Mattarella: il sottotesto degli gnorri

Cosa hanno voluto dire, realmente, a Sergio Mattarella: ecco il sottotesto delle dichiarazioni di immediato consenso di tutti i partiti dell’arco parlamentare alle parole di fine d’anno del capo dello Stato.

Matteo Renzi: “Italia Viva ringrazia il presidente della Repubblica per la sua guida autorevole e saggia”. Era chiaro che ce l’avevi con me quando hai sibilato: “No a distrazioni e a illusori vantaggi di parte”. Volevi farmi intendere che è da bischeri irresponsabili minacciare la caduta del governo con il Paese devastato dalla malattia e tramortito dalla crisi. Infatti, non avevi ancora finito di parlare e già mandavo in rete le consuete espressioni insulse e untuose, a significare la mia più totale indifferenza per i tuoi moniti. (La prima gallina che canta ha fatto l’uovo).

Nicola Zingaretti: “Un grande messaggio che chiama tutti alla responsabilità”. Hai fatto bene a dirgliene quattro a quel signore là. Comunque non ti preoccupare, fai pure come se non ci fossimo. (Strategia del morto a galla).

Vito Crimi: “ Ha ragione Mattarella, non ci può essere spazio per divisioni ma dobbiamo cambiare ciò che va cambiato”. In assenza della piattaforma Rousseau, e in presenza di una mezza dozzina di correnti grilline do un colpo a Renzi e un colpetto a Conte. (Il “ma anche” veltroniano gli fa un baffo).

Silvio Berlusconi: “Siamo in sintonia con ogni parola”. Anche se è un comunista questo Napolitano mi piace. O si tratta di Cossiga? (Meno male che Silvio c’era).

Matteo Salvini: “Parole sante”. Forza Morisi, pensaci tu a scrivere un paio di frasette qualsiasi, purché diverse da quelle della Meloni. (E pensare che al tempo di Bossi, dalla Lega piovevano solo pernacchie sul Quirinale).

Giorgia Meloni: “Facciamo nostro il suo appello ad affrontare il piano europeo per la ripresa in modo concreto ed efficace”. Se si va ad elezioni i signori di Bruxelles non potranno non apprezzare il mio robusto, antico e convinto europeismo. (Sovranista a chi?).

Giuseppe Conte: “Ha ragione il capo dello Stato, ora è il tempo dei costruttori”. Fanculo i rottamatori, è abbastanza chiaro no? (Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con il fucile, quello con la pistola è un uomo morto).

Sergio Mattarella: “Sarà il mio ultimo anno di mandato”. Quindi è inutile che continuate a leccarmi gli stivali, nel vostro circo non ci resterò un giorno di più.

L’Alfa Gt 2000 di Pasolini è ancora in circolazione

È lei senza ombra di dubbio, ma con il tempo e le modifiche subìte è come fosse stata risucchiata da un “corpo” altro. L’Alfa Gt 2000 di Pier Paolo Pasolini da lui utilizzata la sera del 1° novembre 1975 per raggiungere l’Idroscalo di Ostia non è mai stata demolita e si trova in provincia di Varese, dove siamo stati. Le foto che ritraggono il veicolo e che pubblichiamo qui in esclusiva dimostrano l’esistenza dell’Alfa a 45 anni dai fatti: stesso il telaio (nr. 2429845) e stessa la targa (K69996 Roma) la quale, però, a detta di chi l’ha venduta al nuovo proprietario, fisicamente non esiste più. Il grigio metallizzato e le pesanti ammaccature che l’hanno resa poi tanto nota spariti: ora è verde oliva e i suoi interni, in gran parte, sono pezzi provenienti da altri “corpi” di Alfa Romeo.

