Lombardia a porte girevoli Via Gallera, dentro Moratti

Dalla fiction SanPa al Pirellone. È il tragitto del gran ritorno di Letizia Brichetto Moratti, quasi certamente nuovo assessore alla Sanità della Regione Lombardia. È infatti il suo l’inaspettato nome uscito dalle febbrili consultazioni della maggioranza lombarda, impegnata da giorni a trovare il sostituto dell’ormai non più difendibile Giulio Gallera. A trattare, Matteo Salvini in persona da una parte e Licia Ronzulli dall’altra, da sempre filo diretto tra Silvio Berlusconi e il leader leghista. E nel pomeriggio di ieri è stato proprio Berlusconi, dalla villa della figlia Marina in Provenza, a telefonare all’ex sindaco di Milano per chiederle la disponibilità ad entrare in giunta prospettandogli, magari, la candidatura a Presidente della Regione nel 2023: “Se fai bene da assessore, poi te la giochi contro Fontana” le avrebbe detto l’ex premier.

Moratti va bene a tutti perché non sposta i rapporti di forza nella giunta di Attilio Fontana: FI mantiene l’assessorato più ambito, quello che ogni anno muove 19,3 miliardi di euro, e dai piani alti del partito si rallegrano perché “lei ci permette di essere autonomi dalla Lega”. Il Carroccio invece ottiene la testa di Gallera, un obiettivo al quale Salvini mirava da mesi.

Dal canto suo, Donna Letizia riguadagna un palcoscenico di primaria importanza per il suo gran ritorno alla vita politica, dopo il purgatorio seguito alla perdita di Palazzo Marino. Inoltre, dicono i maligni, lei non ha nulla da perdere: se farà bene, l’assessorato sarà un trampolino di lancio; se non farà bene, tornerà alla vita di prima. Inoltre, possiede una dote che tutti le riconosco: l’impermeabilità totale agli attacchi. Una capacità affinata nei cinque anni di sindaco, che le sarà assai utile per reggere le critiche anche alla mancanza di un piano vaccinale. Ma il rimpasto non si limiterà alla Sanità: in predicato per entrare in giunta anche l’ex ministro della Famiglia del governo giallo-verde, Alessandra Locatelli, che prenderà il posto della leghista Silvia Piani. Salviniana di ferro, entrata giovanissima nella Lega di Bossi, ha fatto carriera sotto Maroni (diventando vicesindaco di Como) e si è guadagnata un ministero con Salvini. Da assessore alle politiche sociali si era fatta notare per la battaglia contro il centro migranti della sua città e contro i “bivacchi” dei clochard. Oltre a lei, mira a una poltrona anche un altro leghista, l’ex campione olimpico Antonio Rossi, il quale vorrebbe l’assessorato allo Sport che aveva gestito sotto Maroni. Dovrebbe sfilarlo alla leghista Martina Cambiaghi. Anche l’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio del primo governo Conte, il leghista Guido Guidesi, è in corsa per un posto al sole, dopo che l’ex viceministro all’Economia Massimo Garavaglia ha detto no. A lui andrebbe lo Sviluppo economico, oggi guidato da Alessandro Mattinzoli. Ma deve scontare l’indisponibilità di FI a mollare una casella importante. Anche la “pasionaria” di Sesto San Giovanni, Silvia Sardone, sta facendo forti pressioni per tornare alla ribalta locale, visto che il seggio a Bruxelles non le dà visibilità. Intoccabile, invece, l’assessore Lara Magoni: Giorgia Meloni ha posto il veto su ogni suo possibile spostamento.

I tempi del rimpasto saranno rapidissimi. Tra il 10 e l’11 gennaio il nuovo governo potrebbe vedere la luce, per presentarsi in aula il 19, al primo consiglio regionale del 2021. Almeno questa è la volontà di Salvini, che ieri, visitando l’ospedale in Fiera, ha dichiarato: “Rimarrò a Milano tutta la settimana per sistemare la questione lombarda”. Ed era stato lo stesso leader della Lega a invocare un cambio di passo, perché “la Lombardia deve tornare a correre”. Aveva anche annunciato che sarebbe “sceso in campo con una squadra di eccellenza”: non certo un attestato di stima nei confronti dell’attuale giunta di Attilio Fontana.

Se tutte le caselle sembrano andare a posto, resta aperta la “questione Gallera”: l’ormai ex assessore ha chiesto l’assessorato allo Sport, forte anche delle sue 11 mila preferenze, ma in pochi sembrano disposti ad accontentarlo. Per lui si profilerebbe un incarico da sottosegretario, ma non è detto che accetti. Paradossalmente, a difenderlo è rimasto il solo Fontana, che però, in questo domino, non ha quasi avuto voce in capitolo.

“C’è la pandemia, sarebbe da pazzi aprire ora la crisi”

Moltissimi lettori hanno risposto all’appello di Giovanni Valentini rilanciato sul Fatto da Marco Travaglio: “Se avete votato per un parlamentare passato a Italia Viva, scrivetegli per dirgli o dirle che cosa ne pensate se vota la sfiducia a questo governo”. Ecco alcune delle lettere ricevute.

