate, seppur con formula piuttosto blanda: “Se a sinistra qualcuno si è sentito offeso, me ne scuso. A tutti quelli, invece, che non vedono l’ora di sfruttare certe strumentalizzazioni per ribadire odio e livore, non ho nulla da dire”.

Tanto è bastato dunque a conservare il posto, anche se poche ore più tardi la stessa Donazzan ha dovuto soffrire il pugno duro dei social: Facebook, Twitter e Instagram hanno infatti rimosso i suoi profili, probabilmente per violazioni nei confronti delle regole delle rispettive community. Una decisione che ha fatto infuriare l’assessore, cacciata dai social in maniera simile a quella appena toccata all’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump dopo l’assalto dei suoi sostenitori a Capitol Hill. E così la Donazzan ha sbottato all’Ansa: “Uccisa da Facebook e company. Si chiama pulizia etnica del pensiero”.

Il caso veneto arriva peraltro in un momento particolare: come raccontato ieri dal Fatto Quotidiano, Fratelli d’Italia è alle prese con un ampio dibattito interno sulla presenza degli ex fascisti, con il senatore Andrea De Bertoldi che si è fatto paladino del repulisti nei confronti dei nostalgici proprio mentre Francesco Storace, da fiero missino, ha rivendicato con orgoglio le origini del partito. Col plauso indiretto, intonato al suono di Faccetta Nera, della Donazzan.

Toscana, gli eletti fanno Consiglio su Zoom? Il taglio del “bonus trasferta” è solo del 5%

Quando era scoppiato il caso, molti consiglieri regionali uscenti della Toscana si erano indignati parlando addirittura di “clima infame”. Altri avevano promesso che quei “gettoni di assenza” – il bonus trasferte per spostarsi verso il Consiglio regionale di Firenze intascato nonostante durante il lockdown avessero seguito le seduta via Zoom – li avrebbero “donati in beneficenza”. Ma soprattutto l’allora presidente del Consiglio Regionale Pd, Eugenio Giani, poi eletto governatore a settembre, aveva prima chiesto di restituire tutti i soldi “al consiglio regionale” per una questione di “trasparenza e correttezza” e poi promesso che la legge sui rimborsi sarebbe cambiata per evitare altri casi simili. E così è stato, ma la nuova legge sui compensi degli eletti, portata alla luce dal Fatto Quotidiano il 25 luglio, è una beffa. Il taglio – circa 40mila euro al mese per i 41 consiglieri toscani – è pari solo al 5% della quota variabile dei rimborsi spese.

La riforma alla legge regionale del 2009, infatti, prevede che il gettone non sarà erogato solo nel caso in cui si dovesse ripetere lo scenario di marzo e aprile scorso in cui tutta Italia era in lockdown e anche le istituzioni lavoravano integralmente via Zoom: insomma, nel caso in cui tutti i consiglieri seguano le sedute da casa. Un’ipotesi che difficilmente si ripeterà. Come prevede l’articolo 7 bis, invece, nel caso in cui il Consiglio regionale sia “ibrido” (metà in presenza, metà da remoto per rispettare le distanze di sicurezza) i consiglieri che lavoreranno da casa avranno una riduzione del gettone minima pari al 5%. Visto che i rimborsi forfettari variano in base alla distanza da Palazzo Panciatichi, gli eletti che finiranno per intascare di più saranno quelli con la residenza all’Isola d’Elba, Massa e Grosseto: 1.500 euro al mese che con il nuovo regime diventeranno 1.425. Il taglio massimo è di 75 euro. Un’inezia considerando che, a seconda della carica, gli stipendi mensili vanno da 12 a 15 mila euro. Il bonus trasferte non era stato solo intascato dai consiglieri della Toscana, ma anche da quelli di molte altre Regioni d’Italia tra cui il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. Quando era emerso il caso i giudici contabili di Friuli e Toscana avevano aperto due fascicoli per capire se fosse stato commesso un danno erariale. Gli accertamenti sono ancora in corso.

Corriere e Rep: il “colpo” Saviano scontenta tutti

C’è un caso Saviano nell’angusto mondo dell’editoria: il passaggio dello scrittore da Repubblica al Corriere della Sera ha scatenato il malumore in entrambi i quotidiani. Al Corsera è stato accolto da rumorose proteste su Facebook. È vero che il polso dei social non sempre batte al ritmo del mondo reale, ma la quantità di commenti negativi è notevole (il giornale, lamentano, si sposta troppo a sinistra). Non bastasse, ci sono gelosie in redazione: Dagospia annuncia il “fuggi fuggi” da via Solferino, il primo sarebbe Pierluigi Battista.

