David Rossi-Mps. La tesi dei “festini” è “azzardata”: per i pm, non per la tv

 

Egregio direttore, ho letto la lettera delle Iene su un mistero di cui anche il Fatto si occupa da anni: il presunto “suicidio” del dirigente di Mps David Rossi. E confesso di non aver capito perché la Procura di Genova ha chiesto di archiviare l’inchiesta per abuso d’ufficio a carico di ignoti sui festini omosessuali a cui partecipavano banchieri, manager, politici, magistrati, forze dell’ordine e altri vip di Siena e che avrebbero condizionato le indagini (o le non indagini) se è vero quel che scrive l’inviato delle Iene, e cioè che “dagli atti emerge con forza che lo scenario di ‘festini’ esiste” e che il testimone “gigolò” di quelle feste ha “ricordato i volti di alcuni dei partecipanti” e “trovato riscontri anche fuori dall’inchiesta giornalistica” da “più testimoni, sconosciuti tra loro” con “racconti sovrapponibili”. Eppure, cito sempre dalla lettera, “i pm non sanno se credergli”. Nemmeno a Genova si vuole la verità?

Luca De Siani

 

Caro Luca, che quei festini ci siano stati è più che probabile, ma che abbiano influenzato le indagini pare smentito dagli atti. Purtroppo molti dei testimoni delle “Iene”, dinanzi ai pm di Genova, hanno detto il contrario di ciò che avevano detto in tv e raramente le loro parole hanno trovato riscontro, anzi spesso sono state smentite dai fatti. La segretaria dei vertici Mps – si legge nella richiesta di archiviazione – ha fatto alle “Iene” “affermazioni destituite di fondamento”. Le critiche delle “Iene” alla seconda indagine senese sono state ritenute “prive di pregio” perché essa è risultata “ampia e scrupolosa” su tutti gli “aspetti investigativi trascurati dalla prima indagine e che le persone offese (la famiglia Rossi, ndr) avevano ripetutamente sollecitato”. E “nessun accertamento ha consentito di dimostrare” che le indagini dei pm senesi “siano state in qualche modo condizionate dai ‘festini’”, anzi questa è definita una “tesi suggestiva e azzardata”. Uno dei “testimoni” delle “Iene” sui party ha addirittura ammesso di aver inviato al giornalista documenti via e-mail “modificando la data” dei festini. Un altro che in tv aveva riconosciuto l’ex banchiere Mussari ha detto di averlo fatto perché “frastornato”, perché “prima e anche dopo l’intervista Monteleone mi mandava delle fotografie, cinque o dieci alla volta” e oggi “non ho la certezza che si trattasse di una persona presente ai festini”. Due testimoni delle “Iene” vengono giudicati dai pm di “scarsa valenza probatoria” e un terzo “intrinsecamente assai poco attendibile” e in parte “smentito”. Ciò naturalmente non significa che i pm siano stati irreprensibili (degli eventuali magistrati habitué dei festini si occuperà per gli aspetti disciplinari delle “inopportune frequentazioni” il Csm, a cui i pm hanno trasmesso gli atti, grazie anche all’attenzione tenuta viva dalle “Iene” e da altre testate), né che David Rossi si sia suicidato. Insomma, bisogna indagare ancora. Ma bisogna farlo con serietà, con accuratezza e possibilmente con testimoni più seri e attendibili di quelli visti finora in tv.