A riferirne la probabile esistenza per primo, alcune settimane fa, è stato il sito Patrimoni e Finanza, testata specializzata. Qualche giorno dopo il Giornale chiede al demolitore romano Rozzi Agostino se l’auto avesse subìto davvero un processo di demolizione, ma la risposta è stata l’impossibilità di recuperare il documento dati gli anni trascorsi; mentre tutto questo si svolgeva, noi eravamo già in viaggio per Varese. L’automobile era stata indicata come demolita (1981) dall’erede Graziella Chiarcossi che allo scopo l’aveva consegnata all’attore Ninetto Davoli, il quale di lì a qualche giorno l’avrebbe portata al demolitore (verbale 2010). Poi il veicolo sarebbe stato smembrato. Di lì a qualche anno, metà 80, un appassionato di motori d’epoca di Misilmeri (Palermo), di passaggio a Roma, se ne invaghisce e la acquista per poche lire. Cercherà di restaurarla ma poi per ragioni di denaro, visti i costi che necessitano questo tipo di automobili, rinuncia. In quel momento il colore dell’auto era già un altro. La terrà in un casale per molti anni finché nel 2017 un altro appassionato di Alfa Romeo d’epoca di Erice (Trapani) la acquista e nel 2019 la reimmatricola per poi rivenderla l’anno dopo all’attuale proprietario. È qui che l’uomo di Erice scopre essere stata di proprietà dello scrittore. In questa fase entrambe le targhe, anteriore e posteriore, si perdono. Passaggi che non hanno generato a quanto sembra grandi introiti: si parte da 900 mila delle vecchie lire per finire ai 15 mila euro odierni come certificato dalla visura. Il nuovo proprietario è un signore gentile che insieme alla moglie manda avanti la sua attività e nel frattempo coltiva la sua passione per le auto d’epoca. Come l’uomo di Erice, anche il proprietario preferisce non essere citato né ulteriormente contattato da privati. Non vuole che questo fatto divenga una occasione per speculare sull’oggetto, per questo si raccomanda: “Ho letto cifre astronomiche assegnate all’auto ma voglio che si sappia che non ho alcuna intenzione di venderla, vorrei avere la possibilità di riportarla alle sue fattezze originali e magari restituirla alla collettività consegnandola alle istituzioni, a un museo, pur mantenendo la proprietà”.

L’Alfa Romeo di Pasolini, da lui acquistata usata nel febbraio del 1975, merita un posto tutto suo in questa storia irrisolta. Intanto non fu l’unico veicolo presente quella notte all’Idroscalo romano e in generale non fu l’unica Alfa protagonista del sormontamento del corpo dello scrittore. Rimasta esposta per diversi giorni nel cortile della caserma dei carabinieri di Ostia e malridotta, durante una manovra di rimessaggio, presentava segni di aggressione e di tracce ematiche esterne e interne ormai sparite e non più visibili, almeno a occhio nudo. Probabilmente non più utile ai fini della ricerca di altri profili attraverso l’esame del dna. In questa vicenda fitta di verità negate trova posto anche l’orario del rinvenimento dell’auto che resta di fatto un “mistero” nonostante i verbali – non sempre coerenti – che ne hanno attestato il fermo da parte dei carabinieri il 2 novembre alle 1.30 del mattino. Proprio la stessa Chiarcossi durante il 40ennale dell’omicidio, e dopo anni di silenzio, confermò ciò che il regista Sergio Citti aveva riferito nel 2005 durante le indagini difensive condotte dal Comune di Roma: il suo rinvenimento alle 3 del mattino presso la Tiburtina annunciato dalla polizia alla famiglia. Non lontano tra l’altro dall’abitazione di Giuseppe Mastini, il recidivo evasore, anche conosciuto come Johnny Lo Zingaro, coinvolto spesso nelle indagini e uscito dalle ultime dopo una repertazione del suo dna poco ortodossa.

Pasolini quella notte si reca a un appuntamento con l’Alfa Gt insieme a Giuseppe Pelosi, l’unico colpevole riconosciuto dell’omicidio. Appuntamento il suo, come testimoniato tardivamente da Citti stesso, concordato con altre persone rimaste ignote per ragioni altre da quelle individuate nell’unico processo svoltosi contro Pelosi, il quale il 30 ottobre del 1975 d’accordo con altri aguzzini dirà: “Mi raccomando ho un appuntamento con Pasolini fatevi trovare lì” (verbale del 5 aprile 2011). Le parole sono di un testimone che ha riferito prima a Oriana Fallaci e poi, a 37 anni dai fatti, ai carabinieri del Ros, il contenuto di una telefonata a cui aveva assistito avvenuta in un bar di Piazza dei Cinquecento a Roma, riconoscendo l’ex ragazzo di vita. Il testimone ha sempre avuto un nome e un cognome ma guarda caso al tempo della prima istruttoria non era mai stato rintracciato. La telefonata è stata ammessa anche dallo stesso Pelosi in un libro (Io so come hanno ucciso Pasolini, Vertigo 2011), senza però indicare le parole che a tutti gli effetti confermavano la dinamica di un agguato e che dunque lo avrebbero potuto nuovamente coinvolgere se sommate alla testimonianza. L’avvocato Stefano Maccioni, che nel 2010 per volere di un parente dello scrittore aveva fatto riaprire le indagini, si rammarica per il tempo trascorso e per la stessa decisione presa dall’erede sull’automobile: “Una decisione inspiegabile. Oggi ma già cinque anni fa, come accaduto con la Renault 4 dove fu rinvenuto il corpo di Aldo Moro – auto conservata dalle autorità –, si potevano effettuare altri esami”.

