Il primo “sipario” è incerto. “Papà ufficialmente è nato il 10 gennaio del 1921, in realtà è di dicembre”.
100 anni di Turi Ferro, attore teatrale gigantesco, un po’ come la sua interpretazione ne I giganti della montagna, con Giorgio Strehler alla regia, esperienza rimasta negli archivi della storia del palco; poi ancora in scena con Pirandello, Sciascia, Brancati, l’essenza della Sicilia più vera, più articolata, più alta, “lontana da ogni aspetto macchiettistico. Lui fuggiva, detestava i luoghi comuni; viveva di teatro, e ogni volta diventava i personaggi che interpretava, anche dentro casa”.
Enza Ferro è la primogenita, e quando chiude gli occhi ancora sente il profumo di mastice e cerone sempre presente nel camerino del padre. “Eppure dei tre figli sono l’unica a non aver scelto il teatro”.
Come mai?
Non mi interessava, e a livello inconscio devo averlo un po’ odiato: già mi portava via entrambi i genitori e per periodi molto lunghi.
Le tournée duravano mesi.
Anche due anni, ed era inevitabile sentirsi abbandonati; (sorride) da grande, quando potevano, mi portavano con loro, ma solo se ero in vacanza dalla scuola o in pausa con gli esami universitari. E allora ho iniziato ad amare il teatro.
A casa con chi restavate?
Una zia o qualche governante o baby sitter, e poi i miei due fratelli sono molto più piccoli: Guglielmo ha quindici anni meno di me, mentre Francesca ha l’età di mia figlia.
I fratelli li ha cresciuti lei.
Mi sento un po’ loro madre.
Suo padre è nato ufficialmente il 10 gennaio, ma era di dicembre.
Infatti non festeggiava mai il compleanno, e sulla data di nascita ci marciava: in realtà era di dicembre, ma a dicembre rifiutava gli auguri in quanto sul certificato c’era scritto “gennaio”; poi a gennaio rispondeva “sono di dicembre”. Una volta si poteva denunciare dopo la nascita, e forse è stato un escamotage per saltare di un anno il servizio militare; (ci pensa) alla fine è andato in guerra che aveva vent’anni.
Ne parlava?
Spesso, e ci coinvolgeva con ricordi drammatici e intensi: ricordo ancora la storia di Breda, una staffetta partigiana conosciuta a Lubiana, e poi ritrovata morta, seduta su una panchina alla stazione. Era stata uccisa.
Come è arrivato al palco?
La famiglia di mio padre era tutta di avvocati, solo nonno era un appassionato filodrammatico, tanto da scontentare i genitori; mentre in casa di mamma si viveva teatro da generazioni, con mia nonna attrice.
Andava a vederli?
Sì, e il camerino era un luogo magico, delle meraviglie; era come un’altra stanza di casa: ci stavo così spesso da avere un angolo dove studiare, disegnare o giocare, e l’odore di mastice e cerone era quasi una droga; (ci pensa) però, ribadisco, ero combattuta.
In che senso?
Quell’odore, quel clima, quella realtà ti inebriava, ti avvolgeva, ti portava già in scena; secondo me molti figli di attori hanno proseguito sulla strada dei genitori solo per quella “droga”.
Lei, mai?
Una volta, nel 1971, li ho seguiti in Unione Sovietica e a Mosca ho sostituito un’attrice; lì il teatro era vissuto in maniera differente, noi eravamo abituati alle signore impellicciate, presenti in platea più per mostrarsi che per assistere; mentre lì abbiamo trovato operai, impiegati, appassionati veri.
E suo padre?
Affascinato; a Mosca, all’inizio dello spettacolo, i presenti si sono tolti le cuffie per la traduzione: già conoscevano il testo di Pirandello.
Era interessato alla politica?
La seguiva e ripeteva sempre: ‘Ho degli amici impegnati in politica ma non ho amicizie politiche’; ogni tanto qualcuno gli chiedeva un appoggio, e ha sempre rifiutato, secondo lui un artista non doveva schierarsi per non perdere la libertà.