Marco Travaglio

La depressione di Kudrati, i capezzoli pericolosi e il futuro delle Ferrovie

Come le forze speciali di Instagram combattono la minaccia dei capezzoli. Instagram istituì il commando anti-capezzoli nel 2016, prima che il mondo si accorgesse della loro pericolosità. La base operativa del commando è a Mumbai in un ufficio affollato, con tappeti consunti, e muri screpolati da cui penzolano fili elettrici scoperti: l’azienda si chiama NoNippol, ed è la prima linea difensiva di Instagram contro la minaccia dei capezzoli. “La lotta contro i capezzoli fa parte di una strategia più ampia che mira a disincentivare certa gente con delle fisse”, ha detto in un comunicato un portavoce della compagnia. Instagram afferma che la lotta contro i capezzoli è prioritaria, e che affida questa responsabilità a dei contractor: così, se qualche capezzolo sfugge al controllo, la colpa è tutta loro, niente problemi legali per l’azienda madre. Il commando è in grado di intercettare e cancellare tutti i milioni di capezzoli che compaiono su Instagram ogni giorno: le forze speciali hanno completo accesso al software, che li avverte quando una foto è sospetta. Oltre ai capezzoli, le forze speciali scrollano l’app anche in cerca di fighe nude non depilate, ma questo solo come passatempo. Esclamazioni eccitate come “Yeh dekha hai kya?” (“Hai visto questa?”) solcano l’aria parecchie volte al secondo, cioè ogni volta che qualcuno del commando si imbatte in foto di strappone particolarmente entusiasmanti (“Yeh dekha hai kya? Yeh dekha hai kya? Yeh dekha hai kya?”), al punto che spesso dalla strada si lamentano del casino. Il commando considera il suo incarico impegnativo, difficoltoso, complesso, pesante, stancante, massacrante e degno di Sisifo, ma chi si lamenta? Non mancano però sintomi simili a quelli dello stress post-traumatico. “Sento la follia di tutto ciò ogni singolo giorno”, dice Iram Kudrati, 22 anni, che è stato reclutato dalle forze speciali anti-capezzolo nel gennaio scorso, poco dopo aver conseguito la laurea in ingegneria all’Università di Mumbai. Kudrati si ammalò gravemente dopo aver visto la foto di una prorompente ragazza di colore che, al sole di una spiaggia californiana, i capezzoli in bella vista larghi come un cd, beveva un cocktail da un bicchierone di vetro con dentro un ombrellino di carta color porpora, una moda introdotta negli Anni 30 dai baristi del Trader Vic per promuovere il consumo di alcolici da parte delle donne, che sono attratte come mosche da queste cazzate (e da altre, tipo la collana bandana). Quando Kudrati cantò alla pula dei capezzoli minacciosi, il barista era già stato arrestato (ombrellini cinesi non omologati tinti con vernice al piombo), ma Kudrati si beccò una multa per procurato allarme e fesseria. Kudrati adesso fa meditazione yoga per non impazzire, stacca dal lavoro alle cinque di pomeriggio, coltiva il suo hobby (fingerpicking con la chitarra dobro di Eric Clapton: gliela vinse a poker dopo il concerto straordinario in cui Clapton eseguì Layla vestito da coniglio poiché Kudrati era strafatto di Lsd), fa sport, passa più tempo in famiglia e con amici, legge libri sul poker, dorme. Per ora, è tutto quello che Kudrati fa nella sua vita: questo, e cancellare da Instagram quei capezzoli del cazzo.

Nuova pubblicità delle Ferrovie Italiane. Lo slogan è: “Ferrovie Italiane. Il futuro viaggia con noi”. Per questo è in ritardo.

Dipartimento anti-climax. “Raffaello, il maestro del Rinascimento, noto per il suo senso del colore e della forma, diventò una leggenda nella sua epoca. Oggi, ecco Raffaello Rossi, design e qualità superiore nella rubinetteria di ottone e accessori per il bagno”.

 

A Capodanno una candela sul davanzale

Accendere una candela sul davanzale di ogni casa allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre sarebbe cosa buona e giusta per almeno tre motivi.

1. Quale migliore alternativa al bombardamento demenziale di razzi, petardi, bombe a mano, mortai di grosso calibro, kalashnikov, tric e trac che accompagna invariabilmente ogni Capodanno? Con il consueto e inevitabile bilancio di vittime, arti amputati e ricoveri ospedalieri? Visto e considerato poi che nel ramo disgrazie e tragedie abbiamo già dato, e che le strutture sanitarie hanno ben altro di cui occuparsi?

2. Durante la prima ondata del Covid fu già proposto dagli episcopati di Francia e di Svizzera di illuminare la notte del 25 marzo, festa dell’Annunciazione, “con un oceano di luce e di speranza, tutti insieme credenti e non”. Pensate che spettacolo straordinario, indimenticabile sarebbero le città, ma anche i borghi e i casolari più sperduti accogliere l’anno che viene in un mare scintillante di fiammelle.

