“Ghislaine Maxwell, dipendente da Epstein come da suo padre”

Si definisce un reporter vecchia scuola, John Sweeney, understatement inglese per un giornalista con enorme esperienza e un’agenda piena di contatti. All’attivo 12 libri, qualche decennio di inchieste per The Observer, poi per Newsnight e Panorama, i programmi investigativi più prestigiosi della Bbc. E infine, dal 2019, la carriera da freelance, con due progetti di cui è orgogliosissimo: un libro inchiesta sull’esecuzione di Daphne Caruana Galizia, scritto con Manuel Delia e Carlo Bonini, e il suo primo podcast, Hunting Ghislaine, sul ruolo di Ghislaine Maxwell negli abusi di decine di giovanissime, condivisi secondo le vittime con il miliardario americano Jeffrey Epstein. Vicenda ampiamente riportata dalla stampa di mezzo mondo, a cui Sweeney nel podcast aggiunge una dimensione inedita e ancora più disturbante. “È una storia che mi ha ossessionato da subito, perché è una dark fairy tale, una favola oscura. La principessa che precipita dal palazzo alla prigione” ci spiega al telefono, in un pomeriggio londinese che il Covid rende spettrale. Ghislaine è la figlia prediletta dei 7 eredi di Robert Maxwell, ebreo di origine modestissima, sfuggito all’occupazione nazista della Cecoslovacchia e diventato un tycoon britannico di enorme successo, parlamentare laburista, presunto criminale di guerra, violento, truffatore, bugiardo seriale, e un sadico. “Durante la mia ricerca ho tentato invano di intervistare Eleonor Berry, che in un suo libro del 2019 descrive il sadismo di Maxwell, e racconta un episodio in cui Ghislaine, a soli 9 anni, la porta in una stanza del palazzo Maxwell e le mostra degli strumenti di tortura, dicendo che il papà le fa scegliere con quale essere picchiata. Berry è una eccentrica e di questa violenza sadica alla figlia non abbiamo certezze, ma ci sono molte altre prove di pesanti abusi emotivi di Robert verso i figli, inclusa Ghislaine, e riferimenti al Marchese de Sade… Secondo psicologi che ho consultato, Ghislaine potrebbe aver sviluppato una forma di dipendenza emotiva dal mostro”.

La dipendenza che, poche settimana dopo la morte del padre, caduto dal suo yacht in circostanze non chiarite, l’avrebbe fatta finire nelle braccia di Jeffrey Epstein a New York?

Ci sono molte somiglianze fra Maxwell ed Epstein: l’origine oscura, la fortuna immensa e ottenuta con metodi opachi, il sadismo, la necessità di controllo degli altri. Quello che emerge dalla testimonianza delle ragazze abusate mi fa pensare alle caratteristiche tipiche di un culto, come quello di Scientology che conosco bene. Il reclutamento, lo sfruttamento a fini di denaro, influenza e potere, ma anche il piacere sadico. Epstein era un fanatico del trans-umanismo, folle dottrina che sostiene la superiorità di alcuni individui su altri. Era un incredibile manipolatore, capace di soggiogare perfino egocentrici come Donald Trump che in alcuni episodi appare intimidito da Epstein. Il mio sospetto è che di quel ‘culto’ Epstein fosse il Messia e Ghislaine la Grande Sacerdotessa. E poi, come il padre, Epstein le offre il tenore di vita a cui era abituata fin da piccola. In cambio lei lo introduce nel giro esclusivo dei suoi amici.

Fino alla Corona britannica, tramite il principe Andrew.

Esatto. Andrew ha sempre dichiarato di non aver abusato delle ragazze. Ma la sua amicizia con Epstein era decennale e tramite il principe i due sono stati ospiti di esclusivi compleanni di membri della famiglia reale. Un sigillo globale di esclusività e rispettabilità.

Nella tua caccia a Ghislaine hai incontrato particolari reticenze?

Ho chiamato quasi tutti i numeri del Black Book, l’agenda di Ghislaine, e con pochissime eccezioni nessuno mi ha richiamato. Per l’imbarazzo di essere associati a tanto orrore ma anche, e credo siano sinceri, perché la Ghislaine che hanno conosciuto sembrava incapace di quei livelli di abuso. E io stesso, sapendo come è cresciuta, pur continuando a volere giustizia per le vittime, provo umana compassione anche per lei.

Ma perché dopo la morte di Epstein in carcere è scomparsa?

Domanda che mi sono fatto anch’io. Sarebbe stato più semplice indire una conferenza stampa, dissociarsi, dichiararsi manipolata, chiedere scusa. Invece, sparendo, è diventata il nemico numero uno. E anche qui c’è una incongruenza, il suo legale dice che si è solo sottratta all’attenzione del media, ma è sempre rimasta disponibile per gli investigatori. Se è così, perché organizzare un arresto da caccia all’uomo? Non lo so, perché l’Fbi non ha mai risposto alle mie richieste di chiarimento. Ma mi chiedo se il canale con l’Fbi non fosse aperto e lei abbia potuto scomparire in cambio di informazioni.

Come finisce secondo te?

