“Bellezza” è l’essere umano: sconfitto, ma sempre in piedi

Proposito di inizio anno: riprendersi la bellezza. La parola “bellezza”, intendo: sfigurata da un potere che la usa per costruire consenso, ingannare, vendere, vendersi attraverso marketing e storytelling. Ma, in concreto, come si fa? “Il bello è un quadro tale che lo si possa mettere nella cella di un condannato all’isolamento perpetuo senza che ciò sia un’atrocità, anzi il contrario”. Mai come durante il confinamento da pandemia abbiamo potuto comprendere la saggezza di questa definizione che dobbiamo a Simone Weil. E se mi chiedo quale quadro vorrei nella mia stanza pensando di non poterne mai più uscire, non ho dubbi: la Madonna Sistina di Raffaello. Per la sua vertiginosa altezza artistica, certo. Ma anche per ciò che ha saputo suscitare.

Le grandi opere d’arte provocano lungo i secoli una vivace risposta scritta: e l’insieme di quei testi modifica per sempre la percezione delle opere stesse. In una gara infinita e collettiva il cui premio è riuscire a spiegare, almeno un po’, cosa sia per noi la bellezza. Così oggi io non saprei più guardare alla Madonna Sistina senza le parole altissime, ultime, di Vasilij Grossman. Lo scrittore vide il quadro “la fredda mattina del 30 maggio 1955”, insieme alle migliaia di persone che a Mosca lo salutavano nell’esposizione pubblica che precedeva la sua restituzione alla Germania dell’Est. Da un secolo, la Madonna Sistina era entrata nell’immaginario russo attraverso i commenti sperticati di alcuni dei più grandi scrittori di quel grande Paese, da Tolstoj e Dostoevskij. Ma lo sguardo di Grossman andò oltre. Ascoltiamolo: “Mi è finalmente chiaro che di tutte le opere capaci di colpire il mio cuore e la mia mente – opere create dal pennello, dal cesello o dalla penna – solo questo quadro di Raffaello non morirà fino a che l’uomo avrà vita. Anzi, se anche l’uomo dovesse estinguersi, gli esseri che prenderanno il suo posto sulla terra – lupi, ratti, orsi o rondini che siano – verranno, sulle loro zampe o con le loro ali, ad ammirare la Madonna di Raffaello… (…) Perché il volto della madre non tradisce paura, e perché le sue dita non stringono il corpo del suo bambino con una forza che nemmeno la morte riuscirebbe a sconfiggere? Perché non fa nulla per sottrarre il figlio al suo destino? (…) La nostra epoca guarda la Madonna Sistina e intuisce il proprio destino. Ogni epoca fissa lo sguardo su questa donna con il bambino in braccio, e fra esseri umani di generazioni popoli, razze e secoli diversi si instaura un senso di fratellanza, dolce, commovente e doloroso insieme. L’uomo prende coscienza di sé e della propria croce, e comprende di colpo il legame prodigioso fra le epoche, il legame di quanto è vivo oggi con ciò che vivo lo è stato e non lo è più, e con ciò che invece ancora deve esserlo. (…) Il ricordo di Treblinka era riaffiorato nel mio cuore senza che me ne rendessi conto… Era lei a calpestare scalza, leggera, la terra tremante di Treblinka, lei a percorrere il tragitto da dove il convoglio veniva scaricato fino alla camera a gas. La riconosco dall’espressione che ha sul viso, negli occhi. Guardo suo figlio, e riconosco anche lui dall’espressione adulta, strana. Così dovevano essere madri e figli quando scorgevano le pareti bianche delle camere a gas di Treblinka, sullo sfondo verde scuro dei pini. Così era la loro anima. […] La forza della vita, la forza dell’umano nell’uomo è enorme, e nemmeno la forma più potente e perfetta di violenza può soggiogarla. Può solamente ucciderla. Per questo i volti della madre e del bambino sono così sereni, sono invincibili. In un’epoca di ferro la vita, se anche muore, non è comunque sconfitta. (…) E accompagnando con lo sguardo la Madonna Sistina, continuiamo a credere che vita e libertà siano una cosa sola, e che non ci sia nulla di più sublime dell’umano nell’uomo. Che vivrà in eterno, e vincerà”.

Eccoci dunque alla mèta: l’incarnazione di questa parola perduta, “bellezza”. Che qui è intesa nell’unico modo per me possibile: come suprema espressione dell’umano nell’uomo, della nostra comune umanità: sempre sconfitta, sempre risorgente.

Bellezza. Non c’è forse parola che sia pronunciata, oggi, con più inconsapevolezza e superficialità: ma abbiamo bisogno di parlare di bellezza, per saperla riconoscere, coltivare, difendere. Ne abbiamo bisogno perché abbiamo bisogno di restare, di tornare, umani. Grossman aveva attraversato il buco nero dei campi di sterminio nazisti, e contemplava la prossimità di una possibile catastrofe nucleare. Noi misuriamo i passi veloci che potrebbero separarci dalla fine della vita umana sul pianeta, assistiamo al tratto finale di un possibile suicidio di massa di un’umanità travolta dall’avidità della sua piccolissima parte che ha sequestrato per sé i beni comuni. In queste condizioni, il diritto alla bellezza è un diritto rivoluzionario: perché, permettendoci di rimanere umani, può permetterci di meritarci la salvezza. Forse, perfino di costruirla.

La sai l’ultima?

