Contro. Merito al coraggio, ma occasione mancata di fare davvero chiarezza

Una premessa è necessaria, a scanso di equivoci. Stimo Sigfrido Ranucci perché ne apprezzo da anni le qualità di giornalista d’inchiesta vero come pochi, così come stimo Paolo Mondani e Giorgio Mottola, autori del lungo servizio sulla Trattativa Stato-mafia andato in onda a Report lunedì in prima serata. Di Ranucci ricordo, in particolare, il coraggioso servizio a Rai News24 diretto dal compianto Roberto Morrione che recuperò l’intervista “scomparsa” di Paolo Borsellino sugli intrecci fra mafia siciliana e imprenditori lombardi lungo il triangolo Vittorio Mangano – Dell’Utri – Berlusconi. E ritengo meritorio avere dedicato uno spazio così importante per milioni di telespettatori, raggiungendo un notevole 11,5 % di share medio, per temi sempre tabù in Rai, come i rapporti mafia, politica, massoneria, destra eversiva e servizi segreti sullo sfondo dello stragismo che ha insanguinato la storia del nostro Paese, parlando di vicende giudiziarie ignorate dalla “grande informazione” come i processi Contrada, Dell’Utri, Trattativa, e quelli sullo stragismo in Italia e mandanti esterni.

Tuttavia, ritengo che sia stata un’occasione in parte mancata. Sarò forse troppo esigente conoscendo bene quelle vicende giudiziarie, in quanto sono stato il pm di quei processi sopra elencati, tutti conclusi con sentenze definitive di condanna e in un caso di condanna – al momento – di primo grado, il processo Trattativa. Ma proprio perché ritengo gravissimo avere sottratto per anni al sapere degli italiani certe vicende giudiziarie, credo che, avendo finalmente l’opportunità di “illuminare” in prima serata fatti accertati e da accertare, per decenni “oscurati”, andava fatta piena chiarezza senza ambiguità e rischi di confusione.

A esempio, se si conclude il “capitolo Contrada” accennando alla sentenza europea che per un clamoroso fraintendimento della nostra legislazione ha condannato l’Italia a risarcirlo perché “non poteva essere processato”, senza spiegare le ragioni di quella pronuncia e soprattutto senza informare sui fatti gravissimi consacrati nelle sentenze definitive di condanna mai revocate, attribuendole invece alle opinioni di qualche autorevole magistrato, non si fa un buon servizio ai cittadini che ne restano disorientati. A maggior ragione quando si presentano come sconvolgenti rivelazioni, che potrebbero influire su indagini e processi in corso, come l’appello Trattativa, le parole in libertà di un favoreggiatore dei fratelli Graviano che dice una cosa sensazionale, ma dal sapore depistante, per cui l’agenda rossa di Borsellino, sottratta certamente da uomini di Stato infedeli, ma fedeli allo “Stato parallelo” responsabile anche di quella strage, sarebbe oggi nelle mani del “fantasma” Matteo Messina Denaro, oggi più che mai parafulmine di accuse che andrebbero indirizzate soprattutto all’interno degli apparati statali.

O infine quando si attribuisce a B. il “merito” di aver fatto arrestare i Graviano per scongiurare la strage dell’Olimpico del gennaio 1994. Qualche macchia nell’opera pur meritoria messa in prima serata lunedì, che rischia di trasformare un’iniziativa lodevole e coraggiosa in un’occasione mancata per fare chiarezza.

Meloni s’intesta Trump: la lupa perde il pelo, ma non il vizio

D’accordo, la lettera inviata da Giorgia Meloni al “Corriere della Sera” per ribadire il suo “Preferisco Trump” si può leggere anche per divertimento: è un esercizio ineguagliabile di arrampicata sugli specchi, a cominciare da quando definisce “surreale” l’assalto a Capitol Hill. Ma io consiglio invece di prenderla sul serio e conservarla a futura memoria a riprova del codice genetico della destra italiana.

La violenza? “È sempre una implicita ammissione di inferiorità”. Segue l’usuale invocazione del “pari e patta”: chi ha condannato gli squadristi che tentavano di sovvertire con la violenza l’esito del voto popolare non avrebbe le carte in regola perché non fece altrettanto con “le devastazioni prodotte dai Black Lives Matter”. E con ciò il vasto movimento antirazzista è messo sullo stesso piano di un manipolo di facinorosi. Da pensierosa pensatrice della complessità, la Meloni critica chi “si limita a dividere il mondo tra buoni e cattivi”. Sicché Trump andrebbe giustificato anche quando definisce “patrioti” gli energumeni da lui stesso mobilitati. La sinistra italiana, poi, non avrebbe il diritto di prendersela col Trump che calpesta il risultato delle elezioni poiché essa governa senza averle vinte. Per caso le ha vinte la destra?

