Regeni, nuovo schiaffo dall’Egitto: “Inchiesta senza prove”. La Farnesina: “Inaccettabile”

L’Egitto chiude l’ennesima porta in faccia all’Italia sul caso Regeni. Pur ammettendo in maniera ufficiale di aver pedinato e indagato sul ricercatore di Fiumicello scomparso al Cairo il 25 gennaio e ritrovato cadavere il 3 febbraio del 2016. In una lunga nota il procuratore generale Hamada Al Sawi ieri è arrivato a criticare la condotta tenuta dal giovane friulano durante la sua permanenza nel Paese, affermando che “la vittima aveva discusso del sistema di potere egiziano con i venditori ambulanti” dicendo loro “che potevano cambiare la situazione come avvenuto in altri paesi”. Un comportamento “non consono al suo ruolo di ricercatore”, motivo che ha spinto gli apparati a porlo “sotto osservazione”, ma “senza violare la sua libertà o la sua vita privata”.

Ma la nota di ieri è stata anche una difesa d’ufficio di Al Sawi verso i quattro ufficiali della National Security accusati dalla Procura di Roma di essere responsabili a vario titolo delle torture e della morte del 28enne. Per i magistrati del Cairo “non c’è alcuna ragione per intraprendere procedimenti penali circa l’uccisione, il sequestro e la tortura della vittima”. Al contrario, le indagini romane sarebbero basate “su false conclusioni illogiche” contrarie “a tutti i fondamenti giuridici internazionali”. E allora chi è stato a torturare e uccidere Regeni? “Il responsabile resta sconosciuto”, spiega la Procura, che però non fornirà i nomi degli stranieri arrestati o fermati dalla polizia dalla notte della scomparsa fino al ritrovamento del cadavere. Chi ha ucciso Regeni, secondo Al Sawi, avrebbe scelto la data del 25 gennaio perché sapeva “che la sicurezza egiziana sarebbe stata impegnata a tutela dei siti sensibili”, fu crimine “compiuto da ambienti ostili all’Egitto e all’Italia” per danneggiare i rapporti tra i due Paesi.

La Farnesina ribadisce “di avere piena fiducia nell’operato della magistratura italiana” e “ritiene che quanto affermato dalla Procura Generale egiziana sia inaccettabile”, si legge in una nota. Nicola Zingaretti, segretario naqzionale del Pd, ha rilanciato un tweet di Piero Fassino, secondo cui “ci sono responsabilità di apparati egiziani di cui non cesseremo chiedere conto alle autorità de Il Cairo”. Per il presidente della Camera Roberto Fico è “l’ennesima provocazione”. Erasmo Palazzotto, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta, chiede al governo di “pretendere chiarimenti”.

Ideo Gudeta uccisa da un dipendente “Mi doveva soldi”

Era la dimostrazione che una vera integrazione è possibile, un esempio del potenziale racchiuso in ogni migrante. È stata uccisa a martellate nella sua casa di Maso Villata, a Frassilongo, in Trentino, da un dipendente, che ha anche compiuto sul suo corpo agonizzante atti di libidine. È morta così Agitu Ideo Gudeta, 42 anni, fuggita dall’Etiopia per le minacce ricevute a causa delle sue battaglie per i diritti civili e in Italia capace di mettere in piedi l’azienda agricola “La capra felice” grazie a un progetto di recupero di terreni abbandonati. L’omicida è Suleiman Adams, 32 anni, ghanese. L’uomo era ospitato nella casa di Gudeta, per la quale era tornato a lavorare due mesi fa. Agli investigatori ha raccontato che la donna gli doveva uno stipendio arretrato e martedì, al culmine di una lite, l’ha uccisa con un martello che la vittima aveva in casa, dietro a un termosifone. “Era un simbolo di accoglienza e integrazione per la nostra città”, il ricordo del sindaco di Trento Franco Ianeselli. L’Unhcr, Agenzia Onu per i rifugiati, si è detta “profondamente addolorata”.