 

Russia Un gatto viene salvato dal tritarifiuti
ed entra in politica: è assistente del ministro

Se Caligola fece senatore il suo cavallo, in Russia non si fanno parlare dietro: un gatto è passato in poche ore dal rischiare la vita in mezzo all’immondizia all’assumere un incarico di governo nella regione di Ulyanovsk. Il micio è stato salvato per miracolo in una centrale di riciclo dei rifiuti: qualche infame l’aveva chiuso dentro a una busta di plastica e gettato in un cassonetto, il felino stava per essere “tritovagliato” insieme al resto degli scarti, ma per fortuna un operaio si è accorto di lui e l’ha tirato fuori dal nastro trasportatore poco prima della tragedia. Per il gattone si sono quindi spalancate le porte delle istituzioni: l’amministrazione di Ulyanovsk ha deciso di nominarlo assistente del ministro dell’ambiente regionale, con delega alla protezione della vita selvatica. La titolare del dicastero, la signora Gulnara Rakhmatulina, ha annunciato raggiante l’incarico conferito al suo nuovo collaboratore. D’altra parte, se ha fatto il minitro Toninelli…

 

Londra Repubblica e i titoli spiritosi: “Gira in città con
un velocipede. Probabilmente non lo sapeva guidare”
Anche questa settimana il titolo più bello che abbiamo letto è degli amici del sito di Repubblica: “Londra, gira in città con un velocipede. Probabilmente non lo sapeva guidare”. Un modo – “probabilmente” – sobrio ed elegante per introdurre lo schianto di un estroso signore londinese alla guida di un biciclo, una di quelle antiche biciclette con una ruota molto grande davanti e una piccola dietro. La descrizione del video acchiappa click è pure molto raffinata: “Un uomo in sella a un velocipede, lo storico biciclo in voga nell’800 con ruota anteriore enorme e quella posteriore molto piccola, gira nel quartiere di Stoke Newington, a Londra. Ma non è molto a suo agio quando arriva all’incrocio dove perde il controllo della situazione: non riesce a fermarsi, centra in pieno il furgone delle consegne e cade goffamente a terra”. Ecco, in realtà il video non è così divertente: si vede un povero cristo che va a sbattere. Probabilmente non sapeva guidare.

Abruzzo C’è un assembramento a Civitella Alfedena:
un gruppo di bellissimi cervi passeggia in città
Civitella Alfedena, in Abruzzo, è zona rossa come il resto d’Italia. Eppure qualcuno si riunisce in strada, senza distanziamento sociale. L’assembramento è stato ripreso da un cittadino, che l’ha caricato su YouTube: è un numeroso branco di cervi, che passeggia in tutta serenità nelle strade deserte del paese. Lo mostra il sito Abruzzo Live: “Nella nostra regione vi sono delle zone dove la fauna che vi abita vive in stretto contatto con l’essere umano, senza interferenze e senza posizioni gerarchiche da rispettare. Il mondo animale rispetta gli spazi di quello umano e viceversa. Accade di frequente nel territorio che unisce Civitella Alfedena, Villetta Barrea e Barrea. Qui, infatti, l’habitat è popolato da cervi, lupi, caprioli e orsi. Sono di casa. Capita quindi che all’alba ci si affacci dalla finestra della propria abitazione e si assista a un gruppo di cervi che si aggira indisturbato tra le strade del paese. Ed è un risveglio meraviglioso”.

Chieti Due grossi cinghiali terrorizzano la città,
entrano nelle tabaccherie e si nascondo al cimitero
Due cinghiali scatenano il panico a Chieti: fanno un macello nelle vie del centro, entrano in tabaccheria, si nascondono al cimitero. Non parliamo di due cittadini particolarmente maleducati e aggressivi, ma proprio di cinghiali: non in senso figurato. I suini selvatici hanno terrorizzato la città a cavallo di Capodanno. Questo il preoccupante report di Chieti Today: “I due grossi esemplari, arrivati dalla zona di Sant’Anna, si sono rifugiati all’interno del cimitero. Il camposanto resterà chiuso per tutta la giornata di oggi (mercoledì 30 dicembre), perché uno dei due esemplari rimasto all’interno non è stato ancora catturato, mentre l’altro è riuscito a fuggire. Come mostrano i video diffusi sul web, gli animali sono fuggiti fra le auto in via Silvino Olivieri e via Valignani. Uno dei due è addirittura riuscito a entrare in una tabaccheria. La presenza insolita ha creato non poco panico tra automobilisti e pedoni”.

Australia Un uomo trovato tutto solo in cima a un faro
in mezzo all’oceano. Era caduto dalla sua barca 3 ore prima
Un uomo solo in mezzo all’oceano, issato in cima a una sottile piattaforma verticale, pochi metri sopra le onde. Quest’immagine, romantica e minacciosa al tempo stesso, arriva dal mar del Corallo, in Austrialia, a largo di Bribie Island. L’uomo – racconta il Guardian – si chiama David Simpson, 64 anni: è salito su quel piccolo faro, raggiunto a nuoto, dopo esser caduto dal suo yacht di 13 metri. I soccorritori lo hanno salvato tre ore dopo l’incidente, che ha raccontato a una televisione locale: “Un’onda ha colpito il lato della barca mentre stavo cercando di assicurare il gommone, spezzando la corda. Il gommone mi ha colpito sulle costole e sono caduto a circa 3 metri dalla barca”. L’uomo ha dovuto nuotare per circa 2 chilometri per raggiungere il faro. A parte alcune ferite, la guardia costiera l’ha trovato in buone condizioni di salute. “Era felice di vederci – ha raccontato un agente della squadra che l’ha condotto in salvo – non voleva passare la notte su quel faro”. Non l’avrebbe detto nessuno.