Cara Garavini, Mi sento tradito

Egregia Senatrice Garavini, mi chiamo Sergio Gallo. Ho contributo alla sua elezione come senatrice nel Pd. Quando è passata al nuovo partito Italia Viva pochi mesi dopo mi sono sentito tradito – anche se mi rendo conto che non esiste l’obbligo di mandato. Matteo Renzi sta giocando con il futuro dell’Italia usando il mio voto. Era chiaro fin dall’inizio che non è interessato a nessun accordo per il bene dell’Italia. È un opportunista la cui parola non vale nulla, pensa solo al suo tornaconto personale. Sono allibito dal fatto che lei lo stia seguendo in questa folle avventura. Quando l’ho votata pensavo che fosse una persona diversa, per la sua storia, i suoi valori positivi e la sua credibilità. Saluti.

Cari senatori, non siate frettolosi

Egregi Senatori, anche grazie al mio voto voi, candidati dal Pd, occupate un seggio al Senato della Repubblica. Io, come tanti altri, votai quel partito e, indirettamente, voi che invece oggi rappresentate in quel consesso un partito diverso e concorrente. Condividendo l’art. 67 della Costituzione, che “affida” ai parlamentari “funzioni senza vincolo di mandato” come forma suprema di garanzia della libertà di espressione, avverto la responsabilità di esprimere la mia opinione sulla scelta scellerata che voi e il vostro (nuovo) gruppo politico state per compiere in Parlamento. Perciò, in assenza di un luogo di partecipazione e di confronto dove poterlo fare, vi invio il seguente appello: non assecondate la folle e irresponsabile scelta del gruppo di mettere in crisi il governo. Sarebbe un errore imperdonabile. Cordiali saluti.

Caro Colaninno, viene prima l’Italia

Gentile Onorevole Matteo Colaninno, in un momento storico così difficile siamo tutti chiamati al senso di responsabilità e unità più volte evocati dal Presidente Mattarella e da Papa Francesco. Nessuno si salva da solo! Le scrivo perché Lei, avvalendosi legittimamente dell’art. 67 della Costituzione, ha deciso di lasciare il Pd a cui aveva aderito in campagna elettorale condividendone obiettivi e programma. Non mi interessa conoscere o giudicare le motivazioni che l’hanno spinta a questa decisione, sicuramente ragionata ed immagino sofferta. Mi interessa però sottolineare che la ipotizzata crisi dell’Esecutivo, pur con tutte le migliori ragioni per criticare il presente, può essere auspicata solo da coloro che, spinti da una visione fortemente personalistica, non hanno valutato le gravi conseguenze per tutta la comunità di un cambio di governo nel pieno di una crisi pandemica. L’Italia è l’unico paese europeo in cui il dibattito politico è condizionato da questa folle idea. La ringrazio per l’attenzione

Cara Italia Viva, ora non è il momento

Rispondendo all’invito di Marco Travaglio e del Fatto Quotidiano chiedo ai parlamentari di Italia Viva di sottrarsi alla perniciosa idea di sfiduciare l’attuale governo e quindi rischiare di arrivare a nuove elezioni. Non è questo il momento. Altre sono le priorità. La pandemia terminerà e così la vita politica fornirà le occasioni affinché ognuno possa articolare le proprie posizioni e il proprio pensiero su quanto andrà fatto. Ogni sforzo, ogni energia va indirizzata al superamento del Coronavirus. Non c’è tempo per altro.

Tutti i ricatti renziani a giornaloni unificati

Cinquanta interviste in un mese, solo per restare ai quotidiani nazionali. Con menzione speciale per Teresa Bellanova, capace di farsi ospitare 10 volte da 8 giornali diversi.

Sfogliando le principali testate, non si fa fatica a capire la strategia comunicativa di Italia Viva durante la crisi di governo. Da un mese i renziani riempiono i giornali di condizioni, appelli, moniti, avvisi che i quotidiani sono ben lieti di accogliere, distribuendosi ogni mattina gli intervistati. Qui forniamo un didascalico resoconto.

5 dicembre: Teresa Bellanova sul Foglio, Matteo Renzi su La Stampa. 6.12: Bellanova su Avvenire. 7.12: Bellanova sul Messaggero, Renzi su Repubblica. 8.12: Maria Elena Boschi sul Corriere, Davide Faraone sul Foglio e su La Stampa, Ettore Rosato sul Messaggero. 9.12: Faraone sul Dubbio, Rosato su Avvenire, Bellanova su Repubblica. 10.12: Luciano Nobili sul Dubbio, Boschi su La Stampa. 11.12: Renzi sul Messaggero. 12.12: Renzi su La Stampa, Michele Anzaldi sul Giornale. 13.12: Gennaro Migliore sul Mattino, Bellanova sul Corriere. 14.12: Elena Bonetti su Repubblica. 15.12: Rosato sul Foglio, Faraone sul Mattino. 16.12: Boschi sul Messaggero, Rosato su Qn. 17.12: Nobili sul Foglio, Luigi Marattin sul Riformista, Rosato su La Stampa, Bellanova sul Foglio. 18.12: Renzi sul Corriere, Bellanova su Mattino e La Stampa. 21.12: Rosato su Repubblica, Bonetti sul Corriere.