Sardine vs. Renzi: scontro titanico nel centrosinistra

Non è che si siano mai amati tanto, le Sardine e Matteo Renzi. Certo, Mattia Santori aveva riconosciuto la sua cotta adolescenziale per il rottamatore di Rignano, seguita da un poco operoso ravvedimento. Dopodiché tra gli organizzatori delle piazze antisalviniane e il fondatore di Italia Viva il rapporto era oscillato tra l’indifferenza e la reciproca disistima.

Sotto Natale la relazione Sardine-Renzi ha avuto un salto di qualità. Il 16 dicembre sulla pagina Facebook del movimento di Sartori e Cristallo è comparsa una parodia di uno dei capitoli del Signore degli Anelli: “Il ritorno del Renzi”. Accompagnata da un testo caustico sulle minacce toscane di far cadere il governo: “Il pinocchio di Rignano l’ha sparata grossa. Il prossimo disoccupato della politica è in cerca di una nuova collocazione”. Le Sardine, per restare in tema, hanno lanciato un amo a cui i fan dell’ex premier hanno abboccato in massa: il post ha già oltre 1.500 commenti, in gran maggioranza firmati da renziani furibondi. Uno scontro titanico nel fronte progressista.

Da Mario a Giuseppe: I consigli dell’esperto

In omaggioalla rubrica “Parla come mangi” di Cuore, proveremo qui a tradurre i pensieri di Mario Monti, interpellato ieri dal Corriere della Sera sulla spinosa questione: Conte deve farsi o no il suo partito? L’ex premier, com’è noto, è esperto della materia avendo scelto, sconsigliato da tutti, di presentarsi alle elezioni del 2013 con una sua lista non fortunatissima (l’8% alla Camera, qualcosa di più al Senato), anche se oggi l’interessato ne magnifica il ruolo storico: senza Scelta Civica “non ci sarebbero state la rielezione di Napolitano e poi l’elezione di Mattarella. Né a Palazzo Chigi la sequenza Letta-Renzi-Gentiloni”. A questo alto fine, il nostro sacrificò anche il Colle: “Non sottovaluto la grande importanza della presidenza della Repubblica, ma per me il rischio maggiore l’Italia l’avrebbe corso” se alle elezioni vincevano i puzzoni/populisti. L’autobiografia è pur sempre letteratura, si sa, e non staremo qui a giudicare della qualità di questo monumento equestre. E dunque: che deve fare Conte? “Nessun suggerimento”, ma “se fossi nei suoi panni, mi porrei due domande”: 1) che Italia voglio fra 10 anni? 2) per ottenerla è meglio farsi un partito, prendersi il M5S, guidare una coalizione o puntare al Quirinale? La risposta, per così dire, è in un dubbio morale: “Se la mia autovalutazione mi portasse a concludere che il contributo più efficace all’interesse generale potrei darlo da una posizione che magari non è la più prestigiosa sul piano personale, cosa devo fare? Seguo la mia coscienza o mi propongo la maggiore soddisfazione personale?”. Ovviamente, Monti pensa di aver scelto la prima, che è decisamente la sua preferita anche per Conte: “Non so cosa la coscienza gli suggerirà”, ma se sceglierà “l’interesse del Paese a scapito del suo potere e della sua visibilità” sarà criticato (proprio come me, ingrati!). Consultati diversi specialisti, questa è la nostra traduzione: è ora che Conte cominci a pensare a quando starà seduto sulle panchine di Volturara Appula a dar da mangiare ai piccioni, prima però deve fare il capo dei grillini e tenerli a percentuali decenti alle elezioni. Questo gli brucerà la strada per il Quirinale, per cui comunque non andrebbe bene: serve uno diverso, magari un economista…

Lo Stato d’emergenza non è una dittatura “cesarista”

Nel recente articolo del Corriere della Sera intitolato “Cesarismo e task force, i timori di studiosi e giuristi”, Dario De Vico informa di una ricerca, condotta da 60 studiosi, sulle trasformazioni causate dal Covid nel funzionamento delle istituzioni e nell’esercizio delle libertà. Alcune affermazioni del coordinatore della ricerca suscitano perplessità.