3. Ma oltre a essere testimonianza di speranza, di preghiera e di ricordo per la moltitudine di coloro che in questo terribile 2020 ci hanno lasciato – a cominciare dai medici e dagli infermieri caduti sul campo – ogni candela sul davanzale potrebbe essere accompagnata da una particolare intenzione. Quella sicuramente che augura buona salute a noi e alle persone a noi care. Ciascuna luce potrebbe infine contenere una silenziosa richiesta da estendere a beneficio della nostra amata nazione. Affinché l’azione dei nostri governanti sia sempre indirizzata verso il bene comune. E non invece finalizzata a interessi personali, o a ricattucci di potere sulla pelle del Paese, e Ciao Italia. Ma adesso dopo tanti buoni propositi non voglio diventare cattivo: confondere la preghiera con un sogno, con quel sogno lì non sarebbe affatto corretto. Anche perché per realizzare ciò che spero non mi basterebbe certo una candela votiva. Ma sul davanzale mi toccherebbe fare ardere un gigantesco falò.

Senza la scuola non c’è futuro

Se mi dovessero chiedere di scegliere una cosa da salvare nella nostra società, risponderei, senza esitazione, la cultura. Un popolo che non ha accesso alla cultura, non è libero. È per questo che desidero dedicare il mio ultimo articolo dell’anno alla scuola. La centralità socio-economica della scuola sembra essere passata in ultimo piano. Nel mondo quasi due miliardi di bambini sono stati privati, per periodi più o meno lunghi, del diritto di frequentarla. È la prima volta nella storia che accade, a parte i disastri atmosferici o i terremoti, mai nemmeno durante le guerre. Questa privazione sta avendo conseguenze enormi, alcune correlate al ceto socio-economico di appartenenza, altre trasversali, tutte imprevedibili nel prossimo futuro.

Un numero enorme di bambini trova nella scuola, non solo l’offerta culturale, ma anche un’alternativa di vita migliore. La scuola è, per molti, un porto sicuro, perché la casa e la famiglia non lo sono. A volte è anche possibilità di alimentarsi, oltre alla grande opportunità di imparare a vivere con gli altri. È l’opportunità di vivere in spazi che sono inimmaginabili nelle proprie abitazioni. In alcune realtà, la scuola è anche un rifugio da violenze familiari. Quella che elegantemente si chiama Dad (didattica a distanza) non sostituisce nulla di tutto questo, anzi, lo peggiora. E poi chiediamoci cosa sia la Dad per molti bambini. Non basta avere una connessione internet, bisogna avere un computer e spesso almeno un genitore che sappia “navigare” e possa seguirli. Bisogna fare i conti con il numero di fratelli e sorelle che, non sempre, hanno un computer personale. La chiusura delle scuole e il tentativo disostituire l’istruzione con la Dad acuisce la disparità tra ricchi e poveri. I ricchi avranno opportunità di essere più colti e i poveri diventeranno sempre più ignoranti, creando, di fatto, classi sociali chiuse che si autoalimentano. Un altro danno irreparabile è quello della interruzione del processo di socialità. La prima cosa che ci hanno insegnato i nostri educatori è il piacere di convivere con gli altri per imparare a comprendersi e aiutarsi. Nei momenti di crisi si sta insieme e la comunità diventa protezione del singolo. Questa è la prima crisi al mondo nella quale per difendersi, si imponga la solitudine. I dati dell’Iss riportano che i positivi tra gli studenti sono lo 0,08% mentre 3 infezioni su 4 sono contratte in famiglia. Qual è allora la logica che continua a tenere i bambini fuori dalla scuola? Non andare a scuola significa anche provocare un calo di produttività, visto che quasi sempre, un bambino a casa significa un genitore che non lavora.

Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Oggi l’accordo commerciale tra Ue e Cina

Il semestre di presidenza tedesca del Consiglio Ue si chiude con il colpaccio diplomatico: dopo sette anni di negoziati, oggi Ue e Cina dovrebbero chiudere l’accordo globale sugli investimenti (Cai) che darà alle imprese europee maggiore accesso al mercato cinese nell’industria, la finanza, l’immobiliare, l’ambiente, l’edilizia, la navigazione e i trasporti aerei.

L’intesa riequilibra una situazione asimmetrica: da anni l’Unione europea è molto più aperta agli investimenti cinesi di quanto la Repubblica Popolare non sia a quelli europei. Per Pechino il Cai sancirà gli attuali diritti e allargherà le possibilità di investimento nelle energie rinnovabili, mentre per Bruxelles è uno snodo strategico nei confronti della Cina, considerata concorrente economica e rivale sistemica. I negoziati sono stati influenzati dall’attivismo diplomatico cinese, come quello sulla “nuova via della seta” firmata anche dall’Italia, e dalla cooperazione di Pechino con 18 Paesi dell’Europa centrorientale e dei Balcani.

