Non potrebbe mai succedere in Italia? Guardate Twitter

Per tutti quelli che, davanti alle immagini del Congresso americano occupato, dicono: “In Italia non potrà mai succedere”, può essere istruttivo dare un’occhiata ai commenti su Twitter al post da pompiere di Matteo Salvini. Il leader leghista alle 21 e 36 del 6 gennaio twitta: “La violenza non è mai la soluzione, mai. Viva la libertà e la democrazia, sempre e dovunque”, e molti suoi seguaci telematici non gradiscono.

Per esempio ‘Stelio_Bonsegna’, uno che nei giorni precedenti aveva ritwittato post del leader leghista o pezzi secondo i quali il centrodestra vola nei sondaggi, stavolta gli risponde con una lezione di storia: “Caro Matteo, oltre 70 anni fa, gli italiani conquistarono la Libertà, con la violenza. Dimostrazione che non esistono altri metodi”. Più dura Marcella FS. Da questo profilo che solitamente ritwitta le posizioni di Alberto Bagnai e Borghi, stavolta parte un insulto al loro leader: “A Matte, MA VAF(…). Se prendono i voti del Popolo e li buttano al cesso, nemmeno far finta di nulla è la soluzione. Il Popolo è incazzato. E ha ragione”. Va bene la democrazia e la non violenza a Washington, ma vaglielo a dire a Roberto Calia che pure in passato rilanciava i post di Claudio Borghi contro Conte, ma ora tuona: “Ma quale violenza? (…) la violenza è quella dei media mainstream che impongono la loro verità unica (…)”. Per lui Salvini ha toppato perché “è una protesta civile di massa. Mi piacerebbe vederla nel nostro Parlamento”.

Anche Stefano spiega a Salvini i fondamentali del buon sovranista: “Ti fanno un golpe da sotto il naso con brogli e tu vuoi rispondere coi palloncini. Ottimo”. Sotto incassa 40 mi piace.

Poi c’è Francesco Mosca: “Ma cosa scrivi? Non c’è stata nessuna violenza”. Interessante la risposta fraterna di Guido Crosetto: “Francesco, per favore!”. Il coordinatore di Fratelli d’Italia ce la mette tutta e sotto posta quattro foto di ‘patrioti’ filo-trumpiani impresentabili che bivaccano e sfidano la Polizia.

Purtroppo, in Italia come in Usa, quando soffi sul fuoco per anni screditando le istituzioni poi non è facile rimettere dentro il genio del populismo uscito dalla lampada. Anche se metti in campo il gigante buono delle armi (Crosetto è anche presidente dell’associazione delle industrie del settore difesa, l’Aiad) della destra. Alla succitata Marcella FS (con fiocco tricolore nel profilo) Crosetto fa un discorso che sembra quelli gridati dal mister Antonio Conte dalla panchina ai giocatori più indisciplinati dell’Inter: “La cosa più stupida che si possa fare nella vita è farsi definire, disegnare, guidare dagli avversari. Se dubiti che l’arbitro sia di parte, evita di falciare un avversario in piena area di rigore. Se lo fai per lamentarti e avere una scusa per la sconfitta, sei l’avversario”. Crosetto incassa 341 mi piace, ma Marcella FS è ricettiva con lui come Vidal con Conte ed entra in tackle così: “Molto meglio far finta di nulla, giocare secondo regole falsate vincere e poi non fare una mazza perché l’arbitro, che tu democratico non contesti, poi lo scudetto lo dà a un altro”. Anche Alberto Torazzi rincara: “Dissento. Se ti rubano il diritto di voto nn puoi accettarlo”. Sara lo bacchetta con una lezione di storia comparata: “Violenza è anche falsare quelle che dovrebbero essere elezioni democratiche, truffando un popolo intero che si reca al voto. Le ricordo che in Italia è dal 2011 che non c’è un governo che assomigli anche lontanamente al voto espresso dagli elettori”. Enrico Ardissone ha capito la ragione del debole messaggio salviniano: “Io capisco che lei non può approvare pubblicamente perché altrimenti gli amici di sx la massacrerebbero… però cerchi di essere furbo, o tace e aspetta oppure sia meno tranchant altrimenti perderà un sacco di sostenitori italiani. Il popolo ne ha le palle piene”.

Anche noi di questo tipo di popolo.

 

Marziani a Roma: “prima la salute, poi le elezioni”

Se tornasse oggi a Roma il proverbiale marziano di Flaiano, troverebbe ben poco da ridere ma molto di cui stupirsi. A cominciare dal comportamento dei nostri politici, gli unici in piena e frenetica attività in questi tristi piovosi giorni di festività sotto lockdown. In verità non occorre salire fino a Marte per acquistare la necessaria distanza e prendere la misura della cieca follia che sembra essersi impadronita dei nostri rappresentanti. Non di tutti, naturalmente, ma certamente di quelli più rumorosi, quelli che riempiono le pagine di quasi tutti i giornali e la grancassa costituita da telegiornali e talk show. Sono settimane che lì si ripetono frasi senza senso per la maggior parte degli abitanti di un Paese alle prese con un pericolo esiziale. Siamo all’inizio del secondo anno di una pandemia che ha messo in ginocchio il mondo e che oggi, invece di attenuarsi, ha acquisito la capacità di propagarsi con maggiore virulenza.