La prima fa scaturire dall’inadeguatezza della Protezione civile rispetto all’esigenza di limitare alcune libertà fondamentali il conformarsi di un regime pandemico fondato sulla centralità del presidente del Consiglio. Attenzione: il dipartimento della Protezione civile è incardinato presso la presidenza del Consiglio ed è la conseguente dipendenza a determinare la centralità dell’ufficio politico di riferimento, l’unico legittimato a dare impulso a provvedimenti incidenti sulle libertà. Si auspicava, forse, un potere d’ordinanza emergenziale tanto per negare la posizione centrale del presidente del Consiglio? A impedirlo è la Costituzione, come ribadito in modo univoco dalla legislazione che sancisce la netta distinzione tra attività politica e di alta amministrazione e gestionale.

Una seconda affermazione concerne la presenza di troppi soggetti in campo, non ultimo il commissario. Impossibile agire diversamente: la parcellizzazione degli uffici e delle relative attribuzioni operata nel corso dell’ultimo trentennio implica, per qualunque decisione amministrativa, il concorso di falangi di dirigenti pubblici in rappresentanza anche di un centesimo di competenza in materia. Relativamente al commissario, si rammenta che dal 1992 in poi è esploso il relativo fenomeno, assurto ad amministrazione parallela in deroga. Ci si augura che sia questa l’ottima occasione per un riesame approfondito del ruolo commissariale, la cui figura partecipa dell’archetipo nostrano dell’“uomo solo al comando” nonché del mitico golem al servizio del potente. La contaminazione del modello manageriale anglosassone, vagheggiato dall’italico provincialismo giuridico, con il Führerprinzip di funesta memoria ha contribuito a cagionare ulteriore sbandamento negli uffici, generando disaffezione e sospetto tra i pubblici dipendenti. Ridimensionare l’istituto, tuttavia, potrebbe rivelarsi difficile se prima non si ristruttura in modo organico la pubblica amministrazione, utilizzando come punti fermi la Costituzione, la decenza istituzionale e le competenze ancora presenti all’interno dell’apparato (cioè obliterando anche i più lontani presupposti della spiaggiata riforma Madia).

Ulteriore perplessità genera la lamentata sovraesposizione dei presidenti delle Regioni presi da vacuo protagonismo. Occorre intendersi. Alla luce del Titolo V, i presidenti delle Regioni non hanno titolo a essere chiamati (e a comportarsi da) governatori, ma hanno competenze straboccanti in materia di sanità. Ormai lo hanno capito pure i bambini: il Titolo V è un magma appiccicoso che contribuisce a bloccare l’azione amministrativa fin quasi al sabotaggio. Se anziché produrre quella pessima riforma si fosse considerato che il fondamentale diritto alla salute impone sull’intero territorio uguali condizioni di prestazione e cura, la distribuzione delle relative attribuzioni sarebbe stata modulata in senso centralistico e non sarebbe divenuta il più grosso affare per la sanità privata, a scapito della pubblica.

Si spera che il testo della ricerca, in corso di pubblicazione per i tipi del Mulino, contenga sul punto maggiori dettagli e soprattutto una precisa presa di posizione. Il compito del giurista, in questa emergenza, è di puntare gli occhi sul futuro e non di limitarsi, come è prassi in certi contesti, a svolgere flautate esegesi dell’ovvio.

 

Il Covid ha unito Nord e Sud Italia (ma al ribasso)

Ibilanci di fine anno sono più amari, al termine di questo 2020 della pandemia in cui sono sfumate perfino le illusioni dell’“andrà tutto bene” e del “ne usciremo migliori”. E questa rubrica, che si chiama “Nordisti”, non può non prendere atto che quest’anno ha sbriciolato anche il mito della superiorità del Nord, che si è sempre creduto più efficiente e forte di fronte alle emergenze. La Lombardia, presunta eccellenza nella sanità, si è scoperta l’area con la maggior densità di morti e infetti d’Europa. Il Piemonte l’ha seguita a ruota. Il Veneto, che pareva un esempio di buona sanità territoriale durante la prima ondata, non ha retto alla seconda. La Valle d’Aosta è stata un disastro e anche Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige hanno mostrato le debolezze dei loro sistemi. L’unità d’Italia, il superamento delle distanze tra Nord e Sud, sono stati realizzati dal Covid, ma purtroppo al ribasso: uguaglianza nell’inefficienza e nell’impreparazione. E non hanno aiutato le autonomie schizofreniche italiane, dove ciascun presidente di Regione cercava di mettersi in mostra strillando “apriamo!” oppure “chiudiamo!”, purché in contrasto con le disposizioni del governo.