Messico Scava un tunnel sotto casa per andare
a trovare l’amante, ma il marito alla fine scopre tutto
L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio, diceva un noto erotomane molto popolare in Italia fino a qualche anno fa. Ma l’amore vince anche sul Covid. In Messico un muratore geniale ha scavato con le sue mani un tunnel per raggiungere la sua amante – vicina di casa – senza infrangere i divieti governativi (anche lì c’è la pandemia e forse pure i Dpcm) e soprattutto senza farsi scoprire da sua moglie e dal marito di lei. La galleria sbucava proprio sotto al divano della casa comunicante. La relazione di Alberto e Pamela – questo il nome dei due fedifraghi di Villa del Prado, nella città di Mexicali – è andati avanti fruttuosamente per qualche tempo, finché un giorno il marito cornuto, Jorge, non li ha beccati in flagrante. Vedendo Alberto scomparire da dietro il divano, Jorge ha scoperto l’incredibile tunnel sotterraneo che collegava le due abitazioni. Percorrendolo a ritroso, si è trovato in casa di Alberto. Malgrado le suppliche del cornificatore, la questione è stata risolta a ceffoni, ai quali ha partecipato anche la moglie del genio (civile).

Usa Beve una birra e fuma un sigaro mentre pulisce il vialetto
di casa dalla neve con il lanciafiamme. E il video diventa virale
Vincenzo De Luca, prendi appunti: a parlare di lanciafiamme sono buoni tutti, ma è quando arriva il momento di usarlo che escono fuori i veri imbecilli. Come definire altrimenti il signor Timothy Browning da Ashland, Kentucky? Il nostro eroe si sveglia dopo una fitta nevicata con il vialetto ricoperto di ghiaccio. Non ha voglia di fare come i comuni mortali: quelle operazioni noiose che contemplano sale, scopa e acqua bollente. Lui piuttosto usa il lanciafiamme. E non si accontenta dell’indubbia poesia del gesto: Timothy vuole condividerlo con tutti. E fu così che diventò virale il video di questo individuo in accappatoio bianco, calzini e ciabatte, con un colbacco di lana a coprirgli le orecchie, una lattina di birra e un sigaro a scaldargli il cuore, che da vero psicopatico passa il lanciafiamme sul vialetto di casa per sciogliere la neve. La regista è sua moglie, che filma e commenta: “Così si fa, così si pulisce l’ingresso”. The american way.

“Renzi? Una bolla sgonfiata. Conte chieda i voti in Parlamento”

Manca la visione. “Anche il più scemo del villaggio adesso parla di visione. Ma la visione, cioè l’orizzonte, si costruisce con una idea di futuro. Questi fantasmi che chiedono la visione l’hanno capito?”.

Conte è un galleggiatore, un mediatore. Rallenta, non spinge, non innova, non guida.

Guidare un governo così ibrido, nato nell’emergenza per tagliare le unghie alla Bestia, impone dosi da cavallo di mediazione. L’unica tachipirina possibile per tenere insieme gli opposti.

Si dice: qui ci vorrebbe Draghi.

Ulteriore, enorme e manifesta prova di pigrizia intellettuale. Un leader si scopre e si forma nel gorgo della battaglia politica, non può essere una scelta statica, a tavolino. E poi l’idolatria del leader rischia di essere il male oramai endemico della sinistra. Se non si ribella a questo destino sarà la sua fine.

E Renzi?

Mi bastò un giorno per prendere le misure. Una bolla, dissi al tempo. Sgonfiata, aggiungo adesso.

Achille Occhetto in 84 primavere ha visto il suo mondo capovolgersi e franare (rischiando anche di rimetterci la pelle di segretario del Pci quando il Muro di Berlino cadde). Le sue parole sono lame affilate.

La pandemia la paragono alla caduta del Muro. Rivoluziona i rapporti sociali, squaderna la dimensione inaccettabile del capitalismo liberista. Mi vengono i brividi a pensare che, svanita la paura del virus, si torni ad accapigliarsi e immaginare di raddrizzare un po’ le viti ammaccate per far ripartire il motore di sempre.

Si sono portati avanti e per accapigliarsi non hanno atteso che il virus scomparisse.

Vedo anch’io. Tutti a tentare piccoli aggiustamenti dello status quo e nessuno che ingaggi una battaglia campale per dare all’Unione la forza di introdurre innovazioni che farebbero cambiare il volto della società.

Lei dice e scrive anche nell’ultimo libro (“Una forma di futuro”, Marsilio ndr) che bisogna ingaggiare una lotta imponente contro i grandi padroni del potere di calcolo e degli algoritmi.

Governare il cyberspazio, concentrarsi nella lotta al monopolio di questi nuovi dominatori. È la prima esigenza. Il tarlo che corrode le democrazie di tutto il mondo è proprio la Rete, quel lago melmoso abitato da rospi che sputano sentenze e false notizie. Serve bonificarlo, renderlo ciò che si voleva che fosse: una linea orizzontale di accesso alla conoscenza e alla partecipazione.

Gli Stati hanno alzato bandiera bianca.

Gli Stati non sono nelle condizioni di poter vincere questa guerra, ma l’Unione degli Stati sì.

