“La verità? È questa: Sergio deve solo decidere. Lui vincerebbe e anche bene…”. Tocca a Mimmo Portas, il vecchio “ascaro” ex di Forza Italia e oggi leader dei “Moderati”, la formazione voluta proprio da Sergio Chiamparino, lanciare sulle cronache locali la grande “gabola”.
Quella parola, nel dialetto piemontese che tanto piace all’ex sindaco e poi presidente del Piemonte, sta per intrigo, affare non troppo nobile ma neppure del tutto disdicevole, mossa comunque vincente nel gergo dei mediatori di bestiame delle campagne piemontesi. Per riconquistare, dieci anni dopo, e soprattutto dopo Piero Fassino e la pentastellata Chiara Appendino che lo disarcionò, quel Comune per la prima volta contendibile da parte di un centrodestra che, tra i mugugni di Berlusconi e le strambate di Salvini, dovrebbe finire per candidare Paolo Damilano.
Uno che arriva dalle Langhe, Damilano, imprenditore dell’ossimoro industriale dell’avere successo coniugando il Barolo con le acque minerali e in grado, grazie alla Lega, di raccattare voti in quelle ex periferie operaie conquistate nel 2016 dalla Appendino, ma anche (e per la prima volta) nella “Ztl del Pd”: i quartieri della Torino bene dove la borghesia, un tempo collaterale agli Agnelli e alla Fiat, ha scelto da anni il centrosinistra.
Un incubo che affanna il Pd: prigioniero di amare certezze e di incognite brutali. La certezza più cruda è proprio quella rappresentata da Damilano: questa volta, il candidato della “società civile” lo ha trovato proprio il centrodestra, mentre quello inventato per il centrosinistra dalle lobby subalpine, il rettore del Politecnico Guido Saracco, si è ritirato per gravi motivi familiari. Lasciando orfani i dem, costretti a fare i conti con i “sette nani”: un gruppo di sedicenti candidati sbucati dai meandri del partito cittadino. Un no netto, invece, è arrivato dagli unici due personaggi nazionali spendibili, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis e la vicepresidente del Senato Anna Rossomando.
Infine, e soprattutto, ecco l’incognita decisiva: battere il centrodestra in solitaria, senza un alleanza coi Cinquestelle, non appare per nulla scontato. Qui, però, tornano in gioco i rancori reciproci mai sopiti del 2016, e le indicazioni fornite da Chiara Appendino proprio in un’intervista al Fatto: “Si può discutere, ma su nomi che non siano legati al passato”. Un passato che significa soprattutto Fassino e i suoi ex assessori.
Ed è proprio in questa temperie da ultima spiaggia che il nome del vecchio sindaco delle Olimpiadi ha cominciato a circolare, pur nei giorni del grande “silenziatore” della pandemia. Negli ultimi mesi, l’attività sotterranea di Chiamparino è consistita prima nel fare telefonate, tutte segnate dallo stesso inizio:”Tu cosa dici?”, poi in un appoggio iniziale a Giorgis e dopo a Saracco, nel silenzio ufficiale dopo l’autocandidatura dell’ex mago dei trapianti di fegato, Mauro Salizzoni, mister preferenza del Pd alle Regionali (“Ho promesso a sua moglie che non farò mai nulla per spingere Mauro a candidarsi…”) e, infine, con il lancio di Stefano Lorusso (uno dei “sette nani”), docente del Politecnico, capogruppo del Pd in Sala Rossa, ex assessore di Fassino e grande accusatore dell’Appendino per la vicenda che le è costata una condanna a 6 mesi per falso in atto pubblico.
Con un’aggiunta: Salizzoni dovrebbe fare lo “sherpa” di consensi per Lorusso.
Strategie che hanno fatto sorridere le vecchie volpi della politica torinese: “In realtà, Sergio parla di sé. Sa benissimo che Lorusso è come un pugno in faccia ai Cinquestelle e alla Appendino con la quale lui, invece, ha un ottimo rapporto”. Così, la “variante Portas” prova ad assurgere a scenario elettorale. Quello di un Pd paralizzato, senza candidati, che invocherà l’antico sindaco, pronto dapprima a negarsi, poi a sciogliere la riserva, cercando in prima persona un qualche accordo con il M5S. E con qualche possibilità di vincere, forse più alta di quella che gli attribuisce chi, sprezzante, parla già di “minestra riscaldata”.
Infatti, la Torino depressa di oggi, in forte crisi e con i francesi di Peugeot alle porte della Fiat che fu, è molto spaventata e potrebbe alla fine decidere di affidarsi a un “usato sicuro” e consolatorio.
Con Chiamparino che, per paradosso, potrebbe addirittura costituire una chance per il futuro della città, libero dai ricatti del suo partito e dalle aspirazioni personali (a 72 anni, il mandato sarebbe di fatto irripetibile). Rompendo gli schemi di quel “sistema Torino” che aveva inventato, ingaggiando nuove forze e rappresentando nuovi interessi, consolidando a livello locale l’alleanza Pd-M5S, ma soprattutto costruendo ciò che non aveva mai fatto; la propria successione. Ma a 72 anni, si possono ancora cambiare idee e frequentazioni?