In Inghilterra la cosiddetta variante inglese del virus sta facendo strame di tutti gli argini programmati, obbligando il primo ministro Johnson a chiedere a tutti i cittadini di rimanere a casa. La campagna di vaccinazione inglese, lanciata in gran pompa in anticipo sull’Europa e sugli Stati Uniti, è stata stravolta. La corsa, ormai, è quella di riuscire a vaccinare il più alto numero di persone possibile con almeno una dose di vaccino, in modo da iniziare a frenare il contagio. La variante inglese, come sappiamo, ha già saltato la Manica, e anche l’Atlantico, ed è stata individuata nel nostro Paese. Non abbiamo la stessa estensione di mappatura genetica della Gran Bretagna, per cui la nostra conoscenza della diffusione della variante in Italia rimane incompleta, ma la possibilità di arrivare a una situazione di contagio comparabile a quella inglese esiste.

Ne sono consapevoli le autorità europee che stanno tentando di accelerare sulla produzione e la distribuzione di vaccini. La nuova presidenza portoghese dell’Unione europea ha messo la questione sociale e le nuove e crescenti disuguaglianze, anche nell’accesso alla sanità, al centro del suo programma. Ma la politica, in Italia, parla d’altro. Le parole suonano vuote e remote: si parla di “cambio di passo”, di mancanza di “visione”, si dice che al governo “manca l’anima”. Per fare esattamente che cosa, non si sa, o almeno non viene detto. Un tema che appassiona è la delega ai Servizi segreti, una delega che secondo il testo dell’ultima riforma del settore è in capo al presidente del consiglio, ma di cui Giuseppe Conte, se vuole rimanere al suo posto, dovrebbe disfarsi, presumibilmente a favore di altri. Per arrivare a quale obiettivo, pudicamente, nessuno dice. In questo gran ballo politico di inizio anno la parte da protagonista, quello con il dito sul grilletto, con Conte nel mirino, se l’è fragorosamente auto-attribuita Matteo Renzi. Ma non mancano i comprimari, tutti dentro la coalizione di governo.

Tutti i politici italiani, di maggioranza e di opposizione – e Renzi più velocemente di tutti – si sono complimentati con il Presidente Mattarella per il suo discorso di fine anno. “Parole sante”, addirittura. Furono parole pesate, pronunciate dal Presidente in piedi, come per segnalarne l’urgenza. E se le avesse ascoltate un marziano (o una marziana, aggiungo) non poteva che trarne una conclusione.

Per quanto criticabile o migliorabile, questo è il governo in carica, con il suo primo ministro, costituzionalmente investiti dalla responsabilità di governare, e questo dobbiamo tenerci, finché la pandemia che stiamo affrontando continua a mettere a rischio le nostre esistenze. Le misure necessarie dovrebbero essere votate da tutti, maggioranza e opposizione. Il piano italiano per gli investimenti europei va portato e discusso in Parlamento, comprensivo di un credibile progetto per il raggiungimento dell’ambizioso obiettivo di riduzione delle emissioni e lotta al cambiamento climatico che l’Italia ha sottoscritto insieme ai partner europei. Ma il primo obiettivo, quello senza il quale gli altri non potranno mai essere raggiunti, è fermare l’epidemia. Si parla della possibilità di completare la campagna di vaccinazione nazionale entro l’autunno. In politica, non sono tempi tanto lunghi.

Da marziana quale ormai mi sento, pregherei i nostri bellicosi rappresentanti politici di volere cortesemente deporre le armi e procedere insieme a lottare per la nostra salute. Se vogliamo, visto che siamo nell’anno di Dante, potere di nuovo uscire a “riveder le stelle”. Ci sarà tempo per crisi di governo, regolamenti di conti, elezioni – e magari qualche benefico, vero congresso di partito. Ma dopo.

 

Il bel cucchiaino del duca di Hastings, suocere, nuore e Gesù al ralenti

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Netflix, streaming: Bridgerton, serie. Le donne divorano come i topi di laboratorio la cocaina questo drammone ridicolo, un misto di Jane Austen e Sex and the City. Al termine della visione, allupate, si ritrovano un secchio di colla fra le gambe, così si sfogano sul maschio sottomano, spompandolo con una performance sessuale talmente indemoniata che lo allarma, facendogli chiamare i vigili del fuoco, che avrebbero altro di cui occuparsi (ovvero le loro compagne, che hanno appena visto Bridgerton e li stanno spompando con una performance sessuale talmente indemoniata che li allarma, facendogli chiamare i vigili del fuoco, che però sono loro: un classico cul de sac). La protagonista è Phoebe Bridgerton, una piccola emmerdeuse a cui non va mai bene niente di quello che offre il menu. No, non è bella, ma è un tipo. Ha quegli occhi nostalgici, languidi, vasti, delle biondine che saltano i pasti: pare invidiar le chiassose donnine che ciucciano il cazzo dei sottotenenti, e i colonnelli le invitano al cine. La scena cult è quella in cui il duca di Hastings, un manzo di colore, lecca con voluttà il dolce da un cucchiaino in una sala da tè, sputtanando per sempre il mio trucco di seduzione segreto, cui d’ora in poi dovrò rinunciare. Grazie mille, Shonda Rhimes. A buon rendere.

Canale 5, 21.20: C’è posta per te, people show. Nella nuova stagione di questo programma aberrante, stravisto dal pubblico femminile perché è pura pornografia dei sentimenti, tornano grandi ospiti come Can Yaman, il figaccione che interpreterà Sandokan. Maria, ho una richiesta dalla mia ragazza: fagli leccare un cucchiaino da tè.