E infine, il colpo da maestra: e se fra quattro anni venisse rieletto lui, come la metteremmo? Ci vuole prudenza “quando si parla delle dinamiche interne della prima potenza al mondo”. Cosa volete che sia se il “preferito” della Meloni s’è macchiato di un tentativo golpista? È proprio vero che la lupa perde il pelo ma non il vizio. Chi si figurava la trasformazione di Fratelli d’Italia in un normale partito di destra democratica farà bene a ricordarsi con chi abbiamo a che fare.

Il forte innevamento non contraddice il surriscaldamento

In Italia – Il 2021 è iniziato con nuove piogge abbondanti specie al Nord e sul versante tirrenico, dopo un dicembre di precipitazioni già da record dal Triveneto all’Emilia, alla Toscana (258 mm totali a Piacenza, 312 a Cortina, 324 a Livorno e perfino 996 a Barcis, Dolomiti Friulane, quantità da quattro a sei volte il normale!). Su Alpi e Appennino Tosco-Emiliano l’innevamento è esagerato (simile ai casi eccezionali di inizio inverno 2008-09 e 2013-14 sulle Alpi orientali), con spessori fino a 275 cm ai 1340 m dell’Abetone (Pistoia), situazione rara che però non contraddice il riscaldamento atmosferico a lungo termine. Infatti il Cnr-Isac segnala che, con 1 °C sopra media, il 2020 in Italia è stato il quinto anno più caldo dal 1800, appena sotto i recentissimi casi del 2014, 2015, 2018 e 2019. Inoltre il periodo natalizio è stato grigio e bagnato ma con temperature nella norma, pur con notevoli punte di gelo nei fondovalle dove il suolo innevato si è raffreddato intensamente nelle poche notti serene (ieri minima di -20 °C a Dobbiaco, ma lontana dai -29 °C del febbraio 1969), mentre in Valpadana la pioggia ha rapidamente fuso la neve del 28 dicembre. Due scialpinisti morti in una valanga in Val Senales, suoli saturi d’acqua a valle con frane sull’hotel Eberle a Bolzano e sulla ferrovia Falconara-Orte presso Spoleto, senza vittime né feriti. Scirocco insolitamente caldo ieri in Sicilia, 24,8 °C a Palermo. Uno studio sempre del Cnr-Isac e di Arpa Lombardia (On the concentration of SARS-CoV-2 in outdoor air, su Environmental Research) esclude che le polveri inquinanti nell’aria (Pm10) possano trasportare il Coronavirus aumentando il rischio di infezione all’aperto, ma altri scienziati non sono d’accordo e il dibattito su questo filone di ricerca, complesso e ancora giovane, resta aperto.

Nel mondo – Viaggiando sul bordo di un possente anticiclone senza precedenti sulla Mongolia (1094 ettopascal, nuovo record planetario di alta pressione), il gelo asiatico si è intensificato a inizio gennaio con -19,6 °C a Pechino (non più misurati dal febbraio 1966, quando però si toccarono i -27,4 °C), situazione di blocco atmosferico forse amplificata da un Artico troppo caldo e a corto di ghiaccio marino. Freddo anche in Europa, storica nevicata da 45 cm ieri a Madrid. Per contro, eguagliati gli estremi nazionali di caldo per gennaio in Bangladesh (33 °C) e Nigeria (40 °C). Ma più rappresentative dello stato climatico sono le medie globali: il servizio EU-Copernicus indica che, nonostante il freddo anomalo in Asia centrale, dicembre 2020 è stato il sesto più caldo nel mondo, e l’intero 2020 è risultato l’anno più caldo dal 1850, pari merito con il 2016 (anomalia +0,6 °C) anche senza l’aiuto riscaldante del Niño di quell’anno. In Europa invece il precedente record del 2019 (1,2 °C sopra media) è stato superato nettamente (+1,6 °C). Enormi gli eccessi termici annui nel Nord della Siberia, fino a +7 °C. Intanto non c’è neve nell’inverno di Tromsø (Artico norvegese, a 69° di latitudine Nord), come accaduto solo altre quattro volte in un secolo a inizio gennaio. La crisi climatica è in pieno sviluppo e nel 2020 si sono fatti pochi progressi per affrontarla, denuncia su Scientific American William Ripple, ecologo alla Oregon State University e autore un anno fa dell’appello “World Scientists’ Warning of a Climate Emergency”. Ma barlumi di speranza risiedono nei movimenti giovanili e di protesta per la giustizia climatica, che possono dare una mano nei sei settori ritenuti cruciali per la sostenibilità: transizione energetica e decarbonizzazione, riduzione dell’inquinamento, protezione della natura, dieta meno carnivora, economia meno aggressiva e stabilizzazione della popolazione globale.