Dovremo aspettare il processo, a luglio. Ghislaine è molto provata dal carcere e dal rifiuto della libertà su cauzione, ma è una Maxwell, sono dei sopravvissuti. E ricordiamoci che le accuse arrivano solo al 1997, quindi restano fuori le denunce di Virginia Giuffre e il ruolo del principe Andrea. Resta in piedi solo un caso: è la parola di Ghislaine contro quella di una presunta vittima, visto che Jeffrey è morto. A meno che l’accusa non abbia l’arma segreta, il tesoretto di video e foto compromettenti che Epstein collezionava, Ghislaine ne uscirà innocente.

Terremoto di magnitudo 6,3 in Croazia: la cittadina di Petrinja è stata rasa al suolo

Almeno due morti e un funesto panorama di rovine: di Petrinja, paesino a 46 chilometri da Zagabria, rimangono solo detriti e macerie. Che la cittadina a sud est della capitale croata sia stata l’epicentro del terremoto di magnitudo 6.3 verificatosi ieri, poco dopo mezzogiorno, lo ha confermato l’Ecms, Centro sismologico europeo mediterraneo. Le potenti scosse che hanno attraversato i Balcani hanno raggiunto anche Serbia, Bosnia ed Ungheria.

“È come dopo Hiroshima: il mio paese non esiste più, i nostri figli sono morti. Questa è una catastrofe, la mia città è completamente distrutta, abbiamo bisogno di pompieri, non sappiamo cosa ci sia sotto i tetti delle case crollate, quante siano le persone ancora intrappolate”. Darinko Dumbovic, sindaco di Petrinja, ha preso tra le braccia il corpo della prima vittima ritrovata: una bambina di 12 anni. Sette ingegneri che valutavano i danni di un altro terremoto, verificatosi solo due giorni fa, sono stati estratti illesi dalle macerie. Sono invece 4 le persone morte a Glina, municipio poco distante. “Nessuno rimarrà al freddo stanotte” ha detto il premier Andrey Plenkovic, al quale ha assicurato assistenza la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen: Janez Lenarcic, commissario alla gestione delle crisi, è in viaggio verso la cittadina spezzata in due, dove anche l’esercito verrà dispiegato per aiutare gli sfollati.

Nei Balcani almeno un milione di persone abita in alloggi costruiti abusivamente dopo il crollo della Jugoslavia, edifici che non sopravviverebbero all’attività sismica, avvisano preoccupati gli esperti. Per precauzione, nella vicina Slovenia, l’impianto nucleare sito a un centinaio di chilometri dall’epicentro del terremoto è stato spento, mentre prosegue l’attività quello di Paks in Ungheria. Gli abitanti di Petrinja continuano a correre piangendo mentre sfrecciano ambulanze nei video diffusi dalla Hrvatski Crveni Kriz, la Croce rossa croata. Alle tv locali i residenti hanno riferito dell’inquietante stridore metallico delle campane della chiesa durante le scosse, di una polvere arancione che ha pervaso l’aria quando la terra si è fermata ed è iniziato il pianto dei sopravvissuti tra i palazzi crollati. La terra ha smesso di tremare, loro ancora no.

I 90 anni di Furio Colombo. Che ha dato del tu alla storia

“Se ti capita, come a me, di nascere il 1 gennaio, sarà il capodanno a prevalere sul compleanno. Ma stavolta ne faccio novanta tondi – che dici? – forse qualcosa da raccontare ce l’abbiamo…”.

Accidenti, Furio Colombo, se ne hai da raccontare! Per esempio: con chi hai festeggiato i tuoi trent’anni nel 1961? Ti do un aiutino, eri all’Hotel Nacional de l’Avana.

Ma certo, venne lì Che Guevara e ci scarrozzò su un’automobilaccia americana, con frenate improvvise in giro per la città su strade piene di buche. Con me c’erano Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Françoise Sagan, venuti a festeggiare il primo anniversario della rivoluzione cubana. Con il Che arrivammo sulla terrazza di un vecchio palazzo coloniale da cui Fidel Castro tenne il suo discorso. E lì conobbi anche Camilo Cienfuegos.

Beato te. Dall’incredibile galleria di incontri che hai raccolto in La scoperta dell’America (Aragno) apprendo che a New York avevi già intervistato Eleonor Roosvelt, preso il caffè con Marilyn Monroe, stretto amicizia con Martin Luther King e i Kennedy.

Per scoprire quell’America, che fin da bambino identificavo col mito della libertà, avevo lasciato un’ottima posizione al telegiornale della Rai e fatto mia la sfida di un imprenditore illuminato, Adriano Olivetti.

In Rai eri entrato nel 1954 a Torino vincendo un concorso insieme ai tuoi inseparabili amici Umberto Eco e Gianni Vattimo. Il giornalismo era la vostra vocazione?

Macché, quel concorso lo avevamo fatto per gioco. La mia passione era la letteratura, la loro era la filosofia. Umberto era stato fra i primi italiani a leggere Joyce e ci spronava a imitarlo. Non cercavamo un lavoro, lo avevamo già: eravamo curiosi. Ci attraeva la nascita di un media radicalmente nuovo, la televisione, con la medesima forza attrattiva esercitata oggi da internet.

E allora perché cinque anni dopo ti lasci convincere da Adriano Olivetti alla nuova avventura?