Specularmente, l’addio di Saviano apre voragini anche a Repubblica. Il disappunto dei lettori è confermato dalla rubrica di domenica di Corrado Augias. “Non sentitevi persi”, scrive. Saviano è andato – ammette – ma restano ancora Ezio Mauro, Natalia Aspesi, Michele Serra e lui stesso. Come prova di continuità, Augias cita l’intervista a Eugenio Scalfari del direttore Maurizio Molinari (quella per cui Berlinguer è morto prima di Moro, ma questa è un’altra storia).

Il Papa: “Donne all’altare anche per dare l’ostia”

Papa Francesco aveva promesso da tempo una maggiore responsabilità delle donne nella Chiesa. Non solo ai vertici dei dicasteri della Curia romana, ma anche nella vita liturgica. Da qui la decisione storica di Bergoglio di dare alle donne la possibilità di accedere ai ministeri del lettorato e dell’accolitato. Il primo riguarda l’annuncio della parola di Dio, mentre il secondo è connesso al servizio all’altare.

Mai finora le donne erano state ammesse ufficialmente ai ministeri liturgici, pur svolgendo già di fatto degli incarichi durante le celebrazioni come la proclamazione delle letture, il servizio di ministranti e la distribuzione della Comunione durante la messa o agli ammalati costretti a rimanere a casa. Non si tratta della nascita della figura delle diaconesse, di cui pure si valuta da tempo la possibilità. Né è un primo passo verso l’ordinazione sacerdotale delle donne. Francesco ha, infatti, ribadito che “la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale”.

Eni, Lega e Aspi: un 2021 di indagini e processi

Alcuni processi si stanno dibattendo in aula (Covid permettendo), altri sono alle battute finali e nel 2021 arriveranno a sentenza. Come quello che vede imputato Claudio Descalzi, l’amministratore delegato della più strategica delle aziende italiane, l’Eni, imputato, con altri, di corruzione internazionale. A sentenza arriverà anche il processo a Siena a carico di Silvio Berlusconi, accusato di aver pagato i testimoni di quelle cene passate alla storia per essere state particolarmente “eleganti”. Ci sono poi le indagini, quelle alle battute iniziali e quelle ormai agli sgoccioli. In casa Lega Nord. C’è l’inchiesta della Procura di Milano sui commercialisti Di Rubba, Manzoni e Scillieri, c’è poi l’indagine per finanziamento illecito contestato a Giulio Centemero, il tesoriere del partito di Matteo Salvini per alcuni contributi ricevuti in passato dalla onlus “Più Voci”: a Roma per Centemero c’è stata la richiesta di rinvio a giudizio dei pm, a Milano si è già a processo. Sotto inchiesta anche il leader di Italia Viva, con l’indagine della Procura di Firenze sulla Fondazione Open (i pm hanno iscritto nel registro degli indagati Matteo Renzi per finanziamento illecito). Ecco dunque che cosa ci aspetta nell’anno appena cominciato.

 

Fontana I camici del cognato e il conto svizzero

Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana è indagato dalla Procura di Milano per frode in pubbliche forniture. È l’inchiesta sulla mancata consegna di camici da parte della società Dama di Andrea Dini (cognato di Fontana) ad Aria, la centrale acquisiti della Regione. Dini assieme all’ex dg di Aria è accusato anche di turbata libertà nella scelta del contraente. Il fascicolo nasce dopo una segnalazione per un’operazione sospetta legata a Fontana che nel maggio scorso tenta un bonifico di 250mila euro al cognato. Al centro dell’indagine, la fornitura di 75mila camici per 513mila euro. Ne saranno consegnati 49mila. Da qui l’accusa di frode in pubbliche forniture. L’ultima nota della Gdf sulle chat acquisite dai telefoni fornisce nuovi dettagli. A breve la Procura chiuderà le indagini sui camici. Resta invece aperto il filone sul conto svizzero della madre di Fontana e che il governatore (non indagato) ha dichiarato nel 2015. A rendere opaco il caso ci sono due trust che dal 2005 hanno gestito 5 milioni poi scudati come eredità. In base a una nota della Finanza, che sarà depositata a breve, la Procura deciderà se inviare una rogatoria in Svizzera.
Davide Milosa

 

Carroccio I commercialisti e l’affaire ‘Film Commission’

Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, già responsabili dei conti della Lega, sono indagati a Milano nella vicenda sulla fondazione regionale Lombardia Film Commission. Sono accusati di evasione fiscale e peculato. Con loro anche il commercialista Michele Scillieri e l’imprenditore Francesco Barachetti. Dopo il patteggiamento a 4 anni e 10 mesi di Luca Sostegni, prestanome accusato di tentata estorsione, nei prossimi giorni la Procura chiederà il giudizio immediato per i cinque. Chiuso questo capitolo, si proseguirà sul fronte dei finanziamenti al partito. In casa Lega qualche grana la ha invece Giulio Centemero. A Roma il tesoriere del partito è indagato per contributi per 250 mila euro erogati tra il 2015 e il 2016 dalla Immobiliare Pentapigna srl, società in passato riconducibile all’imprenditore Luca Parnasi, finiti nelle casse della “Più voci”, che i pm ritengono un’associazione “riconducibile alla Lega”. Centemero, accusato di finanziamento illecito, ha spiegato che quei versamenti erano regolari e mai un centesimo è arrivato alla Lega. I pm capitolini hanno chiesto il rinvio a giudizio. Il tesoriere deve anche affrontare un processo a Milano (prima udienza 26 gennaio), dove è accusato di finanziamento illecito per 40 mila euro versati alla “Più Voci” dalla Esselunga (che ha iscritto a bilancio l’erogazione).
Dav. Mil. e Vinc. Bisb.

 

Autostrade Ponte e barriere: le accuse all’ex ad Castellucci

Il 2021 sarà un anno decisivo per l’inchiesta sul crollo del Ponte Morandi. Dopo due anni e mezzo la svolta è arrivata poco prima di Natale: è stata depositata la perizia sulle cause del disastro, che tra gennaio e febbraio sarà discussa nell’incidente probatorio. Il viadotto, secondo i periti, ha ceduto per mancanza di manutenzione. Era il passaggio atteso dalla Procura e dalla Finanza per depositare l’immensa mole di materiale raccolto e chiudere le indagini in primavera. Saranno chiusi anche i filoni sulla falsificazione dei report sulla sicurezza dei viadotti e sull’installazione di barriere fonoassorbenti fallate. Sono 71 gli indagati tra manager di Autostrade per l’Italia, Spea Engineering e del Ministero delle Infrastrutture, tra cui l’ex ad di Aspi Giovanni Castellucci. Per il quale è appena iniziato l’Appello a Napoli per i 40 morti del bus precipitato dal viadotto di Acqualonga. Castellucci è stato assolto in primo grado. Il 28 gennaio, udienza sulle istanze di rinnovazione del processo. Potrebbero essere acquisite le intercettazioni di Genova dell’ex manager Paolo Berti (condannato ad Avellino a 5 anni e mezzo), ascoltato mentre dice di aver mentito ad Avellino per proteggere Castellucci.
Mar. Gras. e Vinc. Iur.

 

Ruby Ter A Milano, Roma e Siena: Berlusconi resta ancora imputato

Nel processo Ruby 3, l’imputato Silvio Berlusconi è accusato di corruzione in atti giudiziari (insieme a una ventina di coimputati), per aver pagato i testimoni dei processi Ruby 1 e Ruby 2, affinché non raccontassero che cosa succedeva nelle “cene eleganti” di Arcore, ai bei tempi del bunga-bunga. Ora il processo si è diviso in tre tronconi. A Milano quello principale, con Berlusconi e Karima El Mahroug, che da minorenne frequentava le feste come Ruby Rubacuori: le udienze riprendono il 27 gennaio, dopo molti stop. A Roma quello con imputato Mariano Apicella, il cantante che allietava le “cene eleganti”, accusato di aver ricevuto, per tacere, 157 mila euro da Berlusconi: il processo è ancora nella fase iniziale, perché il difensore Franco Coppi ha chiesto lo stop per la campagna elettorale, poi per il Covid, infine per i “seri problemi cardiologici” dell’imputato. Il dibattimento partirà sul serio solo a maggio 2021. A Siena il troncone in cui è processato Danilo Mariani, il silenzioso pianista delle serate del bunga-bunga: nelle prossime settimane si dovrebbe arrivare a sentenza.
G.B.

 

Siri Il senatore e le due ipotesi di corruzione

Quest’anno il senatore della Lega Armando Siri saprà se verrà prosciolto o meno dall’accusa di corruzione per esercizio della funzione. I pm di Roma hanno chiesto il rinvio a giudizio. Per i pm, nel suo ruolo di senatore e sottosegretario, Siri avrebbe asservito i propri poteri a interessi privati “proponendo e concordando (…) l’inserimento in provvedimenti normativi di competenza governativa di rango regolamentare e di iniziativa governativa di rango legislativo, ovvero proponendo emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per il ‘mini eolico’”. In cambio avrebbe ricevuto la promessa di 30 mila euro dall’imprenditore Paolo Arata. Intanto prosegue a Milano l’inchiesta (non legata a quella di Siri) sui 65 milioni di dollari che per i pm dovevano finire alla Lega attraverso una compravendita di petrolio come confermerebbe, secondo la Procura, l’audio registrato all’hotel Metropol di Mosca. Tra gli indagati per corruzione internazionale: Gianluca Savoini, ex referente Lega per i rapporti con la Russia.
Da. Mil. e Vinc. Bisb.