E ancora, il 22.12: Faraone sul Dubbio. 23.12: Boschi sul Foglio, Bellanova su La Stampa. 30.12: Raffaella Paita su Repubblica, Bellanova sul Corriere. 31.12: Boschi su Avvenire, Ivan Scalfarotto sul Corriere, Renzi sul Sole 24 Ore. 2.1: Renzi sul Messaggero, Boschi su Repubblica. 3.1: Bonetti su Avvenire, Rosato su La Stampa. 4.1: Renzi sul Corriere, Bonetti su Repubblica, Faraone sul Giornale, Rosato sul Mattino. 5.1: Scalfarotto sul Foglio.

Il totale è di 50 interviste in 30 giorni, con Bellanova a quota 10, Renzi e Rosato a 8, Boschi e Faraone a 6. Tra i quotidiani, il record ce l’ha La Stampa con 8 interviste, poi Corriere, Repubblica e Foglio a 7, Messaggero a 5 e Mattino, che appartiene allo stesso gruppo, a 4.

E proprio i grandi gruppi editoriali, più che i renziani, sembrano essere i protagonisti di questa storia. Molti proprietari dei quotidiani sono da tempo forti oppositori del Conte 2 e le bizze di Iv possono essere il grimaldello per un ribaltone. Basti pensare a cosa disse qualche mese fa Carlo De Benedetti, fondatore del Domani: “Per isolare Salvini e Meloni trangugio anche Berlusconi, purché col benservito a Conte, che rappresenta il vuoto pneumatico ed è peggio di Berlusconi”.

Chi meglio impersonifica questo desiderio diffuso è Sabino Cassese, già giudice della Corte costituzionale e ora instancabile editorialista (quando non è intervistato) su metà dei quotidiani sopracitati. Giusto per stare alle ultime uscite, il 3 gennaio, sul Giornale, Cassese ha parlato di un esecutivo che “disprezza il Parlamento”. Quattro giorni prima, eccolo sul Corriere a commentare la manovra, i cui autori “non hanno avuto paura del ridicolo” nel partorire questa “apoteosi del corporativismo in salsa populista”, giacché “dietro le quinte” agiscono “brokers, lobbies e organizzatori di categoria”. Prima di Natale, Cassese era su Libero: “Il premier è un pirata, usurpa i poteri dei ministri e dei governatori. Draghi? Avrebbe autorevolezza ed esperienza”.

L’idea di un nuovo premier stuzzica anche Carlo Verdelli, che due giorni fa sul Corriere ha stroncato il governo: “Non è mai stato un governo normale. Ha trovato un senso nella prima emergenza, l’ha perso durante l’estate e da allora non l’ha più recuperato”. Soluzioni? “Sostituire chiunque abbia una qualche responsabilità. Resta da capire se c’è la volontà di mettere subito nei posti chiave donne e uomini capaci”.

E che dire di Stefano Folli, che su Repubblica ha già celebrato il funerale dell’esecutivo: “È la difficoltà del premier di garantire un sufficiente grado di efficienza nella messa in opera del Recovery a infastidire i partner. Una questione di credibilità, in primo luogo”. Quanto al Messaggero della famiglia Caltagirone, basta l’ultimo editoriale di Carlo Nordio: “Può un giovane fidarsi di un governo che lo ha gettato nella confusione totale? Insieme alla fiducia, rischia di perdere anche quel residuo di disciplina che nasce solo dalla convinzione di uno scopo condiviso. Uno scopo che il governo non riesce nemmeno più a elaborare, tra promesse ondivaghe e reiterati rinvii. Che, come è noto, sono, assieme all’indecisione, i genitori del fallimento”. E crisi sia.

B. sogna ancora: “Restiamo a destra, mi danno il Colle”

Se in Forza Italia si osa accostare le parole “Berlusconi” e “Quirinale”, a un anno esatto dalla scadenza del mandato di Sergio Mattarella, si illuminano subito gli occhi, si tendono le orecchie, si riaccende la speranza. E per quanto possa sembrare assurdo, così impervio e così fantascientifico, il sogno rimane. Chi conosce bene le stanze di Arcore, ma in cuor suo sa che Silvio sul Colle più alto di Roma non ci salirà mai, rimanda malignamente a un celebre aforisma di Indro Montanelli che al suo ex editore non deve essere piaciuto: “Berlusconi è il bugiardo più sincero che ci sia, perché arriva a credere alle proprie bugie” diceva di lui il grande giornalista. E allora, bugia o meno, l’ex premier che da novembre si trova nella villa della figlia Marina in Provenza, di calcare i corridoi dorati tra arazzi e corazzieri e tornare come padre della Patria ci spera. E un po’ ci crede. Soprattutto perché gli altri glielo fanno credere.