Perché Olivetti era un uomo straordinario, non solo per capacità imprenditoriale ma per visione sociale. Lo incontravo nella sede romana di piazza di Spagna, dove lui arrivava da Ivrea come si trattasse di un’ambasciata in terra straniera. Gli intimarono di cedere le azioni dell’Espresso altrimenti lo Stato italiano non avrebbe più comprato le sue macchine per scrivere. Lo fece a malincuore, cercava nuovi orizzonti.

Hai seguito i Beatles sull’Himalaya in compagnia di Mia Farrow e Donovan. Hai dialogato alla New School for Social Research con Cassius Clay divenuto Muhammad Ali. Ma davvero hai avuto parte anche nel successo planetario di Blowin’ in the Wind?

Non esageriamo. Nel 1963 Bob Dylan suonava in un club minore e le sue canzoni non passavano per radio. Io conoscevo bene Mary Travers, del trio Peter, Paul & Mary. Li portai ad ascoltare Bob, ingrugnito come al solito, e loro decisero al volo di incidere quel brano, rendendolo celebre.

Beh, oggi possiamo dirlo: con Mary Travers, così come in seguito con Joan Baez, la vostra fu una storia d’amore.

Ho fatto mia una regola di Gianni Agnelli: parlo volentieri con le donne, ma non parlo di donne. Del resto io e Alice Oxman, mia moglie, dobbiamo a Joan Baez un regalo di nozze speciale. La incontrammo davanti all’Hotel Park Lane subito dopo la cerimonia e Joan ci invitò a seguirla al concerto di Woodstock. Era il 15 agosto 1969.

Torneremo sul tuo rapporto con Agnelli. Ma prima fammi capire: cosa c’entravi tu con Allen Ginsberg e gli artisti ribelli del Village? Eri un giornalista dai modi formali, Carlo Mazzarella ti aveva già paragonato a ‘uno studente pakistano con la borsa di studio’.

Non ho mai recitato la parte del militante, sarebbe stata una fake. Sapevo che prima o poi me ne sarei andato, viaggiare era la mia vera passione. Un legame più solido si stabilì con Martin Luther King. Ancora pochi giorni fa Andrew Young, che fu il suo più stretto collaboratore, mi ha telefonato per sapere come va in Italia col Covid. Poi mi piaceva discutere con Arthur Miller, intellettuale tormentato, andato a cercarsi guai con Marilyn Monroe. Divenni amico di Bob e Ted Kennedy, e con loro di Arthur Schlesinger. Henry Kissinger invece l’ho conosciuto seguendo un suo corso a Harvard, insieme a Alberto Arbasino.

Intanto in Italia il modello d’impresa olivettiano veniva sconfitto. Prevalse quello gerarchico torinese della Fiat. Dove anche tu saresti approdato, come uomo di fiducia di Gianni Agnelli negli Usa, molti anni dopo, nel 1978. Qualcuno ti sfotteva, per il tuo stile felpato: ‘Furio Colombo, il Maggiordomo dell’Avvocato’…

Avranno modo di accorgersi che il garbo può coesistere con l’intransigenza sui principi. Ad Agnelli interessava l’America che frequentavo. Era una specie di monarca costituzionale di fronte a cui feci valere con successo le mie idee. Per esempio quando accettò di pagare un prezzo salato pur di estromettere Gheddafi dall’azionariato Fiat. La considero una mia vittoria.

Anni dopo, nel 2008,tu e il cattolico Andrea Sarubbi foste gli unici deputati del Pd a votare contro il Trattato di amicizia e fraternità con la Libia di Gheddafi.

Era un accordo vergognoso, stipulato sulla pelle dei migranti. Come del resto il Memorandum sottoscritto da Gentiloni e Minniti nel 2017. A Montecitorio fu D’Alema a intervenire a favore, e io in dissenso. Ma qui stai già arrivando alla mia scelta di impegno politico.

Appunto. Una scelta militante maturata in Italia, e in età matura.

Venivo da una famiglia antifascista. Per me, così come per Umberto Eco e Gianni Vattimo, era stata la generazione dei partigiani a segnare la via da seguire. Umberto esprimeva una sensibilità a noi comune quando scrisse Il fascismo eterno. Fu la vittoria di Berlusconi a farmi capire che l’Italia di destra imboccava di nuovo quella nefasta direzione. E allora, beh, sono diventato militante: militante antiberlusconiano, pensa che definizione penosa e modesta in un curriculum. Eppure Berlusconi, decidendo di poter fare a meno della reputazione, accettando di perdere subito la faccia di modo che in seguito nessuno potesse rimproverarglielo, fu buon profeta. Come ha dimostrato Trump.

Fu Veltroni nel 2001 a proporti la direzione de l’Unità.

Dal 1996 ero deputato nelle liste del Pds, ricordo che in campagna elettorale a Torino mi diede una mano anche Aldo Cazzullo. Con il segretario Veltroni eravamo molto amici. Alla Rai avevo lavorato con suo padre. Walter mi vedeva tutto lavoro e buone maniere. Confidava che il mio stile frizzante rimanesse però ben calibrato nel solco della linea di partito. Che equivoco: avevo sì bei modi, ma non mi lasciavo comandare.

All’Unità portasti al tuo fianco Antonio Padellaro.