 

Trump, “il complotto contro l’America”

Ormai è accaduto e niente può cancellare o accantonare un evento che spezza gli Stati Uniti, coscienza e storia. Una folla di cittadini americani, che incontrati da soli o in coppia o in piccoli gruppi sarebbero apparse persone normali, più o meno orientate, più o meno convinte, più o meno sicure della loro vita, è apparsa in una formazione di assedio intorno al Palazzo del Congresso, che gli americani chiamano Campidoglio e che rappresenta fisicamente ciò che conosci, rispetti e ami. Noi, gli spettatori del mondo, abbiamo guardato con incredulità e meraviglia ciò che è accaduto, ciò che nessuno avrebbe predetto o previsto o immaginato possibile. In poco tempo la folla si è fatta più grande, più fitta, ha cominciato a vedersi la voglia di sfida e di disprezzo e noi spettatori del mondo abbiamo dovuto renderci conto che c’erano tre tipi di preparazione: il costume indossato per esprimere disprezzo, gli strumenti portati, non improvvisati, per aprire il percorso e recare danno. E agili gruppi acrobatici in grado di raggiungere finestre alte, rompere vetri irraggiungibili. Gli attaccanti, in numero sempre più grande e sempre più guidato dal progetto di distruggere, come per il pagamento di un debito, avevano armi e le hanno usate, anche se lo strano e incredibile assalto non aveva alcuna controparte che si opponesse. Nell’aula del Senato, ovviamente senza armi, erano riuniti tutti i deputati e tutti i senatori degli Stati Uniti (cioè il Congresso, l’istituzione più alta degli Stati Uniti) con il compito, imposto dalla Costituzione, di verificare e ratificare l’elezione di Joe Biden a nuovo presidente degli Stati Uniti. Perché non erano protetti, in epoca di terrorismo, se non dai pochi addetti che spostano carte e aprono e chiudono porte al passaggio di dignitari?

Questa è la prima di molte domande rimaste senza risposta. Quando la folla, senza volto e in cerca di una misteriosa vendetta, ha fatto irruzione nell’aula del Congresso e vi sono stati colpi di arma da fuoco, deputati e senatori hanno cercato riparo dietro le sedie o hanno cercato di trovare le porte verso uscite meno pericolose.

Tutti però, in aula, in America e nel mondo, hanno constatato con meraviglia che per due ore non è mai arrivata la polizia: Stiamo parlando della polizia del distretto di Washington, che ha notoriamente la mano pesante, e che giorni prima delle elezioni aveva usato militi a cavallo per sgombrare da una folla pacifica di dimostranti una strada di fronte (ma non vicinissima) alla Casa Bianca, perché Trump, con una Bibbia in mano, voleva attraversarla come un Mar Rosso.

Anche la Guardia Nazionale, che ogni governo americano ha mobilitato (servono pochi minuti) in momenti difficili della Repubblica, si è vista solo, quando la folla ha deciso di abbandonare il luogo di conquista, lentamente, nella notte, lasciandosi distruzione e alcuni morti alle spalle (solo uno identificato), di tornare da chi li aveva mandati, dunque il presidente ancora in carica, Donald Trump, che li aveva pubblicamente chiamati ed esortati alla rivolta con un discorso di aperta e dichiarata violenza. E qui la storia prende a girare su se stessa come una trottola. Come fa l’Fbi a non esserci subito mentre il Parlamento e il Presidente eletto sono in pericolo? Come fa a non aprire un’inchiesta quando chiunque vede la sequenza: l’invasione era preparata, il personale antiterrorismo e i congegni di sorveglianza e di allarme elettronico erano stati rimossi, e i percorsi (non facili per gli estranei dentro il Palazzo del Congresso, dove quasi tutte le porte restano chiuse) erano noti a capofila bene organizzati, anche se vestiti da primitivi guerrieri tatuati e con un copricapo di gigantesche corna. Nell’immaginazione malata di Trump la festa doveva svolgersi insieme al disprezzo e insieme al tentativo di tenere unito e feroce il partito repubblicano, che invece si è diviso (se è vero ciò che sembra) dal distacco del vicepresidente Pence, che ha chiesto l’intervento della Guardia Nazionale, ma lo ha fatto tardi, quando ha capito che la tragica festa di carnevale organizzata da Trump non avrebbe fermato la ratifica dell’elezione del presidente Biden. Trump, però, l’organizzatore e il leader della vicenda a cui tutti abbiamo assistito con indignazione e spavento, è ancora alla Casa bianca per due settimane. Non chiamereste tutto ciò un tentativo di golpe?