L’ex generale Gianadelio Maletti, responsabile del reparto D del Sid al tempo, riteneva Pasolini insieme a tutto il reparto che ne seguiva i movimenti, un personaggio “scomodo” e, sempre parole sue, “anti istituzionale” (corrispondenza con chi scrive del 13 aprile 2020). Parole che un po’ riempiono i tanti vuoti di questa vicenda.

Ammazzato il papà di Luigi (che fu ucciso a 17 anni)

Prima il figlio, poi il padre. Un destino di sangue ha marchiato per sempre la famiglia Caiafa di Napoli. In un terraneo di Forcella è stato ucciso a colpi di pistola Ciro Caiafa, un pregiudicato di 40 anni con obbligo di firma in questura. Si stava facendo fare un tatuaggio, i sicari hanno sparato tre proiettili calibro 7.65 attraverso un finestrone, uno dei colpi ha ferito di striscio il tatuatore.

Ciro Caiafa era il padre di Luigi Caiafa, il 17enne ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia all’alba del 4 ottobre, mentre tentava una rapina a mano armata con una pistola finta, a bordo di un motorino rubato, insieme a un altro minorenne, il figlio di Gennaro de Tommaso, meglio noto come ‘Genny ‘a Carogna’, il malvivente diventato celebre per aver ‘mediato’ con le forze dell’ordine la pace tra i tifosi del Napoli durante la finale di coppa Italia a Roma del maggio 2014, svoltasi in un clima di grande tensione per l’agguato contro il tifoso Ciro Esposito.

La consecutiodei fatti e dei cognomi si commenta da sola. Fa riflettere su quanto sia difficile riscattarsi se si nasce e si cresce in certi contesti di Napoli. Il pensiero torna alle interviste di Ciro Caiafa poche ore dopo la morte del figlio Luigi. L’uomo invocava “chiarezza e giustizia” sulla dinamica dell’omicidio, imprecando che “non si può morire a 17 anni in questo modo, come animali”, ma rispondendo soltanto “non lo so, non lo so” alle domande su cosa ci facesse il figlio in piena notte su un motorino rubato con una pistola finta. A Luigi Caiafa, che era alla messa in prova in una pizzeria, è stato dedicato un murales simile a quello dedicato a Ugo Russo, un ragazzo di 15 anni, anche lui ucciso durante un tentativo di rapina, l’anno scorso a Napoli, da un carabiniere fuori servizio. Il consigliere regionale Francesco Borrelli chiede la rimozione di quegli altarini: “Le istituzioni devono far sentire la loro voce e liberarci dalla simbologia inneggiante alla criminalità”.

I genitori di Regeni: “Denunciamo il governo perché vende armi a chi viola i diritti umani”

Prima la procura del Cairo che disconosce le indagini della Procura di Roma portate avanti – a dire dei magistrati egiziani – “senza prove”. Poi la nave da guerra prodotta dall’ex Fincantieri che viene consegnata all’Egitto nel porto di Alessandria. Tutto nel giro di appena 24 ore. Troppo per la famiglia di Giulio Regeni, che ora ha deciso di intraprendere un’azione legale contro lo Stato italiano. I legali dei genitori del ricercatore friulano, torturato e ucciso al Cairo fra gennaio e febbraio del 2016, vogliono contestare all’Italia la violazione della legge 185/1990, che vieta l’esportazione di armi “verso Paesi responsabili di violazione dei diritti umani accertati dagli organi competenti”.