Rete 4, 19.35: Tempesta d’amore, soap. Steffen fa una romantica dichiarazione d’amore a Franzi, ma sul più bello viene interrotto dalla madre, che ha bisogno di essere consolata perché il suo vibratore ha le pile scariche. (Scandalizzate? Cioè leccare un cucchiaino, al ralenti, come fosse una figa, va bene, ma un vibratore senza pile, e una madre che si scopa il figlio, no? Ipocrite). Questa puntata introduce un tema doloroso per il mondo femminile: la rivalità fra suocera e nuora. Il fatto è che ogni donna, in materia di femminilità, crede di essere il metro di platino-iridio che si conserva a Sévres. Nessuna donna sa capire suo figlio come lei, nessuna donna sala il lesso come lei, nessuna donna sa scopare il figlio come lei. Se una nuora è un po’ più civetta di lei, è una troia. Se è un po’ più modesta di lei, è una barbona. Del resto, ogni donna si ritiene insostituibile nel cuore di un uomo. La lasci, e lei ti dice: “Nessuna donna ti amerà come ti ho amato io”. Ma lei stessa ha la presunzione di poter sostituire, domani, qualunque altra donna nell’affetto e nella libidine di un uomo, anche se la precedente era un’attrice famosa, radioattiva, dalla sensualità perturbatrice, esperta a letto come una cortigiana. Ogni donna, insomma, è convinta di essere superiore a tutte le altre: nessun’altra donna è come lei. Ecco perché suocera e nuora sono concorrenti. La madre di Steffen penserà sempre: “In che mani è capitato mio figlio!”, perché lei ha impiegato più di vent’anni per fabbricarlo, e quella svampita, la prima venuta, ci ha messo 5 minuti per portarglielo via.

Rai 1, 10.15: La Santa Messa, fiction. Maria di Magdala si eccita vedendo Gesù in croce che lecca al ralenti una spugna imbevuta di fiele.

Mail Box

 

 

Servono più tutele per i lavoratori

L’articolo 18 che proteggeva i lavoratori è stato tolto dal politico Matteo Renzi. Si può fare una nuova legge. Altra legge creata a suo tempo dalla signora Fornero – pensione a 67 anni – è modificabile, migliorandola. E così via. Il governo attuale dovrebbe detassare in parte le società e le aziende con l’obbligo di mantenere il posto di lavoro ai loro dipendenti e assumere un minimo di disoccupati. Inoltre, cosa mi rappresenta il blocco dei licenziamenti fino al 31 marzo? È un contentino che sa di presa in giro. Ci sono società che licenziano i loro lavoratori dai 45 hai 55 anni, che magari hanno una famiglia con figli: il governo si deve interessare anche di loro. Così come ci sono società che nascondono in parte i loro utili di fine anno, dimostrando falsamente di essere in crisi, per poter licenziare: queste vanno controllate per prime da chi ne ha la competenza.

Silvio Onorati

 

Una lettera ispirata da Dario Fo

Sarebbe bello leggere sul Fatto una lettera così: “Avanti tutta ragazzi, non mollate!”.

Dario Fo

Aldo c.

 

Benvenuto Davigo nella squadra del “Fatto”

Grazie al Fatto per aver accolto Davigo fra le sue firme, e grazie a Davigo per aver accettato. Finalmente avremo una informazione contro il benaltrismo dilagante. Grazie!

Massimo Giorgi

 

L’ingresso in squadra di Piercamillo Davigo è una grandissima notizia. Se fra qualche tempo leggerò che anche Vinicio Capossela diverrà collaboratore del Fatto, allora mi imporrò di comprare ogni giorno tre copie del mio quotidiano preferito. Ma non spero in tanto, la compagine risulterebbe troppo forte, troppo forte.

Marco Bernardini

 

Plaudo alla collaborazione al Fatto Quotidiano di Piercamillo Davigo: grande uomo e grande magistrato. Anche questo dimostra la grandezza del nostro giornale.

Romano Lenzi

 

È da tanto che per un motivo o un altro non vi scrivo, ma quando ho trovato tra i nuovi collaboratori del Fatto la firma di Piercamillo Davigo ne sono rimasto così entusiasta che mi sono imposto di scrivervi vincendo la pigrizia. Grazie al direttore, al giornale e a Piercamillo Davigo, che stimo e di cui ho apprezzato sempre gli interventi in tv.

Giuseppe Messe

 

Ottimi gli articoli di Fini, per cui il governo dovrebbe far cessare l’intervento dell’Italia in Afghanistan, inutile e dispendioso, e quello di Davigo, sugli scioperi in carcere: come sempre saggio e razionale, lezione magistrale per tutti coloro che si occupano di giustizia.

Piero Angius

 

Benvenuto nel posto giusto! Mi sento di dire questo allo stimatissimo magistrato che ci delizierà, ne sono certa, con “getti d’inchiostro” indelebili. Mi scuso, in anticipo, per la confidenza che mi sono presa e lo accolgo quindi con un bel “Vai Piercamillo!”. Buon lavoro e un caro saluto a tutti voi.

Olga Longa

 

Complimenti per l’ultimo “acquisto” del Fatto. L’arrivo di Piercamillo Davigo eleva ancor di più il livello di informazione in materia giudiziaria, cara a molti di noi lettori. Se fossimo nel mondo del calcio potremmo parlare dell’ingaggio di un top player. Nel suo primo intervento ha documentato nei minimi dettagli la situazione carceraria in Italia e nel resto d’Europa come pochi altri. Spero che i suoi interventi possano essere anche un buon viatico per il governo nell’arduo sforzo di consegnare al nostro Paese una Giustizia sempre più efficiente.

