“Lo dico a tutti: solo Raggi può battere questa destra”

Ora si aspetta che qualcosa, o per meglio dire qualcuno, cambi: “Fino alla sentenza di appello non eravamo tantissimi a sostenere Virginia Raggi, per così dire. Ma ora mi auguro che anche gli altri tornino accanto a lei e comincino a spingere, a darsi da fare per la campagna elettorale”. Quando parla degli altri Max Bugani, veterano dei 5Stelle, si riferisce a molti dei suoi colleghi del Movimento. Quelli da cui Raggi si è sentita “lasciata sola”, come ha dichiarato lei stessa. “Ma io – precisa Bugani – parlo a titolo personale. Non ho consigli da dare alla sindaca, né voglio tracciare la sua rotta. Dico semplicemente la mia opinione, come ho sempre fatto”.

Ora come si riparte?

Raggi non si è mai fermata, non deve ripartire. È qualcun altro che casomai deve ripartire: ora non ci sono più appigli per provare a giocare la partita di Roma senza di lei.

Lei come la giocherebbe? Guardando a sinistra?

In politica contano i fatti e non le parole. Se si guarda senza pregiudizi a ciò che ha fatto la sindaca di Roma in questi anni il posizionamento politico è chiaro. Tutte le persone che condividono determinate idee dovrebbero riconoscere che Virginia è la migliore candidata possibile per battere il centrodestra, che invece non ha a cuore il bene di Roma ma è interessato solo a poter gestire le sue risorse.

Però il Pd continua a fare muro mentre il tavolo cittadino del centrosinistra si è aggiornato in attesa della sentenza.

Come ho detto, non ci sono più appigli.

Per anni Raggi ha fatto saltare assessori e dirigenti a ritmo continuo, con evidenti conseguenze. Chi può garantire che ciò non accadrebbe più in un suo secondo mandato?

Chi sa come sono andate le cose dall’inizio, è consapevole del fatto che quando Virginia ha iniziato a fare di testa sua le cose sono andate nel verso giusto.

Ora il M5S e Raggi dovranno lavorare assieme, se lei vuole essere rieletta. Come?

Adesso bisogna attendere anche che il M5S rinnovi i suoi vertici. Tante persone che aspirano ad essere elette nella segreteria sostengono pubblicamente Raggi.

Se è per questo diversi 5S vorrebbero che la sindaca entrasse nell’organo collegiale. Lei?

Virginia non ha bisogno dei miei suggerimenti. Dopodiché credo che lei possa fare qualsiasi cosa e ricoprire qualsiasi ruolo. Bisognerebbe dare atto a chi fa il sindaco dell’importanza del lavoro che svolge.

Cosa intende?

Voglio dire che va cambiato quanto prima il regolamento del M5S per riabilitare a pieno sindaci come Chiara Appendino e Filippo Nogarin, condannati per vicende burocratiche. Chi governa le città deve prendere decisioni importantissime e sostenere una pressione sconosciuta a gran parte dei parlamentari.

Lei ha fatto parte dell’associazione Rousseau e lo conosce bene: Davide Casaleggio pensa a una scissione?

Non mi risulta. Io vedo lo stesso Davide di sempre, che vuole dare tutto se stesso a questo progetto e per gli strumenti di partecipazione. Piuttosto chi ha scelto di mettere all’angolo la piattaforma Rousseau sbaglia, forse mosso da screzi personali. Emarginare Rousseau è come rendere marginali le feste dell’Unità e i volontari rispetto al Pd.

Giuseppe Conte può essere il leader del M5S?

Questa divisione tra governisti e cosiddetti ribelli rispetto a Conte non esiste. Non ho condiviso molte scelte prese negli ultimi tempi dal M5S, ma ho appoggiato convintamente il 90 per cento di quanto fatto dal premier.

Conte dice di non essere del M5S.

Fa bene a ripetere di essere una figura terza, deve tutelare il suo ruolo e il suo governo. Ma il premier può essere una figura di riferimento per un Movimento che prenda decisioni chiare. Nel M5S ci sono tante anime, ma non si possono accontentare tutte o non avremo mai più un’identità forte. Chi vuol piacere a tutti finisce per non piacere a nessuno.