Sa che quasi nessuno più si dice di sinistra? Come se fosse una parola oramai sconveniente. Ci sono i progressisti, i riformisti, i liberal…

Possiamo anche parlare invece che di destra e sinistra dello scontro tra innovazione e conservazione. Il conflitto ora matura dentro la modernità. Gli innovatori vinceranno se sapranno ascoltare la società. Significa che non devono farsi scambiare per l’establishment, non devono immaginare il governo come l’approdo unico ed esclusivo del loro cammino. Si può stare anche all’opposizione, e in certi casi farebbe anche bene per comprendere e riassorbire quel sentimento ostile che si manifesta verso di noi.

Il Pd sembra costruito per stare al governo nei secoli dei secoli.

Invece deve adesso immaginare un’alternativa al governo dell’esistente. Quando finirà questa legislatura, quando si chiuderà l’era Conte, il Pd cosa avrà proposto all’Italia? Ha un orizzonte, un ideale, una grande battaglia da sviluppare?

Lei ha un’idea.

Proporre un new deal di stampo ecologista, un sistema che coniughi produzione e benessere ambientale. Trascinare tutto il Paese su questa posizione.

Ma la legislatura sembra già in crisi.

Andare alle elezioni nel mezzo di questa pandemia è da matti.

Andarci con un altro governo?

Fuori dalla realtà. Il Pd deve smetterla di stare sotto scopa a Renzi. Ora traghettare il Paese oltre l’incubo. Fra due anni si voterà, e allora sarà il momento di distinguersi.

Senza Renzi il governo Conte non ha i voti.

Va in Parlamento e li chiede.

Se fosse Berlusconi, il suo vecchio grande nemico, a darglieli?

Se non c’è altra possibilità…

“Renziani, non siate irresponsabili”

Il passaparola è partito su Twitter grazie a un post di Giovanni Valentini. Poi ieri l’appello del direttore del Fatto Marco Travaglio ai nostri lettori: “Chi ha dato il voto al Pd e se lo vede scippare dai transfughi di Italia Viva scriva due paroline a loro e in copia anche a noi. Saremo lieti di pubblicarle sul Fatto”.

E così è: già poche ore dopo l’editoriale di Travaglio, la nostra casella lettere@ilfattoquotidiano.it si è riempita delle mail che i lettori avevano girato identiche a deputati o senatori renziani. Sergio, per esempio, da Genova ci ha scritto di aver votato il Pd e dunque di aver contribuito all’elezione di Raffaella Paita (poi passata a Iv), a cui si è rivolto così: “Non sono più rappresentato da lei e trovo amorale, pur non essendoci obbligo di mandato, passare ad un altro partito pochi mesi dopo l’elezione. Trovo inoltre gravamente irresponsabile l’idea di Italia Viva di causare una crisi di governo in un momento così delicato.”.

A Teresa Bellanova si è rivolto invece il lettore Franco Tedeschi: “Vorrei segnalarle che un atteggiamento così irresponsabile non solo vi condannerà all’irrilevanza politica, ma soprattutto farà perdere la stima nei confronti di persone che come lei in passato hanno fatto cose utili per i suoi concittadini. Lei, come altre degne persone del suo gruppo parlamentare, non potete diventare uno strumento nelle mani di un segretario che a mio avviso opera da vero e proprio ‘guastatore’”.

Da Trento arriva il messaggio di Luigi Rossi: “Molti dei senatori di Iv sono stati eletti con i voti di noi elettori del Pd. Ritengo che in un momento terribile come quello che stiamo attraversando tutto possa avvenire fuori che una crisi politica dagli esiti fortemente incerti e in ogni caso sicuramente negativi. Non possono esserci motivazioni tanto fondate da giustificare il mancato appoggio a questo governo”. Tra le altre, ecco anche la mail di Fabio Di Crescenzo: “I cittadini di sinistra intendono sostenere il governo Conte. Cari parlamentari di Iv eletti nelle liste Pd, non tradite il voto che vi è stato dato”.

A Firenze Luigi ha invece contribuito ad eleggere Gabriele Toccafondi, a cui ha scritto ieri: “Mi appello al suo senso di responsabilità per scongiurare questa dannosissima crisi, al di là delle ragioni vere o fittizie che la ispirano.”

Crisi, pontieri Pd al lavoro: tre giorni per scongiurarla

Per evitare una crisi al buio – Matteo Renzi ritira le due ministre e in Parlamento sfiducia il premier Giuseppe Conte senza conoscere il dopo – sono scesi in campo i pontieri. Ma al posto della corrente della Democrazia Cristiana di Cossiga e Taviani che alla fine degli anni Sessanta faceva da “ponte” tra la maggioranza del partito e le correnti di sinistra, oggi ci sono vertici e i ministri di Pd e M5S che provano a sedare Renzi. Sono gli esponenti più “governisti”, ma che hanno un filo diretto anche col gianburrasca della situazione, il senatore di Scandicci. E a tutti Renzi, a partire dalla giornata di sabato ma soprattutto in quella di ieri, ha fatto pervenire lo stesso messaggio, l’ultimatum a suo dire definitivo: tre giorni per rientrare dalla crisi, per far vivere o morire il governo Conte. L’obiettivo è quello di rilanciare, ancora una volta ributtando la palla nel campo del premier e fissando come data in rosso il 7 gennaio, giorno in cui, nel Consiglio dei ministri dopo l’Epifania, Renzi potrebbe realizzare la minaccia di dimissioni delle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti. Ammesso e non concesso che il leader di Italia Viva non acceleri e decida di aprire la crisi già nelle prossime ore.