Per capire meglio questa Italia che riesce a unificare Nord e Sud solo al livello più basso, è utile – e dilettevole – la lettura di un libro che ci racconta in un modo mai scritto prima le storie (vere) di un gruppo di giovani degli anni Settanta e Ottanta che partono in tempi diversi da una città del Sud (Iudeca, in cui è riconoscibile la siciliana Riesi) per cercare lavoro al Nord. A Genova, a Torino, a Milano. Gli Spaesati. Cronache del Nord terrone (Zolfo Editore) è insieme romanzo, saggio di sociologia, libro di antropologia e di storia d’Italia. L’autore, Enzo D’Antona, è un giornalista che ha lavorato a Palermo, a Milano, a Roma, a Salerno, a Trieste, scalando tutte le tappe della carriera giornalistica, e che ora si rivela un narratore ironico e appassionato.

L’esodo dei contadini meridionali che negli anni Sessanta partono con la valigia di cartone per diventare operai nelle fabbriche del Nord è in questo libro solo un ricordo in controluce. Qui a partire sono ragazzi che hanno frequentato il liceo classico o hanno una laurea in tasca. Immigrazione intellettuale, alla ricerca di un lavoro che al Sud non si trova. La “flessibilità” predicata come una virtù da chi guarda la società dall’alto dei suoi privilegi, nel racconto di D’Antona è una condizione perenne e obbligata di milioni di persone costrette a lasciare i loro paesi e le loro città per inventarsi un futuro altrove. Risultato: “Lo spopolamento e in qualche caso la desertificazione di una parte di Sicilia ormai irrimediabilmente condannata al sottosviluppo e all’abbandono”. Ma spopolamento e desertificazione sono di tutto il Sud. Le storie di Ghezio e Gnazio, Mietitrebbia e Fernando, Maria Assuntina e Maria Catena, Liborio detto Borino e Crocifisso Antonino detto Mavalà (e il signor Gombo!) si dipanano tra le scale della terza palazzina Unrra Casas di Iudeca e le periferie del Nord, i vicoli di Genova, il Cin Cin Bar di Grugliasco, le sale biliardo di Nichelino, le strade di Sesto San Giovanni e di Cinisello Balsamo.

I ragazzi della terza palazzina si sistemano, diventano impiegati, giornalisti, dentisti, imprenditori. Ma sono condannati a restare “spaesati”, “terroni” al Nord e sradicati al Sud. Intanto scorre la storia d’Italia, le stragi e il terrorismo, il passaggio dallo Stravecchio Branca al Negroni Sbagliato, i festival di Sanremo e gli omicidi di mafia. Oggi i nuovi “terroni” arrivano da altri Sud del mondo e noi abbiamo dimenticato tutto. Nell’Italia unificata – al peggio – dal virus, il Nord non è riuscito a essere migliore del Sud e il Sud si trova dissanguato da “uno spreco di intelligenze, di possibilità, di prospettive comuni. Un genocidio culturale senza fine”.

 

Senza fiere, lusso, mobili, Milano si scopre povera

Così, tutto d’un colpo, districandosi fra i suoi luoghi comuni d’efficienza, modernità, opulenza, stile, Milano ha scoperto di dover fare i conti con la povertà riflessa nel vetrocemento dei suoi nuovi grattacieli.

