In questo caso la direzione non è ostinata e contraria per calcolo, ragionamento o fascinazione. Antonella Ruggiero è ostinata e contraria perché è natura, indole, rispetto di se stessa.
Con lo stesso tono evita la retorica del palco come necessità (“mai sentito il bisogno”), del desiderio di socializzare (“sto bene così”), di correre, correre e ancora correre (“alle autostrade della vita preferisco i viali paralleli dove si va pure in bicicletta”).
E non stupisce la sua scelta di pubblicare un nuovo album, Empatía – è la registrazione del concerto tenutosi nella Basilica di Sant’Antonio a Padova, l’8 febbraio 2020 – e di aprire la vendita solo attraverso il suo sito, senza neanche pubblicità.
Perché cantante.
È il mio destino, non ho cercato nulla; mi sono ritrovata in questo mondo, quando in realtà volevo dedicarmi alle arti visive come pittura e grafica.
E invece.
È andata bene, perché ho comunque una libertà assoluta, ed è il punto fondamentale.
Empatía
è stato registrato prima del lockdown. Ha bisogno del palco?
Non ho mai avvertito la necessità fisica di esibirmi, di essere al centro dell’attenzione, di dire ‘eccomi, sono qua’; questo è un momento importante per fermarsi e guardarsi dentro, capire, un po’ come accadeva agli artisti di un tempo, quando scoppiavano le pandemie. E in quelle situazioni nascevano delle grandi opere d’arte…
Mentre ora?
L’omologazione, l’esigenza perenne di esserci, la Rete onnipresente, porta a realizzare lavori superficiali.
A molti suoi colleghi il lockdown ha spento l’ispirazione.
A me no, e poi non ho una vita mondana, la mia quotidianità è tra la campagna lombarda della Brianza e Berlino, due dimensioni in apparenza lontane, in realtà la capitale tedesca è verde.
Torniamo al palco: neanche all’inizio l’appassionava?
Non ho mai amato l’esposizione, per me il live, e da subito, ha rappresentato un mettermi alla prova; poi ogni mestiere ha i suoi ostacoli e per una persona non malata di egocentrismo, il palco diventa il luogo del lavoro.
Ansia prima di salire?
Forse solo all’inizio, altrimenti sarebbe stata e sarebbe una vita infame; piuttosto è una scuola che mi sono autoimposta; ora il palco lo considero un luogo famigliare, quasi come entrare in casa, e con alcuni pezzi posso chiudere gli occhi e sentirmi in una stanza, da sola.
Senza esserlo.
Durante i concerti sento un silenzio assoluto, posso percepire il respiro dei musicisti.
Le piace il pubblico ‘cantante’?
Non sono una persona che si porta dietro gli strilli.
Ha pezzi celebri.
E le persone amano ascoltarli per tornare a momenti personali, e li viviamo insieme. Ma il pubblico che mi segue è educato e gentile, in qualche modo simile a me.
Da ragazza chi le piaceva?
Dai 12 ai 14 anni amavo i Beatles, e lì ho manifestato una passione come mai più nella vita; loro davano degli spunti emozionali pazzeschi, ora la musica è spesso ripetizione di ciò che è stato.
Li ha ascoltati dal vivo?
Purtroppo i miei non mi hanno portato, ma ricordo le urla delle ragazze dentro al concerto.
I Beatles sono ancora parte di lei?
Raramente; attraverso la musica rivedo, risento, rivivo momenti che possono portare a una malinconia interiore, e non la voglio frequentare più di tanto, preferisco altro.
Nel disco interpreta Crêuza de mä. De André le dà malinconia?
Crêuza de mä mi riporta bambina tra i vicoli di Genova, dove abitavano i miei nonni; quei vicoli li conosco così bene da poterli girare a occhi chiusi; (ci pensa) la musica non è solo ascolto con le orecchie.
Nel panorama musicale, dove si inserisce?
Né avanti, né indietro. Di lato; (cambia tono) accanto alle autostrade spesso corrono delle stradine bianche, polverose, dove le persone vanno a piedi, in bicicletta, a cavallo. Sono lì.
I talent li guarda?
Capita, e tecnicamente ho ascoltato dei ragazzi molto bravi, però mi domando sempre qual è il loro futuro, perché non c’è più nessuno che si impegna per far crescere un artista.
Respiro corto.
Basterebbe investire su almeno un decennio, mentre il giro di giostra è breve, e li sbattono sotto un riflettore e in maniera innaturale.
In questi anni di cosa l’hanno rimproverata?
Perché?
Magari di essere stata poco presente.
Vado per la mia strada laterale e non me ne importa nulla. Di me stessa so cosa devo fare.
Un personaggio letterario che si porta nel cuore.
Uno solo? Simone de Beauvoir in L’età forte : lì racconta di lei che durante la guerra scriveva accanto a una stufa dove ribolliva un cavolo; ecco, questa immagine mi ha sempre affascinato, come dalla difficoltà escono le opere d’arte, le sensazioni più profonde delle persone.