Antonio era stato capo della redazione romana del Corriere; a differenza di me sapeva come funziona la macchina di un giornale. Nacque un sodalizio formidabile, anche con la redazione. Mi stupì invece la diffidenza del partito. Noi credevamo di avere a che fare con un partito integralmente di sinistra. Invece scoprimmo che si pretendeva una mitezza tale da coprire rapporti tutto sommato benevoli col governo di destra, da cui scaturissero anche nomine e scelte condivise. Per limitare i danni di non avere il potere. L’Unità si avvicinava alle centomila copie ma rompeva la cautela necessaria, accrescendo i danni di non avere il potere. Fu un successo politico e giornalistico. Non ho rimpianti.

Si può dire che l’esperienza de Il Fatto nasce anche da quella rottura?

Indubbiamente. C’era bisogno di chi avvertisse quelle premonizioni di regime, perfino di fascismo. A costo di subire, dopo la direzione dell’Unità, un vero e proprio ostracismo, non avendo io le spalle coperte da una cattedra universitaria. Ci hai fatto caso? In Italia nessuno di coloro che hanno perseguito davvero l’antiberlusconismo figura in posizioni di rilievo nella vita pubblica. Mentre invece sono tornati i fascisti, una traiettoria rovesciata.

Così, da Colombo ‘maggiordomo pakistano di Agnelli’, alla tua bella età ti ritrovi etichettato ‘Colombo l’estremista’!

Buffo, vero? Eppure mi pare di essere rimasto sempre la stessa persona moderata e motivata nel perseguire ciò che è giusto. Senza mai denigrare gli altri, ma mettendoci tutta la mia passione. ‘Moderato’ è una definizione in cui mi riconosco volentieri: un moderato trova inaccettabile sopportare la corruzione.

La stessa caricatura toccata a un altro torinese moderato: Luciano Gallino.

Hai ragione. Luciano era un grande sociologo industriale, anche lui cresciuto alla scuola di Adriano Olivetti, stimato dagli imprenditori forse ancor più che dai sindacalisti. Ma alla fine veniva tacciato di vetero-bolscevismo solo per avere tenuto ferme le sue posizioni, diciamo così, ‘socialdemocratiche’.

Mi rendo conto di tutto quel che abbiamo tralasciato, nel ripercorrere i tuoi novant’anni. Gli incontri nel mondo del cinema, dell’arte, della letteratura, dell’architettura. Chissà se li ricorderà chi li ha ospitati da Tv7, alla Stampa, a Repubblica.

Lasciami citare ancora solo l’intervista che mi rilasciò Pier Paolo Pasolini sabato 1 novembre 1975, poche ore prima di essere assassinato. Fu lui a chiedermi di intitolarla: ‘Perché siamo tutti in pericolo’. Uscì su Tuttolibri. Ma se vuoi sapere cos’era il grande giornalismo di viaggio che un tempo potevamo permetterci, allora prendo ad esempio la lunga traversata della Cina, fino al deserto dei Gobi, in compagnia di Umberto Eco e Jacques Le Goff. A ogni tappa una conferenza al villaggio e un articolo per la Stampa, dettato urlando nel telefono.

Non voglio chiudere con il ricordo più brutto: l’incidente aereo del 1991 durante un atterraggio in Germania, dal quale uscisti illeso. Preferisco farti ancora una domanda da provinciale: Marilyn Monroe era davvero la donna più bella del mondo?

Lei era un’invenzione perfetta, come certi profumi. Alla fine, quel suo non so che te la faceva sentire lontana. Ma non ho dubbi: la donna più bella del mondo resta Alice. Me la trovai di fronte, incantevole, in un’aula della New York University. Solo poi conobbi il suo nome e la sua intelligenza. È con lei che festeggerò i miei novant’anni.

Lavori anti-Covid (in ritardo di mesi), ecco la mazzetta

L’Italia delle mazzette e dei ritardi è tutta nella tangente di 10.000 euro per la quale ieri è stato arrestato in flagranza di reato il dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Torre Annunziata, Nunzio Ariano. Sorpreso col sorcio in bocca dalla Guardia di Finanza di Torre Annunziata, agli ordini del colonnello Agostino Tortora: la somma era nell’auto di Ariano, e gliel’aveva consegnata l’imprenditore che da poche ore si era aggiudicato con procedura di ‘somma urgenza’ un appalto da 232.000 euro di lavori di adeguamento di un circolo didattico alle misure anti Covid (allargamento di aule e altro). Fondi stanziati in estate, per opere che dovevano essere ultimate a settembre. Il contratto di affidamento è stato invece firmato lunedì 28 dicembre: nel tentativo di iniziare e chiudere i lavori prima della riapertura di gennaio. La Procura di Torre Annunziata guidata da Nunzio Fragliasso contesta il reato di induzione indebita, quindi è indagato anche l’imprenditore.

Mail Box

 

La politica dev’essere armonia, non baraonda

Su Rai5 ho visto e sentito tutte le nove sinfonie di Beethoven dirette da Claudio Abbado, che per me è stato con Arturo Toscanini tra i più grandi direttori d’orchestra del ’900 e oltre, e vederlo dirigere un complesso sinfonico di circa 300 musicisti e cantanti e diffondere nell’aria un’armonia sublime al massimo dell’utopia è una cosa per me indescrivibile. In politica abbiamo due direttori che mi piacciono (Mattarella e Conte) e sono bravi, purtroppo sono contornati da musicisti non molto brillanti e da un pubblico ignorante e facinoroso e questa decadenza morale fa molto male per chi si è sempre comportato in modo corretto dopo 86 anni di vita.

