2020 addio: SarsCov2, ma anche cose buone

A fine anno si ripete il rituale dei bilanci, seguito da quello dei buoni propositi. È la necessità che tutti avvertiamo di guardare al futuro, con la speranza che ci riservi qualcosa di migliore di quanto vissuto e di lasciare alle spalle tutto ciò che nell’anno trascorso c’è stato di negativo. Gli ultimi minuti del 31 dicembre sono dai più vissuti con trepidazione, alimentando la necessaria utopia che dopo la mezzanotte ci aspetti la felicità. Quest’anno la voglia di chiudere una vicenda drammatica è più che giustificata. C’è solo da sperare che non venga espressa con gesti inconsulti. È stato l’anno del Covid. La nostra vita personale e sociale, quella lavorativa, la nostra salute, sono state fagocitate da questo mostro. I lutti, le sofferenze ci hanno fatto dimenticare che, malgrado tutto, la vita ha continuato il suo corso. Sono nati circa 400 mila bambini, migliaia di persone hanno trovato l’anima gemella, molti malati sono stati curati e guariti. È l’altro lato della medaglia che ci piace ricordare. E non possiamo dimenticare i traguardi della scienza. Molti ricercatori sono stati premiati da importanti risultati. Mentre maturava la tragedia della pandemia è stata dimostrata la correlazione tra alcune caratteristiche genetiche del soggetto e la gravità dell’infezione da SarsCov2, aprendo la strada ad importanti ipotesi terapeutiche. Si è scoperta la causa dei capelli grigi. E mille ricercatori hanno cercato di conoscere meglio i fenomeni legati alla pandemia. Le nascite, la ricerca che non si ferma ed ottiene ottimi risultati, la nostra voglia di buttare via la pandemia sono segni meravigliosi. È la vittoria della vita sulla morte, desiderio scolpito in ogni nostra cellula e persino nel nostro Dna, come dimostrato. Questa realtà è il lievito della nostra vita che, sempre e comunque vince sulla morte. Che questa notte la speranza sia forte nei cuori, non è utopia credere che il prossimo anno sarà migliore. Auguri!

Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Il Vaffa liberatorio a don Sabino prezzemolino

Il principale giornale, il Corriere della Sera, è ultimo a porre le domande, con Marco Galluzzo. Il quale legge le prime cinque righe di un editoriale del giurista Sabino Cassese: “Il bilancio di previsione dello Stato italiano per il 2021 è la sagra del corporativismo (…) L’Ufficio parlamentare di bilancio l’ha definito un coacervo di misure senza un disegno, un collage di interventi pubblici di favore”. Che ne pensa Conte? Fosse stata studiata la scena non sarebbe venuta così bene. Il presidente del Consiglio sbotta in una risposta-lampo di dieci secondi: “La legge di bilancio è un collage di favori… a sostegno della sanità, delle imprese, delle famiglie e del mondo del lavoro”. Punto. Anche il presidente dell’Ordine dei giornalisti è colpito da tanta rapidità. Sembra che Conte, dopo mesi di attacchi quotidiani dal giurista incensato su tutti i giornali, che magari si prepara al Quirinale, avesse bisogno di sfogarsi. Magari non un “vaffa”, ché in quello è più bravo Grillo, ma un quasi-vaffa sì.

Covid e Regeni: cosa vorrei sentire stasera

Cari concittadini, l’anno scorso nel consueto Messaggio di Fine Anno volli condividere con voi una bella foto dell’Italia vista dallo spazio trasmessami dall’astronauta Luca Parmitano. E feci mie le sue considerazioni su quanto apparissero incomprensibili e dissennate le inimicizie e le violenze in un pianeta sempre più piccolo e raccolto. Purtroppo, neppure Parmitano dalla sua navicella nello spazio avrebbe potuto metterci in guardia sul cataclisma che di lì a poche settimane si sarebbe abbattuto sul nostro disgraziato globo.