L’obiettivo più realistico dei “diplomatici” resta comunque, quello del Conte ter. Da chi formato e con quale futuro, è ancora tutto da vedere. Sicché ieri mattina Goffredo Bettini, vera ombra del segretario dem Nicola Zingaretti, ha chiamato il leader di Italia Viva per capire quali fossero i margini di manovra e mettendo sul piatto la proposta di un rimpasto light, con in gioco le solite tre poltrone (Luciana Lamorgese, Paola De Micheli e Lucia Azzolina). Offerta respinta al mittente (“Non basta”, si sarebbe sentito rispondere Bettini), visto che l’ex premier – bluffando o meno – continua a ripetere che a lui “le poltrone non interessano” e che accetterebbe di non aprire una crisi solo a costo di un passo indietro complessivo di Conte su Mes, riscrittura del Recovery Plan, delega ai servizi e un riassetto della squadra di governo. E anche se difficilmente il premier accetterà tutte queste richieste – sostengono fonti di maggioranza – un conto è arrivare a un Conte ter “per caso”, un altro è “guidare la crisi in prima persona” al Quirinale.

Anche Dario Franceschini e Lorenzo Guerini tentano di mediare tra Conte e Renzi: entrambi i ministri dem sono convinti che andare al redde rationem in Aula sia la peggiore delle soluzioni, da scongiurare. Sia perché al momento l’opzione dei “responsabili per Conte” sembra svanita, perché, come va ripetendo chi in queste ore chi ha in mano il pallottoliere, “manca un leader a questo ipotetico gruppo”. Ma anche perché una volta in aula potrebbe davvero succedere di tutto, anche la rottura definitiva che porterebbe il presidente Mattarella a sciogliere le Camere: un’ipotesi che i dem sembrerebbero voler evitare. Ma l problema, in casa Pd, è sempre quello della polifonia di voci. Il M5S, da parte sua, pur vedendo come unica opzione quella del sostegno a Conte (pure accettando un gruppo di responsabili, “sempre meglio di Renzi”), non esclude il voto, magari con il premier come leader e la deroga al limite dei due mandati.

Certo, dice una fonte di maggioranza, se “Renzi e Conte evitassero l’all-in contro l’all-in sarebbe meglio”. E in serata, dopo il lavoro dei pontieri, qualche segnale distensivo è parso arrivare. Da una parte (“Non vogliamo aprire la crisi, aspettiamo Conte” ha detto Maria Elena Boschi) e dall’altra, con Conte che, per fonti vicine a Palazzo Chigi, sarebbe pronto a “cedere su qualcosa”. Ma la crisi è ancora lì sul tavolo. E, in questo clima di tregua armata, il dopo resta ignoto.

“Gallera non ci rappresenta” Salvini furioso con l’assessore

Doveva essere una riunione con i sette governatori leghisti – che coincidono anche con le Regioni più colpite dal covid tra cui Veneto e Lombardia – per fare il punto su riapertura delle scuole e campagna vaccinale. Ma a far notizia non sono le solite lamentele dei presidenti di Regione contro il governo ma la sfiducia di Matteo Salvini e dei vertici leghisti nei confronti dell’assessore alla Sanità lombardo Giulio Gallera. Quest’ultimo ieri ha fatto l’ennesima uscita fuori luogo spiegando a La Stampa che il motivo dei ritardi della vaccinazione in Lombardia (solo il 3% di quelli già consegnati) dipende dalle “ferie di medici e infermieri”.

Una frase che ha mandato su tutte le furie il leader della Lega che prima ha chiesto di conto al presidente Attilio Fontana e poi, accertato che quest’ultimo non ne sapesse niente, ha dato l’avviso di sfratto a Gallera. “Le sue parole non sono condivise e non rappresentano il pensiero del governo della Lombardia” fanno sapere fonti leghiste. A Gallera ha risposto anche Gianluca Spata, presidente della Federazione regionale dell’ordine dei medici: “Manca personale”. Dopo l’“Rt a 0,51 e due persone per infettarmi”, il “37,5% di febbre” e la corsa fuori Comune, la misura è colma, anche perché la linea di Salvini è quella di attaccare il governo sulle mancate assunzioni dei medici. Ma con Umbria e Molise (tutte regioni di centrodestra), la Lombardia è ferma: 2.416 vaccinazioni effettuate.

“La scuola è già stata fin troppo sacrificata: il 7 si torna in classe”

Ministra Azzolina, il 7 gennaio è previsto il ritorno a scuola degli studenti delle superiori al 50%, ma in queste ore sembra ci sia un ripensamento. È così?

Posso confermare la volontà del governo di riaprire. Avremmo voluto farlo a dicembre, ma abbiamo rimandato su richiesta delle Regioni. Poi avremmo voluto tornare al 75% e invece abbiamo accolto il suggerimento del 50%. Abbiamo collaborato: ora è arrivato il tempo di tornare in classe. La scuola è un servizio pubblico essenziale, non si può continuare a sacrificare i ragazzi né pensare che la didattica a distanza possa sostituire quella in presenza.

Neanche se aumentano i contagi?

Tutte le decisioni richiedono la prudenza che finora ci ha guidati. Continueremo a seguirla. È chiaro però che se in questo momento sale la curva dei contagi non può essere colpa delle scuole superiori, visto che sono chiuse da due mesi.