L’annuncio è arrivato la sera della vigilia di Capodanno, durante la trasmissione Propaganda Live su La7. “Il governo italiano è troppo remissivo e troppo debole”, hanno detto Claudio e Paola Regeni, pochi minuti dopo la conclusione del messaggio di fine anno del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “È come se avesse parlato direttamente Al Sisi, è uno schiaffo non solo a noi ma all’intera Italia”, hanno detto i genitori del 28enne ucciso, che hanno ribadito l’aspettativa che venga richiamato l’ambasciatore italiano in Egitto. “Faremo un processo di fronte a un giudice autonomo e indipendente nelle piene regole dello stato di diritto e questa è una grande dimostrazione di forza del nostro Paese”, aveva assicurato poche ore prima ai microfoni del Tg1 il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini.

La rabbia della famiglia Regeni è stata amplificata da quanto accaduto la mattina del 31 dicembre, quando nella base marittima di Alessandria aveva attraccato “Al Galala” (dall’arabo “Sua Eccellenza”), la prima delle due fregate della classe Fremm Bergamini prodotte da Leonardo e acquistate dall’Egitto. Un evento che “riflette la visione della leadership politica e il suo forte sostegno a favore del partenariato e delle relazioni bilaterali tra i due paesi amici in numerosi campi”, si sente dire nel video pubblicato sui social media dal portavoce dell’esercito egiziano Thamer Mohammed Mahmoud al Rifai. Non solo. Nei giorni scorsi, Rete Disarmo aveva riferito della consegna “in sordina”, lo scorso 23 dicembre, della ‘Spartaco Schergat’ da parte dell’ex Fincantieri alla Marina Militare egiziana. “Il tentativo di tenerlo nascosto manifesta chiaramente l’imbarazzo da parte del governo italiano per tutta questa operazione”, aveva sottolineato l’associazione in un comunicato.

Spirlì smentisce Spirlì: “Non si vota a febbraio”

A novembre: “In Calabria si vota il 14 febbraio”. Prima di Natale: “Non so, chiediamo al governo e aspettiamo il parere del Cts nazionale”. Ieri: “È stata avviata la procedura per il rinvio delle elezioni regionali”. È il presidente facente funzione Nino Spirlì a smentire sé stesso nel giro di poche settimane e finire nella bagarre tutta interna al centrodestra calabrese. Una parte voleva tornare al voto il giorno di San Valentino così come aveva indicato Spirlì il quale, dopo la boutade del 14 febbraio, si è reso conto che, a causa della pandemia, il rinvio delle regionali è una scelta obbligata. Una scelta che, per ragioni politiche, Spirlì voleva fare assumere al governo nazionale che, però, non ha tolto le castagne dal fuoco al leghista. Se ieri il governatore ha sostenuto di aver “ritenuto doveroso scegliere un’altra data per non esporre i calabresi a un grave rischio sanitario”, appena 48 ore fa aveva accusato il governo di “non decidere sulla pelle dei calabresi”. La verità è che Spirlì ha fatto tutto da solo e che, nonostante gli strali dei suoi consiglieri regionali (“Ci ha preso in giro”), il rinvio gli sta pure bene. Aumenterebbe, infatti, le sue quotazioni in chiave candidatura. Lui ci sta pensando anche se i nomi in ballo, al momento, sono sempre quelli dei fratelli Roberto e Mario Occhiuto, sacrificati alle ultime regionali. Se a destra c’è confusione, dalle parti del centrosinistra è anche peggio. Pd, M5S e civici stanno ancora cercando un accordo per non fare gli errori del passato. Tutti vorrebbero dettare le regole. Al di là delle chiacchiere di questi giorni, solo il Pd ha presentato due proposte: il giovane consigliere regionale Nicola Irto e il deputato Antonio Viscomi. Pur non essendo contrari, però, una parte della sinistra e dei movimenti civici sta pensando anche a una terza opzione “non politica”: il segretario regionale della Cgil Angelo Sposato.