Sergio Azzolini

 

Crisi di governo, vedo troppe mosse ambigue

Ogni giorno vogliono fare cadere il governo con scuse diverse. Evidenziano i fuscelli che danno loro fastidio nascondendo la trave che ci opprime. È ora di dire basta! Stiamo vivendo il periodo più ambiguo della nostra storia, peggio dell’epoca andreottiana. Avevano diviso il popolo col campanilismo e antagonismo partitico, mentre “nostri” rappresentanti, fingendo contrasti inesistenti, avevano modificato l’assetto democratico dello Stato. Come poteva un popolo diviso far valere il suo diritto di sovranità costituzionale, se ogni volta la legge elettorale era fatta a favore dei partiti con conseguenze tragiche. Così i partiti potevano banchettare sulla pelle di un popolo sottomesso a sua insaputa. Mentre i poteri dello Stato, stampa, informazione, parte della magistratura tacevano. Ora parlano troppo e contro un governo del popolo, per la prima volta più che decente.

Omero Muzzu

 

Un’annata da salutare il prima possibile

E se alla mezzanotte del 31 gli italiani indirizzassero un sonoro vaffa… al 2020? Io lo farò anche perché oltre la pandemia, nella mia città abbiamo avuto un’alluvione e qualche scossa di terremoto. È vero però che ci siamo risparmiati le cavallette.

Enzo Paler

 

Grande sostegno all’idea di un fondo per voi

Sono povera, ma mi associo all’idea di una raccolta di fondi per le spese legali. Nel mio piccolo voglio contribuire anche io. Vi leggo anch’io dal primissimo numero.

Grazie di esistere!

Lettera firmata

 

“Un sogno tira l’altro”: due lettori pro e contro

Il sogno di Travaglio è anche il mio, ma credo che il presidente del Consiglio non si dimetta perché essendo profondamente credente voglia offrire la sua permanenza in politica come un “fioretto” alla Madonna.

Carla Casoni

 

Caro direttore, ho letto il suo articolo ma, sia pure dettagliato doviziosamente, preferisco comunque la proposta di Padellaro. È proprio la conclusione che non mi convince perché la colpa di avere i vari Renzi e Salvini in Parlamento è, come diceva Petrolini, dell’elettore che non ha il coraggio di “buttare giù” coloro che “fischiano” a prescindere.

Giuseppe Trippanera

 

B. scrive al “Corriere” e apre alla qualunque

Amici del Fatto, avete letto la lettera di Berlusconi al Corriere? Si rivolge al tempo stesso “ai liberali, ai cristiani, ai riformatori, ai conservatori, agli europeisti, ai garantisti, per i prossimi decenni” (manca la famiglia degli evasori e dei “bugiardi senza gloria”).

Enrico Mignanelli

 

La mia dipendenza ereditaria per “Il Fatto”

Caro Marco, non capivo perché mi piaceva tanto leggere il Fatto prima di cominciare la giornata, seguire Fatti e Misfatti in tv, partecipare alla Festa del Fatto e “tormentare” te e i tuoi giornalisti con le mie lettere e i miei suggerimenti. Poi spostando dei mobili ho trovato il libro “L’odore dei soldi”, e adesso è tutto chiaro… è una dipendenza ereditaria!

Claudio Trevisan

 

DIRITTO DI REPLICA

Con riferimento all’articolo pubblicato ieri a pagina 13, ci preme segnalare che Eataly Usa Llc non è mai stata condannata. La società, in relazione alla vicenda descritta nell’articolo, e al mero fine di giungere a una rapida risoluzione della medesima, ha deciso di sottoscrivere un accordo transattivo pur rigettando tutte le accuse come da voi riportato. Riteniamo che tale titolo sia potenzialmente lesivo della nostra reputazione poiché potrebbe condurre a un’errata interpretazione dell’accaduto da parte dei vostri lettori.

Simona Mariani, Responsabile Affari Legali Eataly

Alla Rai non piace il presepio

Tutto è possibile in questo 2020 che grazie al cielo sta per lasciarci; perfino che il Milan sia primo in classifica, perfino che Natale in casa Cupiello diventi una fiction. Fiction di lusso, come quei presepi con la ruota del mulino ad acqua, le luci intermittenti e la borraccina vera; però uno si chiede lo stesso come sia possibile, se togliere il palcoscenico ai testi di Eduardo non sia come togliere la tela a Raffaello e il marmo a Michelangelo. Uno se lo chiede, e dopo aver visto la Casa Cupiello ristrutturata per andare in onda su Rai1 si risponde che sì, è possibile, ma non dovrebbe esserlo.