 

Eni Tangenti in nigeria, Tocca a Claudio Descalzi

Nelle prossime settimane le repliche del pubblico ministero, poi si arriverà a sentenza. Eni, Shell, alcuni loro manager (tra cui l’amministratore delegato Claudio Descalzi) e alcuni mediatori internazionali sono accusati a Milano, dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e dal sostituto Sergio Spadaro, di corruzione internazionale per aver ottenuto la concessione del campo d’esplorazione petrolifero Opl 245, in Nigeria, pagando una tangente di 1,3 miliardi di dollari che, secondo l’accusa, sono finiti nelle tasche di politici nigeriani, oltre che degli intermediari e di manager delle compagnie petrolifere. La Procura di Milano prosegue intanto, con il procuratore aggiunto Laura Pedio e il sostituto Paolo Storari, l’inchiesta su altre presunte tangenti petrolifere in Congo: imputati di corruzione internazionale alcuni manager Eni; Descalzi accusato di aver omesso la comunicazione del conflitto d’interessi per gli affari con Eni delle società della moglie. Pedio e Storari stanno per concludere anche l’inchiesta sul cosiddetto “complotto” che sarebbe stato ordito per cercare di bloccare le indagini milanesi su Eni.
Gianni Barbacetto

 

Renzi Open, Matteo nei guai insieme a Boschi e Lotti

È ancora in corso l’indagine della Procura di Firenze sulla Open, la fondazione che i magistrati ritengono essere un’articolazione politico-organizzativa della componente renziana del Pd. La Open ha raccolto dal 2014 al 2018 circa 7,2 milioni di euro, denaro che secondo i pm è stato ricevuto violando la normativa sul finanziamento ai partiti. Per questo per concorso in finanziamento illecito sono indagati Matteo Renzi, ma anche gli ex ministri Maria Elena Boschi e Luca Lotti, l’ex presidente della Fondazione Alberto Bianchi e l’imprenditore Marco Carrai. Il senatore di Rignano, come la Boschi, tramite i legali ha presentato ricorso chiedendo di trasferire l’indagine a Roma o a Pistoia. I pm hanno rigettato l’istanza, così i legali hanno fatto ricorso in Cassazione che si è espressa in linea con la Procura. Intanto nei giorni scorsi il Tribunale del Riesame ha confermato la legittimità della perquisizione e del sequestro di documenti a carico di Carrai che la Cassazione aveva invece annullato con rinvio degli atti alla Procura. I legali dell’imprenditore hanno annunciato ricorso.
Vincenzo Iurillo

 

L’ex ministro In aula: sequestro dei migranti

È attesa per il 20 marzo la decisione sul rinvio a giudizio di Matteo Salvini per il caso Open Arms. Prima della conclusione dell’udienza preliminare verranno ascoltate le parti civili, la difesa dell’ex ministro dell’Interno e la procura di Palermo. Che ha chiesto di mandarlo a processo con l’accusa di sequestro aggravato di persona e omissione di atti ufficio per aver ritardato lo sbarco dei migranti, tra cui alcuni minori, soccorsi all’inizio di agosto 2019 dalla nave della ong spagnola in acque Sar libiche. Dopo alcuni giorni di attesa a largo di Lampedusa vennero fatti scendere i bambini (il 18 agosto), mentre tutti gli altri il 20, ma solo per ordine della magistratura. Nel corso dell’udienza dello scorso 9 gennaio a cui era presente anche Salvini (atteso nell’aula bunker dell’Ucciardone anche il 20 marzo), il suo avvocato Giulia Bongiorno ha ottenuto di acquisire i documenti di bordo della Open Arms e la deposizione fatta dall’ex ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli a Catania. Dove lo scorso 12 dicembre si è svolta l’udienza preliminare per il caso Gregoretti: l’accusa ipotizzata dal Tribunale dei ministri a carico di Salvini è quella di sequestro di persona aggravato per aver impedito lo sbarco tempestivo nel porto di Augusta dei migranti recuperati in mare dalla nave della Guardia costiera italiana a luglio 2019. Il 28 gennaio i magistrati etnei saranno a Roma per sentire il presidente del Consiglio.
Ilaria Proietti

 