Non tanto gli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni che però gli hanno fatto annusare la possibilità già due volte quest’anno – prima con il patto anti-inciucio di agosto e poi prima del voto sul Mes di inizio dicembre per tenere unito il centrodestra –, ma soprattutto qualcuno del cerchio magico. Di quei consiglieri, da Licia Ronzulli ad Antonio Tajani, ormai considerati il braccio armato di Salvini dentro Forza Italia e che promettono a Silvio un futuro da capo dello Stato “se stiamo uniti” come centrodestra e “se non ci saranno giochetti con Conte e la sinistra”. E allora Berlusconi, dal suo esilio di Châteaneuf-de-Grasse con la compagna Marta Fascina, attende gli sviluppi di una crisi di governo che potrebbe aprire orizzonti inaspettati: un governo tecnico con tutti dentro e un ruolo da playmaker? Un governo di centrodestra con l’appoggio dei renziani? Elezioni e un governo tutto di centrodestra?

Chi lo sa, ma in tutti e tre i casi quella maggioranza dovrebbe eleggere il presidente della Repubblica a inizio 2022. “E a quel punto senza i nostri voti non si va da nessuna parte – dice un big di Forza Italia – poi si sa, oggi di Maradona nella politica italiana c’è rimasto solo lui”. Più scettici gli alleati: dalla Lega fanno sapere che di Quirinale “non s’è parlato” e che comunque è ancora troppo presto (ma Salvini la partita del Colle la vuole giocare, eccome), da Fratelli d’Italia invece viene ricordato, malignamente, che “non c’è unità sulla mozione di sfiducia a Conte, figuriamoci sul Quirinale”.

Ma Berlusconi ci crede. E allora succede che per stoppare sul nascere l’operazione “responsabili per Conte” portata avanti con la partecipazione di Goffredo Bettini e la solita colomba Gianni Letta, sia lui stesso ad alzare la cornetta e a chiamare a uno a uno i possibili ribelli e ripetere loro sempre la stessa formula: “Ci vuole un nuovo esecutivo di centrodestra perché questo fa male agli italiani– si sono sentiti dire deputati e senatori – poi, una volta al governo, ci toccano ministeri e forse anche il Quirinale”. Per lui, ovviamente.

L’operazione, certo, avrebbe i suoi problemi: in primis che nel 2013 Berlusconi è stato condannato in via definitiva per frode fiscale e, per quanto riabilitato, farebbe notizia in tutto il mondo che un pregiudicato possa diventare capo dello Stato. Poi c’è il problema che il suo è un nome “divisivo” ma chi lo ha sentito sa che, da tempo, Berlusconi sogna il Colle proprio per mettere un sigillo a quella “pacificazione nazionale” di cui parla da tempo. E infine ci sarebbe il piccolo problemino dell’età, ma anche su quello l’ex Cavaliere passa sopra. Sia perché si sente immortale sia perché, va dicendo, “guardate Napolitano” riferendosi al fatto che l’ex capo dello Stato si è dimesso a 90 anni. Nel suo caso arriverebbe a 92. Poi ci sarebbero anche i piani B: ovvero che al Quirinale vada il suo Richelieu Gianni Letta o la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, sua diretta emanazione. Ma per lui non sarebbe comunque la stessa cosa: “Pensate che bello…”.

Renzi non ritira le ministre e chiede l’assist alla Meloni

Le deleghe di Teresa Bellanova (ministro dell’Agricoltura) ed Elena Bonetti (Famiglia), insieme a quella di Ivan Scalfarotto (sottosegretario agli Esteri) sono lì, pronte a essere ritirate da Matteo Renzi. Ma l’ora X della mossa che scatenerebbe ufficialmente la crisi di governo non è ancora scattata. Non dovrebbe essere oggi e neanche domani, nonostante fosse questa la deadline fatta trapelare dal leader di Iv. Renzi aspetta risposte dal premier, ne vuole le dimissioni come condizione per il Conte-ter, anche se si dice convinto ormai che il premier voglia lo showdown. Sdegnato, porta come prova il fatto che da Palazzo Chigi avrebbero cercato due senatori renziani. Nei colloqui privati sostiene che il Conte-ter è tramontato e fornisce le sue alternative: Draghi, Cartabia, Franceschini. Nel frattempo continua a dialogare con il centrodestra. Perché poi, riuscendoci, il suo vero obiettivo resta quello di defenestrare il premier una volta per tutte.

La realtà è che c’è lo stallo, perché nessun piano B è davvero pronto. Persino nelle trattative sull’entità del Conte-ter (tradotto: quali e quante caselle saltano).

Raccontano che il leader di Iv abbia smesso di fare nomi e anche richieste. Ma anche che dall’inizio ha esplicitamente messo nel mirino tre esponenti del governo: Peppe Provenzano, ministro del Mezzogiorno, reo di averlo attaccato frontalmente più volte. Ma soprattutto i “traditori”: Lorenzo Guerini (Difesa) che ai tempi d’oro era il suo “Arnaldo”, braccio destro nelle trattative politiche delicate, ma che ora ha consolidato nel Pd una corrente forte come Base Riformista e Alessia Morani, sottosegretario allo Sviluppo economico, anche lei un tempo tra le vicinissime. La casella di Guerini, però, gli interessa anche perché vuole per la delegazione di Iv un dicastero internazionale.