Per Eduardo il presepio è il teatro, e il teatro è la quintessenza del presepe umano, come emergeva chiaramente dalla prima, magistrale trasposizione televisiva del “Natale”, datata 1962. Ma evidentemente alla Rai di oggi non piace il presepio, non si è chiesta perché il suo autore non trasformò la sua commedia in sceneggiato, come invece ha fatto il regista Edoardo De Angelis. Qui non staremo a discutere della qualità in sé dell’operazione (a nostro avviso modesta, ma è modesto anche il nostro avviso), quanto il suo essere alla moda, lieta di cavalcare il “mainstream” (come dicono quelli che cavalcano il “mainstream”). È di gran moda trasformare tutto in format televisivo: il talento, i sentimenti, i matrimoni e i ristoranti. La Prima della Scala è stata imbottigliata all’origine come una compilation, con Placido Domingo al posto di Michael Bublé; ora il capolavoro di Eduardo è stato insaccato con due ore di primi piani similsorrentino, colonna sonora, esterni cartolina e Sergio Castellitto in trance da struggimento agonistico, fino all’estasi del patetico. Sistematica la potatura degli elementi umoristici, che pure in Eduardo non mancano mai, tanto più quando devono bilanciare il patetico. Ma oggi risultano di troppo, oggi bisogna soffrire, bisogna star male per andare bene. Commedia, pussa via: lo comanda il “mainstream”. E se lo dice lui…

Una proposta: “Copertura ecologica” per le leggi

Concordo con chi ritiene che non si possa, e non si debba, modificare la Costituzione a ogni piè sospinto. Il testo della nostra legge fondamentale è capace di comprendere e regolare nuove esigenze e diverse situazioni. L’interpretazione che ne fa la giurisprudenza della Corte Costituzionale, sollecitata dalle ordinanze di rimessione lo dimostra ampiamente. Tuttavia si possono verificare mutamenti di enorme portata che non erano neppure prevedibili all’epoca della elaborazione della Carta e proprio un cambiamento straordinario e sconvolgente è maturato in pochi decenni per effetto della crescita della produzione e dei consumi di una popolazione moltiplicatasi nell’arco di una generazione.

L’ambiente per se stesso – e non solo come risorsa – deve essere tutelato per garantire la vita attuale e la futura. La terribile lezione della pandemia ha confermato con la forza della tragedia le devastanti conseguenze della violazione della natura, che essa avvenga con la deforestazione, gli inquinamenti o l’urbanizzazione scriteriata. Già l’effetto serra e l’aumento della temperatura ci avevano messo abbondantemente sull’avviso. Questo evento è di tale portata, attuale e duratura, da richiedere norme solidissime, efficaci, esplicitamente capaci di comprenderlo e affrontarlo. Non credo che le parti del testo costituzionale finora meritoriamente usate dalle Corti possano più bastare, sia che si tratti della più ampia accezione del paesaggio che di diritti fondamentali come quello alla salute.

Il cambiamento – se non il capovolgimento – di modi di vita, produzione e consumo deve essere fondato su una più netta e solenne base normativa. Oltre a sancire espressamente l’obbligo di tutelare l’ambiente, una nuova disciplina potrebbe arrivare a concepire la necessità di una “copertura ecologica” non meno severa di quella finanziaria prescritta per ogni legge. Sulle forme e le competenze per un controllo che non diventi paralizzante si dovrà discutere accuratamente. Ma la Costituzione non può ormai non avere una clausola di salvaguardia del contesto delle nostre vite.

Buon esempio. Ho deciso: faccio anch’io il testimonial del vaccino

Lo dico subito: anch’io voglio dare l’esempio, come il Re della Campania (basta chiamarli “governatori”!) Vincenzo De Luca. Tendere virilmente l’avambraccio a favore di ago, guardare dritto in camera e dire: “Fate come me, vaccinatevi!”. Va bene, accetto anche il “chi ti credi di essere”, giusto, ma vi assicuro che per i miei condomini, il barista, la signora della lavanderia e il panettiere, sarei un buon esempio da seguire: “Presto, vacciniamoci tutti come ha fatto quello del secondo piano!”. Forse sopravvaluto la mia popolarità nel quartiere, d’accordo, e visto che si parla dell’alta missione di dare l’esempio, cambierò esempio.

Elvis Presley, Marilyn Monroe e altri eroi del Novecento si fecero vaccinare in diretta, proprio per dare un esempio. E uno può capire un giovanotto degli anni 50 che dice: “Faccio come Elvis!”, che è un po’ diverso dal guaglione napoletano che esulta: “Faccio come De Luca”. Insomma, la faccenda ci porta dritti alla questione del “testimonial” che si pone ogni giorno in ogni agenzia pubblicitaria in cui si decida di associare un prodotto a un volto: e se poi sta sulle balle a tutti? Ecco, De Luca a parte, visto il tasso di popolarità della classe politica nel suo complesso, la cosa potrebbe risultare rischiosa, consiglierei di scegliere altri testimonial (che so, gli astronauti, i tapparellisti, i centrocampisti del Crotone), che abbiano almeno qualche minima considerazione in più presso la popolazione.

