Il passato è una terra estraniata. Comunque, riscrivibile, a dar retta alle serie: Hollywood di Ryan Murphy apparecchia nello showbiz Anni 50 una “storia controfattuale – stigmatizza il Guardian – attraverso la lente del #MeToo”; La regina degli scacchi fa del “gambetto di donna” un empowerment femminile che trasfigura il romanzo di Walter Tevis in agenda politica. Ma il meglio doveva venire: Bridgerton, regalo di Natale firmato Shondaland e Netflix, dispone nella Regency London una Regina nera o, meglio, ambrata, affidata all’anglo-guyanese Golda Rosheuvel, con il duca di Hastings incarnato dall’anglo-zimbabweano Regé-Jean Page.
Immaginazione al potere oppure emendazione delle colpe di ieri con il politically correct, alla voce inclusione e diversity, di oggi? Negli States hanno coniato l’espressione color-blind casting, attuato – meritocraticamente? – senza considerare etnia, pelle, corpo, sesso e/o genere dell’interprete. Su color- blind anche l’Actors’ equity association ha eccepito, del resto, per un’arte visiva non è il massimo. Ucronia, sofisticazione, negazionismo? Per dirimere la questione serve la giusta distanza, un oceano di mezzo, forse, aiuta.
Luca Guadagnino, reduce dall’acclamato We Are Who We Are, sbotta: “È un non argomento: non vedo la necessità di maneggiarlo. ‘Chi interpreta cosa’ l’aveva già risolta Buñuel con due attrici per un personaggio (Quell’oscuro oggetto del desiderio, ndr), io ho affidato un uomo ebreo a un’attrice scozzese protestante (Tilda Swinton, Suspiria, ndr), e che dire dell’opera lirica? L’unico problema è se la serie sia brutta o bella, e ora vorrò sincerarmene. Gli attori vanno presi per quello che sono, preferibilmente straordinari”.
Per Marco Risi, che della verità storica ha fatto, da Il muro di gomma a Fortapàsc, un imperativo categorico e morale, “col politically correct finiremo chissà dove… Il pericolo sensibile è di falsificare la Storia, lavandosi la coscienza: un conto è combattere la discriminazione, come fanno inginocchiandosi i giocatori della Premier, un altro far interpretare un bianco a un nero. Mi sembra un po’ una cazzata”.
Regina Anna di Francia in Tutti per 1 – 1 per tutti, Margherita Buy scoppia a ridere per l’omologa inglese: “Mostrare che la differenza tra bianchi e neri non tiene più è una svolta, confido, oppure gli attori sono talmente bravi da scongiurare la verosimiglianza. Ma a ’sto punto io potrei fare Michelle Obama, se tanto vale tanto. Allora vedremo se in America sono così aperti, intanto mi propongo”.
Per la nobildonna portoghese Eleonora Pimentel Fonseca de Il resto di niente aveva voluto una connazionale, Maria de Medeiros, per questi Windsor eterodossi Antonietta De Lillo esplode un “siamo impazziti? Penso si debba ritrovare il buonsenso, siamo sempre eccessivi. Abbracciamo cose giuste ma lontane, io voglio essere amata dal vicino di casa: scegliere un’attrice nera o un attore omosessuale crea un modello, ma che impatto può avere sulla società qui e ora? Serviranno vent’anni, io preferisco essere inclusiva e solidale nella vita reale”.
“Siamo sul fantasy estremo”, ribatte Pupi Avati, un film su Dante in cantiere, e il nullaosta a “qualunque ipotesi che allarghi immaginazione e immaginario. Tv e streaming sono molto più spregiudicati del cinema, o della fiction italiana: sono la stanza dei giochi, dentro ci trovi stupore e provocazione. Le news ci sovraccaricano di realtà, ogni alternativa è la benvenuta: mi auguro non siano solo questioni razziali, che si voglia raccontare l’improbabile, l’inverosimile, l’impossibile. È quel che mi ha innamorato di Fellini”.
Maria Sole Tognazzi ha da poco licenziato la miniserie Petra, traslando via Paola Cortellesi l’ispettrice di Alicia Giménez-Bartlett da Barcellona a Genova: “Chi adatta ha sempre il desiderio di aggiungere qualcosa di diverso, di spostare, come Piero Marcello con Martin Eden. Sono piccoli o grandi tradimenti, compiuti in buona fede, per esigenze autoriali”.
A breve sul set della serie Un professore scritta da Sandro Petraglia, Alessandro Gassmann premette che “cinema significa libertà di espressione” e, forte dell’esperienza teatrale, sorridendo si candida “da bianco per il Moro di Venezia, l’Otello scespiriano”.
In partenza per una serie americana che la impegnerà per quattro mesi, Valeria Golino non ha dubbi: “È science-fiction, la Regina nera. Libertà d’immaginazione dettata da motivi sociali, culturali, politici, se preferite, licenza poetica. Nell’arte va bene tutto, finché tutto va bene, il problema è quando non va bene nulla, quando si censura, a causa del politicamente corretto del momento: allora mi oppongo. Fin qui, chiedo reciprocità: voglio fare Malcolm X. Se una bianca può essere nera, perché un uomo non può essere donna? Lo scriva: ‘Valeria Golino parte per l’America a fare Malcolm X!’”.