La Germania ha ottimi motivi per volere l’intesa: nel 2019 la Cina si è confermata il primo partner commerciale di Berlino con scambi per quasi 200 miliardi sui 560 dell’intera Ue, che è in deficit commerciale per 163. Dalla sua adesione all’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001, la Cina ha beneficiato delle asimmetrie di accesso ai mercati esteri e nel 2019 è stata ancora una volta il partner più restrittivo per gli scambi della Ue. Dal 2000 al 2014 Pechino ha aumentato la sua quota nelle catene produttive globali dal 6% al 19%, mentre la Ue è calata dal 27% al 16%. Nel 2019 la Cina ha rappresentato il 9% dell’export e il 19% dell’import Ue. Si nota negli appalti pubblici e nell’hi-tech: le aziende Ue hanno una quota del 25% nel 4G in Cina, mentre Huawei ha già il 30% del mercato 5G europeo.

Il panorama è sbilanciato a favore della Cina anche negli investimenti. Secondo l’Ocse nel 2018 la Cina era la sesta economia più chiusa agli investimenti diretti esteri. Le politiche cinesi privilegiano le imprese statali: negli ultimi anni, le mega fusioni tra imprese pubbliche cinesi hanno rafforzato i monopoli in alcuni settori strategici e violato le regole di concorrenza della Ue. Gli effetti distorsivi sui prezzi dei prodotti cinesi sovvenzionati dallo Stato si fanno sentire anche sul mercato Ue. Quanto alla proprietà intellettuale, nel 2018 la Cina è stata l’origine del 60% delle merci contraffatte scoperte nella Ue. Lo spionaggio industriale cinese ha colpito anche l’Unione.

L’intesa è una risposta alle mosse di Washington per livellare il campo di gioco con gli Usa in Cina, in modo da garantire alle imprese Ue alcuni dei vantaggi che Trump ha ottenuto, dopo un’aspra guerra commerciale, nell’accordo commerciale di fase 1 con la Repubblica Popolare. Non a caso il Cai potrebbe causare attriti con la futura amministrazione di Joe Biden.

L’accordo comprende anche i diritti umani in Cina, sottolineati dal Parlamento europeo e dalla Francia, specie quelli di milioni di musulmani uiguri detenuti ai lavori forzati. Bruxelles ha chiesto a Pechino di aderire a due trattati internazionali sul lavoro forzato e due sulle libertà sindacali. La ratifica sarà lunga: nel secondo semestre 2021 l’intesa dovrà essere approvata dal Consiglio Ue e ratificata dal Parlamento europeo, ma non dovrà essere recepita dai quelli nazionali.

Dopo Google, Facebook: ciao Irlanda, si torna in Usa

Facebook fa i bagagli e se ne va. La società del social network di Mark Zuckerberg chiude tre holding in Irlanda. La notizia è circolata nelle scorse ore ed è stata confermata con una nota dall’azienda: “La filiale è stata chiusa come parte di una modifica che meglio si adatta alla nostra struttura operativa”. Le attività, si spiega, “sono state distribuite alla sua parent company statunitense”. Via da Dublino la proprietà intellettuale, come a gennaio aveva già fatto Google. L’ufficialità è arrivata anche dall’Irish companies registration office.

Il cambiamento è grande, il motivo abbastanza semplice: nel 2020 scadeva la possibilità di ricorrere alle scappatoie fiscali irlandesi. O meglio, il Paese – sotto la pressione internazionale (Bruxelles e fisco americano) – aveva dato l’ok a interromperle nel 2015, ma lasciando alle società cinque anni di tempo per adeguarsi alla decisione. Altro incentivo non di poco conto, il fatto che l’Internal revenue service, l’agenzia governativa Usa deputata alla riscossione dei tributi, ha deciso di portare Facebook in tribunale sostenendo che il social deve versare al fisco più di 9 miliardi di dollari, dopo la decisione del 2010 di trasferire i suoi profitti in Irlanda (si è poi quotata in Borsa nel 2012).