Eppure, chiunque dia l’esempio, c’è qualcosa che stride. Cioè: si dà l’esempio per invitare chi non ha il coraggio, per stimolare gli scettici, per indicare una strada. E qui arriviamo al punto: non sarà un po’ (molto) sopravvalutata questa mirabolante falange No Vax che si sbandiera tanto? Da quel che si legge in giro abbiamo una componente cyber-dadaista (la siringa che ti inietta il chip, che ti controlla direttamente da Pechino coi soldi di Soros, il 5G, eccetera, insomma stregoneria hi-tech); poi una componente scettico-dietrologica (è tutto un trucco per arricchire le case farmaceutiche, con varianti geopolitiche a piacere); e infine una parte di comprensibile prudenza, che si sistemerà con i tempi (cioè, appena si capirà che i primi mille vaccinati non si trasformano in meduse e non muoiono sul colpo). Una percentuale minima della popolazione, insomma, mentre la stragrandissima maggioranza, pur di levarsi dalle palle gel, mascherine, lockdown, limitazioni, solitudini e isolamenti, tenderà volentieri l’avambraccio senza bisogno di tanti esempi (e in ogni caso dovrà aspettare mesi, data la sacrosanta scaletta delle priorità).

Visto da questa angolazione, il gesto di generosità di De Luca e di tutti gli aspiranti “esempi vaccinali viventi” suona un po’ come: “Fermi tutti! Mi sacrifico! Do l’esempio! Mangio io la prima fetta di torta al cioccolato!” (grazie al cazzo, ndr). Insomma, può venire il dubbio che questo cortocircuito tra nemici così residuali da sembrare immaginari, i No Vax, e l’esercito dei “datori di esempio” sia un po’ sospetto, che dia molta visibilità ai primi (che contano come il due di coppe) e procuri facile popolarità ai secondi. Mentre un esempio di buon esempio (chiedo scusa) per tutta la popolazione sarebbe che so, il ragionier Gino che una mattina prima di andare in ufficio passa alla sua Asl dopo regolare prenotazione, fa la sua puntura, ci mette un’oretta, come se fosse una cosa assolutamente normale, veloce, dignitosa, facile, gratuita e civile che protegge lui e gli altri. Fine dell’esempio.

 

Se il politicamente corretto diventa ridicolo e pericoloso

Come avete letto ieri sul nostro giornale l’ultima serie di grido, inspiegabilmente paragonata a Downton Abbey, è Bridgerton, regalo di Natale di Netflix firmato da Shonda Rhimes. Se ne discute perché la storia, che inizia all’alba della Reggenza, nel 1811, racconta il bel mondo londinese come una società interamente multietnica. La regina Carlotta è nera come molti altri nobili, tra cui il protagonista, titolare del ducato di Hastings. Interpellati da Federico Pontiggia, attori e registi italiani hanno variamente commentato, per lo più in modo spiritoso (Alessandro Gassmann si candida per la parte del Moro, Margherita Buy per quella di Michelle Obama, Valeria Golino vuol interpretare Malcolm X). Luca Guadagnino giustamente sottolinea che “l’unico problema è se la serie sia brutta o bella. Gli attori vanno presi per quello che sono, preferibilmente straordinari”. Noi – che per dovere di cronaca dobbiamo ammettere una spudorata preferenza per il regista di Chiamami col tuo nome – ci permettiamo di obiettare che però il punto non è questo. E non è nemmeno chi può interpretare chi, o la libertà di adattamento dei testi (la serie è tratta dai libri di Julia Quinn, scrittrice bestseller di romanzi Regency, che però non è né Jane Austen né Georgette Heyer). “L’arte dovrebbe essere libera” ha detto Scarlett Johansson un annetto fa quando è stata costretta a rinunciare al ruolo di una trans dopo la bufera sollevata dalla comunità Lgbtq. Dunque: un trans può essere interpretato solo da un trans, ma un uomo di colore può vestire i panni del Duca di Hastings nel 1811 cioè quando nell’impero britannico la tratta di schiavi era stata abolita da un quarto d’ora (1807) e la schiavitù ancora non era fuori legge (1833)?

Bridegerton ricostruisce la vita dell’alta società inglese con estrema accuratezza. Ci sono tutti gli ingredienti: l’onore dei gentiluomini che si sfidano a duello per la virtù di una fanciulla, la maniacale attenzione all’abbigliamento resa celebre da quell’epitome del dandismo che fu Beau Brummell, l’etichetta come religione. Tutto è descritto con estrema verosimiglianza. E, sia detto per inciso, non c’è traccia delle condizioni di vita delle classi inferiori; si accenna a quel demi-monde di cantanti e attrici, con cui conti e marchesi sfogavano i loro appetiti (sempre vigorosi) fuori dalle loro aristocratiche dimore con varia discrezione, e maestri di pugilato, ginnastica preferita dai gentiluomini quando non si ritiravano nei loro club. La descrizione della ferocia con cui le ragazze venivano gettate nel mercato matrimoniale da madri a caccia di promozione sociale e il desiderio di una delle sorelle Bridgerton di dedicarsi agli studi inquadrano la condizione femminile, almeno nella buona società. Certo siamo lontani dalle riflessioni di George Gissing in The Odd Women (“Sai che nel nostro Paese le donne sono mezzo milione in più degli uomini? Così tante donne di troppo… I pessimisti le chiamano inutili, perse, vite sprecate. Io, ovviamente – dato che sono una di loro – la vedo in modo diverso. Io ci vedo una grande risorsa di energia”), però il quadro d’insieme è una fotografia estremamente verosimile. A parte per quelle lady africane o orientali: la dama di compagnia della Regina Carlotta ha gli occhi a mandorla. Non si tratta né di una stravaganza, né di una svista: è il tentativo consapevole di riscrivere una storia migliore, più giusta e accettabile secondo i valori che oggi condividiamo. Quel che chiamiamo “politicamente corretto” diventa filologicamente scorretto. Ridicolo e, quel più importa, soprattutto pericoloso.