Peppino Macchitella

 

Grande preoccupazione per il post-trumpismo

Sono molto preoccupato per i fatti successi a Washington e non sono certo che il “trumpismo” finirà tanto presto, anche perché la donna che è rimasta uccisa negli scontri era una veterana elle guerre in Afghanistan e in Iraq. Cioè, come ricordava Massimo Fini sul nostro giornale, due guerre che durano da molti anni e delle quali non si vede una fine. È importante ricordare la figura della vittima in quanto era stata addestrata alla guerra e una volta rientrata negli Usa ha conservato la tendenza aggressiva di molti reduci e la perdita del discernimento fra l’uso della forza e la vita democratica. Tenete conto che, praticamente, l’ordine di agire le veniva direttamente dal Presidente americano. Quello che desta maggiore preoccupazione, oltre a vedere la saldatura di certe frange oltranziste con sette religiose e suprematisti bianchi, è il fatto che gli Stati Uniti saranno diretti da un Joe Biden e da Nancy Pelosi, che in Italia sarebbe come dire Giulio Andreotti e Gianni Letta.

Vorrei ricordare, sempre con Massimo Fini, che le crisi degli States sono state spesso risolte provocando qualche guerra in altre parti del mondo o prolungando i conflitti in atto. Il premio Nobel per la Pace Obama, per esempio, è stato il presidente che ha avuto più guerre e guerricciole durante il suo mandato di qualsiasi altro nel dopoguerra. A chi toccherà ora? In più, oltre alla crisi di credibilità, c’è anche la pessima figura che gli americani stanno facendo con la pandemia.

Franco Novembrini

Dal Liceo Mamiani “Noi docenti chiediamo di riaprire in sicurezza”

 

 

Gentile redazione del Fatto Quotidiano, in seguito all’ennesimo rinvio della ripresa della didattica in presenza, come docenti del Liceo Statale “Terenzio Mamiani” di Roma – riconoscenti alla nostra dirigente e alla commissione organizzativa del nostro istituto che lavora da mesi, incessantemente e senza riconoscimento, per permettere, per quanto in loro potere, un rientro in classe sicuro e sereno – denunciamo le gravi e vergognose inadempienze delle autorità nazionali e locali, che in questi mesi hanno dimostrato ancora una volta come la scuola e l’educazione non siano una priorità in Italia. Non hanno saputo approfittare dell’occasione offerta da questa terribile crisi per investire in un progetto di vera riforma della scuola italiana, di cui la pandemia ha messo in luce i problemi già da tempo evidenti.

In particolare, imputiamo al governo: di aver chiuso le scuole per prime (mentre la Scuola di Stato dovrebbe essere chiusa solo in caso di un lockdown totale, come è del resto avvenuto in Paesi a noi vicini); di non aver ridotto il numero di studenti per classe, almeno nelle prime classi che sono ancora oggi di 27-30 studenti; (…) di non aver previsto l’istituzione di una task force per il monitoraggio, il controllo, il coordinamento di dirigenti e personale scolastico; di non aver fin da subito disposto una radicale riorganizzazione del trasporto nelle grandi città, anche con contratti con mezzi privati (…).

Alle autorità locali e agli uffici scolastici regionali, imputiamo: di non aver realmente coinvolto né supportato i dirigenti nella quasi sempre vana ricerca di nuovi spazi sicuri; di aver sempre chiesto la chiusura delle scuole superiori; di aver subordinato il diritto allo studio al disastroso sistema del trasporto pubblico; di aver chiesto flessibilità di orari e continui cambiamenti proprio agli adolescenti, i cui ritmi sono già stati pesantemente modificati nella fase delicata e unica della vita che è quella della crescita; (…) di non aver abbastanza chiaro che la didattica a distanza penalizza i più fragili, quelli che sono meno autonomi e capaci di adattarsi o quelli che vivono in un contesto più svantaggiato; di non aver ancora provveduto alla installazione della fibra ottica gratuita all’interno degli edifici scolastici storici.

Pur consapevoli della gravità della situazione sanitaria e di quanto sia difficile prendere oggi delle decisioni, chiediamo con forza a chi ci governa e ci rappresenta di trovare le energie e le risorse necessarie per far ripartire la scuola statale secondaria superiore in presenza, in sicurezza e con continuità.

I docenti del liceo Mamiani di Roma

“Bologna 1980: strage di Stato, altro che 4 amici al bar”

Un anno dopo la sentenza, il presidente della Corte d’assise Michele Leoni deposita le motivazioni della condanna all’ergastolo inflitta a Gilberto Cavallini: 2.118 pagine minuziose, accurate e preziose che ricostruiscono il disegno della strage di Bologna e spiegano perché Cavallini va considerato, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, responsabile degli 85 morti e oltre 200 feriti della bomba piazzata il 2 agosto 1980 alla stazione. Insieme ai già condannati definitivi Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, di cui vengono smontate le bugie, le reticenze e i depistaggi.

Sono loro i responsabili, ribadisce Leoni, di “una strage politica, o, più esattamente, di una strage di Stato”. Anche se, per motivi tecnico-giuridici, la Corte è costretta a condannare in base all’articolo 422 del codice penale (strage “comune”) e non 285 (strage politica con finalità eversive): per colpa della Procura di Bologna, che nel capo d’imputazione di Cavallini ha inserito il termine “spontaneista” che “costituisce una negazione della strage politica, alias di Stato”, e ha “funzionato come clausola di sbarramento per una pronuncia di colpevolezza di Cavallini per strage politica o di Stato”. Con quella parola, “la pubblica accusa ha circoscritto lo spazio dell’incriminazione all’operatività di una cellula terroristica autonoma, estranea da concreti programmi di sovversione istituzionale”.