Se i ritocchi alla fine dovessero essere minimi, Renzi sostituirebbe le sue due ministre con Maria Elena Boschi e Ettore Rosato. In questa ipotesi (allo stato minoritaria, ma che piace al Pd di Zingaretti) più che un rimpasto vero e proprio entrerebbero due figure nuove: un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con la delega ai Servizi segreti e uno per la gestione del Recovery Fund. Per la prima, Conte pensa a Roberto Chieppa, segretario federale della Presidenza del Consiglio. Ma dal Pd fanno il nome di Luciana Lamorgese. Cosa che porterebbe Guerini al Viminale e a quel punto magari la Boschi alla Difesa. Il posto di sottosegretario al Recovery da tempo viene attribuito ad Andrea Orlando. In bilico, comunque, resta tutta la compagine femminile del governo: Paola De Micheli (il Mit è un altro ministero attenzionato dai renziani), Nunzia Catalfo (Lavoro), pronta a essere sostituita da Laura Castelli, ma pure Lucia Azzolina (Scuola) e Fabiana Dadone (Digitale), vittime delle faide interne al M5S.

Resta però sul tavolo il Conte-ter, con i leader politici dentro. E magari con i vicepremier, anche se Conte non li vuole. Per il Pd toccherebbe a Orlando, visto che Zingaretti resiste. E a quel punto potrebbe entrare anche Renzi. Magari alla Difesa. O meglio agli Esteri, forse la vera condizione per tenere in vita questa maggioranza, anticamera del posto da sottosegretario della Nato.

I sospetti sul vero gioco del leader di Iv aumentano. Ieri avrebbe preso contatti con qualche senatore di Fratelli d’Italia, invitandoli a presentare la mozione di sfiducia e promettendo di uscire dall’aula in caso di voto. Le manovre per affondare Conte si moltiplicano.

Conte resiste e prende tempo “Garanzie” per i Responsabili

La trattativa a distanza è un filo sottile, già sfibrato da dubbi e sospetti. E domani dovrebbe scadere l’ultimatum lanciato da Matteo Renzi, cioè la minaccia di ritirare le due ministre di Italia Viva “se non arriveranno risposte”. Così Giuseppe Conte si ferma e prende tempo. Sa bene che il fu rottamatore spera nel colpo grosso, di ottenere la sua testa per poi esporla come un trofeo. “Renzi ce lo disse appena formato questo governo, ‘io Conte non lo volevo e prima o poi lo farò cadere” rievoca non a caso un big del Movimento. E allora meglio riflettere e sondare.

Niente vertici di maggioranza e niente convocazione di quel Consiglio dei ministri sul Recovery Fund che potrebbe essere la prima tappa della resa dei conti. Potrebbe tenersi da qui a un paio di giorni, ma non ci sono certezze. Solo qualche contatto tra gli sherpa del premier e di Renzi, che discutono di rimpasto, delega ai Servizi e di tutto il resto. Conte aspetta una mossa dell’avversario. E nel frattempo torna a ragionare sulla sfida frontale, ossia su un voto di fiducia in Senato dove chiamare il capo di Iv ad assumersi le proprie responsabilità. “Operazione non facile” ammettono anche ambienti di Palazzo Chigi. Al momento a Palazzo Madama i numeri per salvare Conte non ci sono. “Però si possono trovare, a patto che il presidente si sporchi le mani” dicono due grillini di peso. Convinti che adesso il premier debba scendere in campo direttamente. “Ci sono 7-8 senatori che ora stanno nascosti, perché aspettano segnali e soprattutto garanzie”, spiegano. Ossia che Conte prometta loro “una prospettiva politica”, un futuro in un progetto di centro. Sarebbe fondamentale, assieme a un parziale smottamento di Iv, su cui molti grillini e diversi dem sono pronti a scommettere.

Di sicuro il premier ci pensa. Come non ha affatto accantonato l’ipotesi di elezioni anticipate, che pure nessuno vorrebbe, neanche tra i grillini, Non Luigi Di Maio, che assieme agli altri veterani dovrebbe chiedere agli iscritti una deroga sulla regola due mandati (passaggio non così scontato) e si ritroverebbe con un M5S trainato in campagna elettorale da Conte, magari con Alessandro Di Battista spalla dell’avvocato. Ma neppure lo stesso Di Battista (“In tempi di pandemia sarebbe una sciagura”, ha spiegato in diversi colloqui). E poi ci sono le possibili ricadute. “Le cancellerie internazionali sono già in fibrillazione per una crisi del governo, e il premier olandese Mark Rutte è già pronto a chiedere di sospendere la prima rata del Recovery Fund all’Italia” racconta una fonte di governo. Però l’esecutivo cammina su una lastra sottile. Perché Renzi vuole un robusto rimpasto che passi innanzitutto dalle dimissioni del premier e da consultazioni, ufficialmente per un Conte-ter. Ma tutti sospettano che un attimo dopo proverebbe ad affossarlo, proponendo un nome alternativo. Non a caso, ieri il dem Andrea Orlando lo ha detto a Fanpage.it: “Per arrivare a un Conte-ter serve un patto di legislatura”. Ossia che Renzi si impegni a tenere in piedi l’esecutivo e a non fare scherzi. Così si prova e proverà a trattare. Ma la speranza di battere Renzi in aula rimane una strada importante per Conte e per molti grillini.

Raccontano che Di Maio e Di Battista siano compatti come non accadeva da tempo, per sostenere il premier. E che Conte in queste ore abbia rassicurato i 5Stelle, giurando che “il Mes non lo prenderò mai, anche perché i numeri in Parlamento per approvarlo non ci sarebbero”.