Scuole chiuse, ma negozi aperti: è stato un sacrificio vano?

Possiamo dire che la scuola ha fatto la sua parte. Se dovessero servire nuove misure di contenimento, ora bisognerebbe cercarle in altri settori.

Le Regioni però si stanno di nuovo opponendo alla riapertura. Sono in affanno?

Sono state loro a chiedere di rientrare al 50% quando anche i Comuni sembravano propendere per il 75. Il 23 dicembre è stata approvata e firmata all’unanimità l’intesa che la chiusura delle superiori fosse da ora in poi l’ultima alternativa. Parliamo di impegni nero su bianco, a partire dal potenziamento del tracciamento nelle scuole. Se si prende un impegno di fronte all’intero governo, mi aspetto che poi sia rispettato.

In queste settimane sono stati coinvolti i prefetti, potenziato il trasporto, previsti scaglionamenti. Siamo quasi alla resa dei conti: se a gennaio si dovesse fallire, di chi sarà la colpa?

Partiamo dal presupposto che si può fare sempre meglio. Intanto, però, è stato fatto di tutto: a settembre e ottobre le scuole erano aperte, la curva dei contagi era salita e c’è stato bisogno di alleggerire il peso sui trasporti quindi siamo andati progressivamente in Dad con gli studenti più grandi. Da allora tutti hanno lavorato: i prefetti si sono impegnati sui territori a gestire i flussi, il loro coinvolgimento è stato fondamentale. Lo stesso vale per il ministero dei Trasporti e per le Regioni, fino a qualche giorno fa. Dunque, la colpa? A questo punto direi che cercare un colpevole non ha senso. Pensare che la responsabilità della scuola appartenga al singolo è sbagliato: la scuola è di tutti. Il Paese tutto deve prendere consapevolezza che per farla andare bene ciascuno di noi deve impegnarsi, anche semplicemente rispettando le regole.

Perché non riaprire il 18 gennaio o ad aprile?

È il solito balletto delle date: ogni volta che sta per arrivare la scadenza stabilita, c’è qualcuno che lancia la palla più lontano, senza ragionevoli motivazioni. E non mi si dica di guardare quello che ruota attorno alla scuola. Con le scuole chiuse gli studenti non stanno casa h24: tanto vale che stiano a scuola, un luogo protetto e con regole da rispettare.

Alcuni esperti stanno mettendo in guardia sulla circolazione del virus tra gli studenti…

Gli studi sui contagi nelle scuole ci sono, ma escludono che siano determinanti. Il Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc, ndr) ha detto chiaramente che le riaperture non hanno innescato la seconda ondata.

Mancano però i dati sulle nostre scuole. Il suo ministero li diffondeva, poi ha smesso: perché?

Li abbiamo raccolti anche se non era nostro dovere: ho voluto farlo, volevo il doppio controllo e hanno sopperito alle mancanze delle Asl che erano in affanno. Poi, come è giusto, li abbiamo dati all’Istituto superiore di sanità, quindi al ministero della Salute, perché non abbiamo le competenze per lavorarli. Possono farlo gli scienziati. Continueremo a fare così.

Le Regioni si sono impegnate a dare la precedenza alle scuole nel contact tracing. Fornirà anche informazioni più precise sui contagi?

È uno degli impegni messi nero su bianco. Il valore aggiunto sarà l’emersione di eventuali asintomatici. Nei casi monitorati a settembre e ottobre si è scoperto spesso che il resto della classe attorno a un positivo non si era contagiato.

Si darà precedenza alla scuola anche sui vaccini?

I nonni, il personale sanitario e le persone fragili hanno la precedenza. Salvare vite è prioritario. Poi si passerà al personale scolastico, è già previsto nel piano vaccinale.

Nel governo intanto tira aria di crisi: colpirà anche la scuola?

In questo momento le famiglie e gli studenti hanno bisogno di sicurezze. Al ministero c’è una serie di incombenze, attuali e per il prossimo anno, non possono essere sospese o rimandate. Senza contare che in questo momento a cittadini serve certezza e la minaccia di una crisi non fa bene a nessuno.

Gennaio, verso nuove restrizioni. Zone rosse con indice Rt a 1,25

Chi sperava in un ritorno alla normalità a partire dal 7 gennaio si metta il cuore in pace: il contagio non dà tregua e le restrizioni saranno prorogate. Ieri mattina il premier Giuseppe Conte ha incontrato i capidelegazione della maggioranza e il Comitato tecnico scientifico. Sembra ormai certo che, forse già oggi, un’ordinanza del ministro della Salute Roberto Speranza colorerà di arancione l’Italia intera nel weekend del 9-10 gennaio (bar e ristoranti chiusi, divieto di spostamenti al di fuori dei confini regionali), dopo una piccola “tregua” gialla uguale per tutti il 7 e l’8 gennaio. Dal 7 gennaio (data di scadenza del Decreto Natale) al 15 gennaio (data di scadenza del Dpcm del 3 dicembre) si profila l’ipotesi di un “provvedimento ponte” (verosimilmente un decreto legge, poiché per limitare il diritto allo spostamento sul territorio non basta un semplice provvedimento del presidente del Consiglio) contenente misure restrittive valide per tutto il Paese, indipendentemente dai colori delle Regioni (quindi anche per le zone gialle).