Addio a Domenico Agasso, maestro di vero giornalismo

L’ultimo furto di talento il 2020 l’ha perpetrato la notte del 31 dicembre, portandosi via un grandissimo giornalista, Domenico Agasso, 43 giorni prima che compisse 100 anni. Nato nel 1921 a Carmagnola (Torino), aveva debuttato a 30 anni al quotidiano torinese Il popolo nuovo. Nel 1960 era passato a Epoca, per cui fra l’altro aveva seguito i viaggi di papa Paolo VI in giro per il mondo, lavorando con mostri sacri come Augusto Guerriero detto “Ricciardetto”. Caporedattore di Famiglia Cristiana nel ’78, era poi tornato in Mondadori per dirigere Epoca e in seguito Espansione. Per la Mondadori aveva pubblicato una strepitosa Storia d’Italia in otto volumi, che univa il rigore scientifico al gusto aneddotico e divulgativo. In pensione dai primi anni 80, aveva accettato di dirigere un piccolo ma glorioso settimanale torinese di ispirazione cattolica, Il nostro tempo. Lì lo conobbi nel 1984, subito dopo la maturità classica, chiamato dalla vicedirettrice Mariapia Bonanate. Tutto quello che ho imparato lo devo a lui, uomo all’apparenza burbero e scorbutico, ma che appena riuscivi a entrargli un po’ dentro diventava ironico, spiritoso e soprattutto dotato di un talento mostruoso, pari soltanto alla riservatezza. Era un direttore nato, un artigiano che amava costruirsi il giornale con le sue mani: faceva o controllava tutti i titoli, “passava” tutti gli articoli, correggendoli o riscrivendoli dopo aver lanciato per aria gli originali con epici urlacci contro le “penne proibite” che li avevano scritti (“ma mi faccia il piacere!”, era il suo intercalare di grande amante di Totò). I suoi articoli erano brevissimi, fulminanti e mai firmati: “D.A.” bastava e avanzava. Oltre alla storia d’Italia, ha scritto una trentina di libri di argomento religioso. Ma sognava altro: “Continuano a chiedermi biografie di santi, ma io vorrei raccontare qualche bel mascalzone, che è molto più divertente”. Il suo sogno era la vita del maresciallo Radetzky, il terrore dei nostri patrioti risorgimentali che si sdilinquiva per gli gnocchi della sua amante milanese Giuditta. Peccato che, in cent’anni, non l’abbia mai scritta.

Disorientati dai fuochi d’artificio, a Roma centinaia di volatili morti a Capodanno

Una strage di uccelli a Roma. Le immagini da fiction, postate su Facebook da un ragazzo del centrale rione Monti (non lontano dalla stazione Termini) testimoniano di centinaia di uccelli morti sull’asfalto, in altre immagini si vedono stormi incunearsi in volo tra i palazzi delle strade romane come disorientati. Secondo le prime ricostruzioni, gli uccelli sarebbero stati spaventati dai botti di Capodanno, perdendo il controllo e scontrandosi tra loro. “In pochi hanno rispettato purtroppo l’ordinanza che vietava l’utilizzo di botti e centinaia di storni sono morti per la paura dovuta alla detonazione”, rileva il presidente della Commissione Ambiente della Capitale Daniele Diaco.

La Lav annuncia la presentazione di una denuncia alla Procura della Repubblica per l’apertura di una indagine che “possa far luce su tutte le responsabilità, dirette e indirette, che hanno causato la morte di diverse centinaia di uccelli la notte di Capodanno” e accusa il Campidoglio di non aver vigilato.

Al 14,1% il tasso di positività, ma il dato reale è più del doppio

Il 2021 non è cominciato benissimo: il primo bollettino Covid del secondo anno della pandemia, infatti, indica che la strada da percorrere è ancora lunga. Il contagio non arretra in maniera sensibile. Anzi. Preoccupa in particolare la risalita del rapporto tra positivi individuati e tamponi effettuati, in crescita per il secondo giorno di fila: i 22.211 nuovi casi rilevati ieri sono il frutto di 157.524 test, pari a un tasso di positività del 14,1%, in crescita di quasi due punti rispetto al 12,6% di giovedì e di oltre cinque punti rispetto al 9,6% di mercoledì. L’indice reale di positività, tuttavia, è più che doppio. I 157.524 test sono stati effettuati infatti su 70.010 persone (il paniere comprende anche i tamponi di verifica) il che porta l’indice reale al 31,72%. Il confronto con il bollettino della settimana precedente (25 dicembre), inoltre, conferma il trend: il giorno di Natale i nuovi positivi furono 19.037 per un tasso di positività del 12,5%.

Ancora molto alto il numero delle vittime, 462 (74.621 in totale), mentre torna a scendere (lievemente) la pressione sugli ospedali: meno 329 pazienti ricoverati con sintomi (totale a 22.282) e -2 in terapia intensiva (attualmente 2.553 in tutto). Il livello di saturazione dei reparti di Ti – secondo il report di fine anno di Altems – è sceso al 30%, la soglia critica, quello dei reparti Covid, invece, è al 36% (soglia critica 40%). La regione più colpita è ancora il Veneto, dove ieri si sono registrati quasi 5 mila nuovi casi. Seguono Lombardia con 3.056 ed Emilia Romagna con 2.629.