Alla luce dell’imprevedibilità del nostro destino mi limiterò dunque a formulare pochi ma sentiti auspici, augurandovi un 2021 migliore del 2020: non dovrebbe essere difficile, però non si sa mai. La prima richiesta è sentitamente rivolta agli esponenti partitici che ogni anno, non appena termina il collegamento dal Quirinale si sdilinquiscono in elogi e apprezzamenti per la saggezza e l’equilibrio dei miei moniti. Cari leader, evitatevi la fatica di riesumare quegli insulsi testi prefabbricati, ma soprattutto evitatemi di subirne l’onta. Anche perché della cultura dell’unità e della responsabilità, a cui non ho smesso di richiamarvi nel corso di questo tragico anno ve ne siete bellamente strafregati. Lo dico all’opposizione più inutile del continente, e anche a quei signori della maggioranza che, nei casini in cui ci troviamo, tramano per fare cadere il governo. Al governo chiedo una sola cosa: dopo l’insultante risposta del regime egiziano, che definisce “processo immotivato” quello intentato dalla magistratura italiana contro gli aguzzini del nostro concittadino Giulio Regeni, agisca finalmente con la dovuta fermezza richiamando l’ambasciatore italiano al Cairo. Meglio tardi che mai. Infine, a voi che mi ascoltate col cuore gonfio di tristezza e di timore ripeterò le stesse parole pronunciate da una donna saggia, la regina Elisabetta, al proprio popolo: “Tutto ciò che molte persone desiderano per le Festività di quest’anno è un semplice abbraccio o una stretta di mano. Non siete soli, sappiate che vi ricordo nei miei pensieri e nelle mie parole”.

(Chiedo scusa al presidente Sergio Mattarella per avere trascritto un messaggio del tutto immaginario, ma che mi farebbe piacere ascoltare)

Sommersi o salvati. Mappa dei settori alla prova del virus

La crisi Covid ha avuto un impatto considerevole su quasi tutti i settori che, tra chiusure forzate e contrazione dei consumi, chiuderanno l’anno con crolli mai visti. Ma c’è chi con la pandemia è riuscito anche a crescere.

Commercio I consumi, spiega Confcommercio, sono crollati del 10,8%, 120 miliardi in meno rispetto al 2019: hanno chiuso 390mila negozi non alimentari, di cui 240mila per la pandemia. A fronte di 85mila aperture, il saldo finale è di 305mila in meno (-11,3%). Per l’Istat, dad e telelavoro hanno sostenuto le vendite dei negozi di informatica, tlc e telefonia (+3,5% nei primi 9 mesi) mentre quelli alimentari, rimasti aperti, hanno segnato +3,1%.

E-commerce e Gdo Volano nel 2020. Per l’Istat le vendite nei primi nove mesi hanno segnato +29,2% sul 2019. Da marzo hanno subito fluttuazioni mai registrate prima, con un impatto sulle spedizioni. Secondo la piattaforma Qaplà, da gennaio a giugno il volume è cresciuto del 73%, poi tra luglio e settembre è calato del 21,7%. Bene anche la grande distribuzione organizzata alimentare, con vendite in crescita del 3,9%.

Industria tessile/moda È tra i settori più colpiti. Per Confindustria da gennaio ad aprile la produzione ha segnato -92,8% nella pelle, -75,7% nell’abbigliamento e -50,9% nel tessile. Non c’è stato rimbalzo: a settembre la produzione è rimasta a -8,2% su gennaio nell’abbigliamento, -7,9% nella pelle e -4,8% nel tessile. Secondo Cerved nel 2020-2021 la filiera potrebbe perdere da 39 a 52 miliardi di ricavi.

AutomotiveLa pandemia ha fermato l’auto italiana. Secondo l’Istat, la produzione ha chiuso i primi 10 mesi del 2020 a -26,4%. Per l’Associazione nazionale della filiera automobilistica (Anfia), la produzione a ottobre segnava una flessione annua del 27%. Il fatturato nel suo complesso nei primi nove mesi del 2020 era in calo del 25,2%.

Turismo , trasporto aereo e spettacolo Il turismo è stato devastato dai lockdown. Secondo Confindustria, il fatturato è calato del 70% con una perdita stimata di 70 miliardi sui 400 in Europa. Nei primi 9 mesi il saldo con l’estero si è dimezzato a 7 miliardi, come pure i pernottamenti. Secondo Iata, l’Associazione internazionale del trasporto aereo, pesa 132 miliardi di euro la zavorra con cui volano e dovranno volare nel 2021 le compagnie aeree. Dati in profondo rosso pure per la cultura: solo nel primo semestre 2020, secondo la Siae, la spesa del pubblico è calata di 1,8 miliardi, con una spesa al botteghino scesa di oltre 847 milioni. Ammonta a 11 miliardi il valore delle misure varate a sostegno.

Ristorazione/barTra giugno e ottobre un’impresa del settore su 4 ha subìto un crollo di oltre il 50% del fatturato che, grazie alle riaperture estive, si è fermato al -35,9%. Fipe-Confcommercio stima una perdita di 40 miliardi a fronte di un giro di affari di 86 miliardi nel 2019. Ma il dato si aggraverà: i soli pranzi di Natale e Capodanno valgono per la ristorazione 720 milioni di euro. Dramma nel dramma: secondo l’Istat, il 4% delle attività che hanno abbassato le saracinesche non riapriranno.