Colori che – anche questo pare assai probabile – potranno presto cambiare per alcune Regioni. L’8 gennaio, infatti, l’Istituto Superiore di Sanità diffonderà il nuovo monitoraggio del contagio, che dovrebbe essere compilato sulla base di nuovi parametri di valutazione dell’indice Rt, la velocità di diffusione del contagio ieri a 0.99 nazionale secondo i calcoli del fisico dell’Università di Trento Roberto Battiston. Se infatti fino ad oggi la zona rossa scattava a 1,5 e l’arancione a 1,25, dalla prossima settimana basterà 1,25 per diventare rossi e 1 per l’arancione. Veneto, Liguria e Calabria rientrerebbero nei parametri più severi, Basilicata, Lombardia e Puglia li sfiorerebbero, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Marche sarebbero a rischio. Il tema è stato al centro dell’incontro tra governo e Regioni convocato ieri in tarda serata, quando Conte ha pure dovuto far digerire agli enti locali la decisione di riaprire le scuole superiori dal 7 gennaio, nonostante nelle ultime ore in tanti – dal Lazio alla Campania – avessero chiesto un ripensamento.

Chi invece sulle nuove restrizioni è apparso rassegnato è il governatore veneto Luca Zaia, che intervistato dal Corriere Veneto ha preso atto della prevedibile decisione dell’esecutivo: “Sei tecnici ritengono che serva la zona rossa, lo dicano e la Regione agirà di conseguenza”. Atteggiamento ben diverso da quello del collega ligure Giovanni Toti, da sempre sostenitore delle riaperture e di nuovo sul piede di guerra con il governo: “La situazione è complessa per il Covid ed è complessa anche per l’economia. L’equilibrio tra queste due cose deve essere ricercato con grande attenzione, ponderazione e un po’ di coraggio in modo da arrivare alla campagna di vaccinazione facendo sopravvivere più cittadini che possiamo, ma cercando di non uccidere le imprese”.

Eppure gli ultimi dati, in Liguria come altrove, certificano che le cose non vanno affatto bene. Il contagio non arretra e nelle prossime settimane (in questi giorni stiamo pagando lo shopping natalizio) le cose verosimilmente non miglioreranno. Anche ieri 14.245 nuovi casi Covid a fronte di 102.974 tamponi per un tasso di positività (rapporto tra casi individuati e tamponi complessivi effettuati) del 13,8%, in diminuzione rispetto al 17,6% delle 24 ore precedenti, ma comunque sensibilmente più alto dei valori registrati nel periodo prenatalizio. Per il secondo giorno consecutivo – ed è il dato più preoccupante – torna a salire la pressione sugli ospedali, dopo un periodo relativamente lungo di flessione. Anche ieri 127 ricoveri in più nei reparti Covid (23.075 in totale) e 14 nuovi ingressi in terapia intensiva (2.583 il totale dei malati gravi). Ancora alto il numero dei morti, 347 in 24 ore, dato che porta il totale dei decessi da inizio pandemia a 75.332 vittime.

Meglio le elezioni

Dentro l’attuale congiuntura critica, non è buona norma farsi guidare dalla paura che vinca la destra. Meglio essere pronti a una sfida alta. Da come si sono messe le cose, sarebbe auspicabile che si seguisse una via trasparente e lineare. Quella già prefigurata da Conte nel caso quasi certo che venga meno la maggioranza: un passaggio parlamentare in cui ciascun soggetto, singolo o partito, si assuma la propria responsabilità agli occhi del Paese. Come fu per i governi Prodi, tra i pochi che, in conformità alla Costituzione, furono sfiduciati in Parlamento.

Conte consideri che se Prodi, dopo la caduta del suo primo governo, ha avuto una seconda chance nel 2006 è perché la nitida parlamentarizzazione della crisi, ne preservò la credibilità. Ogni altra soluzione – “responsabili”, rimpastone, cambi di premier – incappa in una doppia obiezione: avrebbe il sapore antico e sgradevole dei giochi trasformistici di palazzo che gettano ulteriore discredito su politica e istituzioni, ma soprattutto non risolverebbe il problema, reitererebbe una condizione di asfissia e precarietà. Chi può scommettere che, per questa via, ci si possa mettere al riparo dai ricatti quotidiani dell’ultimo “responsabile” e tanto più di Renzi, mosso dalla pervicace, cinica e disperata convinzione che la sua strategia dell’ostruzionismo di maggioranza possa assicurargli visibilità e (improbabile) consenso? Certo, parlamentarizzare la crisi e rifiutare opache manovre di palazzo comunque non risolutive presuppone di mettere nel conto elezioni anticipate. Davvero, non solo evocandole tatticamente senza convinzione. Conosciamo l’obiezione: elezioni dentro l’emergenza sanitaria ed economica, nel vivo del piano vaccinale e di quello per il Recovery sono un serio problema (e chi le ha causate ne risponderà). Ma l’obiezione può essere rovesciata: si possono affrontare quelle sfide con un esecutivo fragile quanto o più di questo?

Alle elezioni la destra parte favorita. Ma, se ben impostata da subito, proprio a partire da un limpido dibattito parlamentare in cui – come quello dell’agosto 2019 tra Conte e Salvini – siano squadernati problemi e responsabilità, la partita sarebbe apertissima. Anche col Rosatellum, una brutta legge elettorale, che tuttavia costringe ad alleanze prima delle elezioni. Che si configurerebbero come una sorta di referendum a due: tra uno schieramento europeista Pd-M5S-LeU guidato da Conte e uno sovranista capeggiato da Salvini. Non sarebbe una passeggiata per quest’ultimo portare tutto il centrodestra a una battaglia antieuropeista nella stretta del negoziato con la Ue per il Recovery. Nel fronte antagonista sarebbe l’occasione per un chiarimento identitario e strategico per Pd e M5S. Con nuovi gruppi parlamentari finalmente organici a tale prospettiva. La precarietà politica e la debolezza di qualunque governo dipende anche dalle contraddizioni irrisolte degli attori politici. Un vallo arduo che va attraversato. Non possiamo permetterci di condannare il Paese a governi senza respiro.