Passo indietro sul camerino…
Era grande, con dentro una chaise longue un po’ disastrata, imbottita male e con le molle; poi gli specchi, le fotografie attaccate, e soprattutto gli abiti che sembravano avere la forma del suo corpo anche quando non li indossava.
Il teatro per lui.
Un’esigenza e una passione: partito da filodrammatico, era arrivato a condividere untratto di strada con Strehler: secondo lui papà è stato uno degli attori più epici.
E suo padre cosa diceva di Strehler?
Incontro irripetibile, si sono amati e stimati, e insieme hanno portato in scena I giganti della montagna. Dopo basta. (cambia tono) Papà era complicato, in perenne stato di ricerca, secondo mio fratello destrutturava i personaggi per poi ricostruirli.
Tradotto?
(Sorride) Il suo era un processo di ricerca, in pratica vivevamo con i suoi personaggi, li portava a tavola, pranzo o cena, ovunque con noi. Poi si chiudeva in camera e proseguiva con lo studio; era come un bambino alle prese con le costruzioni: aveva la stessa curiosità.
Qual era il suo personaggio preferito?
Il mio? A teatro Ciampa (da Il berretto a sonagli); da genitore lo identificavo in Cotrone (ne I giganti della montagna).
Perché?
Come Cotrone anche lui era un mago in grado di evocare fantasmi e sogni; comunque si è cimentato con tantissimi ruoli, ha rifiutato solo l’Enrico IV, credo per rispetto a Salvo Randone; (riflette) lui amava anche Liolà di Pirandello, un ruolo che lo ha accompagnato dal 1958.
Liolà il poeta contadino.
La sua ultima replica è andata in scena a Parigi, aveva circa cinquantuno anni e già da un po’ si poneva il problema di essere troppo vecchio per la parte. Quella sera ha salutato il personaggio con malinconia, e per questo sulla sua tomba ci sono i versi del ‘poeta contadino’.
Si spaventava delle sue metamorfosi?
No, ero solo gelosa.
Per strada lo fermavano?
Specialmente in Sicilia; (ride) una volta eravamo a Reggio Emilia, un gruppo di persone gli va incontro, e gli chiede: ‘Ma lei è…’; non finiscono la frase che papà già annuiva come a dire, ‘Sì, sono io’. Peccato che l’avevano scambiato per Curd Jürgens (attore tedesco). Scoppiammo tutti in una gran risata.
L’8 gennaio sono i 100 anni dalla nascita di Sciascia.
E tra loro c’è stato un rapporto importante, entrambi convinti di non cadere nella banalità degli stereotipi sulla Sicilia e i siciliani; poi Sciascia ogni tanto veniva in casa ed è stata la persona più affascinante tra quelle conosciute.
Gli amici di suo padre?
Legato a Mastroianni e Giannini, poi amava Carmelo Bene. Giannini ricorda sempre papà perché gli ha insegnato il siciliano.
Il rapporto tra i suoi genitori.
Coppia meravigliosa, con le classiche crisi di due che stanno insieme per 50 anni, però ogni tanto papà rimproverava mamma: ‘Non sei solo una madre, sei un’attrice’.
Recitavano insieme.
È capitato, pure nei momenti di depressione di mia madre, con papà che la coinvolgeva in alcuni lavori; (cambia tono) una sera le venne una crisi di panico durante la recita, e implorò mio padre: ‘Per favore accorcia, mi sto sentendo male’.
Per il teatro si rinuncia a tutto.
C’era Paola Borbone che sosteneva: ‘L’attore non deve avere famiglia’.
Come venivate trattati a Catania?
Vivevo quasi in incognito, sono diventata figlia di mio padre dopo la sua morte; il giorno del matrimonio, io e mio marito siamo passati in secondo piano, da comprimari, perché c’erano invitati conosciuti, come Alberto Lupo, che suscitavano maggiore clamore.
I suoi fratelli sono rimasti nel teatro.