Nel frattempo Beppe Grilllo ha ricominciato a telefonare a 5Stelle di vario ordine e grado. Mostrando “preoccupazione” per la situazione, e confermando il pieno sostegno a Conte. “Non andate alla guerra con Davide Casaleggio” ha raccomandato ai suoi. Ben sapendo che per reggere il premier ha bisogno anche di un M5S non dilaniato da lotte interne. Ora più che mai.

Perché lo fa?

Più leggiamo le spiegazioni di Messer Due Per Cento sulla crisi di governo, giunte ieri a quota 937, più abbiamo la sensazione che quella vera sia la numero 938. Secondo voi, qual è? Sondaggio a risposta multipla.

1. Conte è presidente del Consiglio e lui no.

2. Conte è primo nei sondaggi e lui ultimo.

3. Tra due mesi e mezzo Conte supera i suoi giorni di permanenza a Palazzo Chigi e lui rosica.

4. Per stare fisso su tutti i giornali e le tv deve minacciare la crisi di governo fissa.

5. Così Iv ha più interviste che voti, persino a Bellanova e Rosato, financo a Bonetti e Scalfarotto.

6. Così, mentre il governo fa le notti sul Covid e sulla scuola, lui sta da Porro a fare il fenomeno.

7. Italia viva è morta e lui non ha un cazzo da fare.

8. Anche le pulci hanno la tosse.

9. Gli han detto che Draghi non vede l’ora di mettersi al suo servizio. E lui ci ha creduto.

10. Gli han detto che, se piazza Guerini all’Interno e Rosato alla Difesa, lo fanno segretario generale della Nato, e pure del Patto di Varsavia. E lui ci ha creduto.

11. L’altro Matteo gli ha detto che lo vuole leader del centrodestra. E lui ci ha creduto.

12. I miliardi del Recovery sono 209, le prossime nomine sono 500 e Gli avvoltoi hanno fame (per le querele, rivolgersi a Don Siegel per il film con Clint Eastwood e Shirley MacLaine).

13. Crede che il Mes sia una roba che si mangia.

14. De Benedetti è a digiuno di insider da Palazzo Chigi.

15. I finanziatori di Open, dopo le ultime perquisizioni, hanno interrotto i bonifici.

16. Gliel’han chiesto babbo Tiziano, Alfredo Romeo e Carlo Russo in un baretto a Firenze.

17. È la prima clausola del Patto di Rebibbia con Verdini.

18. La Boschi ha la faccia come la Boschi e del resto, “dopo una certa età, ognuno è responsabile della sua faccia” (per le querele, rivolgersi ad Albert Camus).

19. Vuole entrare nel Guinness dei primati come il primo politico al mondo che finisce sotto zero nei sondaggi.

20. Vuole finalmente mantenere la promessa di lasciare la politica e si butta nel racket.

21. Scrivere letterine a Conte gli dà più gusto che scriverle a Babbo Natale, che gliele respinge sempre al mittente.

22. Confonde i servizi segreti con i servizi igienici.

23. Vuole la Boschi ministra perché non sopporta un governo senza indagati e neppure lui sa chi siano queste Bellanova&Bonetti.

24. Raccontare 937 balle in un solo mese e venire creduto è una novità persino per il Bomba.

25. Da piccolo lo prendevano tutti in giro e ora si vendica sul primo che capita.

Un disco e gli Eurosonic 2021: l’orizzonte “sicuro” di Gold Mass

Suggestiva, malinconica, a tratti non convenzionale, torna a un anno di distanza dal suo disco d’esordio, Gold Mass, nome d’arte della elettro-cantautrice e performer pugliese Emanuela Ligarò. Con una laurea in Fisica e un lavoro nel campo dell’acustica che l’hanno agevolata nella sua preparazione musicale – non capita a tutti di debuttare con un disco prodotto da Paul Savage (Mogwai, Franz Ferdinand), “che si è innamorato del progetto sulla base dei demo che gli avevo inviato via email” –, il 2021 di Gold Mass si è aperto con una ottima notizia: Emanuela, infatti, è stata selezionata per Eurosonic 2021, il più grande showcase festival d’Europa, che si svolge da più di trent’anni a Groningen ed è rivolto principalmente agli addetti ai lavori dell’industria discografica e musicale, che vanno alla scoperta dei talenti emergenti di tutta Europa. Quale occasione migliore per presentare dunque il suo nuovo Ep, realizzato interamente nel periodo di lockdown? Si intitola Safe, e “significa essere fuori pericolo, protetti, guariti, immuni”, spiega la cantautrice. La canzone, invece, esplora “la consapevolezza che nasce dall’aver sperimentato un pericolo ed essere finalmente liberi, la meravigliosa sensazione di essere invulnerabili e alla fine attesta il potere che ne deriva”. Dedita all’attitudine DIY (Do it yourself), per essere indipendente in tutti i sensi, Gold Mass ha deciso di occuparsi personalmente anche della produzione artistica dei pezzi: Safe è composto da quattro pezzi dalle sonorità electro-dark frutto di una scrittura intima che “raccontano di un viaggio cosmico contenuto tutto in una stanza”, e i brani Space, Safe, Souls e Gravity, con le loro armonie audaci, mostrano un talento eclettico e cristallino. Un progetto sonoro, questo di Gold Mass, denso e luminoso, la cui idea che sta alla base è combustione interna e spontanea di un’espressione artistica davvero incandescente.