Food delivery Con la pandemia si sono impennati gli ordini di cibo a domicilio, complici bar e ristoranti chiusi. Tanto che oggi il food delivery rappresenta, secondo Just Eat, tra il 20% e il 25% degli acquisti online. Per l’Osservatorio del Politecnico di Milano, il valore del mercato si attesterà a fine anno tra 700 e 800 milioni di euro, in ulteriore crescita nel 2021 a 1 miliardo.

Palestre e piscine Chiusi da febbraio a maggio e poi di nuovo da ottobre, oggi piscine, palestre e centri sportivi, registrano un fatturato in perdita che va dal 50 al 70%. Rischiano di non riaprire mai più il 40% degli impianti con una perdita di 5,5 miliardi (Anif). I ristori hanno coperto il 4% del fatturato.

I tavoli di crisi: un 2020 di tregua in vista di aprile

In attesa che, verosimilmente ad aprile 2021, scoppi la bomba dei licenziamenti, il lascito del 2020 è una piccola (ma inaspettata) consolazione: per la prima volta dopo molti anni, si è ristretto, e di parecchio, il lungo elenco di crisi aziendali che ingolfava il ministero dello Sviluppo economico. Per molto tempo il numero di tavoli aperti si è aggirato attorno ai 150; quest’anno, invece, è sceso prima a 120, in estate, e ora a 105 con l’ultimo aggiornamento.

I lavoratori coinvolti nel limbo sono passati da oltre 200 mila a circa 120 mila. Ancora tantissimi, insomma, e resta preoccupante vedere come le situazioni ancora senza soluzione siano spesso le più datate. Settanta quelle che si protraggono da almeno un triennio e altre 28 risalgono a prima del 2013. La sottosegretaria allo Sviluppo Alessandra Todde è convinta però che dietro questa accelerata nella definizione di molte crisi vi sia l’effetto di una nuova strategia: “Aver affrontato le vertenze con una visione d’insieme e dei progetti industriali – ha detto – ha cominciato a dare i suoi frutti durante quest’anno di governo”.

Quanto successo potrebbe sembrare un paradosso: come è possibile questo miglioramento proprio mentre l’emergenza Covid metteva in ginocchio la nostra economia? In realtà, non è inspiegabile, perché dal 23 febbraio del 2020 non è possibile avviare tagli di personale per via del blocco dei licenziamenti imposto dal decreto Cura Italia e reiterato dai provvedimenti successivi fino al 31 marzo 2021. Nessuna azienda ha potuto aprire procedure per allontanamenti collettivi. Inoltre, in questi mesi alle imprese in difficoltà conviene utilizzare la cassa integrazione con la causale Covid-19 piuttosto che quella per la cessazione delle attività.

In un simile scenario normativo, era improbabile che il numero di tavoli ministeriali aumentasse. C’è di buono, come detto, che sono diminuite quelle già esistenti. È attesa una nuova impennata dopo il primo aprile, quando cesserà la moratoria, e proprio per questo è importante aver sfoltito la coda delle precedenti. L’impressione è che più una crisi si dilunga, più diventa di difficile gestione. Tra l’altro, il fatto di trovare una soluzione non chiude automaticamente il tavolo; spesso resta attivo proprio per monitorare i progetti di riconversione. Le re-industrializzazioni dimostrano di essere le più ostiche.

Lo sanno i 635 ex operai Fiat di Termini Imerese che dal 2012 aspettano la partenza del progetto Blutec: ieri, per l’ennesima volta, è stata reiterata la cassa integrazione che li proteggerà per un altro anno.

Il caso dell’ex Ilva parla chiaro: firmato l’accordo con Arcelor Mittal a settembre 2018, è stato messo in discussione meno di un anno dopo e oggi per l’acciaieria è prevista l’ennesima ripartenza da zero: lo Stato torna nel capitale e serve un nuovo accordo sindacale. Questo tavolo è aperto dal 2012, dall’avvio dell’inchiesta penale per l’inquinamento.

Rimanendo in tema, quello per l’ex Aferpi di Piombino – oggi in mano al colosso Jindal – è meno grande per dimensioni, ma non meno intricato. I 1.600 operai in cassa integrazione aspettano dal primo gennaio 2020 il piano industriale per la partenza dei forni elettrici. Le istituzioni hanno messo sul tavolo soldi veri: 30 milioni da parte della Regione Toscana, altrettanti di Invitalia per l’ingresso nella società. Ma soprattutto una commessa da 900 milioni di Rete ferroviaria italiana (Rfi) per costruire rotaie. La proprietà, tuttavia, continua a rimandare. Proprio ieri ha incontrato i sindacati e ha chiesto una nuova proroga al 31 gennaio. Nella partita è entrato Marco Carrai, amico stretto di Matteo Renzi, in qualità di vice presidente Jsw Italy. “Non possiamo attendere che si perda ulteriore tempo”, hanno detto Guglielmo Gambardella e Lorenzo Fusco della Uilm.