Ieri un trafiletto in cronaca locale del Corriere descriveva già nel titolo il rovesciamento della clessidra: “I grandi hotel senza turisti donano cibo per i bisognosi”. Per la verità trattasi solo di 600 croissant, mille muffin, più taralli e succhi di frutta che riempivano inutilmente i banchi da breakfast degli alberghi di lusso fra la Centrale e piazza Repubblica. Poca roba, rapportata al bisogno. Come i cinque pacchetti, contenenti mille euro in contanti cadauno, donati da Fedez ai fortunati rappresentanti di altrettante categorie sociali penalizzate: un rider, un senzatetto, un artista di strada, un cameriere, un ristoratore. E pazienza se il tour di consegna si svolgeva a bordo di una Lamborghini, quasi a voler fotografare l’acuirsi delle disuguaglianze. Se non altro il rapper cresciuto a Buccinasco è uno di quelli che si erano già dati da fare anche la primavera scorsa.

La lunga fila dei bisognosi sul marciapiede di viale Toscana per ritirare il pacco del Pane Quotidiano, sotto l’avveniristica nuova ala della Bocconi quasi ultimata, è divenuta l’immagine-simbolo di Milano nell’inverno del Covid. È lì che il sindaco Sala ha consegnato l’assegno da centomila euro di Carlo Crocco, imprenditore dell’orologeria di alta gamma. Ma anche di quel gesto di solidarietà dovremo pur cogliere il risvolto: Crocco figura nelle classifiche dei maggiorenti italiani trasferitisi a Lugano, in Svizzera, a meno di un’ora da Milano. E nel 2008 il suo marchio Hublot fu venduto alla multinazionale francese del lusso Lvmh.

Non conosciamo l’entità dello sforzo finanziario con cui Armani, Del Vecchio, L’Oréal e Fossil hanno deciso di sostenere Go ahead, l’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio finalizzata al pagamento di affitti, accompagnamento a scuola, piano di Formazione e Lavoro, borse di studio per bambini e giovani in condizione di fragilità. La loro pubblica esposizione rivela una sensibilità filantropica positiva. Ma evidenzia anche il dato di fatto che d’ora in poi Milano non potrà più permettersi d’ignorare: le sue nuove povertà sono direttamente figlie delle sue nuove ricchezze; cioè di un sistema che fino a ieri era in grado di tamponarle e occultarle, ma oggi non dispone più di un retrobottega abbastanza capiente.

Ho sinceramente apprezzato l’inchiesta sui penultimi diventati ultimi, realizzata da Dario Di Vico e Paola Pica per il Corriere della Sera. Colf, cameriere d’albergo, fattorini, parcheggiatori, buttafuori di discoteche, imbianchini, lavapiatti, facchini, autisti – e potremmo continuare l’elenco aggiungendoci non poche “professioni intellettuali” – rimasti a secco nella pandemia Covid; orfani dei Saloni del mobile, delle Settimane della moda, delle Fiere, degli uffici e dei negozi svuotati dallo smart working… Dario Di Vico, che per almeno un ventennio è stato autorevole fautore della flessibilità nei rapporti lavorativi e ha polemizzato con i difensori a oltranza del posto fisso, oggi ha l’onestà intellettuale di ammetterlo: con la città nascosta dei nuovi poveri affiora la deriva dell’economia sommersa, del lavoro irregolare e intermittente, del part-time involontario femminile.

Vedremo in seguito, nel futuro confronto tra Milano e altre città europee omologhe come Monaco di Baviera, quanto possa influire sulla diversa capacità di reazione alla crisi tale insistita rinuncia italiana alla stabilità nei rapporti di lavoro. Si passava per trogloditi, a suo tempo, manifestando preoccupazione per il diffondersi delle prime agenzie del lavoro interinale, o in leasing, o in affitto, che ora si preferisce chiamare eufemisticamente “somministrato”. Ma sono proprio queste lavoratrici e questi lavoratori le prime vittime di un’economia rimasta priva di liquidità, dopo essersi contraddistinta per retribuzioni bastanti appena alla sussistenza. In attesa che il blocco del turismo straniero di lusso e lo svuotamento di tanti uffici finanziari del centro di Milano completi il suo corso.