Ma di strage di Stato si tratta, ribadisce il giudice, malgrado l’“ottica minimalista” della Procura, che “riconduce tutto alla dimensione autarchica di quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo (con le bombe, ma anche con il solito corteo di coperture e depistaggi)”. Un’impostazione, sottolinea secco Leoni, che “lascia perplessi, anche perché non si sa attraverso quale percorso istruttorio e/o processuale si sia approdati a ciò”.

Altro che “spontaneismo”: Gilberto Cavallini “era tutt’altro che uno ‘spontaneista’ confinato in una cellula terroristica autonoma”. “Risulta chiaro che, con i suoi ‘collegamenti’, era pienamente consapevole dei disegni eversivi che coinvolgevano il terrorismo e le istituzioni deviate”, come i suoi complici e come tutti i capi dell’eversione di destra, ben collegati agli apparati dello Stato.

“Non si capisce come mai, nel variegato panorama del terrorismo di destra, Tuti, Concutelli, Delle Chiaie, Graziani, Massagrande, i vari capi di Ordine Nuovo e di Avanguardia Nazionale, Fachini, nonché Fiore e Adinolfi, fossero tutti compromessi con i Servizi e con altri poteri dello Stato, e solo i Nar (Cavallini compreso) facessero eccezione”. Nessuna eccezione, invece: è escluso che i Nar “fossero gli unici portatori di una verginità di intenti”, visto che avevano rapporti con Ordine Nuovo (Cavallini era legato a doppio filo con uno dei suoi leader, Massimiliano Fachini) e con esponenti di vertice di Terza Posizione (Roberto Fiore e Giorgio Vale). “Vi sono molti elementi per affermare che i Nar erano vicendevolmente integrati con personaggi e organizzazioni della stessa estrazione”. E “una miriade di dichiarazioni depone per una radicata compromissione fra terrorismo, P2 e Servizi segreti”.

Nessuna attendibilità hanno la “pista palestinese”, le “piste internazionali” e i variopinti depistaggi resuscitati come alternative alla strage nera: piste “tutte fungibili come pezzi di ricambio, per nulla imparentate l’una con l’altra, salvo che per un comune intento: negare la responsabilità di terroristi di destra italiana, servizi segreti italiani e istituzioni italiane, e dirottare tutto su imprecisate, fantomatiche e fantasiose organizzazioni estere”.

Cavallini “sapeva perfettamente che la strage” si sarebbe “inquadrata in un progetto destabilizzante” che “poteva costituire il primo passo verso la restaurazione di una forma di Stato tipo Reich, che egli idolatrava apertamente”. La strage di Bologna avviene il 2 agosto perché quella data “segna una ricorrenza storica e fondante nella storia del nazismo: la fine della Repubblica di Weimar” e l’assunzione da parte di Hitler del titolo di Führer.

Soddisfatti i legali dell’Associazione familiari delle vittime, Andrea Speranzoni e Roberto Nasci: “La motivazione depositata rappresenta un atto di monumentale importanza che rende giustizia alle vittime”.

Tra i tanti testi che la Corte chiede siano indagati per falsa testimonianza (da Fioravanti a Ciavardini), c’è anche il generale Mario Mori: a lui è dedicato un paragrafo della sentenza in cui sono elencate le sue tante contraddizioni a proposito della sua gestione delle indagini sull’eversione nera.

“Non è un caso isolato: si dice alle imprese che la legge si può violare”

“Quando vedo quella parola, ‘prescrizione’ alla fine di grandi processi per grandi disastri sono molto preoccupato. Purtroppo non è un caso isolato, bisogna reagire in qualche modo”. Raffaele Guariniello, ex procuratore aggiunto di Torino, ha dedicato una vita professionale a questo genere di processi e – dopo il verdetto della Cassazione sulla strage di Viareggio – non nasconde un velo di amarezza.

Dottor Guariniello, lei dice “non è un caso isolato”. In effetti, per questo genere di procedimenti, la prescrizione in Cassazione, ultimamente, sembra una costante.

Fatta la premessa d’obbligo che le sentenze si commentano solo dopo aver letto le motivazioni, non posso fare a meno di rilevare che dal 2016 a oggi la IV Sezione della Suprema Corte, specializzata in questo tipo di processi che ha emesso anche questo verdetto, ha pronunciato oltre 20 dichiarazioni di intervenuta prescrizione in processi per tumori professionali.

Come si spiega secondo lei questo cambio di giurisprudenza?

Per oltre 20 anni la Cassazione ha confermato una dopo l’altra le sentenze di condanna sulle morti per amianto nei miei processi. Ora, invece, stiamo vivendo una stagione molto difficile nella quale siamo di fronte ad alcune vicende drammatiche in cui tutto si risolve con la prescrizione. Con una doppia conseguenza devastante: da un lato si legittima il senso di irresponsabilità di quelle imprese che pensano che le leggi, se anche esistono, alla fine si possono violare; dall’altra si viola l’attesa di giustizia di persone che hanno già sofferto moltissimo.

Cosa intende quando dice “dobbiamo reagire”?