Alla fine del 2021 si attende la cessione dell’Ast di Terni da parte della Thyssenkrupp: fino ad allora è stata garantita l’occupazione dei circa 2.300 lavoratori con un accordo ponte, bisognerà vedere che cosa accadrà con la cessione.

Quella della Whirlpool è una ferita ancora molto fresca. Non ci sono più speranze di convincere la multinazionale americana a restare a Napoli: il 1° aprile licenzierà tutti i 350 dipendenti rimasti, che erano oltre 400 quando a maggio 2019 ha annunciato la chiusura. Il tradimento dell’azienda di elettrodomestici è stato plateale: dopo aver promesso investimenti e mantenimento del sito campano, ha stracciato l’accordo ministeriale in pochi mesi. Ora il governo è al lavoro per il piano B, sta scegliendo le proposte di riconversione più credibili e le presenterà ai sindacati subito dopo le vacanze.

Per la verità, ci sarebbero anche vertenze aperte negli ultimi mesi, in pieno blocco, ma per fortuna già indirizzate verso una definizione. Un accordo con Alfagomma ha permesso di dare nuove prospettive ai lavoratori coinvolti nei licenziamenti Yokohama di Ortona, in Abruzzo: con il subentro, saranno riassunti 155 addetti entro il 2022. Nella stessa regione, la strana vicenda della Betafence di Tortoreto ha avuto un lieto fine: la multinazionale aveva dichiarato la chiusura auto-inducendo una crisi di commesse dovuta allo stesso annuncio, dopo anni di utili. Dopo le trattative al ministero, la marcia indietro.

I proprietari turchi della Pernigotti sono stati convinti a portare a Novi Ligure nuove linee di produzione per evitare chiusura e licenziamenti.

Restano sotto la lente le crisi delle grosse catene commerciali. Nell’acquisizione di Auchan da parte di Conad sono stati salvaguardati 5.400 posti ma restano quasi 800 esuberi. I 1.300 ex Mercatone Uno, oggi alle dipendenze della gestione commissariale, sono in cassa integrazione, ma questa partita è al ministero del Lavoro.

Oltre alle grosse crisi industriali c’è la miriade di licenziamenti nelle imprese medie e piccole, che non approdano al ministero e fanno meno rumore. Per i consulenti del lavoro, si rischia di perdere il 10% dell’occupazione nelle aziende di minori dimensioni. I dati Inps dimostrano che tra aprile e settembre abbiamo avuto oltre 120 mila licenziamenti economici, pur con il divieto. Questa tregua del 2020 rischia di essere un sospiro prima dell’ecatombe occupazionale prevista nella prossima primavera.

Il ruolo dello Stato torna centrale. A fare i soldi però sono i soliti…

Christine Lagarde Tiene in piedi la baracca, va capito per quanto

Magari non sta a Francoforte “per chiudere gli spread”, come ebbe a dire a marzo scatenando il panico sui mercati, ma alla fine la Bce “francese” – di cui Christine Lagarde è il volto, ma non l’autrice – ha fatto quel che doveva per salvare la baracca e mettere la mordacchia ai tedeschi e ai loro alleati anseatici. La Bce, per la prima volta nella sua storia, fa davvero la banca centrale e dimostra una volta di più su quale sciarada di falsità si sia retta l’Ue finora: il deficit esplode e Paesi come l’Italia si finanziano praticamente a zero. Come già accadde col Qe di Draghi, la sua azione ha reso inutili strumenti di tortura medievali tipo Mes. Il problema vero è il tempo: il programma di acquisti anti-Covid (Peep) è stato ampliato e prolungato fino a marzo 2022: l’Italia ha ancora un anno tranquillo, la partita del dopo pandemia – regole di bilancio comprese – si gioca tra un anno.

Marco Palombi

Ursula Von der Leyen Ottenuto il Recovery, ora serve difenderlo

Il giornale Politico.eu l’ha inserita tra i politici “dreamers” (sognatori). La presidente della Commissione Ue ha annunciato piani ambiziosi (salute, ambiente, sociale), ma spesso in settori di competenza nazionale e con grossi caveat, a partire dal “green new deal”. L’unica certezza è che la sua sarà una presidenza cruciale: supervisionerà il primo debito congiunto europeo, il Next Generation Eu (o Recovery fund) e la revisione delle regole fiscali Ue (oggi sospese per la pandemia). Il primo è politicamente il risultato più ambizioso. I caveat però, anche qui, sono molti: rispetto alla proposta franco-tedesca la quota di “sussidi” è scesa da 500 a 360 miliardi; i meccanismi di erogazione sono complessi; il blocco nordico lo considera irripetibile e non un embrione di politica fiscale comune. Il secondo disegnerà il futuro dell’Unione: ritornare al vecchio armamentario del Fiscal Compact la farebbe esplodere. Il vero giudizio verrà da lì.