 

Niente legge elettorale: è colpa della destra e Iv

Sono pronto a fare scommesse: posso sbagliare, ma una nuova legge elettorale non si farà. Se ne prenda atto e ci si regoli di conseguenza. Già, in via generale, il varo delle leggi elettorali è impresa difficilissima. Presuppone che si mettano insieme maggioranze (auspicabilmente larghe) nelle quali fare convergere calcoli e interessi elettorali tendenzialmente tra loro in contrasto. Nel nostro caso poi, il centrodestra a trazione Salvini-Meloni, oggi dato per favorito, non ha interesse a cambiare la legge vigente che lo avvantaggia e Pd e M5S, pure orientati a sostituirla con una di stampo più proporzionale, non hanno i numeri, per la strenua opposizione di Italia Viva. La quale, a parole, si dichiara per il maggioritario, ma in realtà è terrorizzata dalla soglia del 5%. Ricapitoliamo: una nuova legge elettorale fu punto qualificante del patto all’origine del governo giallo-rosso; essa fu altresì tra le condizioni poste dal Pd per rovesciare la propria posizione sul taglio dei parlamentari e dunque sul referendum confermativo che ne ha suggellato il varo; nell’iter parlamentare il rappresentante di Italia Viva in Commissione aveva dato il suo via libera alla bozza Brescellum, dal nome del presidente della Commissione stessa. Puntualmente poi Italia Viva si è rimangiata l’impegno. Come ben sappiamo, l’ostruzionismo funambolico del partito renziano dentro la maggioranza è una costante, riflette la sua natura e la sua missione, il suo istinto e il suo calcolo. Ostruzionismo praticato un po’ su tutto, anche su questioni minori. Figurarsi se non sulla legge elettorale, cioè sulla madre di tutte le battaglie, che decide della vita o della morte dei micro partiti. Del resto, l’argomento pretestuosamente avanzato non potrebbe essere più eloquente: prima sarebbe da farsi la “grande riforma costituzionale”, a cominciare dalla cancellazione del bicameralismo. Campa cavallo. Ci vorrebbero un paio d’anni, maggioranze larghe, comprensive di parte dell’opposizione, e un referendum costituzionale a valle. Chiaramente è come buttare la palla in tribuna. Incidentalmente, sconcerta che, a fronte dell’ennesima violazione delle intese solennemente siglate da parte dei renziani, gli ineffabili capigruppo Pd colpevolizzino Conte perché non opererebbe una sintesi conclusiva. Anziché denunciare con forza il tradimento del partitino guidato dal loro ex (?) amico. Vero è che anche la sinistra di Leu eccepisce sulla soglia del 5% contemplata dal Brescellum, ma con due differenze: la sincerità nel dichiarare che quello è il problema, senza ipocritamente accampare pretesti e bugie; e facendo intendere che, con il Pd e in genere con l’attuale maggioranza, grazie a un rapporto strategico, i meccanismi elettorali possano essere politicamente gestiti. Tanto più se il Pd, anche nel suo interesse di partito inchiodato al 20%, accedesse all’idea di un nuovo e più largo cantiere nel quale “andare oltre se stesso”.

Di qui la mia conclusione. Si prenda atto che una nuova legge elettorale non la si avrà. Si ragioni sulla base di quella vigente, a impianto proporzionale, ma che, per oltre un quarto dei seggi, premia le coalizioni che si aggregano prima del voto (nei collegi uninominali). Il che non è poi male sotto il profilo della trasparenza e del mandato da parte dei cittadini-elettori. Quasi si potrebbe osservare: ex malo bonum. La legge elettorale, al netto delle tecnicalità, è la più politica delle leggi. Essa impegna i partiti a chiarire a se stessi e ai cittadini la rispettiva visione del sistema politico e delle sue linee evolutive. In concreto, costringe Pd e M5S a uno scatto, a un balzo in avanti, a venire a capo dei loro problemi identitari irrisolti e a definire il loro orizzonte strategico. In concreto: a decidere di stringere un’alleanza di lunga lena sotto il segno dell’europeismo in opposizione a una destra-centro a trazione sovranista. Mettendo nel conto elezioni concepite come una sorta di referendum a due tra Conte e Salvini. Tenendosi così pronti a un confronto elettorale anche eventualmente ravvicinato. Perché, va detto, se e quando il sistema è inceppato a causa di veti e ricatti, come si osserva in queste ore, la elezioni ancorché anticipate non possono essere escluse. Esse sono pur sempre una misura di igiene politica. Con tre vantaggi: un esito tutt’altro che scritto se così impostato; il disinnesco del potere di ricatto di Italia Viva e delle velleità dei terzisti costretti a optare tra due nitide alternative; un sasso gettato dentro l’altro campo, dove, ancorché minoritaria, residua qualche sensibilità refrattaria al nazionalismo/sovranismo anti Ue incompatibile con l’ancoraggio al Ppe.

Il presupposto? Che Pd e M5S si mostrino coesi e risoluti su questa linea. Mi pare lo siano Franceschini e Patuanelli. Ma i rispettivi partiti?