Per questo, negli Stati Uniti e nel mondo, molti sono preoccupati per il rispetto e la mitezza con cui una parte della nuova Amministrazione sembra orientata a trattare Trump, forse per non essere uguale a lui. Resta sensato ciò che cerca di fare Nancy Pelosi: tentare l’impeachment subito. O far votare dal Congresso (quelli che si erano riparati sotto le sedie) l’immediata espulsione.

 

“SanPa”, perché non è una serie Rai?

 

“Ma perché se l’80 per cento circa dell’efficacissimo repertorio su cui poggia l’intera narrazione di SanPa è Rai, l’azienda di Stato non è stata in grado di produrla?”.

Lettera firmata

 

Ho girato la domanda a chi conosce la Rai, con le sue dinamiche interne, e ho ricevuto altre domande che, qui di seguito, esprimono diversi punti di vista (alcune con risposta incorporata). Interrogativi che sottopongo a chi del servizio pubblico radiotelevisivo ha più contezza di me.

Non poteva produrre “SanPa” forse perché la Rai ha smesso di essere un editore? Perché il suo azionista oggi è la politica tutta? Forse perché ai tempi della pur nefasta lottizzazione ognuno era “libero” di mandare i propri inviati, e di raccontare la stessa storia da sensibilità e prospettive diverse (nella serie Netflix si alternano le voci tra gli altri di Enzo Biagi, di Giovanni Minoli e di Gad Lerner. Rai1, Rai2 e Rai3)? E dunque forse perché all’epoca i telespettatori erano considerati prima di tutto elettori e non consumatori? Perché formare un’opinione rientrava in uno dei compiti principali affidati alle reti che agivano in competizione tra loro? Forse perché in Rai si preferisce non investire in progetti che richiedono tempo e risorse consistenti (due/tre anni ci sono voluti per produrre la serie “SanPa”)? Forse perché, tendenzialmente, chi può decidere preferisce non decidere di impegnare tempo e risorse senza avere un risultato immediato? Forse perché in Rai, come in politica, oggi ci sei, domani chi lo sa…? Forse perché, all’epoca dei fatti, la presidente Letizia Moratti rappresentava (con il marito Gianmarco) una delle principali fonti di finanziamento della Comunità, ed è grazie al suo interesse che la Rai coprì con grande dedizione le udienze dei processi? E a causa di ciò l’interesse diventò conflitto d’interessi? Forse perché quelle immagini, spesso anche di ragazzi con i volti segnati dalla dipendenza, avrebbero richiesto fiumi di liberatorie da far firmare per la messa in onda (oggi semplicemente impensabile)? Forse perché, ad esempio, molto difficilmente potrebbe andare in onda sulla Rai la scena nella quale Vincenzo Muccioli, in risposta alle presunte violenze nei confronti delle ragazze ospiti, si toglie la fede e invita la cronista a infilarci il dito mentre lo muove in continuazione, e conclude: “Se la ragazza si sposta, come ci fa a essere violenza”?

Infine, forse perché mentre sulle reti Rai passa il promo di “SanPa” qualcuno s’interroga sulla mancata messa in onda della fiction su Riace, quella sull’accoglienza con Beppe Fiorello, già prodotta (e pagata)? Forse perché, magari tra quindici anni, la produrrà Netflix (almeno senza poter contare sul repertorio Rai)?

 

La bella gatta Margot, il mago furbastro e il marito scemotto

Dai racconti apocrifi di Denis Diderot. Bernard era un contadino che aveva giurato di non sposarsi. “Tutte le donne sono ingannevoli come gatte!” diceva; ma cambiò idea quando vide al mercato l’incantevole Margot. “Come potrà mai fregarmi, questa ragazza dagli occhi innocenti?”. Così la sposò. E Margot gli era fedele.