Cdf

Carlo Bonomi Tutto sommato è bravo: più urla, più incassa

Nel 2020 Confindustria si è data una nuova leadership con il presidente Carlo Bonomi, desideroso di alzare la voce e di bacchettare, con un “populismo” dall’alto, partiti e Parlamento. Bonomi ha azzannato il governo gridando al “sussidistan” e ha preso di mira i sindacati. Dopo l’estate, anche grazie alle profferte del governo, i toni si sono smorzati e ora con Landini sembra andare d’accordo. Restano però le solite ossessioni: allarmismo contro “statalismo” e “nazionalizzazioni”, lamentela contro l’eccessiva tassazione, senza mai fare cenno all’evasione fiscale, richiesta assillante di “politiche industriali”. Ma quando tra decreti, legge di Bilancio e Recovery, le imprese si trovano, tra Industria 4.0, sgravi contributivi, super-bonus edilizi, a essere le vere sussidiate, Bonomi si fa di lato e resta zitto. Dal suo punto di vista, e solo da quello, è anche bravo.

Salvatore Cannavò

Jeff Bezos Mr Amazon, cioè quelli che col covid ridono

Durante i primi sei mesi della pandemia circa 50 milioni di persone hanno perso il lavoro; nello stesso periodo 643 persone si sono arricchite per 850 miliardi di dollari. Jeff Bezos, il patron di quel sogno totalitario noto come Amazon, è il loro simbolo: è l’uomo più ricco al mondo e l’unico nella storia il cui patrimonio personale abbia superato i 200 miliardi. È successo quest’anno visto che le restrizioni dovute al Covid hanno dato un’ulteriore spinta al commercio online, cioè alla sua azienda. La cosa non sembra, comunque, aver migliorato salari e condizioni di vita dei lavoratori del colosso Usa: siamo sempre in zona Sorry, we missed you (il film di Ken Loach su un corriere inglese del 2019). Particolare di colore. Nella lista dei mega-ricchi c’è pure la ex moglie di Bezos, MacKenzie Scott, con 60 miliardi di patrimonio: lui ha donato 100 milioni in beneficenza, lei oltre 4 miliardi. Così, per dire.
Ma. Pa.

Albert Bourla Il profitto non spiega il caso vaccini

I tempi assai brevi per sviluppare un vaccino considerato efficace hanno prodotto, per così dire, anche una strana reazione avversa: l’ossessione anti-Stato. Gli aedi del libero mercato come unico incentivo del progresso sociale ne hanno fatto una battaglia: è la ricerca del profitto ad aver spinto i colossi a investire su un vaccino. L’ad di Pfizer Albert Bourla si è pure vantato di non aver voluto fondi pubblici per non subire condizionamenti politici. Sarà, eppure ha concluso un accordo da 2 miliardi col governo Usa che ha prenotato le fiale e il partner Biontech ha preso centinaia di milioni pubblici per le sue ricerche. Dopo l’annuncio, Bourla ha venduto azioni Pfizer (schizzate alle stelle) incassando 5 milioni di dollari. Anche il Ceo di Moderna (quasi 2 miliardi di fondi pubblici presi) ha fatto lo stesso. La ricerca ha bisogno dello Stato. Qualcuno finge di scordarselo.

Carlo Di Foggia

Appello a vaccinarsi: il discorso del Colle per reagire nel 2021

Il penultimo messaggio del settennato di Sergio Mattarella sarà anche quello più drammatico e per certi versi solenne. L’orrifico anno della pandemia sta per andare via e il capo dello Stato si rivolgerà a cittadini, governo e forze politiche con un testo che fa perno sulla responsabilità per reagire a questa seconda ondata dopo le illusioni dell’estate.

Una responsabilità grave per prendere atto della realtà e immergersi fino in fondo in essa. Di qui l’appello ad affrontare la battaglia, senza sprecare occasioni. Senza sprecare, cioè, in polemiche vuote e pretestuose l’occasione offerta dall’avvento dei vaccini anti-Covid. Ché stasera al centro del discorso ci sarà sì la pandemia ma soprattutto il modo principale per uscirne. Il vaccino, appunto. Il presidente della Repubblica farà un sostanziale appello a vaccinarsi, evitando ovviamente il dibattito a tratti surreale sollevato dai negazionisti di destra sull’obbligo. Alla soglia degli ottanta anni (li compirà il prossimo 23 luglio, poco prima che cominci il suo semestre bianco) anche il capo dello Stato si vaccinerà e lo farà quando verrà il suo turno, al contrario per esempio del presidente spaccone della Campania, Vincenzo De Luca, che lo ha fatto il primo giorno.