Francesca è attrice e regista, Guglielmo regista (molto legato al Quirino di Roma). Per loro è stata dura, e papà era preoccupato.
Per il cinema è celebre il ruolo in Malizia.
Dopo quell’esperienza, bella, è partito un filone, chiamiamolo erotico, che non gli piaceva; ricordo una conversazione con un amico: ‘Mi propongono una pellicola dove mi buttano addosso Eleonora Giorgi nuda, e secondo loro solo per questo dovrei accettare’. E dietro c’erano molti soldi, ma rifiutò, un po’ come la proposta della pubblicità della Lavazza: doveva interpretare San Pietro.
Mamma d’accordo?
Spinta dal senso pratico ha tentato più e più volte di convincerlo: ‘Turi, non c’è niente di male, capita a tutti’. Inutile. Allora chiedeva il mio sostegno, e lui, ridendo: ‘E poi è San Pietro, fosse stato il Padreterno…’.
Torniamo cinema. Quindi in casa vi infastidivano le pellicole ‘alla Malizia‘?
Malizia andava bene, mentre i successivi non sono piaciuti a nessuno (La governante e I baroni). E per fortuna poi ha smesso.
In una recensione di Pistilli del 1974 su La governante, si stronca il film, non Turi Ferro.
Davvero? La stessa situazione si è verificata al tempo di Malizia 2000, con Maurizio Costanzo che ha attaccato la pellicola e salvato la prova di papà.
Benigni lo voleva come Geppetto nel suo Pinocchio.
È stato molto carino: papà stava male, era un po’ depresso e aveva una forma di leucemia cronica, eppure Benigni aveva deciso di aspettarlo, sperava in una finestra di maggiore salute. Invece è morto.
Prima ha parlato della depressione per suo padre.
Sembra una condanna per gli attori, ma capita spesso, non solo a Vittorio Gassman; anni fa, quando avevo il dubbio se proseguire come attrice, mi spiegò i confini: ‘Fallire in questa professione è più pesante che in altre: hai un vasto pubblico ad assistere alla tua sconfitta’.
Secondo suo padre quali erano gli attori più promettenti?
Stimava Gabriele Lavia e anni dopo Massimo Popolizio, poi era legato a Pino Caruso, Leo Gullotta e lo divertiva Nino Frassica.
Di Catania è Pippo Baudo.
Pippo lo conosco da quando era giovanissimo e io avevo appena cinque anni; lui ha amato tantissimo mio padre…
Qui c’è un ‘ma’.
In lui c’è qualcosa di irrisolto, in fondo credo che all’inizio volesse intraprendere la strada dell’attore, mentre papà lo dissuase; poi Pippo, una volta diventato presidente dello Stabile di Catania, lo volle in cartellone, ed è stata la sua ultima stagione.
Baudo da ragazzino.
Uguale a oggi.
Suo padre come veniva percepito dalla compagnia?
Come un uomo severo, molti ne avevano timore, poi scendeva dal palcoscenico e diventava un’altra persona.
Eduardo De Filippo proibiva le relazioni tra attori…
Non entrava nella vita privata, a lui interessava solo l’interpretazione; poi più li stimava e più gli stava sul collo, poteva perseguitare: una sera venne da me un attore, disperato, che mi raccontava i continui rimproveri, compreso per l’ultimo spettacolo della stagione.
Insegnava.
Sì, ma solo con l’esempio, sul palco, perché non aveva l’abilità di Gigi Proietti di trasmettere verbalmente la teoria.
Sua madre era gelosa?
Lo era, ma è stata intelligente a non creare problemi; (sorride) dopo le recite di Liolà veniva attorniato in camerino dalle ammiratrici, e ogni volta si toglieva il parrucchino col rispetto, e la grazia, di chi si toglieva il cappello davanti alle signore: la finzione era finita, e lui per onestà lo doveva dichiarare, senza preoccuparsi di deluderle un po’.
Lui chi era?
Un mago. Quello che tutto sommato vorrebbe ogni figlia.