Ci sono delle proposte che considero prioritarie. Anzitutto sono necessarie delle premesse normative, leggi e norme per tutelare la giurisprudenza del passato e porre un limite a queste prescrizioni indiscriminate. Per questo genere di fatti, poi, basterebbe scrivere un semplice comma: il disastro ambientale è consumato – dunque imprescrittibile – sino a che non ne cessino gli effetti lesivi o pericolosi per le cose o le persone. È stato stabilito, per esempio, che la prescrizione per i morti da Eternit scatti dalla chiusura degli stabilimenti, ma a Casale Monferrato si continua a morire ancora oggi.

O forse, come prevede la riforma Bonafede, interrompere la prescrizione dopo una sentenza di condanna in primo grado?

Forse, ma le vittime in questi casi chiedono soprattutto giustizia in tempi rapidi.

È soltanto un problema normativo?

Normativo e amministrativo: bisogna organizzare servizi ispettivi di vigilanza efficienti e preparati e non in crisi, come purtroppo accade attualmente. Gli organi di vigilanza sono in crisi, mancano di personale e professionalità, non sono più in grado di fare gli accertamenti necessari. E poi c’è un’ulteriore proposta che faccio da molto tempo.

Quale?

“Bisogna istituire una Procura nazionale ambientale per la sicurezza sul lavoro. A Torino le indagini sul rogo della Thyssen Krupp le abbiamo fatte in due mesi e mezzo, non perché fossimo più bravi degli altri, ma perché eravamo specializzati, lavoravamo a quei casi da anni e sapevamo cosa fare. Se continuiamo ad affidarci a oltre cento Procure, anche con magistrati di altissimo livello, ma senza possibilità di creare gruppi specializzati, non si va da nessuna parte. La parolina prescrizione è sintomo di un sistema che non funziona. A meno che non si stabilisca che non si debba mai arrivare a delle condanne definitive.

Viareggio, la prescrizione cancella la strage

È uno strano destino quello che fa finire questa giornata poco lontano dal luogo in cui è iniziato tutto. Non in un’aula di tribunale, ma nella sede della Croce Verde di Viareggio. A qualche centinaio di metri da via Ponchielli, a ridosso della stazione. Il teatro del disastro ferroviario in cui il 29 giugno 2009 hanno perso la vita 32 persone, investite dalle fiamme mentre stavano dormendo nelle loro case: il deragliamento di un treno merci con 14 carri pieni di gas gpl provoca un’esplosione che travolge tutto. Quando le prime voci frammentarie cominciano ad arrivare da Roma poco dopo le 14 nella sala cala una cappa di silenzio. I messaggi si rincorrono, c’è chi comincia a piangere al telefono. Qualcuno dalle ultime file urla “È una vergogna”. Altri se ne vanno prima di sapere che andrà a finire come sembra: le morti della strage di Viareggio resteranno impunite. Il primo a prendere la parola è Vincenzo Orlandini, marittimo. Il suocero invalido, Mario Pucci, 90 anni, è la vittima più anziana dell’incidente. Non poteva muoversi dal letto. È morto con la badante, Ana Habic: “È un fatto di una gravità assoluta. Ci prenderemo tempo per analizzare la decisione. Ci risiamo: un’altra tragedia italiana insabbiata con la prescrizione”.

Pochi minuti e la notizia diventa ufficiale. La Corte di Cassazione ha annullato tutte le condanne confermate in primo e secondo grado, anche quella all’ex amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato Mauro Moretti. I giudici hanno fatto cadere infatti l’aggravante della violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. Questo fa sì che le accuse per omicidio colposo siano tutte prescritte. Rimane il disastro ferroviario. Ma ad alcune figure apicali il processo d’appello va rifatto. Anche se Moretti, paradossalmente, sarà l’unico a essere processato nuovamente per omicidio colposo, avendo rinunciato alla prescrizione. Mentre la caduta dell’aggravante grazia tutte le società coinvolte.

Daniela Rombi, che nella vicenda ha perso la figlia, ha scelto di attendere il verdetto davanti alla sede della Suprema Corte si lascia andare a un pianto disperato, che forse è l’immagine che più di ogni altra racconta questa giornata. A questo punto rompe gli indugi anche Marco Piagentini, 52 anni. Le sue cicatrici e la sua caparbietà sono una testimonianza vivente. Nell’incendio ha perso la moglie Stefania, 40 anni, e due figli, Lorenzo, 2 anni, e Luca, 4. Marco, con il corpo ustionato al 90%, è l’unico sopravvissuto della famiglia insieme al terzo figlio, Leonardo, che oggi ha 19 anni. Gli sguardi perduti che si cercano, finiscono inevitabilmente tutti su di lui: “Non ho risposte per tutto”, allarga le braccia. Anche adesso Piagentini chiede di mantenere la calma e di non buttarsi giù, anche se l’amarezza è tanta: “Sono senza parole – sospira – Oggi un colpo di spugna cancella due sentenze e undici anni e mezzo di lavoro di avvocati, magistrati e periti. È una vicenda orribile. E la conclusione è molto deludente: non siamo riusciti ad avere giustizia. La sensazione è di ritornare al Medioevo, quando la giustizia era fatta da pochi signori”.