Palamara Caos toghe, L’8 febbraio davanti al Gup

Il caso Palamara quest’anno entra nel vivo della sua fase processuale. L’8 febbraio è prevista una nuova udienza preliminare dinanzi al gup della Procura di Perugia che nei prossimi mesi dovrà decidere se rinviare o meno Luca Palamara a giudizio con l’accusa di corruzione per aver ricevuto dall’imprenditore Fabrizio Centofanti il pagamento di alcuni viaggi e altre utilità (la ristrutturazione della casa di una persona a lui cara). Il reato contestato – non viene individuata una condotta specifica – è corruzione per l’esercizio della funzione di componente del Csm. In questa sede si valuterà anche l’ipotesi del rinvio a giudizio per rivelazione del segreto d’ufficio nei riguardi dello stesso Palamara, dell’ex procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio, dell’ex pm di Roma, ora giudice a Tivoli, Stefano Fava.
Si attende invece l’eventuale richiesta di rinvio a giudizio, da parte della Procura guidata da Raffaele Cantone, per lo stesso Fava, accusato di accesso abusivo alla banca dati. Un terzo e ultimo fascicolo, con Palamara indagato per altri episodi di corruzione, è in fase d’indagine preliminare.
Antonio Massari

Scuola, studenti in piazza Zingaretti: “Fa salire i casi”

Una giornata di proteste traversali – studenti, docenti, genitori – che ha spinto anche il presidente della Regione Lazio nonché segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, ad andare dritto sul tema riapertura delle scuole superiori. O meglio, sul tema chiusura delle scuole, nel Lazio e in quasi tutte le altre Regioni d’Italia. “Deve essere chiaro che l’apertura in presenza delle scuole porterà a un ulteriore aumento della curva – ha detto ieri Zingaretti in una nota – ed è molto probabile che presto molte aree torneranno in zona rossa. Quindi nuovi contagi, nuovi ricoveri, terapie intensive piene e aumento delle morti degli esseri umani. Non è un caso che hanno riaperto le Regioni con alle spalle mesi di dure chiusure con radicali misure di contenimento. Questo deve essere ben chiaro a tutti e a tutte, senza ipocrisie o silenzi.”

Nel Lazio, in realtà, ieri i casi di contagio erano in riduzione così come i ricoveri in terapia intensiva, mentre sono aumentati i decessi. “Qualcuno ha detto: anticipiamo il vaccino subito al mondo della scuola – ha proseguito il segretario dem –. Anzi, a questo punto anche dell’Università e Ricerca. Se si abbandona il criterio dell’età perché no? Non sono contrario a priori, ma bisogna sapere cosa significa. Si dovrebbero modificare le linee guida, ma questo vorrebbe dire a malati e immunodepressi, anziani che rischiano la vita di mettersi in fila ad aspettare. Qualcuno di loro sarà molto a rischio”. L’idea maggioritaria, comunque, è dare precedenza al personale della scuola dopo aver messo in sicurezza la parte più fragile della popolazione.

Parole che arrivano mentre gli studenti delle superiori sono in agitazione, sia nelle piazze sia spegnendo pc e tablet per un inedito sciopero della didattica a distanza. Motivo della protesta, dicono, “l’immobilismo del governo che per 10 mesi ha procrastinato sul ritorno in presenza, non affrontando i problemi veri”. Sul rientro, i docenti sono ad esempio divisi (e questo si riverbera anche sulle decisioni politiche) tra chi è contrario alla didattica digitale e chi pretende un rientro in sicurezza e vuole quindi posticipare la riapertura a fine emergenza. La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina è dalla parte degli studenti: “Capisco le loro frustrazioni – dice a Radio1, riferendosi ai governatori –. Nelle Regioni a fascia gialla tutto è aperto tranne la scuola superiore e questo creerà profonde cicatrici, i ragazzi hanno bisogno di sfogare la loro socialità. Sono molto preoccupata, oggi la dad non può più funzionare”. Sulla stessa linea, ieri, il coordinatore del cts Agostino Miozzo. “Preoccupa più l’aggregazione che non si vede, quello nelle case” aveva detto ieri in una intervista al Messaggero auspicando “una comunicazione mirata ai giovani” anche con “il ritorno a scuola e università, luoghi dove sanno bene come spiegare cos’è questo virus. Anche perché, se chiudi la scuola, non puoi lasciare aperto il centro commerciale e sperare che i ragazzi lo accettino”.

Intanto, in Germania si è deciso di tenere le scuole chiuse fino al 31 gennaio. Una scelta definita “inevitabile” a fronte dell’aumento generale dei contagi, ma che tiene anche conto del fatto che finora la didattica a distanza è stata evitata il più possibile.