“Cara zia Pat, ho conosciuto un tal Mick Jagger: fichissimo”

Aprile 1962, Keith Richards ha diciotto anni. Scrive una lettera a sua zia Patty e descrive – con entusiasmo – l’incontro con un ragazzo con cui formerà un sodalizio durato una vita intera, Mick Jagger. Quattro mesi dopo aver spedito la missiva, i Rolling Stones si esibirono sul palco del Marquee di Londra per la prima volta.

Shaun Usher ha raccolto trenta lettere capaci di modificare il destino, scritti evocanti segreti e pulsioni, distillerie di emozioni e relazioni tra gli artisti e i loro interlocutori. Lettersofnote.com è il progetto dell’autore, fondato nel 2009 e ora in parte pubblicato da Feltrinelli con il titolo Musica, l’arte delle lettere: una singolare forma d’arte, un messaggio in bottiglia, un grido di aiuto, un modo per entrare in contatto attraverso le parole. Il volume raccoglie trenta piccoli gioielli epistolari tra il 1812 e il 2019: da Ludwig van Beethoven in risposta a Emilie H., una bambina di otto anni aspirante pianista, a Lester Bangs che spiega chi ha inventato il punk al magazine East Village Eye; da Giuseppe Verdi, che inoltra al suo editore una lettera di uno spettatore che chiedeva i soldi indietro per non aver apprezzato l’Aida, al regista Jon M. Chu, che convince via posta i Coldplay a utilizzare la canzone Yellow nel suo film.

La prima della serie riguarda il connubio Jagger-Richards, l’incontro cruciale descritto da Keith alla zia: “Cara Pat, scusami tanto se non ho scritto prima (mi dichiaro malato di mente) con voce da sbirro… Sai che mi piaceva Chuck Berry e che pensavo di essere l’unico fan nel raggio di chilometri, ma una mattina alla stz. (così non devo scrivere una parola lunga come stazione) mi si è avvicinato un tizio che conoscevo alle elementari. Lui e i suoi amici hanno tutti i suoi dischi, sono appassionati di rhytm’n’blues, intendo vero R&b. Questo tizio della stazione si chiama Mick Jagger e tutti i suoi amici e le sue tipe s’incontrano ogni sabato mattina al Carousel, un Localino con JukeBox, e be’ una mattina di gennaio passavo di là e ho deciso di andarli a salutare. Mi hanno fatto tutti le feste e mi hanno invitato a una decina di party. Oltretutto questo Mick è il miglior cantante di R&b su questa sponda dell’Atlantico, dico sul serio. Io suono la chitarra (elettrica) in stile Chuck, abbiamo preso un bassista, un batterista e uno alla chitarra ritmica e proviamo due o tre sere alla settimana. FICHISSIMO. Ovviamente sono tutti pieni di soldi e abitano in certi villoni enormi, pazzesco, uno ha pure il maggiordomo. Ci sono stato una volta con Mick (con la sua macchina naturalmente). Mi sono sentito un vero Lord, per poco non ho chiesto la mia coroncina al momento di andarmene… GRAN SORRISO, Con affetto. Keith XXXXX. Chi altro scriverebbe simili stronzate”.

Dallo stupore di un incontro a quello provato durante un concerto: le emozioni così eccessive e dirompenti hanno spronato Charles Baudelaire a scrivere una lettera d’impulso al compositore Richard Wagner, dopo l’esibizione al teatro parigino Salle Ventadour. “Egregio Signore, voglio farvi sapere che vi sono debitore del più grande piacere musicale che abbia mai provato. Ho raggiunto un’età in cui non si addice più spedire lettere alle celebrità come passatempo, e avrei esitato a lungo prima di scrivervi per esprimervi la mia ammirazione, se solo non incappassi quotidianamente in articoli ridicoli e svergognati che si profondono nell’ostinato sforzo di sminuire il vostro genio… Mi avete rimesso in sesto durante certi momenti infelici, mi avete ricordato quale grandezza possa esistere. Ps: Non vi lascio qui il mio indirizzo perché potreste pensare che voglia qualcosa da voi”. Non ci è dato sapere l’esito della missiva e la sua eventuale risposta, mentre troviamo una piccata lettera scritta questa volta dall’artista a un critico evidentemente non molto stimato. Il pianista francese Erik Satie scrive a Jean Poueigh il 30 maggio 1917: “Signore e caro amico, quello che so è che voi siete un idiota e, se posso permettermi, un idiota senza il minimo gusto musicale. Soprattutto, non fatemi più stringere la vostra mano sudicia”. Ma era solo un piccolo allenamento, in attesa di sferzare il colpo proibito e senza censure, questa volta il 5 giugno: “A Monsieur Pouegh Faccia di Merda, Celebre Zucca Vuota e Compositore per Imbecilli. Idiota schifoso, questa è per voi da dove vi cago sopra con tutte le mie forze”.