Fico e Gualtieri alla lotteria delle comunali

Il futuro dell’alleanza giallorosa, e del governo nazionale, si gioca sull’asse Roma-Napoli. Le candidature nelle altre città che andranno al voto nel 2021 verranno dopo, in un gioco ad incastro che porta fino a ministeri chiave come l’Economia, gli Affari Europei o l’Università. È sul Campidoglio e su Palazzo San Giacomo che si stanno concentrando Pd e M5S per trovare una quadra e correre insieme alle Amministrative di primavera che, causa Covid, potrebbero essere posticipate a settembre quando sarà conclusa la campagna vaccinale. Si vota in sei capoluoghi di Regione (Roma, Napoli, Milano, Torino, Bologna e Trieste) e altri 14 capoluoghi di provincia: una sorta di elezione di medio termine visto che subito dopo scatterà il semestre bianco e le tentazioni di cambiare governo saranno fortissime.

Roma. Dopo l’assoluzione anche in appello di Virginia Raggi, i riflettori sono puntati sul centrosinistra. Il nome “nuovo”, sondato nei giorni scorsi, è quello di Andrea Riccardi. L’ex ministro per la Cooperazione internazionale con Mario Monti e fondatore di Sant’Egidio, al Nazareno è considerato la via d’uscita sui vari scenari. “Alto profilo” in proiezione Giubileo 2025, sarebbe ideale sia nell’ipotesi di ampia coalizione di centrosinistra, sia nello schema governativo con M5S e Italia viva. L’altro nome caldo resta quello di Roberto Gualtieri. La candidatura del ministro dell’Economia, che i dem vorrebbero volentieri piazzare al Campidoglio in quanto non più controllabile, sarebbe la pedina chiave per un rimpasto di governo e servirebbe a riproporre lo schema giallorosa nella Capitale. Nonostante l’assoluzione in Appello l’abbia rafforzata, i dem infatti sperano ancora di convincere la sindaca Raggi a ritirarsi, premiandola con un incarico di governo in chiave Giubileo o riforma di Roma capitale. L’inquilina del Campidoglio però è irremovibile e i vertici pentastellati sono obbligati a sostenerla. E quindi non è escluso che si concretizzi lo “schema Bettini”: una candidatura debole dem per appoggiare Raggi al secondo turno. Nel centrodestra l’annuncio di Guido Bertolaso (in quota FI e gradito alla Lega) prima di Natale sembrava imminente, ma poi Giorgia Meloni ha tirato fuori il suo jolly: Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana. Ma la decisione è stata rinviata a inizio anno e non è esclusa una “terza ipotesi”, come ha detto Salvini.

Napoli. Dal quartier generale di Pd e M5S assicurano che l’alleanza ci sarà anche nel capoluogo campano. Ma non con Roberto Fico candidato sindaco. L’assoluzione di Virginia Raggi si riverbera su equilibri nazionali e locali e mette fuori gioco il presidente della Camera: l’uomo dell’accordo dovrebbe essere dem. Se l’accordo sarà di natura squisitamente politica, potrebbe essere il ministro Enzo Amendola. Se viceversa si privilegerà il dialogo con le liste civiche, è pronto il ministro di Conte Gaetano Manfredi. In ogni caso, ci si siederà a un tavolo e si troverà la quadra. Con una premessa: non ci saranno primarie. Sarebbe tutto perfetto nella ricostruenda casa di un centrosinistra allargato ai grillini, se non ci fossero due incognite. La prima è quella del governatore Vincenzo De Luca, notoriamente contrario all’intesa con il M5S. La seconda è quella di Antonio Bassolino, rinvigorito dalla 19esima assoluzione, che dalle sue pagine social parla alla città come un candidato di fatto. Nel centrodestra invece viaggia spedita la candidatura di Catello Maresca, il pm che catturò il superboss Michele Zagaria e che vive sotto scorta per le minacce del clan dei Casalesi. Il suo profilo di esponente della società civile piace a Salvini ed è apprezzato anche da Berlusconi e Meloni, che però gli chiederanno un passo indietro sulla richiesta di non presentare simboli di partito.