Se fino a oggi l’assessorato ai Servizi sociali del Comune e le varie associazioni del volontariato – dalla Caritas a Emergency, dal Banco Alimentare a Archè, dai City Angels alle nuove Brigate Volontarie per l’Emergenza – contabilizzano in circa centomila milanesi (non lontano dal 10% dei residenti) coloro che hanno già fatto richiesta di sussidi, è da attendersi con preoccupazione la data del 31 marzo 2021: quando dovrebbe avere termine il blocco dei licenziamenti. Non basterà recare soccorso provvisorio ai nuovi poveri se non si modificheranno le regole che hanno contribuito a rendere miserabili il reddito e le tutele del lavoro.

 

SfrattiNo alla proroga del blocco Insorgono i piccoli proprietari di casa

Sono proprietario insieme a mia moglie di una casa a Roma che abbiamo affittato per mantenerla. Al penultimo inquilino, che aveva perso il lavoro, abbiamo sospeso il pagamento dell’affitto. L’ultimo inquilino (dicembre 2018), un tassista, in due anni non ha mai pagato condominio e riscaldamento accumulando 4 mila euro di debito che ho dovuto saldare io. Da giugno 2019 (ante-Covid) non paga l’affitto e ha accumulato un debito di 11 mila euro. Dal 4 marzo 2020 ha lo sfratto esecutivo ma questo è stato sospeso per legge. La casa l’ho affittata perché mio figlio, che sarebbe dovuto andarci a vivere, ha perso il lavoro. Chiedo a voi di far pressione perché venga ritirata la proroga: non è giusto ed è incostituzionale che il proprietario non percepisca quanto stabilito da un contratto e non possa rientrare in possesso della sua legittima proprietà. Come cittadino ho già dato per il Covid, essendo stato costretto a rinunciare alla mia proprietà per nove mesi. Ora basta! La proroga è una vergogna per la democrazia e per la Costituzione e privilegia furbetti, delinquenti e qualche persona in difficoltà (una minoranza) .


Marco Mazzetti

Gentile Mazzetti, sull’ulteriore proroga del blocco degli sfratti fino a giugno 2021, oltre a lei ci hanno scritto tanti lettori come Giancarlo Lombardi, Pippo Cassaro, Stefano Colusso, Vincenzo Paesano e Rudina Rama. Ma sulla decisione di inserire la sospensione nel decreto Milleproroghe noi possiamo solo fare da cassa di risonanza di un problema drammatico. Purtroppo si tratta di due categorie in difficoltà: i piccoli proprietari continuano a farsi carico delle spese che gli affittuari non pagano più, mentre gli inquilini, schiacciati dalla crisi, non possono rischiare di finire per strada nel pieno di una pandemia. L’accusa del presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa è forte: “Con la proroga degli sfratti si risolve un problema a costo zero per lo Stato e sulle spalle dei privati”. Così come non si può non tenere conto della possibile bomba sociale che potrebbe scattare se si ricominciasse a eseguire gli sfratti, visto che i tribunali solo nel 2019 hanno emesso 42 mila sentenze per morosità. Come il blocco dei licenziamenti, parliamo di una misura tampone in attesa, si spera presto, di un grande piano di investimenti in edilizia sociale.


Patrizia De Rubertis

Mail Box

Suggerisco al premier una risposta per Renzi

Nel caso voleste raccogliere acrostici di risposta al renziano “CIAO” (Cultura, Infrastrutture, Ambiente, Opportunità), mi permetto di suggerire al nostro presidente del Consiglio la seguente risposta:

Vivamente

Auspico

Fiducioso

Fattivo

Apporto

Nonché

Collaborazione

Urgente

Legittimamente

Opportuna

Cinzia Niccolai

 

Un ringraziamento al vostro giornale libero

Cari tutti, semplicemente un grazie colossale per l’impegno, l’imparzialità e la chiarezza. In periodi come questi la voce di un quotidiano libero, slegato dai poteri forti è determinante. Complimenti. Vi voglio bene.