Vale sempre la pena ricapitolare la tecnica elusiva utilizzata dall’enclave europeo di Big Tech. Anche detta “Doppia Irlandese”, la Double Irish strategy permetteva di non pagare negli Stati Uniti per i redditi prodotti all’estero. Per farlo, servivano almeno tre società: la compagnia statunitense che forniva in licenza la proprietà intellettuale, una con sede in Irlanda che la riceveva ma che aveva sede legale in un paradiso fiscale e una terza società, irlandese, che riceveva quei diritti in licenza e a cui arrivavano le entrate dalla prima società con una tassazione più bassa grazie alle royalties e alle tasse già pagate alla prima società irlandese e per l’assenza di regole sui prezzi di trasferimento.

La compagnia americana, infine, non pagava imposte federali sui redditi esteri. Una pratica che, ovviamente, non ha interessato solo Facebook: per anni l’Irlanda è stato il paradiso di Big Tech e in parte lo è ancora. Secondo le stime, questa tecnica ha permesso a tre delle maggiori aziende di tecnologia degli Stati Uniti di risparmiare più di 8 miliardi di dollari in tasse. Uno schema che risale al 1980, con l’arrivo di Apple nella città di Cork. L’azienda nel 2016 è stata condannata a pagare 13 miliardi di euro di tasse non pagate, ma la Corte Ue ha bocciato la multa dell’Antitrust europea accogliendo il ricorso sia di Apple (che intanto si allarga a Cork) sia del governo di Dublino, che quei soldi avrebbe dovuto riceverli. Nonostante nel 2010 l’Irlanda avesse approvato una legge destinata a contrastare questo genere di accordi, si stabilì anche che quelli esistenti non ne avrebbero risentito.

E così, in base agli ultimi dati disponibili, sappiamo che la principale filiale irlandese di Facebook (Facebook international holdings unlimited company) avrebbe pagato 101 milioni di dollari di tasse su profitti di 15 miliardi nel 2018 (ultimo anno per cui sono disponibili le informazioni) e fatturato 30 miliardi, più della metà del fatturato globale, pari a 56 miliardi di dollari.

Resta ora da vedere se questa operazione sia il segnale definitivo di una inversione di rotta, visto che toccherà pagare le tasse in base ai Paesi dove si opera. Il social network Facebook ha detto che la sua aliquota fiscale negli ultimi cinque anni è stata “superiore al 20%” e in linea con la media globale del 23% indicata dall’Ocse. Sarebbe addirittura al 25% a dicembre 2019 dal 18% di fine 2018.

Intanto, l’Europa sembra pronta a diventare territorio ostile. Il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, in audizione alle commissioni riunite Finanze e Politiche Ue del Parlamento, qualche giorno fa aveva ribadito la necessità di introdurre una web tax basata su una “intesa globale in sede Ocse-G20 entro il primo semestre 2021”. Ieri in una intervista a Repubblica si è detto speranzoso di poter trovare un’intesa con gli Usa dopo l’elezione di Biden e il buco nell’acqua con Trump. Altrimenti, ha aggiunto, a giugno presenterà una proposta per una digital tax europea.

I tempi sono comunque lunghi: nel dubbio, intanto i big se ne tornano a casa loro, anche forse per provare a placare un vento che anche lì non soffia proprio favorevole.

Fincantieri-Stx, niente ok dell’Antitrust Ue: fallisce la fusione che non voleva più nessuno

Tre anni fa la mossa aveva aperto un feroce scontro diplomatico tra Italia e Francia. Ora però la fusione tra Fincantieri e i Chantier de l’Atlantique sembra naufragata, e con buona pace di tutti gli attori coinvolti. A fine anno, infatti, scade il termine (già prorogato 4 volte) per chiudere l’acquisizione della fallita Stx (proprietaria dei cantieri sulla Loira). Difficilmente ci sarà un rinvio e quindi la partita si chiuderà per il mancato via libera dell’Antitrust europeo. La direzione guidata dalla commissaria Margrethe Vestager (nominata in quota Renew Europe, la formazione ispirata da Emmanuel Macron) non darà nessun via libera entro fine anno. La procedura è stata sospesa perché “non sono state fornite dalle parti tutte le informazioni mancanti”, fanno sapere da Bruxelles. “Abbiamo fatto tutto il possibile, ora la palla è in mano alla politica, non più all’industria”, replicano da Fincantieri. La realtà è più sfumata. L’istruttoria è stata avviata nell’ottobre del 2019. Come noto, nell’aprile del 2017 il gruppo guidato da Giuseppe Bono aveva chiuso l’accordo con lo Stato francese per l’acquisizione della maggioranza di Stx. A luglio, vinte le elezioni, Macron ha bloccato l’operazione. Dopo un duro scontro diplomatico l’accordo si è chiuso con un complesso schema che consegnava il 51% agli italiani grazie a un 1% “prestato” dai francesi per 12 anni. Parigi l’accordo non l’ha mai davvero voluto, anche perché poi finito sotto il tiro di sindacati e amministratori locali. Uno strano dossier della commissione esteri del Senato francese ha lanciato l’allarme contro i rischi di cessione di tecnologie ai cinesi di Cssc, alleati di Fincantieri. Ad attivare l’Antitrust Ue, d’altronde, è stato proprio l’omologo francese, insieme a quello tedesco (interessato a difendere il campione nazionale Meyer Werft).