Purtroppo, chi è geloso mette insieme fatti e parole per giustificare la sua gelosia: proietta il suo stato d’animo sulle cose, deformandole, alterandone il senso, forzandole a coincidere fra di loro. “In piazza ti ho visto sorridere al conte d’Armagnac!” le urlò una volta; e un’altra la rimproverò che si era divertita troppo a pigiare l’uva con Tanguy, il figlio del castaldo. “Ma pigiare l’uva è divertente!” pianse Margot dopo il ceffone ricevuto. “Non mentire!” sbraitò Bernard, dandogliene un altro. “Lo sanno tutti che il figlio del castaldo ha una nerchia tanta! E che a letto è instancabile! Ti piace Tanguy? Confessa!”. E poiché la poverina non confessava, decise di chiedere a un mago una pozione che la piegasse al proprio volere. Il mago si lisciava la barba bianca con una mano dalle unghie lunghissime e contorte che aveva pittato di nero, come usa chi pratica la magia nera. “Ti costerà”, disse a Bernard, dando un’occhiata alla sua saccoccia gonfia di monete. “Trasformerò tua moglie in una gatta. Costretta a dare la caccia ai topi per il suo pasto quotidiano, si pentirà della sua condotta riprovevole, e tornerà fra le tue braccia devota e fedele”.

Il giorno dopo, Bernard condusse la moglie bellissima dal mago, che la trasformò in una gattina grigia. “Lasciamela qui per una settimana. Le impartirò qualche lezioncina”, disse il mago, aizzandole contro i suoi cani feroci. Bernard tornò a casa gongolando; ma non appena se ne fu andato, il mago richiamò i cani, raccolse da un anfratto la gatta terrorizzata e, accarezzandola, le sussurrava parole dolci: “Perdonami, ho dovuto farlo per non insospettire tuo marito. Vedrai, stare qui non sarà affatto una punizione. Potrai dormire tutto il giorno davanti al caminetto. Ti darò da mangiare salmone, prosciutto e formaggio. E ogni notte, dopo che ti avrò strofinato tre volte, tornerai a essere una donna. Dormirai con me, e ti prometto che non rimpiangerai la verga di Tanguy!”. A queste parole, la ragazza inorridita diede un soffio, graffiò la mano del mago, fece un balzo verso la porta schiusa e corse via lungo un viottolo melmoso. Verso il tramonto, giunta al casolare di Tanguy, miagolò all’uscio. “Che ci fai qua, bella gattina?” le disse lui, sorridendole con un bagliore di incisivi. “Ti sei persa? Vieni, ecco una ciotola di latte tutta per te”. Margot, che era assetata dopo la corsa a perdifiato, leccava avidamente. Tanguy le accarezzò il dorso. “Uh, come sei soffice!” le disse, e Margot fece le fusa. Tanguy strofinò di nuovo il corpo sinuoso della gatta grigia, e lei sembrò ingrandirsi, mentre il pelo, le vibrisse e la coda si riducevano, e le sei piccole tettine si univano a dare due globi. Quando la strofinò una terza volta, Tanguy si trovò davanti, nuda, la bellissima Margot. Quella notte, i suoi vicini non riuscirono a dormire, per colpa dei prolungati lamenti di una gatta in calore; e fu una gatta grigia quella che videro, all’alba, allontanarsi dalla casa di Tanguy.

In breve, nel villaggio si sparse la voce, e molti scapoli furono orribilmente graffiati, dopo essersi portati a letto delle gatte grigie che non erano Margot. Un giorno, Bernard la ritrovò in casa del conte d’Armagnac. Mai offrire a una moglie la possibilità di giustificare il suo tradimento ai propri occhi.

 