E l’appello sui vaccini, ricordando la collaborazione internazionale e l’impegno comunitario dell’Unione europea, sarà anche una metafora per richiamare alla fatidica responsabilità le forze politiche. In particolare quelle di governo. In una fase del genere, prendere atto della realtà e immergersi in essa significa soprattutto mettere da parte fibrillazioni e ambizioni personali che agitano la maggioranza (non solo Italia Viva).

In pratica, la linea di Mattarella è quella di Conte: oltre questo governo ci sono solo le elezioni anticipate.

“Terapie intensive ora sotto la soglia critica, temo febbraio e marzo”

Professor Massimo Antonelli – direttore dell’unità di Anestesia e rianimazione del Policlinico Gemelli di Roma e membro del Cts – vorrei partire proprio dalle terapie intensive: ieri i pazienti sono diminuiti di altre 21 unità, ora siamo a 2.528 posti letto occupati, com’è la situazione?

La percentuale dei posti letto è leggermente sotto la soglia critica del trenta per cento a livello nazionale. Ma ancora non lo è in alcune zone del Veneto, della Campania e in misura minore del Lazio, ancora sotto pressione. Proprio in queste ore al Cts analizzeremo meglio la situazione generale. Perché ci sono delle differenze di cui tener conto, per esempio il Lazio registra una lieve crescita settimanale nelle terapie intensive equivalente allo 0.4%. E anche l’Rt, in larga parte d’Italia sotto a 1, in alcune regioni e in alcune città non lo è. Siamo in una condizione dinamica.

Quindi dividere l’Italia a colori dal 7 gennaio tornerà a essere utile?

Sì perché è necessario rispecchiare l’andamento epidemico a livello locale. Le faccio l’esempio della mia terapia intensiva: qualche settimana fa avevo 75 malati covid e 95 in totale. Ora siamo a 60. Un aspetto importante è che questi ricoveri sono molto lunghi, arrivano anche a sei settimane prima della dimissione o purtroppo del decesso.

Con la ripartenza del 7 gennaio potremmo di nuovo aver problemi seri a febbraio e marzo?

È il timore di tutti. È necessario riprendere le attività, soprattutto la scuola in presenza, perché bisogna restituire ai nostri ragazzi la socialità e il percorso formativo, questo non è rimandabile. Spero che si creino attorno alla scuola le condizioni di sicurezza che servono, a cominciare dal trasporto pubblico. L’evoluzione del quadro dipenderà anche dalla crescita delle vaccinazioni, elemento su cui dobbiamo confidare. E dal picco influenzale, di difficile stima, perché la coincidenza di una nuova ondata di contagi da SarsCov2 con l’influenza potrebbe mettere in seria difficoltà il sistema sanitario. La speranza è che avvenga, invece, quanto avvenuto nell’emisfero australe: le mascherine, la distanza e l’igiene personale hanno limitato moltissimo la capacità di diffusione del virus influenzale.

Ancora per un po’ le nostre vite saranno condizionate dal coronavirus inevitabilmente?

Sì anche a campagna di vaccinazione ormai ben avviata bisognerà stare attenti ancora per un po’. Ma vorrei dire che sarà importantissimo vaccinarsi e che lo faccia il maggior numero di persone possibile. Non riesco ancora a capire come si possa dare rilevanza mediatica a qualche cretino no-vax. Le obiezioni sono risibili e le reazioni allergiche riportate sono state in numero irrilevante e tutte in persone con serie allergie già note.

Lei si è vaccinato?

Ho ricevuto la prima dose e non sono diventato blu, il 19 gennaio avrò il richiamo. Ma sa io sto in terapia intensiva coi malati covid, la cosa stravagante e vedere chi dai malati covid sta a chilometri di distanza e ha saltato la fila, stilata con un criterio logico.

Il riferimento a fatto o persona realmente esistente non è puramente casuale…

Il politico stona, diciamo così.

Come passerà il Capodanno?

Spero mia moglie abbia comprato le stelline da accendere sul balcone per un saluto coi vicini della palazzina dove abitiamo.

I tedeschi ammettono la furbata: “Dopo i negoziati Ue, liberi tutti”

Sulla dotazione di dosi di vaccino anti-Covid l’accordo di distribuzione stretto dalla Germania direttamente con Pfizer Biontech per 30 milioni di dosi in più rispetto a quelle stabilite di comune accordo dall’Unione europea rende infuocati i rapporti Bruxelles-Roma-Berlino.