Scrittori prestati al noir

Per uno scrittore come Georges Simenon il viaggio non può che essere un acceleratore di particelle esistenziali in cui tutti gli aspetti della sua strabordante personalità collidono. I reportage scritti nel pieno delle forze vitali tra il 1931 e il ’46 sono raccolti in un volume intitolato Mes apprentissages (Omnibus, 2001) e superano le mille pagine. Adelphi sta pescando in questo materiale e dopo Il Mediterraneo in barca (2019) pubblica Europa 33, una serie di viaggi rivolti a indagare le terre del Vecchio Continente mentre Hitler sale al potere.

Nella seconda metà del libro troviamo il Simenon più intenso. Tra una serata al night e una intervista a Trockij, descrive Ankara, la nuova capitale sorta in mezzo al nulla dei pascoli bruciati dal sole. Qui, proprio in un night, avverrà l’incontro fatale tra i protagonisti del romanzo I clienti di Avrenos: Nouchi, entraîneuse minorenne, e Bernard de Jonsac, diplomatico francese di basso rango, nobile decaduto. I clienti di Avrenos esce nel ’34 a ridosso del viaggio, ma è la parte finale del periplo, quella dove lo scrittore sbarca a Odessa, la più riuscita. L’Ucraina sovietica è nel pieno del sanguinoso esperimento staliniano. Si vende tutto il grano per industrializzare il Paese a costo di far morire di fame i contadini. Golodomor, lo sterminio per fame, allora non aveva ancora un nome e così potrebbe essere solo una leggenda nera quella del cane che si aggira con un osso in bocca: la tibia di una bambina mangiata dai contadini ridotti al cannibalismo. Il viaggio si fa sempre più picaresco ma di un picaresco gogoliano, assurdo e totalitario. All’Opera di Odessa va in scena un dramma storico e per interpretare i grassi boiardi gli attori devono mettersi culi e pance finte perché sono pelle e ossa. Anche in questo inferno Simenon cerca la vita, secondo un istinto erotico insaziabile, e va in estasi quando la sua nave viene invasa da una squadra di lavoratrici mezze nude che la caricano di carbone. È una nave italiana, la Aventino, dove Simenon ascolta sconvolto i racconti del capitano sulle tresche tra l’equipaggio e le lavoratrici sovietiche. Lo scrittore ne approfitta finendo a casa di una ragazza locale grazie alla intraprendenza di un marinaio. E nonostante la presenza della moglie.

In fase di pubblicazione da Adelphi Mes apprentissages è una miniera dove in mezzo a materiale grezzo si trovano parti preziose per comprendere il processo creativo di Simenon, ma soprattutto minerali misti che non hanno generato romanzi e nondimeno sono grandi reportage letterari come il viaggio a Odessa. Da Balzac a Emmanuel Carrère la Francia è terreno fertile per questa contaminazione, sistematizzata dagli esistenzialisti che vedevano nel giornalismo lo sbocco fisiologico dell’impegno intellettuale. Non sempre con esiti felici come dimostra Albert Camus scontento dei reportage americani di Jean-Paul Sartre per Combat. Più che di contaminazione oggi si può parlare di erosione costante: la realtà prende il posto della finzione romanzesca, relegata all’insignificanza della ripetizione o dell’intrattenimento. Come insegna, “a sangue freddo”, Truman Capote.

Anche in Italia tra Roberto Saviano, Helena Janeczek (La ragazza con la Leica, Guanda), l’ultimo Nicola Lagioia (La città dei vivi, Einaudi) e l’Antonio Scurati di M. (Bompiani), l’erosione si fa sempre più forte e il romanzo si polverizza e frana. Per capire quanto sia cambiato questo fronte basta leggere uno dei pochi studi critici dedicati all’argomento: Letteratura e giornalismo (Carocci), di Clotilde Bertoni, docente all’università di Palermo. Il libro esce nel 2009, poco dopo Gomorra, e manca quindi l’incontro con Carrère e Svetlana Aleksevic, diventati popolari successivamente. Per certi aspetti anticipa i tempi, ma come però valutare l’assenza di nomi quali Vasilij Grossman, Giorgio Scerbanenco, Gian Carlo Fusco, Alberto Arbasino, Lawrence Osborne? Invano poi si cerca la presenza di Curzio Malaparte che ha creato due vette altissime in questo terreno misto, il più interessante negli ultimi anni: La Pelle e Kaputt. Per il resto la Bertoni ha il pregio di saper catalogare e valutare con disincanto e acume opere e autori senza cadere nel cliché del giornalismo “mestieraccio” fatto per campare, adottando un’ottica più sfumata in cui le cose migliori accadono quando la rozza materia della cronaca dialoga con il talento e l’impegno creativo che aspirano alla profondità e alla durata.

La realtà ha ormai un impatto troppo forte per consentire al narratore di crogiolarsi sul proprio ombelico, a meno che non sia malato di Covid gastrointestinale. Nei giorni dell’assegnazione del Nobel girava il nome del David Quammen di Spillover, non solo esempio virtuoso di zoonosi tra la bestia giornalistica e l’angelo letterario, ma anche per qualcuno unico nome spendibile in pandemia.