In Veneto, nella Regione che da settimane è la più colpita, sono molto chiari: “Mercoledì scorso abbiamo fatto quasi 18 mila tamponi molecolari e oltre 34 mila antigenici: con 2.986 positivi, la percentuale sui soli molecolari supera il 16%, ma se la calcolassero anche sugli antigenici sarebbe del 5,7”, spiegano dallo staff del presidente Luca Zaia. Insomma si sentono penalizzati perché la percentuale poi incide – con gli altri 20 parametri – sulla scelta delle zone rosse, arancioni o gialle, anche se il Veneto è sempre stato giallo perché i dati del contact tracing e degli ospedali sono meno preoccupanti che altrove. Replicano dal ministero della Salute che “con le regole attuali chi è positivo all’antigenico deve avere la conferma del molecolare”, quindi è giusto calcolare in quel modo l’indice di positività.
La discussione è aperta. Le Regioni, specie il Veneto e il Piemonte, il cui assessore Luigi Icardi coordina la commissione Salute delle Regioni, vogliono quasi l’equiparazione dei test antigenici – rapidi, meno costosi e ormai molto diffusi – ai molecolari, che richiedono spese assai maggiori e non meno di 72 ore tra il prelievo, l’analisi in laboratorio e i risultati. E soprattutto chiedono “che siano precisati chiaramente – si legge nella lettera inviata il 24 dicembre da Icardi al ministro Roberto Speranza e ai dirigenti del ministero – il totale dei test effettuati dalle singole Regioni in tutti i bollettini del ministero e della Protezione”, che oggi riportano solo i molecolari. Peraltro tutti, anche quelli di controllo su chi era positivo e attende di negativizzarsi, che invece non sono presi in considerazione nel report settimanale dove le percentuali di positività sono più alte e preoccupanti: ieri eravamo al 14,1 per cento, ma sui soli test diagnostici saremmo al 31,7. Gli antigenici, assicurano dal ministero, saranno inseriti nei bollettini. Il rischio è che, con lo screening, le Regioni abbassino notevolmente il tasso di positività.
La discussione si è aperta perché la Salute, forse lunedì, deve emanare una circolare che modifica la definizione di caso secondo le linee guida dell’Ecdc, il Centro di controllo e prevenzione delle malattie europeo di Stoccolma. In alcuni casi basterà la positività all’antigenico: senz’altro quando ci sono il link epidemiologico (cioè il contatto stretto con un positivo) e i sintomi. Oggi l’antigenico è equiparato al molecolare, secondo la circolare del 12 ottobre, solo per certificare la negatività dei contatti stretti dopo 10 giorni di quarantena (anziché i 14 canonici) oltre che per lo screening, in particolare nelle scuole. Il suo impiego sarà esteso, anche perché può essere ripetuto più volte in breve tempo. Il 22 dicembre il professor Gianni Rezza, direttore della Prevenzione del ministero, ha incontrato Icardi e i tecnici delle Regioni. Sulla misura dell’estensione degli antigenici non c’è ancora accordo, le Regioni chiedono di definirne l’impiego nello screening degli operatori sanitari, comprese le Residenze per anziani.
Per il ministero, come per l’Ecdc, il test molecolare rimane il “gold standard”. La differenza c’è. Le aziende produttrici dei test antigenici dichiarano una specificità del 95-97 per cento, quindi è basso il rischio di falsi positivi. Ma la sensibilità a seconda dei casi oscilla tra il 70 e l’86 per cento. Questo significa che il rischio di falsi negativi è tutt’altro che trascurabile ed è un problema serio: possono contagiare gli altri. Gli ultimi kit danno risultati migliori, la circolare potrebbe indicare quali test devono essere utilizzati.
coordinatoreL’assessore alla Sanità del Piemonte Luigi Icardi coordina la commissione Salute delle Regioni