L’Ue non commenta e precisa che “le domande sugli annunci degli Stati membri devono essere fatti alle autorità nazionali” ha detto al Fatto un portavoce europeo. La reazione del presidente Giuseppe Conte al riguardo è dura: “Abbiamo passato la palla alla commissione Ue. È stata una scelta politica. L’Italia non ha tentato di assicurarsi altre commesse perché le dosi contrattualmente negoziate sono centinaia di milioni. E non l’ha fatto perché all’articolo 7 del contratto della commissione europea c’è il divieto di approvvigionarsi a livello bilaterale” ha proseguito alla conferenza stampa di fine anno.

Da Berlino, però, gettano acqua sul fuoco delle polemiche: “ne ho già parlato anche col ministro Speranza, perché in Italia c’è un dibattito su questo” ha detto in conferenza stampa a Berlino il ministro della Salute tedesco Jens Spahn. “Era chiaro dall’inizio che non si potesse trattare parallelamente al pacchetto europeo, ma che fosse possibile trattare per dosi aggiuntive dopo la chiusura dell’accordo con la Ue”, ha precisato Spahn. Come dire: niente concorrenza sleale durante le trattative a 27 con Biontech ma una volta chiuso l’accordo comune, liberi tutti. Ad una condizione, però, ha precisato il ministro tedesco e cioè “che la distribuzione europea non sia ritardata” per le commesse nazionali. Quindi 30 milioni sì, ma in coda ai 300 milioni di dosi contrattate dalla commissione Ue con l’azienda tedesco-americana.

Pfizer Biontech è il primo produttore di vaccino autorizzato in Europa dall’Ema ma non è l’unico: ai primi di gennaio si attende l’autorizzazione dell’Ema per il vaccino Usa Moderna e per febbraio, se tutto va bene, ci sarà Astrazeneca. Curevac ha annunciato di avere iniziato la terza fase di sperimentazione, mentre in coda seguono Sanofi e Johnson. Secondo le previsioni della commissione Ue in tutto dovrebbero essere 2 miliardi le dosi totali disponibili per gli Stati membri provenienti da sei case farmaceutiche. Certo, si tratta di ipotesi che poi si devono confrontare con la realtà.

Ieri la presidente della commissione Ursula von der Leyen ha spiegato: “Abbiamo deciso di prendere 100 milioni di dosi addizionali di vaccino Pfizer”, ma in realtà si tratta dell’attivazione dell’opzione già prevista da contratto delle 200 milioni di dosi più 100, spiegano da Bruxelles. Con queste nuove 100 milioni di dosi “sono possibili aggiustamenti tra Stati membri a seconda dei loro bisogni e richieste dal momento che alcuni Stati membri possono essere interessati ad ottenere più dosi ed altri possono non esserlo” rende noto un portavoce della commissione al Fatto. C’è chi vuole più dosi e chi ne vuole meno e gli Stati possono accordarsi tra loro, dice la commissione. Nei giorni scorsi si è ipotizzato che le 30 milioni di dosi aggiuntive per la Germania fossero la quota-Paese ricompresa nei 100 milioni in più di cui parlava Von der Leyen. Ma non è così. Secondo il criterio di ripartizione dei vaccini stabilito dalla Ue le 55,8 milioni di dosi a disposizione della Germania corrispondono già ad una quota di 300 milioni di dosi, non di 200. Perché? Il calcolo è presto fatto: la chiave di ripartizione voluta da Bruxelles per allocare le dosi in Europa è rigorosamente basata sul dato della popolazione, per cui essendo i tedeschi 83 milioni, cioè il 18,5% dell’Unione europea, i 55,8 milioni corrispondono al 18,5% di 300 milioni, non di 200. L’azienda tedesca di Magonza Biontech ha ricevuto per la sua ricerca sui vaccini diversi finanziamenti da Berlino nell’ultimo anno: 375 milioni di euro solo a settembre.

E in Germania per la prima volta i morti ieri hanno superato quota mille (1.129), adesso c’è paura di un’epidemia ormai fuori controllo tanto che il lockdown potrebbe essere prorogato da Angela Merkel fino a febbraio.