Milano. Dopo la ricandidatura di Beppe Sala, Milano sembra ormai tagliata fuori dal tavolo nazionale tra Pd e M5S. I grillini infatti non sosterranno mai, almeno al primo turno, il sindaco uscente presentando un candidato di bandiera per poi magari appoggiare Sala al ballottaggio. Nel centrodestra Salvini punta su Roberto Rasia dal Polo, direttore della comunicazione del gruppo “Pellegrini”. A chi gli oppone candidature politiche il leghista ricorda i nomi vincenti del civico Marco Bucci a Genova e di Stefano Parisi, che nel 2016 andò vicino a battere Sala al ballottaggio.

Torino. A Torino il ticket giallorosa stenta ancora a concretizzarsi. Il M5S non ha ancora formalizzato una candidatura, dopo l’annuncio dell’uscita di scena di Chiara Appendino. Se il M5S tace, il Pd è in fermento. Ci sono state, tra i dem, delle aperture nei confronti del M5S: il primo a dichiararsi favorevole a un dialogo è stato uno dei candidati alle primarie del Pd, Enzo Lavolta, consigliere comunale, zingarettiano, che conta sul sostegno nelle periferie. Più fermo sulla linea del correre da soli è Stefano Lo Russo, capogruppo del Pd in Consiglio, forte di cinque anni di opposizione dura e pura. C’è poi un candidato che potrebbe sparigliare le carte e che potrebbe permettere l’alleanza tra Pd e M5S: è Mauro Salizzoni, il “mago dei trapianti”, considerato l’uomo giusto nell’anno del Covid. Come ha suggerito Sergio Chiamparino, la sinistra non dovrebbe sottovalutare il candidato del centrodestra, Paolo Damilano. Imprenditore amato dagli industriali, Damilano è un candidato civico voluto dalla Lega.

Bologna. Continua lo stallo tra i tre assessori del Pd: Matteo Lepore (Cultura), Alberto Aitini (Sicurezza) e Marco Lombardo (Lavoro). A gennaio i dirigenti dem decideranno se convocare delle primarie o puntare su uno dei tre. Svanita l’ipotesi dell’europarlamentare Elisabetta Gualmini, l’unica donna rimane Emily Clancy, praticante avvocata neanche 30enne. Ha organizzato un dibattito sul futuro della città a cui ha partecipato anche il grillino Massimo Bugani: “Qui il M5S ha sempre fatto battaglie di sinistra, qui dobbiamo costruire un laboratorio”. Un’ipotesi ancora sul tavolo. Dalla parte opposta un candidato c’è, Fabio Battistini imprenditore cattolico con un passato in An, sostenuto da Salvini. In mezzo Giancarlo Tonelli, direttore generale dell’Ascom Confcommercio in campo con una lista civica ma senza schierarsi.

Renzi, Lotti, Denis: tre uomini in Consip

Sono andati a trovarlo a scaglioni, a ridosso delle festività natalizie. Prima i fedelissimi renziani, poi i suoi vecchi amici di Arcore e infine i nomi di peso: il 23 dicembre Antonio Angelucci e Matteo Renzi e il 24 Luca Lotti e Matteo Salvini. Denis Verdini, ex Richelieu di Silvio Berlusconi, dal 3 novembre si trova nel carcere di Rebibbia dopo la condanna definitiva a 6 anni e mezzo per il crac dell’ex Credito cooperativo fiorentino ma prima delle feste molti parlamentari a lui vicini sono andati a trovarlo per accertarsi delle condizioni di salute e fargli compagnia. Tra fine novembre e inizio dicembre lo avevano incontrato Ignazio La Russa, Daniela Santanchè e Maurizio Lupi preceduti dai renziani Cosimo Maria Ferri, Roberto Giachetti, Massimo Ungaro e Gabriele Toccafondi. Ma a fare più rumore sono le visite dei due “Matteo” e di Lotti.