Gli irriducibili del veglione: 1.347 multe a Capodanno

Veglioni in villa, in hotel, nei residence e perfino in riva al Lago di Garda. Protagoniste in gran parte persone di mezza età e ceti abbienti. Vigilia di Capodanno impegnativa per le forze dell’ordine – soprattutto in Lombardia e nel Lazio – sul fronte dei controlli per il rispetto delle normative anti-Covid: 64.855 persone controllate, 1.347 sanzionate e 16 denunciate.

A Roma, l’episodio più eclatante ha riguardato un veglione abusivo all’Hotel Kennedy di piazza Fanti a Roma, un albergo tre stelle di fronte alla stazione Termini. Intorno alle 22.30 una pattuglia del Reparto volanti della Questura di Roma ha fatto irruzione nella hall e ha trovato un cenone in piena regola, con tavole apparecchiate, camerieri al lavoro, piano bar, karaoke e 27 persone fra i 50 e i 60 anni che stavano mangiando, cantando e ballando senza mascherina e senza rispettare le norme anti-Covid. I poliziotti hanno interrotto la festa sanzionando i commensali (tutti italiani tranne un inglese) e il proprietario dell’albergo. Sempre nella Capitale, il 30 dicembre i poliziotti hanno dovuto far irruzione in una villa di Collina Fleming, quartiere della “Roma bene”, dove la facoltosa proprietaria aveva deciso di anticipare di 24 ore la sua tradizionale cena di fine anno. Attorno alla tavola, sedute 15 persone che, come specificano fonti della Questura, “non erano parenti tra di loro”. A quanto risulta al Fatto, la padrona di casa, all’ingresso dei poliziotti, ha accusato anche un lieve malore, che però non le ha evitato la sanzione. Anche qui la segnalazione era arrivata da un anonimo vicino di casa.

È diventato presto virale, invece, quanto accaduto in un resort di lusso di Padenghe (Brescia) sul Garda, dove si è svolto un party abusivo con 127 persone che brindavano e ballavano senza mascherine, con musica ad alto volume suonata da dj e vocalist. Le immagini della festa, che doveva rimanere “top secret”, sono finite sui social. Il direttore del resort si è giustificato parlando di “un pranzo che si è protratto fino a sera a causa di qualche bicchiere di troppo”. “Abbiamo provato a intervenire in situazioni particolari, ma non è nemmeno facile imporsi con clienti che pagano tanto”, ha detto all’Ansa il proprietario della struttura.

A Milano, invece, sono state 30 le persone sanzionate per violazioni al divieto di assembramento: 12 persone sorprese a festeggiare senza alcuna precauzione in un residence in via Calvino, e che intorno alle 3 e mezza hanno suscitato le proteste di alcuni vicini e altre 18 in un appartamento in affitto in via Pontaccio, e dove verso le 5.30 è scoppiata una lite facendo accorrere la polizia. Più di 50 mila euro di multa per la festa clandestina che circa 130 persone – tutte di nazionalità cinese – avevano organizzato in un ristorante di Prato. A quell’ora sono intervenute polizia e Guardia di Finanza, che hanno bloccato e sanzionato il maxi assembramento: 400 euro di multa ciascuno.

Obiettivo 15 mln a giugno anche senza Astrazeneca

Alle 17 di ieri erano più di 34 mila le persone vaccinate con il siero Pfizer-BionTech, l’unico anti-Covid che ha ottenuto l’autorizzazione Ema, l’agenzia europea del farmaco. Poco più di 29 mila operatori sanitari e sociosanitari, 1.837 anziani ospiti delle Rsa. Il 6 gennaio Ema potrebbe approvare l’altro vaccino Usa prodotto da Moderna. Sarà, in caso di via libera, il secondo ad essere somministrato in Ue e in Italia che ha acquistato 202.573 milioni di dosi tra Pfizer-BionTech, Moderna, AstraZeneca, Johnson&Johnson, Sanofi-Gsk e CureVac. Dopo operatori sanitari, personale e ospiti delle Rsa e over 80 (più di 6,4 milioni di persone), toccherà alla popolazione tra i 60 e i 79 anni (13,4 milioni) e a chi ha almeno una comorbilità cronica (7,4 milioni).