La “prevalenza del renziano”, ovvero il caso di Massimo Rocca

La prevalenza del renziano nel dibattito pubblico, così ben profetizzata da Fruttero&Lucentini, è un fatto a cui siamo ormai abituati, ma che – venerdì sera – ha finito per coinvolgere un collega, la cui unica colpa è di essere uno dei molti blogger ospitati dal fattoquotidiano.it. I fatti. Sul suo profilo Facebook, e dunque non sul nostro sito, Massimo Rocca, ben noto agli ascoltatori di Radio Capital, aveva scritto questo: “Se il prezzo per cancellare Renzi dalla politica italiana è indossare il gilet esplosivo e consegnare il Paese alla destra, ebbene sia”. Come ognuno capisce, fuor di metafora significa: meglio che Conte cada e si vada al voto, a costo di beccarci il governo Salvini. Questa innocua presa di posizione, nelle mani dei sagaci social media manager del renzismo, diventa una minaccia di morte ad opera di questo giornale. “Questo blogger del FQ sogna di togliere la vita a Renzi indossando un giubbotto esplosivo”, s’indigna Ettore Rosato citando chissà perché i fatti di Washington. “Parole di una violenza inimmaginabile di un giornalista e blogger del FQ”, s’accora Teresa Bellanova direttamente dal vertice di maggioranza. Seguono frattaglie varie del renzismo sugli stessi toni e cialtroni altrettanto interessati al seguito. Il risultato è che il povero Rocca è stato bloccato da Facebook, che gli consiglia pure di rivolgersi a uno specialista visto che ha tendenze suicide. Pare incredibile, ma è tutto vero: è il mondo all’epoca della prevalenza del renziano, che è un po’ il cretino di F&L, però meno colto.

Non solo Viareggio: da Eternit alla Moby, “impuniti di Stato”

Una falce. Che spazza via i processi e le speranze dei parenti delle vittime. Tutto impunito: stragi ferroviarie, ambientali, morti per amianto, reati dei colletti bianchi. Molte vittime, nessun colpevole. Grazie alla prescrizione (e non solo). L’ultimo caso è la strage di Viareggio: la Cassazione ha dichiarato prescritto il reato di omicidio colposo perché è venuta meno l’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. Così le stragi diventano incidenti, i morti passanti sfortunati.

Eternit.Emblematico il caso della multinazionale Eternit e del suo manager svizzero Stephan Schmidheiny. Dagli anni 80 al 2011 oltre 2.000 persone sono morte dopo aver respirato amianto negli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo (Piemonte), Rubiera (Emilia) e Bagnoli (Campania). Nel processo Eternit 1, Schmidheiny fu condannato a Torino a 16 anni e in appello a 18 ma poi, in Cassazione, il reato di disastro doloso e di rimozione volontaria di cautele sui luoghi di lavoro erano stati ritenuti prescritti. A gennaio il manager è stato rinviato a giudizio a Vercelli per la morte di altre 392 persone con l’accusa di omicidio volontario. L’omicidio colposo avrebbe rischiato l’ennesima prescrizione.

Bussi.Per quasi 40 anni lo stabilimento Montedison di Bussi sul Tirino (Pescara) avrebbe avvelenato acqua e suolo ma nel 2014 il Tribunale di Chieti assolse gli imputati per il reato di avvelenamento delle acque e dichiarò la prescrizione per quello di disastro ambientale, derubricato da doloso a colposo. In appello la Corte d’assise dell’Aquila condannò 10 manager su 19 a pene tra i 2 e i 3 anni, dopo un ricalcolo dei termini per il reato di disastro ma, nel 2018, è arrivata la Cassazione: quattro imputati assolti per non aver commesso il fatto e sei manager prescritti per intervenuta prescrizione.

Moby Prince. La sera del 10 aprile 1991, il traghetto Moby Prince entra in collisione con la petroliera Agip Abruzzo nella rada di Livorno: le fiamme si propagano velocemente e, tra scarse segnalazioni e soccorsi in ritardo di un’ora e mezza, il bilancio è di 140 morti e un unico superstite. Partono le indagini ma due mesi dopo, come ha accertato la commissione d’inchiesta parlamentare nel 2018, la Navarma, la Snam che arma la petroliera, l’Agip e gli assicuratori firmano un accordo segreto: Snam avrebbe pagato i danni ambientali, Navarma avrebbe risarcito i familiari delle vittime che in cambio avrebbero rinunciato all’azione legale. Il processo di primo grado per omissione di soccorso e omicidio colposo contro ufficiali di Marina e comandante della Capitaneria di porto si conclude nel 1997: tutti assolti perché “il fatto non sussiste”. Due anni dopo, però, la Corte d’appello di Firenze ribalta tutto riconoscendo la responsabilità dell’ufficiale Agip Valentino Rolla, ma ormai tutti i reati sono prescritti. Nessun colpevole. L’inchiesta è riaperta nel 2018 dopo che la commissione parlamentare aveva fatto luce su nuovi elementi. La Procura di Livorno a dicembre 2018 ha aperto un nuovo fascicolo per strage.