Quest’ultimo, ex sottosegretario a Palazzo Chigi e ministro dello Sport, è imputato a Roma in uno dei tronconi dell’inchiesta Consip, parallelamente a Verdini e Tiziano Renzi, padre dell’ex premier: dopo il rinvio a giudizio per favoreggiamento di fine 2019, a fine luglio il gip Nicolò Marino lo ha mandato a processo anche per rivelazione di segreto. Prima di Natale, invece, la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio anche per Tiziano Renzi e Verdini. Nonostante la rottura tra Lotti e Renzi, il rapporto tra l’ex ministro e Verdini è consolidato dai tempi di quando l’ex premier era sindaco di Firenze e soprattutto dopo: a portare avanti le trattative con Verdini, Berlusconi e Gianni Letta ai tempi del “Patto del Nazareno” era proprio il “lampadina”, oggi capo della corrente Pd “Base Riformista”.

Il 23 dicembre anche Renzi è andato a trovare Denis, si dice su richiesta del figlio Tommaso, in passato accostato a Iv e alla Leopolda renziana. Anche qui le inchieste giudiziarie si intrecciano: l’indagine giunta a condanna per il crac del Credito cooperativo fiorentino di Verdini era stata portata avanti dalla Procura di Firenze e in particolare dall’allora procuratore Giuseppe Quattrocchi e dal pm Luca Turco. Quest’ultimo, insieme al pm fiorentino Antonino Nastasi, a novembre ha iscritto nel registro degli indagati proprio Renzi, Lotti e Maria Elena Boschi nell’ambito dell’inchiesta Open: l’accusa è di finanziamento illecito ai partiti. In ambienti fiorentini, si parla di un omaggio “necessario” da parte dell’ex premier all’amico Denis, in virtù di antichi e variegati legami. Senza contare che il senatore di Scandicci non perde occasione per rinnovare il suo conflitto con la magistratura. Eppure Denis ha mantenuto negli ultimi mesi ottimi rapporti anche con l’altro Matteo, Salvini, compagno della figlia Francesca. E così anche il leader leghista è andato a trovare il suocero a Rebibbia: si è sincerato delle condizioni di salute di Verdini, che nel frattempo si è fatto crescere una lunga barba bianca, e i due sono finiti a parlare anche di politica. Da tempo il suocero consiglia a Salvini di “essere più moderato” e di provare ad andare al governo, anche di larghe intese, per accreditarsi nelle cancellerie internazionali. Proprio mentre il leader della Lega apre a un governo con tutti dentro. Sarebbe il risvolto politico della processione in carcere. Ma nel gioco su più tavoli di Renzi, Salvini rischia di essere sedotto e abbandonato. Di nuovo.

Da Ciaone a Ciao: Matteo e lo slogan che porta sfiga

“Ciao!” disse Renzi e il gruppo compatto dei quadri di Italia Viva cominciò, non senza difficoltà, a sfollare dalla cabina telefonica abbandonata dopo l’avvento degli smartphone che avevano occupato abusivamente per riunioni e congressi e ‘sti cazzi del distanziamento sociale. L’avevano ripulita, la cabina, ci avevano lavorato sodo per renderla degna del nome del Fondatore. Con quattro mani di bianco l’avevano rimessa a nuovo, a parte quel “Monica fa i pompini” col numero di cellulare che si ostinava a tornare fuori.