Oggi, però, nel colosso italiano nessuno si straccerà le vesti se dovesse saltare. La pandemia ha stravolto la cantieristica civile e la stessa Fincantieri, leader nel settore, potrebbe dover varare un aumento di capitale da 1,5 miliardi (anche se, assicurano dal gruppo, nessun ordine è stato cancellato). L’affare Stx, insomma, non interessa più. Resta invece in piedi l’altra parte degli accordi, la joint venture militare con la francese Naval Group (Naviris).

Whirlpool, l’ultimo tavolo non serve: l’azienda chiude

L’ultimo sgarbo della Whirlpool al governo e ai lavoratori è stato il tentativo di non presentarsi nemmeno alla riunione convocata ieri al ministero dello Sviluppo: quando poi la sottosegretaria Todde ha alzato la voce, la multinazionale ha deciso di inviare una delegazione. Il crono-programma è confermato: l’azienda di lavatrici lascerà la fabbrica di Napoli (dopo che, due anni fa, si era impegnata a rilanciarla), userà la cassa Covid fino al 31 marzo – anticipando i pagamenti – poi licenzierà i 350 dipendenti. Da ora, quindi, si lavora al piano B: la riconversione. Sono arrivate molte manifestazioni di interesse, il governo ha già fatto una cernita e a breve presenterà ai sindacati quelle più interessanti. Scartati “i piani che non prevedano la tutela del perimetro occupazionale”, spiega Todde. “Napoli deve continuare a produrre lavatrici”, sostengono invece i segretari Fiom Tibaldi e Rappa. “Non c’è più tempo per annunci, urgono soluzioni”, dice Ficco della Uilm.

“Il conflitto nella maggioranza impedisce al Paese di discutere”

La discussione su Next Generation Eu dovrebbe uscire dal “palazzo” e stare nel Paese. Questo chiede Maurizio Landini che appare preoccupato non solo di come si spenderanno i soldi del Recovery, ma ha fretta di offrire soluzioni concrete al mondo del lavoro soprattutto all’avvicinarsi della fine del blocco dei licenziamenti.

Vorreste incontrare Conte e il governo?

Certo. Il conflitto interno alla maggioranza sta impedendo al Paese di poter discutere e scegliere come investire i soldi europei che sono l’occasione per definire la rinascita del nostro Paese. È il momento del confronto con le parti sociali e il tessuto democratico del Paese. Perché un’occasione di questa natura non è ripetibile.

C’è però in atto una mezza crisi di governo, come si fa?

Questa discussione non può esser blindata nella maggioranza e non è certo il momento di votare. È il momento della responsabilità e della soluzione dei problemi. Non possiamo più aspettare. Se questo confronto non si apre nei prossimi giorni proporrò a Cisl e Uil e alle associazioni d’impresa di discutere come prendere parola. Del resto, nei primi mesi dell’anno di fronte alla pandemia è stato proprio il coinvolgimento delle parti sociali a permettere i protocolli di sicurezza e un consenso sociale importantissimo.

Pensa che se la discussione fosse più ampia cambierebbe anche il tipo di dibattito?

Certo, il messaggio che rischia di arrivare è di un palazzo chiuso che ragiona per finalità politiciste e non per il futuro del Paese. Del resto l’Europa finanzia i risultati concreti che sapremo realizzare.

Cosa vorreste dal governo?

Proporre le tematiche fondamentali: combattere le diseguaglianze, gli investimenti nel Mezzogiorno, la questione del lavoro e il superamento della precarietà; lo Stato sociale, e la riforma della Pubblica amministrazione. Politiche industriali ambientalmente sostenibili.