Casalecchio di Reno. Il 6 dicembre 1990 un aereo da addestramento dell’Aeronautica decollò dall’Aeroporto di Verona-Villafranca per poi schiantarsi sull’Istituto tecnico di Casalecchio di Reno (Bologna) uccidendo 12 studenti. Per i giudici è un tragico incidente. Il processo di primo grado nei confronti del pilota Bruno Viviani, del comandante Eugenio Brega e dell’ufficiale della torre di controllo Roberto Corsini, accusati di omicidio colposo plurimo e disastro, si concluse con le condanne a 2 anni e 6 mesi e il ministero della Difesa condannato a pagare i risarcimenti. Secondo i giudici di Bologna infatti la strage fu dovuta a tre fattori “intrecciati in modo praticamente inscindibile: un sovraccarico del 12 per cento rispetto al peso raccomandato, la contaminazione da neve e/o ghiaccio, l’inadeguata manovra del pilota”. In appello – sentenza confermata dalla Cassazione – tutti assolti perché “il fatto non costituisce reato”: il pilota era stato sorpreso da un incendio dentro il velivolo mentre si preparava all’atterraggio di emergenza.

Il nuovo Dpcm per avere più zone rosse dopo il 15

Si prepara un nuovo Dpcm più restrittivo dopo la scadenza, il 15, delle misure in vigore: per andare in zona “rossa”, cioè negozi chiusi e divieto di circolazione anche di giorno (salvo motivi di lavoro, salute o necessità), basterà un tasso di incidenza di 250 casi ogni 100 mila abitanti negli ultimi 7 giorni a prescindere dal valore del tasso di riproduzione del virus Rt e dalle valutazioni di rischio su sorveglianza e ospedali. L’ha proposto l’Istituto superiore di sanità, il Comitato tecnico-scientifico venerdì ha dato parere favorevole. Con queste regole, stando ai dati di ieri, passerebbero al “rosso” il Veneto e l’Emilia-Romagna, che invece da domani sono “arancioni” insieme a Lombardia, Calabria e Sicilia che hanno Rt sopra 1, ma anche il Friuli-Venezia Giulia e la provincia autonomia di Bolzano, al momento “gialli”.

“Il passaggio dalla fase di contenimento epidemico ad una fase di mitigazione è avvenuto in Italia quando l’incidenza a 7 gg ha superato i 50 casi per 100.000 abitanti”, si legge nel documento presentato al Cts dal presidente dell’Iss Silvio Brusaferro. “Quando viene raggiunta una incidenza settimanale di 300 casi per 100.000 abitanti – scrive l’Iss –, si verifica un sovraccarico (avvenuto o imminente) dei servizi assistenziali nella maggior parte delle regioni”. È successo a novembre, quando quasi tutte le regioni hanno superato le soglie per le terapie intensive (30% di posti occupati da malati Covid-19) e i reparti ordinari (40%), ma può succedere di nuovo. “Gli ultimi dati europei – si legge nel documento – mostrano come il numero di casi, ricoverati e decessi stia aumentando in modo evidente in vari Paesi. Questo potrebbe essere in parte legato alla emergenza di varianti virali a maggiore trasmissibilità”, scrive ancora l’Iss, che senza misure rigide si attende un possibile “nuovo rapido aumento nel numero di casi”. La curva sale in Gran Bretagna, dove ieri sono stati rilevati 59.937 nuovi casi (meno degli oltre 68 mila di venerdì) e 1.035 morti (venerdì il record: 1.325) e la situazione negli ospedali è molto difficile: non ci sono studi definitivi sulla maggiore gravità della cosiddetta variante inglese e di quella sudafricana, ma si esclude una loro maggior resistenza al vaccino Pfizer Biontech. Resta difficile la situazione in Germania: i nuovi casi, secondo il report giornaliero dell’Istituto Robert Koch, sono stati 24.694, l’incidenza settimanale è a 159 ogni 100 mila abitanti e quindi ha iniziato a scendere, ma i morti aumentano. Ieri 1.083, venerdì 1.188. Ci sono 5.400 pazienti nelle terapie intensive. In Italia, con meno abitanti, ieri erano 2.593, sabato scorso 2.569, due sabati fa 2.580. Sono stati 19.978 i nuovi casi comunicati dalle Regioni, l’11,6% dei tamponi (172.119), il 30% delle persone testate (66.417). I morti sono stati 483 e la media è costante da 14 giorni.