Tutto il processo costruito dalla Procura di Lucca ruotava intorno alla carenza di manutenzione. L’origine dell’incidente sta nella rottura di un’assile: un perno fondamentale che teneva insieme le ruote del convoglio che ha ceduto. Era arrugginito, ma per ben due volte, invece di sostituirlo, era stato riverniciato. Non solo. Secondo due diverse sentenze, i treni che trasportavano materiale pericoloso viaggiavano ad alta velocità anche in prossimità di centri densamente popolati come via Ponchielli; i convogli erano sistematicamente messi su rotaia in violazione di norme sulla sicurezza risalenti agli anni ‘30; i macchinisti erano sprovvisti di alert antincendio; le carrozze non avevano carri scudo, cisterne cariche di materiali inerti che in caso di deragliamento dovrebbero proteggere gli altri vagoni.

La sottovalutazione di questi rischi, per i giudici dei due gradi di giudizio precedenti, è figlia delle politiche di risparmio di Ferrovie dello Stato, e di un sistema che ha portato negli anni alla compressione dei costi e alla parcellizzazione della manutenzione in una galassia di società italiane ed estere. Il gruppo, inoltre, non aveva un vero e proprio piano di rischio. Queste le ragioni che avevano portato alle condanne: 7 anni a Moretti, 6 anni agli ex ad di Trenitalia Vincenzo Soprano e Michele Mario Elia. E poi manager e tecnici di altre società coinvolte come Gatx Rail l’officina tedesca Jungenthal.

Le accuse di incendio doloso e lesioni gravissime erano già state prescritte in appello. Adesso tocca all’omicidio colposo, annullato senza rinvio. Per una parte dei 33 imputati la colpa nell’incidente è stata riconosciuta, ma andrà mitigata. Per altri, come Moretti, la Cassazione ha disposto un nuovo processo d’appello, per valutare le responsabilità nel disastro. I suoi difensori hanno sempre sostenuto che non potesse essere responsabile delle società controllate. La sua figura è oggetto di evocazione continua nell’evento organizzato dai familiari delle vittime, che spesso lo chiamano “mister X”. Un murale in via Ponchielli lo ritrae con la divisa da carcerato e lo slogan di Martin Luther King: “I have a dream”. La beffa più grande, dicono, è che la vittoria più sentita dell’associazione è la legge Viareggio, approvata dal ministro Bonafede, che se potesse essere applicata anche a questo caso impedirebbe la prescrizione. Finisce così, con la dignità di donne che ripiegano le magliette con i volti dei figli. Via dagli obiettivi, Piagentini si concede un abbraccio, così fugace da sembrare rubato. Domani la battaglia riparte. Oltre quel 29 giugno, giorno dei Santi Pietro e Paolo, protettori dei ferrovieri. Dettaglio che non conta più, perché per la Cassazione non è stato un incidente sul lavoro.

Salviamo il guerriero “stanco” Gallera, per ridurre il suo indice di pericolosità

Spero sarete tutti d’accordo con me nel comprendere l’urgenza assoluta di trovare un’attività per Giulio Gallera, qualcosa che vada a colmare immediatamente il vuoto delle sue giornate dopo la rimozione dalla giunta lombarda. È infatti evidente che, come accade per i bambini ancora poco coscienti di sé e delle proprie azioni, l’affidargli qualcosa da fare riduce al minimo il suo indice di pericolosità.

Avete presente quando avete un bambino molto piccolo che gira per casa, voi dovete cucinare o fare un telefonata di lavoro e allora gli date il Lego Star Wars dicendo di cominciare che poi lo aiutate, così siete tranquilli che il bambino non dia fuoco a casa? Ecco, quello. Dobbiamo impedire a Gallera di dare fuoco a casa, quindi vado a proporre alcune ipotesi di attività con cui riciclarlo:

1) Nuova fidanzata di Silvio Berlusconi. Dopo il turbolento divorzio da Veronica e l’addio a quella Francesca Pascale così inaffidabile, sinistroide e progressista, Silvio Berlusconi ha bisogno di una relazione stabile, con una persona seria, fidata, riconoscente. Sì, c’è Marta Fascina, ma l’attuale fidanzata non sembra soddisfare quanto Gallera i criteri citati, dunque sia la famiglia di Silvio che i suoi collaboratori più stretti si sarebbero detti favorevoli all’unione tra Silvio e Giulio, tanto più che, vuoi l’età avanzata, vuoi le mascherine sul viso, Silvio – si dice – pare sia diventato decisamente più di bocca buona nei suoi gusti in fatto di donne. Quel criptico: “Con il dottor Gallera abbiamo concordato di utilizzare in altro modo in Forza Italia la sua competenza” pronunciato ieri da Silvio stava a significare proprio questo. Pare che Gallera si sia già trasferito nella villa di Arcore dove fa i suoi 25 km giornalieri correndo dal bagno al garage senza il rischio di ritrovarsi nel Comune confinante.

2) Il guerriero a riposo. L’ANRSA, l’associazione nazionale Rsa, ha diffuso una circolare con cui invita lo “stanco” Giulio Gallera a riposarsi nel comfort delle lussuose stanze di una Rsa col 100% di infetti. Gli standard di sicurezza, tanto, sono altissimi: li ha studiati lui.

3) Il sostituto di Roberto Saviano a Repubblica. Dopo quello che è riuscito a combinare in Lombardia, pare che lo scrittore napoletano, preoccupato della situazione dell’ex assessore, gli abbia ceduto anche la scorta.

