Alla prossima pandemia arriveremo preparati. L’Italia avrà un piano aggiornato alle ultime linee guida internazionali, neanche fosse la Svizzera. Si chiama “Piano strategico-operativo di preparazione e risposta a una pandemia influenzale 2021-2023 (Panflu)” ma “vale – si legge nella bozza – per la preparazione nei confronti di tutti gli eventi pandemici, anche quelli dovuti a una malattia respiratoria non conosciuta che definiremo come malattia respiratoria X”, non influenzale, tipo il Covid-19. Così nella malaugurata ipotesi di una replica nessuno potrà giocare a nascondino con le parole.
Nel piano c’è la catena di comando, chi fa cosa, le fasi (allerta, interpandemica, pandemica), le esercitazioni, le scorte di farmaci e di dispositivi di protezione individuale (Dpi) fino al numero di mascherine necessario per ciascun paziente, gli obblighi di aggiornamento, le precauzioni contro le infezioni ospedaliere, la formazione del personale, i piani regionali da approvare entro 90 giorni dal via libera al piano nazionale che avverrà in Conferenza Stato-Regione, i diversi scenari possibili per i virus con R0 (l’indice iniziale di riproduzione) a 1,4, 1,7 o sopra 2, le dotazioni minime di terapie intensive e subintensive e le regole per aumentarle se necessario come è stato fatto, con ritardo, nei mesi scorsi. Ci sono i principi di solidarietà, di salvaguardia dell’economia e di proporzionalità nelle misure di contenimento. C’è scritto cosa fare se non è possibile curare tutti: “Quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità, i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori probabilità di trarne beneficio”. Mancano ancora i soldi, in parte verranno dal Recovery Fund.
Nella “bozza confidenziale” che circola da ieri, datata 31 dicembre e non definitiva, si legge che “il piano pandemico influenzale esistente è stato redatto nel 2006 e rimasto vigente”. Mai aggiornato per 14 anni per quanto fosse “raccomandato” dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e il ministero della Salute dovesse “farsi carico”, riconosce la bozza. Ora invece ci ha lavorato in piena emergenza, anche durante le feste, la direzione della Prevenzione del ministero, dal maggio scorso guidata dal professor Giovanni Rezza, coinvolgendo specialisti di mezza Italia. Insomma sul sito del ministero c’è un’informazione falsa: “ultimo aggiornamento 15 dicembre 2016”. Dal 2006 il mondo è cambiato, sono cambiate le linee guida dell’Oms e dell’Ecdc (Centro europeo per il controllo delle malattie), nel 2013 è intervenuto anche l’Europarlamento, ma il piano italiano è rimasto quello.
Sul mancato aggiornamento e soprattutto sulla mancata applicazione, all’inizio del 2020, del piano del 2006 sta indagando la Procura di Bergamo. I pm hanno convocato come persone informate diversi dirigenti del ministero della Salute, dal segretario generale Giuseppe Ruocco già direttore della Prevenzione all’ex direttore della Prevenzione Claudio D’Amario e ai responsabili dell’ufficio 5 Malattie trasmissibili e profilassi internazionale Francesco Paolo Maraglino e dell’ufficio 1 Affari generali Anna Caraglia. Li sentiranno a breve, poi toccherà al ministro Roberto Speranza e ad altri responsabili del ministero, dell’Istituto superiore di Sanità, del Cts e della Protezione civile. Nessuno di loro è indagato.
Il nuovo piano nasce all’insegna del Covid-19, emergenza definita “inattesa”: “L’esperienza del 2020 – si legge nella bozza – ha dimostrato che si può e si deve essere in grado di mobilitare il sistema per aumentare nel giro di poco tempo sia la produzione di mascherine e Dpi sia i posti letto in terapia intensiva, anche per far sì che non si verifichino disservizi nella assistenza e nella cura delle persone affette da malattie ordinarie”. Sbagliando s’impara.