Conte il più popolare di sempre nell’ora buia della Repubblica

Giuseppe Conte La sintesi “umanista” per i giallorosa

Gli interventi di Giuseppe Conte in tv hanno rappresentato 13 dei 14 programmi più visti nel 2020. Il suo anno è dunque indelebilmente legato al Covid e alle risposte che il suo governo ha dato. Risposte nette, a inizio marzo, che hanno messo la vita delle persone davanti a tutto. Da lì, una grande popolarità. Poi l’Europa, con il colpaccio del Recovery fund, il fiore all’occhiello. In conferenza stampa, ieri, ha detto di sentirsi ancora “avvocato del popolo”, legato ai cittadini “e non alle lobbies”. Dopo l’estate qualcosa si è appannato, ha fatto pace con Confindustria, è finito nel tritacarne della verifica renziana. Ma non ha perso il ritmo anche in mezzo ai mal di pancia del M5S. Goffredo Bettini lo vede come sintesi di un’alleanza tra sinistra e 5Stelle. Se ricorderà “l’umanesimo” a cui dice di ispirarsi, risponderà a tono anche a chi lo accusa di non avere “una visione”.

Salvatore Cannavò

Roberto Speranza Forza “Tranquilla” di sinistra

Da leader della forza più piccola dei giallorosa, Articolo 1 (Liberi e Uguali di fatto non esiste più, politicamente), a ministro più popolare del governo Conte, secondo l’ultimo sondaggio di Ipsos: nel terrificante Venti pandemico, il quarantenne Roberto Speranza è stato uno dei punti di forza dell’esecutivo che si è trovato a fronteggiare la più grave emergenza repubblicana. Da ministro della Salute, al di là di ritardi naturali e polemiche sovente pretestuose, Speranza è stato uno dei cosiddetti “rigoristi” che ha fatto dell’Italia il Paese pioniere del lockdown totale nella prima ondata del virus, mentre altrove si sperimentavano disastrose misure aperturiste. Uomo di sinistra, incarna quella forza tranquilla e progressista che è l’esatto contrario dell’avventurismo cialtrone alla Renzi. Una “Cosa” nuova e laburista oltre il Pd passa anche per lui.

Fabrizio d’Esposito

Lucia Azzolina La ministra più bersagliata ha resistito

Anche per la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina è stato un anno difficile: ogni volta che sembrava fosse al traguardo di un progetto, i conflitti politici che si sono scaricati sulla scuola (spesso disinteressati al benessere degli studenti e degli insegnanti) hanno vanificato gli sforzi. Ma la ministra ha dimostrato una buona resistenza: alle polemiche su plexiglass, concorsi, edilizia, aule, Dad e ritardi sui trasporti, ha opposto gli stanziamenti e il pragmatismo del mondo della scuola. Politicamente ha saputo trovare alleati tra gli scienziati che ne hanno supportato le decisioni in momenti chiave. Ora l’attende la sfida di gennaio. Si vedrà come andrà. L’impegno non è mancato, ai tavoli con gli altri interlocutori istituzionali il sottotesto è sempre stato: “Ho fatto tutto quello che potevo. Voi intanto che facevate?”. E forse non aveva tutti i torti.

Virginia Della Sala

Vincenzo De Luca Pensavamo fosse abilità invece era fortuna

C’è un prima e un dopo nello storytelling del 2020 di Vincenzo De Luca. Prima dell’emergenza Coronavirus, il presidente della Campania pareva destinato al ripostiglio degli ex della politica. Il Pd di Nicola Zingaretti non era intenzionato a ricandidarlo, ma a sacrificarlo sull’altare dell’alleanza di governo coi Cinque Stelle. Con l’emergenza, e la sua spregiudicata narrazione di “miracoli” da difendere impugnando il “lanciafiamme” grazie al quale i numeri del contagio rimanevano bassi, De Luca ha conquistato ricandidatura e rielezione plebiscitaria. Era un bluff. La Campania si era salvata per una ragione molto semplice: il virus non aveva fatto in tempo a scendere al sud. E quando con le riaperture si sono rimescolate le carte, la Campania è stata tra le prime regioni a finire in difficoltà. E in zona rossa.

Vincenzo Iurillo

Giorgia Meloni A destra c’è chi toglie voti a salvini

Per Giorgia Meloni è stato l’anno del salto definitivo ai piani alti della politica. Se il trend di FdI era in crescita da tempo, è nel 2020 che il partito dell’ex ragazza della Garbatella ha spiccato il volo: dall’8,9% del settembre 2019 al 16% del 20 dicembre 2020 (Ipsos). Superando anche il 13% della defunta An. Sempre tra i primi, lei, pure come gradimento dei leader. Due i suoi successi principali. In primis esser riuscita a resuscitare un mondo morto e sepolto, quello della destra italiana tendenza socialpopulista, che sembrava terra di conquista di Salvini. Ma il risultato lo si deve soprattutto alla coerenza dimostrata da Meloni in questi due anni: mai al governo con la sinistra e/o i 5 Stelle. Il tutto condito da un’esuberanza popolar-romanesca che suscita simpatia, a chi piace. E così “Giorgia” ormai “vede” la Lega e punta al sorpasso.

Gianluca Roselli