4) Tesoriere della Lega. Partiamo dal presupposto che è difficile far peggio di Belsito, ma Giulio Gallera ha tutte le carte in regola per inanellare anche questo successo. Fatto sta che un posto da tesoriere della Lega per Gallera sembra davvero un affare per il partito. Perché diciamocelo: quale giudice riconoscerebbe del dolo a Giulio Gallera per qualsiasi cosa, in particolare per qualsiasi cosa che c’entri con i numeri? “Sono spariti quarantanove milioni!”. “Vostro onore, 49 non è ancora 50, e tutti sanno che per commettere un reato serve la cifra tonda”. “Signor Gallera, lei è condannato alla pena detentiva di sei mesi convertita in 2.500 euro di multa”. “Non ho capito”. “Intendo dire che è condannato a una pena pecuniaria di 2.500 euro che va a sostituire quella di sei mesi” . “Cioè se pago 2.500 euro, vado sei mesi in carcere?”. “Vabbè la assolvo”. E via discorrendo. Insomma, alla fine andrebbe nel modo migliore in cui può andare a un imputato: assolto per incapacità di intendere e di contare.

5) Ministro dello Sport. Per un po’ di tempo, precisamente sei minuti e 21, si era parlato di Gallera come del possibile nuovo assessore allo sport della Lombardia. Solo della Lombardia? Ma allora perché non sognare in grande? Facciamolo ministro dello Sport. Pensateci: la prima giornata di campionato, di solito a fine agosto, rimandata ad aprile perché “non richiamerò i calciatori e gli arbitri dalle ferie per giocare una partita”. Se le gambe vanno, con i cori nelle orecchie, un giocatore può facilmente distrarsi e allora sarà valido il gol a San Siro pure se segnato allo stadio Merlo di Vigevano. Per non parlare delle nuove regole sui tesseramenti: per fare un giocatore che parla italiano ne serviranno appena due che non lo parlano, e allora la Juve potrà finalmente mettersi alle spalle il caso Suarez. Acquistando Verratti.

6) Cavia umana del nuovo vaccino prodotto dal cognato di Fontana. Il vaccino, per la verità, non è ancora nell’elenco fornitori dell’Ue ma ha già ricevuto l’autorizzazione da una zia parrucchiera di Alberto Zangrillo. È stato riscontrato un unico, lieve effetto collaterale: la licantropia. Comunque curabile. Almeno di giorno.

7) Commissario straordinario alla sanità della Regione Calabria. Gallera non dovrà mai giustificare una qualche cazzata dicendo che è stato drogato o che era in uno stato confusionale. Sappiamo bene che tutto quello che fa e dice, lo fa e lo dice da lucido e da sobrio.

Via alla nuova giunta lombarda: la Lega commissaria Fontana

Non voleva nulla (dice) e, infatti, nulla gli hanno dato. Nel grande rimpasto della giunta lombarda presentato ieri con un monologo di 15 minuti da un sempre più spento Attilio Fontana, Giulio Gallera non ha ottenuto nemmeno un assessorato minore, un premio di consolazione. Fontana lo ha congedato con un asettico “Gallera ha svolto un lavoro molto pesante in questi ultimi mesi, era particolarmente stanco e ha condiviso un avvicendamento”. E Gallera – che aveva così tanto condiviso l’avvicendamento da non farsi neppure vedere alla presentazione stampa – si è manifestato solo via social. “A seguito della decisione dei partiti della coalizione di portare alcuni avvicendamenti all’interno della giunta – ha postato su Fb – ho ritenuto concluso il mio turno di guardia. Al di là delle fantasiose ricostruzioni, non ho preteso nessun altro incarico amministrativo”. Matteo Salvini e Silvio Berlusconi lo hanno preso in parola.

A Palazzo Lombardia, a dire il vero, ieri non c’erano neanche i nuovi assessori. A partire da Letizia Moratti, la “nuova forza fresca” chiamata a risollevare la sanità lombarda dalla palude. Un regalo chiesto da Giancarlo Giorgetti e concesso da Silvio: “Ho voluto personalmente Moratti in questo ruolo, a fianco del presidente Fontana, per rafforzare ulteriormente, con la sua credibilità e il suo prestigio, l’efficienza e l’autorevolezza della guida della Regione simbolo del buon governo del centrodestra”, si è vantato B. Dove l’espressione “a fianco del presidente” sa più di commissariamento che di affiancamento.

Sulla “nuova squadra d’eccellenza” preparata dal leader del Carroccio in persona, è stato confermato quanto anticipato dal Fatto: escono, assieme a Gallera, le “sacrificabili” Martina Cambiaghi (Sport) e Silvia Piani (Famiglia). Al loro posto, Letizia Moratti per Fi e, in quota Carroccio, entra l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Guido Guidesi e l’ex ministra per la Famiglia del governo Conte-1, Alessandra Locatelli. Questi ultimi due sono i “big” promessi da Salvini: Guidesi avrà l’ambito assessorato allo Sviluppo economico (strappato a Forza Italia), mentre l’ex ministro Locatelli guiderà un nuovo super assessorato: Solidarietà sociale, Famiglia, Pari opportunità e Disabilità. La compensazione per B. arriva con l’aumento di deleghe all’ex vicepresidente Fabrizio Sala, che ottiene Istruzione, Università, Innovazione, Ricerca e Semplificazione. Stefano Bruno Galli rimane alla Cultura e Melania Rizzoli prende Formazione e Lavoro. I meloniani Riccardo De Corato e Lara Magoni restano dove sono, rispettivamente Sicurezza e Turismo, mentre Alessandro Mattinzoli, in bilico fino all’ultimo, è riuscito ad avere le deleghe alla Casa. Confermati gli “intoccabili” Davide Caparini al Bilancio, Raffaele Cattaneo all’Ambiente e Claudia Maria Terzi ai Trasporti, con buona pace di tutti i pendolari lombardi.