Ultimo tentativo

Cari amici, in condizioni normali sottoscriverei il vostro appello parola per parola. Ma questi non sono tempi normali. Infatti nessuno in Europa, a parte qui, evoca elezioni anticipate né crisi di governo perchè nessuno può permettersi il lusso di perdere due-tre mesi mentre partono le vaccinazioni, la terza ondata Covid e il Recovery Plan. Quindi ritengo doveroso almeno tentare di salvare quello che reputo il miglior governo possibile senza vendere l’anima al diavolo. Cioè senza pagare il pizzo ai ricattatori di oggi e di domani. E senza impapocchiare, per la solita paura che vinca Salvini, governissimi tecnici o parapolitici che sortirebbero l’unico effetto di rinviare di qualche mese una vittoria salviniana ancor più certa e tonante.

C’è una strada onesta e praticabile per almeno tentare di scongiurare questo rischio? Secondo me sì: la via maestra della Costituzione, cioè della democrazia parlamentare, nello spirito della (peraltro pessima) legge elettorale proporzionale che Pd, FI e Lega ci hanno imposto dal 2017 (e che, tra parentesi, non impone affatto le alleanze prima del voto, ma solo dopo, come si è visto in questa legislatura). Per la Costituzione, le legislature durano cinque anni, almeno finchè c’è una maggioranza che sostenga un governo. Dunque evitare di interrompere la legislatura è legittimo. E anche utile, visto che una crisi al buio e una campagna elettorale oggi sarebbero un danno per l’Italia. Le opposizioni hanno diritto a chiedere le elezioni, ma i giallo-rosa hanno il dovere di provare a negargliele, per completare l’opera avviata e farsi giudicare quando ne avranno (e, si spera, avremo) raccolto i frutti. Cioè nel 2022 e non oggi, in mezzo al guado e al guano, con la gente tutta presa dal virus e ancora poco conscia di cosa accadrebbe con un governo Salvini, vale a dire col “modello Lombardia” su scala nazionale.

Ora che i renziani se ne vanno, Conte non deve cercare né reclutare “responsabili” sottobanco. Deve presentarsi in Parlamento nello spirito dell’appello di Mattarella ai “costruttori” e tenere un discorso chiaro e sobrio rivolto anzitutto agli italiani: io sono qui, i sabotatori sono questi, il piano italiano per il Recovery è questo, per i vaccini, la terza ondata, la ricostruzione faremo questo e queste sono le riforme che realizzeremo sino a fine legislatura se avremo l’appoggio delle Camere; in caso contrario, salirò al Quirinale a dimettermi e sarà Mattarella a gestire la crisi. Se i 5Stelle, il Pd e LeU gli assicureranno il sostegno e si diranno indisponibili per qualunque altro governo, sarà chiaro a tutti che, caduto Conte, si va a votare. Subito: cioè a fine febbraio-inizio marzo, perchè già in aprile il nuovo governo possa dare risposte all’Europa, semprechè questa ci aspetti. Così, al momento del voto di fiducia, tutte le carte saranno in tavola e tutti sapranno che sfiduciare Conte vuol dire precipitare l’Italia alle urne anticipate. E ciascuno farà i propri calcoli. Se qualche aspirante “ costruttore” che ora sta all’opposizione deciderà, liberamente e legittimamente, di sostenere il governo per restare in Parlamento fino alla scadenza naturale della legislatura, saprà di doverlo fare gratis: oltre al naturale rimpiazzo della delegazione renziana (due ministre e un sottosegretario), non ci saranno poltrone in palio da scambiare. E, col taglio dei parlamentari da 945 a 600, nessun partito potrà garantire poltrone. Se quei voti basteranno a fare maggioranza, il governo andrà avanti. Altrimenti cadrà.

Dopodichè, se Pd o M5S o LeU vorranno sostenere qualche ammucchiata raccogliticcia, non faranno che rinviare la resa dei conti, perchè prima o poi verranno puniti dai loro elettori. Altrimenti si voterà e, salvo clamorose sorprese, i giallo-rosa verranno bocciati dagli elettori perchè passerà l’idea che “hanno litigato” e “hanno fallito” (grazie anche alla narrazione dei giornaloni che fanno tutti il gioco dell’Innominabile e dei poteri restrostanti perchè non hanno mai digerito il Conte-2 e non vedono l’ora di dire che l’avevano previsto). E vincerà la destra, che si papperà il governo, il Quirinale, i 209 miliardi del Recovery e una maggioranza tale da riscriversi la Costituzione à la carte. A meno che i 5Stelle non si decidano a chiedere a Conte di guidare le loro liste e il Pd presenti volti nuovi ed esca dalle sue mille ambiguità, mostrandosi compatto e coerente nella crisi: a quel punto potrebbe persino accadere il miracolo. In ogni caso, ci libereremo per sempre dell’Innominabile e della sua masnada di ricattatori. Comunque vada, sarà un successo.