Fausto Beggi

 

“Street food” è solo un anglicismo storpiante

Da alcuni giorni veniamo informati con dovizia di dettagli di una nuova scoperta a Pompei, niente poco di meno che una bottega di “street food”. Da che mondo è mondo, il cibo da strada è preparato e venduto per strada, su un banchetto provvisorio, un furgone e simili, non in una bottega fissa, immobile. A questi giornalisti anglofoni de’ noantri, costa tanto parlare un italiano decente?

Paolo Cimino

 

Servirebbe un controllo puntuale degli evasori

La pandemia ha dimostrato che i criminali evasori non rispettano la Costituzione (art. 3) e la partecipazione attiva nell’ambito della solidarietà; sottraendo soldi alla collettività, fanno danni enormi. Per smascherarli, ogni cittadino deve poter detrarre quello che spende. Le tasse andrebbero pagate al comune di residenza, dove ci sarebbe un maggiore controllo. Potenziare i controlli, Catasto, Finanza, Polizia, ben coordinati.

Ciro Trocciolone

 

L’idea di un vostro fondo ha sempre più sostegno

Caro Fatto, condivido l’idea di istituire un fondo con il contributo di noi lettori per far fronte alle eventuali spese legali in difesa della libera informazione.

Bruna Castelli

 

Auguri di buon anno a tutta la redazione

Nel porgere auguri di un nuovo anno nel quale ci siano solo fatti positivi, rinnovo il mio personale ringraziamento per tutto ciò che continuate a fare nella libera informazione. A volte mi chiedo come fate a non sclerare di fronte a certe affermazioni vergognose di qualche pseudo collega “giornalaio” in certe trasmissioni tv. Siete l’emblema della professionalità e di quanto dovrebbe essere il mestiere del giornalista.

Michele Benvenuti

 

Il “Fatto Quotidiano”: quasi come una droga

Nei giorni 25 e 26 dicembre il Fatto non è andato in edicola. Non so cosa significhi avere una crisi di astinenza in quanto non faccio uso di droghe e altri vizi di dipendenza psicofisica, ma credo di aver sofferto di qualcosa di simile in quei due giorni di festa. Mi devo preoccupare?

Bruno Maniga

 

Caro Bruno, ma lei è proprio uno schiavista! È stato solo un po’ di riposo, per ripartire in gran forma!

M. Trav.

 

Vaccinare i politici sarebbe un bell’incentivo

Caro direttore, ora che il vaccino è arrivato anche da noi, per ora in piccole dosi, non sarebbe stato importante che, accanto agli infermieri, ai medici e agli operatori sanitari a rischio, si fossero vaccinati anche il capo dello Stato, il presidente del Consiglio, il ministro della Salute e altri, davanti alle tv in collegamento unificato all’ora di massimo ascolto, invece di trincerarsi dietro alla lista di priorità?

In fondo Mattarella, come Biden, avrebbe dato l’esempio che il vaccino è innocuo e necessario. Lo stesso dicasi per Papa Francesco. Ma anche Stella Kyriakidou, il nuovo commissario europeo alla Salute, avrebbe dovuto incitare tutti i capi di governo dei 27 Paesi a dare l’esempio e vaccinarsi.

Giorgio de Tommaso

 

Caro Giorgio, credo che basterebbe un gesto dal presidente Mattarella, senza coinvolgere tutta la classe politica, che se saltasse la fila apparirebbe come casta privilegiata.

M. Trav.

 

Riaprire le scuole pare un grande dilemma

Caro Travaglio, le scuole riapriranno il 7 gennaio con la presenza del 50% degli alunni. Mi sembra il solito compromesso all’italiana che non può salvare capra e cavoli come si vorrebbe. Se si ritiene che le scuole contribuiscano a diffondere il Covid-19, devono restare completamente chiuse. Se invece si ritiene che il virus non possa essere diffuso in ambito scolastico, le scuole vanno aperte per tutti. Tertium non datur.

Pietro Volpi

 

Caro Volpi, non sono le scuole a veicolare il virus, ma i trasporti pubblici che ora – pare – verranno potenziati. Un rientro graduale mi pare la soluzione più prudente e ragionevole.