Erano anche pronti alla lotta dura contro gli sgomberi, se fosse arrivata la polizia si sarebbero appellati all’immunità parlamentare e all’anticomunismo che ci sta sempre bene, Giachetti era pronto al digiuno e Scalfarotto a darsi fuoco a favore di camera. Anzaldi e la Bellanova, incastrati nella porta della cabina, non riuscivano ad andare né avanti né dietro, con costernazione degli altri che una sbloccata di costole la gradivano sempre volentieri, quando Renzi tuonò: “O dove cazzo andate?” e nella cabina scese il silenzio. “Pensavamo che la riunione fosse finita e ci stessi salutando…” abbozzò la Boschi. “O bischeri, ho detto solo ‘ciao’!” replicò l’uomo del destino di pochi. “Ma nelle nostre riunioni se ne è sempre detta solo una, la tua, prima di dichiararle concluse” osservò la Boschi un po’ infastidita perché nella ressa non tutti erano corretti. “Ciao l’è una sigla! Vi devo sempre spiegare tutto! Chiudete la porta che fa corrente e siamo a dicembre e ascoltatemi” disse Renzi. Svitando i cardini Anzaldi e Bellanova furono disincastrati, la porta della cabina fu rimontata e chiusa e il Leader Maximo Naturale illustrò. “Ciao è un nome che ho inventato io”.

Serpeggiò il panico. Essendo stati tutti inventati da Renzi, pensarono al numero delle poltrone riservate a Italia Viva in Parlamento che era già esiguo figuriamoci con una new entry, qualcuno saltava sicuro e ti saluto rate del Suv. Qualcuno protestò timidamente, pronto a incolpare quello accanto. Il Secondo Figlio di Dio lo zittì e aggiunse “O grulli, è l’acronimo di Cultura, Infrastrutture, Ambiente e Opportunità! Con cui ci confrontiamo sui contenuti con il Governo di Pol Pot!”.

Anche se ancora sospettosi verso “Acronimo”, per qualcuno era un nome proprio (col Fondatore non si sa mai, ti dice “Stai sereno, ti fo deputato” e poi te lo stanga in culo e fa eleggere il guardiano del Cimitero di Rignano) i quadri tirarono un respiro di sollievo, fermandosi all’inspirazione perché di espirare, con lo spazio a disposizione, non se ne parlava. “In verità prima volevo chiamarlo ‘Goal’: Giovani, Opportunità, Ambiente, Lavoro. Per non sbagliare ho scritto i nomi e li ho estratti bendato, ha vinto Ciao”.

Più per mostrarsi interessati che per capire, tanto potevano essere o non essere d’accordo, alla fine si faceva sempre come diceva il Glorioso Stracciareferendum (nessuno aveva mai avuto il coraggio di rivelargli la verità), alcuni alzarono la mano per intervenire, una cosa concessa a patto che dopo non seguissero inutili domande.

Tanto l’Oraholo della Politiha A Tutto Hampo (le “H”, un omaggio) si rispondeva da solo. “Quali contenuti, direte voi con ragione, bravi. E allora: sì al Mes, no al giustizialismo, no al reddito di cittadinanza, sì all’alta velocità. E soprattutto vederci chiaro nell’utilizzo del Recovery Fund. In una parola, anzi due: rompere ‘oglioni. Come suggerisce Verdini gramscianamente, nel senso dei Quaderni dal carcere. Si rompe ‘oglioni, si fa cascà il Governo, che è il momento giusto, si rimpasta e tutti dentro! Ciao Conte! L’è codesto il senso! Ridete o vi sostituisco con Acronimo”. Il Conduhatòr De Florentia conosceva i suoi polli che esplosero tutti in una risata spontanea. Si disincastrarono.

Rosato e Vitiello defluirono per ultimi scambiandosi una riflessione. “Tu te lo ricordi ‘Ciao’, la mascotte dei mondiali del ‘90?”. “L’obbrobrio?” “Quello. Portò una sfiga incredibile”, e non visti si grattarono i coglioni.

Marchette, Ponte e Mes: le 15 balle del “contro-piano”

Il leader di Italia viva ha scelto di mascherare dietro una critica “di metodo e di merito” una ennesima dimostrazione priva di significato, spesso sgangherata economicamente e infarcita delle solite “marchette” per gli amici. Ecco le quindici “bufale” o idee stravaganti sentite ieri.

1. “Scritto di notte” Il piano è stato scritto di nascosto “e ci è stato inviato alle 2 di notte”. Il piano è stato invece approvato dal Parlamento il 15 ottobre e discusso in almeno 16-19 riunioni del Comitato tecnico di valutazione presso il ministero degli Affari europei.