Temete il peggio con la fine del blocco dei licenziamenti?

Non possiamo aspettare il 31 marzo per sapere cosa succede sui licenziamenti. Abbiamo bisogno di una rete universale di protezione. Era stato preso l’impegno a un confronto per realizzare questi obiettivi senza i quali nessuno pensi di sbloccare i licenziamenti.

Alcune misure prioritarie?

Incentivare i contratti di solidarietà, estendere la Naspi e Dis.coll a tutte le forme di lavoro e fare una vera riforma degli ammortizzatori sociali collegati alla formazione. Non certo per sostituire la spesa corrente, ma investimenti aggiuntivi e riforme di sistema.

Il governo garantisce incentivi alle imprese.

Sulla politica industriale dobbiamo uscire dalla logica degli incentivi. Occorre rivedere il Piano sull’energia e il clima e investire sulle rinnovabili, puntare sull’idrogeno verde, la mobilità sostenibile. Costruendo le filiere produttive necessarie.

Uscire dalla logica incentivi è una critica a Industria 4.0?

Messa così non ci convince, si impiega un sistema già utilizzato senza condizionalità e vincoli. Non si fanno i conti con la mancata crescita delle piccole imprese o le disparità territoriali. Serve un autorevole intervento pubblico.

Quando parla di Stato sociale, quindi anche di sanità, sta chiedendo anche lei di ricorrere al Mes?

Trovo che sarebbe utile smettere di discutere di Mes sì o no, ma decidere come dobbiamo investire sulla sanità pubblica, la ricerca di base, la medicina di prossimità. Questo significa fare assunzioni, formazione e definire i risultati attesi. Lo stesso vale per la riforma della pubblica amministrazione.

Che intende per riforma?

Utilizzare meglio la tecnologia digitale per migliorare i servizi e immettere nuove figure. La discussione sulla governance del Next Generation è un’occasione per rivedere e rafforzare la pubblica amministrazione con assunzioni lungo tutta la filiera dai ministeri ai comuni.

Quanti posti di lavoro servirebbero nella Pa?

Nella sanità non sono stati sostituiti tutti quelli dimessi e l’età media è molto avanzata e c’è bisogno di un ricambio generazionale. Nell’insieme della Pa parliamo di qualche centinaia di migliaia di posti di lavoro.

A proposito di pubblica amministrazione, pensa che i lavoratori pubblici dovrebbero vaccinarsi?

Io mi metto in lista di attesa e appena sarò chiamato farò il vaccino. È un atto di responsabilità e stiamo parlando della salute e sicurezza di tutti. Certe decisioni e responsabilità le deve assumere chi governa e il tema riguarda tutto il mondo del lavoro.

L’incontro Equologica: Conte getta un occhio a sinistra

Mentre Matteo Renzi minaccia sfracelli e si prepara ad abbandonare il governo, Giuseppe Conte riceve la sinistra di governo nella nuova veste di Equologica. Incontro molto positivo, con un Conte curioso e attento, spiega chi ha partecipato al colloquio. Equologica si è formata nelle scorse settimane a seguito di una partecipata (via online) assemblea nazionale, unendo Sinistra italiana di Nicola Fratoianni(nella foto) e Nichi Vendola, alcuni esponenti ex M5S come Lorenzo Fioramonti, un arcipelago ecologista di base, strutture civiche e associative come il progetto Liberare Roma che fa capo all’europarlamentare Massimiliano Smeriglio.

È una sinistra di governo diversa da quella che fa capo al ministro Roberto Speranza, coordinatore di Articolo 1, con cui era stata creata la lista Leu, oggi un contenitore vuoto. Per intendersi, è da questa componente che è venuta la proposta della patrimoniale, poi bocciata in Parlamento. Ed è una sinistra che guarda con attenzione anche ai 5S: all’assemblea del 12 dicembre, ha parlato l’economista Gunter Pauli, caro a Beppe Grillo. All’incontro con Conte non i soliti dirigenti, ma una delegazione formata tra gli altri dal senatore Francesco Laforgia, dalla dirigente di Sinistra Italiana Elisabetta Piccolotti e dallo stesso Smeriglio. La costituenda formazione può contare su almeno due esponenti al Senato, Laforgia e Loredana De Petris, ma formalmente gli iscritti al gruppo di Leu sono sei.