M. Trav.

Da “Batman” a “Matrix”, i film riveduti e corretti causa “color-blind cast”

Bridgerton (Netflix) dispone nella Regency London una Regina nera, affidata all’anglo-guyanese Golda Rosheuvel… Negli States hanno coniato l’espressione color-blind casting, attuato senza considerare etnia, pelle, corpo, sesso e/o genere dell’interprete. (F. Pontiggia, Fq, 29-12-2020).

A ’sto punto io potrei fare Michelle Obama. (Margherita Buy, ibid.). Chiedo reciprocità: voglio fare Malcolm X! (Valeria Golino, ibid.).

La pandemia del 2020, con la chiusura dei cinema, ha costretto i produttori a rimandare l’uscita dei loro film al 2021, soprattutto i blockbuster che richiameranno nelle sale milioni di persone nel mondo. Ecco i titoli più attesi del prossimo anno, adattati nel frattempo al nuovo, assurdo trend di cui sopra:

Halloween Ends. In questo terzo film della trilogia horror la protagonista Laurie Strode non sarà più interpretata da Jamie Lee Curtis, ma da Arnold Schwarzenegger con una parrucca e un Wonderbra.

Jurassic World: Dominion. Sesto film del franchise di Jurassic Park, con Jeff Goldblum nella parte del Tyrannosaurus Rex e Samuel L. Jackson nella parte del paesaggio innevato.

The Batman. Il film racconta i primi anni del Cavaliere Oscuro, difensore di Gotham City. Nel ruolo di Batman, Woody Allen. A Melissa McCarthy è stato assegnato il ruolo del Pinguino perché è grassa al punto giusto (blind body-shaming).

Matrix 4. A 18 anni dal terzo capitolo della saga, tornano sul grande schermo gli eroi degli ex-fratelli Wachowski (sono ancora fratelli, ma sorelle). Neo, Trinity, Morpheus, l’agente Smith e l’Oracolo saranno tutti interpretati da Monica Bellucci, ricreata al computer a partire da vecchie scene di Malena.

Mission Impossible 7. Novità anche per Ethan Hunt, lo specialista dello spionaggio rischioso: Tom Cruise è stato sostituito con un pallone da basket, che ai provini è risultato più espressivo di lui.

Spider-man 3. Tornano le avventure di Peter Parker, nel cui ruolo stavolta si cala Tommy Tom, un ragno vero che ha superato la concorrenza di Tom Holland, Tom Hanks, Tom Selleck e Tom Cruise. Tommy Tom è un grosso ragno asiatico (Heteropoda maxima) che misura 30 cm ed è letale per l’uomo. I sintomi del suo morso iniziano con un leggero prurito nella zona colpita. Poco dopo compaiono formicolio in bocca, vista appannata, calo della pressione, labirintite, nausea, vomito e febbre. Successivamente la vittima soffre di disorientamento, spasmi muscolari ed edema cerebrale. Negli uomini produce anche una potente erezione che dura diverse ore, e il ragno può approfittarne per scroccare un pompino. I casi più gravi si sono registrati nei bambini. La morte può sopravvenire in un tempo compreso tra una quindicina di minuti e i 3 giorni. Ho visto sul dark web la scena in cui Tommy Tom uccide contemporaneamente Electro (Jamie Foxx) e Doctor Octopus (Alexandra Daddario: qui il suo celebre topless porno in True Detective https://bit.ly/2L3xMFZ): la sequenza è talmente eccitante che preferireste essere uccisi da Tommy Tom, piuttosto che rimanere con le mani in mano.

Elvis. Biopic dedicato al Re del Terrore, Elvis Presley, interpretato da Tilda Swinton (Orlando), Tilda Swinton (Michael Clayton), Tilda Swinton (Il curioso caso di Benjamin Button), Tilda Swinton (Io sono l’amore), Tilda Swinton (Suspiria) e Tilda Swinton (Avengers: Endgame). Nel ruolo del colonnello Parker, che era il manager di Elvis, Tilda Swinton (Grand Budapest Hotel).

No Time to Die. Daniel Craig torna nei panni di James Bond, la regina Elisabetta esordisce in quelli di Blofeld (“Fanculo, Meghan!”).