“Senza Twitter, è solo un ragazzo che parla da solo”. I consiglieri di Donald Trump sono rimasti scioccati dalla decisione di Twitter di chiudere l’account del presidente uscente. The Donald – che l’attimo prima di abbandonare @realdonaldtrump ha imprecato contro la piattaforma in una raffica di tweet — invece, l’aveva messo in conto. Tanto che l’anno scorso aveva riunito l’allora direttore della campagna Brad Parscale e altri consiglieri e chiesto loro di trovargli una piattaforma social alternativa. Allora la sua richiesta era suonata folle: 88 milioni di seguaci non si spostano facilmente. Parscale, preoccupato, aveva cercato di mediare con Trump proponendogli come pulpito Parler, la piattaforma frequentata dai suoi supporter: negazionisti, complottisti e suprematisti, creata da Rebekah Mercer, figlia di Robert, fondatore di Cambridge Analytica e fino ad allora grande fan del tycoon. Trump aveva ceduto e creato un profilo. Ma non era una cosa seria né definitiva, soprattutto ora che Google, visto “l’odio dei suoi supporter”, ha reso non più scaricabile l’app da Google Play e altrettanto sta per fare Apple.
Parler era un po’ come il placebo di Facebook somministrato a Trump dai suoi allorché Twitter si era messo a fare le pulci alle sue dichiarazioni negazioniste sul Covid-19. Ma Trump amava troppo Twitter, almeno quanto ora lo odia. “Non c’è dubbio che fosse il suo megafono. In effetti, senza Twitter, avrebbe potuto non vincere le elezioni nel 2016”, spiega il sondaggista Tony Fabrizio, che ha lavorato alle due campagne del presidente. “Anche se sono sicuro che troverà altri mezzi per comunicare con i suoi fan, perdere la capacità di parlare a 88 milioni di persone contemporaneamente ridurrà il suo impatto”, conclude Fabrizio. Con i cinguettii poi Trump aveva perseguitato i rivali di partito, fin dalle elezioni di mid-term. E proprio ora che la sfida si fa enorme: mantenere le redini del Partito repubblicano dopo l’occupazione del Congresso, la possibilità di un impeachment e probabili incriminazioni, perde il suo “pulpito da bullo online” come lo definisce il quotidiano Politico. Eppure a Trump non resta che ricominciare da zero altrove, destino che tocca anche al suo ex guru, Steve Bannon, a cui Youtube, dopo averlo bannato, ha rimosso il podcast “War Room”, “per aver violato ripetutamente le regole della comunità con contenuti fuorvianti su presunte frodi ed errori che hanno cambiato l’esito delle elezioni presidenziali”. Ma l’apparato preparato dai consiglieri di Trump per la vita post-presidenziale, guardando alle primarie del 2022, potrebbe non bastare senza i feed di Twitter. Denaro in cassa non manca viste le centinaia di milioni di dollari raccolti in campagna elettorale e confluiti nel suo nuovo comitato. Con parte di questi soldi potrebbe creare una “nuova piattaforma”. “Non riusciranno a zittirci”, “restate connessi”, ha twittato in extremis Trump dall’account della Casa Bianca, @Potus e quello della campagna, @Teamtrump, subito bloccati da Twitter.
Un’altra strada per non sparire – visto il ‘tradimento’ di FoxNews di Rupert Murdoch – potrebbe essere farsi un canale suo. “Ciò che lo rende vincente è un mezzo senza filtri, diretto e interattivo”. Secondo fonti Reuters, Christopher Ruddy, amico di Trump e Ceo del network conservatore Newsmax, esclude l’ipotesi di una tv trumpiana, ma fa sapere che è pronto ad affidare a Trump uno show. “Il presidente è un’attrazione incredibile”, sostiene Ruddy. Per ultimo Donald potrebbe pensare di recuperare terreno tra i complottisti di 4chan, ma è da escludere che l’“Hemingway dei 140 caratteri”, come si definiva, 56 mila provocatori tweet dopo, voglia scomparire nel buio.