L’obiettivo del commissario per l’emergenza Domenico Arcuri è vaccinare 15 milioni di persone anche senza AstraZeneca, la cui autorizzazione a quanto pare non è imminente: ci riuscirà se la fornitura aggiuntiva negoziata dall’Ue con Pfizer (oltre 13 milioni per l’Italia), secondo l’obiettivo del governo, sarà consegnata per metà nel primo semestre dell’anno, aggiungendosi ai 22,9 milioni già previsti dalla stessa Pfizer e da Moderna. Si coprirebbe così, entro giugno, anche una parte della fascia 60-79 anni e dei malati cronici. A fine anno, con 10 milioni in più da Moderna, supereremmo i 60 milioni di vaccini: sarebbe immunizzato il 75% degli italiani sopra i 24 anni. E così ripareremmo ai ritardi accumulati dagli altri vaccini. Ma vediamo vaccino per vaccino.

Pfizer-BionTech Il prodotto già in uso

È un vaccino a mRna (Rna messaggero) usato per la prima volta sull’uomo. L’Rna messaggero fornisce all’organismo “istruzioni” per produrre la proteina Spike, quella che il virus usa per entrare nelle cellule. Il corpo produce così un pezzetto del Covid-19 e lo riconosce come estraneo, attivando il sistema immunitario. L’efficacia è del 95%. All’Italia, inizialmente, erano attribuite oltre 26,9 milioni di dosi entro la fine di settembre.

Moderna In arrivo

Stessa tecnologia dell’Rna messaggero, con una efficacia del 94,1%. Il prezzo dovrebbe oscillare intorno ai 25 dollari a dose. Per l’Italia sono programmate, fino ad ora, 1.346 milioni di dosi nel primo trimestre 2021, 4,7 milioni tra aprile e giugno e tra luglio e settembre. Sempre che l’Ema dia l’autorizzazione. La dotazione complessiva, pari a oltre 10,7 milioni di dosi, dovrà essere raddoppiata.

Astrazenca il preferito ma in ritardo

La Commissione europea ne ha acquistate 300 milioni di dosi per tutti i Paesi membri (con una opzione per altri 100 milioni). È un siero basato su una tecnica tradizionale, un vaccino a vettore che utilizza dei virus (gli adenovirus, incapaci di replicarsi) per trasportare nel corpo materiale genetico del coronavirus che serve per la produzione delle proteine antigeniche, contro le quali reagisce il sistema immunitario. È uno dei vaccini, con una efficacia del 95%, sul quale l’Italia ha puntato, con l’acquisto di quasi 40,4 milioni di dosi. Ma alcuni giorni fa è arrivata la doccia fredda. Approvato nel Regno Unito, dovrà attendere prima di avere il via libera Ema, che non ha ancora dati sufficienti per l’autorizzazione.

Sanofi-Gsk Made in France, non prima del 2022

Messo a punto dalla big pharma francese Sanofi, fa parte della categoria dei vaccini tradizionali. Si basa sulla somministrazione di un pezzettino del virus (frammenti di proteine) per stimolare il sistema immunitario. L’autorizzazione è ancora lontana. I test hanno dimostrato che è poco efficace negli anziani e dovrà quindi essere rimodulato. Il piano Arcuri prevede oltre 40,3 milioni di dosi non prima del 2022.

CureVac In attesa di autorizzazione

È un vaccino tedesco sviluppato dall’omonima casa farmaceutica. È basato sull’Rna messaggero, come quelli di Pfizer e Moderna. L’accordo con Bruxelles prevede l’acquisto di 225 milioni di dosi, da distribuire tra gli stati membri. All’Italia ne spettano oltre 30 milioni, dei quali poco più di 2 milioni già a gennaio. Ma manca ancora l’autorizzazione europea.

Johnson&Johnson In sperimentazione

È sviluppato da Jansenn, la casa farmaceutica della multinazionale Johnson&Johnson, con la stessa tecnologia utilizzata per produrre il vaccino contro l’ebola. Lo scorso dicembre l’azienda ha annunciato la rolling submission all’Ema, che è l’anticamera della richiesta di autorizzazione. L’Italia dovrebbe disporre di più di 53,8 milioni di dosi. I dati sulla terza fase del trial dovrebbero essere disponibili entro la fine di gennaio.