Il governo discuterà domani le misure con le Regioni, che manifestano resistenze. Potrebbe essere però introdotta una zona “bianca” con minori restrizioni rispetto alle “gialle” al di sotto dei 50 casi a settimana ogni 100 mila abitanti: al momento nessuna regione va così bene. Rimarranno chiusi cinema, teatri, stadi, palestre, campi da calcetto. E un’ombra si allunga sulle piste da sci: la riapertura degli impianti è prevista per il 18 gennaio, il Cts ne discuterà martedì, ma per quanto sia apprezzato lo sforzo di stabilire regole e procedure anticontagio, c’è grande preoccupazione su baite e rifugi nei quali non è possibile indossare le mascherine.

“Dati altalenanti, non terrorizziamoci. Adesso abbiamo le armi per vincere”

“Sono emozionato e orgoglioso per il mio ospedale”. Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani di Roma, vecchia volpe della sanità, 66 anni, napoletano verace, aveva detto: “Il capitano sarà l’ultimo della barca a vaccinarsi”.

Con lei avete raggiunto quasi il 100% allo Spallanzani.

Sì, mancano pochissimi colleghi, qualcuno in ferie, qualcuno positivo al SarsCov2. Mentre me lo somministravano mi è venuto in mente un incontro del 1991, allora dirigevo il Cotugno di Napoli, con Albert Sabin, padre del vaccino anti-polio.

Che cosa le disse?

Che il mondo si sarebbe salvato col vaccino. Parole quanto mai attuali. Poi mi sono ritornati in mente i due signori cinesi, i primi infetti da SarsCov2 ricoverati in Italia qui da noi allo Spallanzani. Al loro rapido peggioramento, forse il momento più difficile, di smarrimento, e alla guarigione. Da quel momento ad ora sembra passato un secolo, ma come quasi un anno fa è importante non farsi vincere dal terrore nella consapevolezza che col vaccino abbiamo uno strumento in più e vorrei fare un appello perché si possa accelerare anche l’impiego degli anticorpi monoclonali nella lotta al Covid, come ho già avuto modo di ribadire al ministro della Salute Roberto Speranza.

In questi giorni i numeri della pandemia in Italia sono di nuovo in crescita. Preoccupato?

Dati altalenanti, l’indice di contagiosità oscilla, è sceso di nuovo. Io dico che non bisogna spaventarsi. I numeri sono figli di quell’inizio di dicembre un po’ caotico e forse irresponsabile, ma poi il governo ha messo in campo misure tempestive e corrette. Credo che dal 20 gennaio ne vedremo i concreti effetti.

Sulle scuole qual è la sua opinione?

Per le superiori aspetterei il 20 gennaio facendo ancora uno sforzo ulteriore sui trasporti per farle ripartire davvero in piena sicurezza anche in base a quelli che saranno i numeri di questi dieci giorni. Ma davvero tutto in serenità, perché penso che combattere il coronavirus senza serenità ci esponga ancora di più a errori.

Il numero dei morti quotidiani per Covid in Italia continua a essere terribile, però.

Sì, sarebbe terribile per me anche se fosse uno solo al giorno. Ma tutto va contestualizzato, non per essere cinici, ma per non atterrirci. Allo Spallanzani abbiamo realizzato uno studio, sarà disponibile fra qualche giorno: “solo” il 30% di chi arriva in terapia intensiva muore, per altro sempre con condizioni di partenza già gravissime. Il 30% è un numero già importante ma non catastrofico. Lo studio riguarda lo Spallanzani, ma in questa epidemia il nostro ospedale, essendo “Covid 1”, spesso è stato specchio del Lazio e anche del Paese intero.

Lei è anche consulente della Federazione giuoco calcio per la sanità. Diede parere favorevole ai mille allo stadio. Quando potremo riappropriarci di grandi eventi, partite, concerti?

Servono immediati investimenti sulle strutture per rendere ingressi e spazi comuni consoni al momento storico. In mille seduti in uno stadio da 40 mila posti, col giusto distanziamento si può stare tranquillamente e si potrebbe anche stare in numero maggiore.

Crede che per la partita inaugurale di Euro 2021, Italia-Turchia, l’11 giugno a Roma, si potrà essere in più di mille quindi?

Considerando il numero dei contagi e la percentuale dei vaccinati che avremo a giugno credo e spero, senza essere un indovino, che all’Olimpico potremo essere ben più di mille a tifare per gli azzurri. Sono fiducioso perché credo che presto ci sarà la possibilità di vaccinarsi 24 ore su 24 in gran parte d’Italia. Entro il 2021 vinceremo.