2. Conte fa tutto da solo Fino a qualche settimana fa l’accusa di Iv era che Conte “fa tutto da solo”. Ieri Renzi se l’è presa con i “tecnici, i burocrati” e tutti i funzionari dei tanti ministeri che hanno “assemblato vecchi progetti”. Quindi al piano hanno lavorato in tanti e i ministri renziani lo sapevano.

3. La bufala del Mes Il vero protagonista di ieri è stato il Mes che “ha condizioni meno vincolanti del Recovery”, assurdo non prenderlo. Per Renzi le “condizioni” sono solo i tassi di interesse e non le norme stringenti che regolano il controllo della Commissione sugli Stati (infatti il Mes è un “fondo Salva-Stati”).

4. Keynesiano per sport 88 miliardi del Recovery, dice Renzi, sono impegnati in progetti già finanziati, dovremmo spostarli e metterli tutti su progetti nuovi. Si fa più debito? “Sì, ma recuperiamo con la crescita” dice il neo-economista. Che dice di preoccuparsi dei giovani e propone allegramente di fare molto più debito.

5. Marchette per gli amici Altra idea geniale: prendiamo il Mes e spostiamo i soldi assegnati alla Sanità, 9 miliardi, sulla Cultura invece dei 3 attuali. Ma “6 miliardi li diamo ai sindaci che li investono su cultura e turismo come vogliono loro”. A parte che il piano europeo non lo consente, si tratterebbe di una distribuzione a pioggia finora sempre contestata.

6. Sentire i sindaci Nel redigere il piano “dovete sentire i sindaci”. Infatti nelle riunioni del Ctv e del Ciae presso gli Affari europei oltre ai ministeri sono stati sempre presenti sia la Conferenza delle Regioni sia l’Anci.

7. Priorità ai “ggiovani” Occorre dare massima priorità ai giovani. Come? “Come il piano France Relance” di Macron. Le cui misure sono tutti sgravi contributivi per le assunzioni. Più che fondi ai giovani sono fondi alle imprese.

8. A proposito di Macron A proposito del France Relance, si fa finta di non sapere che quel piano prevede 50 miliardi di risorse europee e altrettanti di risorse proprie aggiuntive. Quindi Macron ha molta più libertà di movimento.

9. Marchette per gli amici-2 Quando è sicuro di sé Renzi non si tiene e così i nomi dei veri beneficiari delle sue proposte li fa apertamente: “Eni, Enel, Saipem” o “l’industria farmaceutica”.

10. Facciamo il Ponte Altra grande idea è il Ponte sullo Stretto. Ma, ammette Renzi, “non è possibile farlo con quei fondi”. Quindi non c’entra nulla.

11. Rifacciamo il Jobs Act Alla voce “opportunità” rilancia il Jobs Act che lui sintetizza nella decontribuzione per le assunzioni “che ora tutti ci copiano”. Chi si ricorda dell’articolo 18 si sbaglia.

12. Un ambiente “amico” Critiche anche alla parte ambientale, la più ricca del piano che però difetta di un punto: il ripristino dell’Unità per il dissesto idrogeologico che il suo governo aveva affidato all’amico Erasmo D’Angelis.

13. Manca l’anima Il piano è accusato di non avere una “visione”. Chi l’ha scritto rivendica invece di aver indicato un indirizzo politico che, in sostanza, è stabilito in asse con la Commissione. Chiedere a Bruxelles.

14. Ora si fa davvero tardi Nonostante l’accusa ricorrente di essere in ritardo, il piano era in perfetto orario fino a quando il 7 dicembre è stato presentato in Consiglio dei ministri. Poi si è bloccato tutto. E ora si rischia di fare tardi sul serio.

15. I servizi che servono Solo verso la fine della conferenza stampa il leader italovivo parla della delega ai Servizi segreti. Che in effetti con il Recovery non c’entra e che sembra essere l’unica cosa che importi davvero a Matteo Renzi.

Il premier ostenta calma. Ma per i 5S “crisi vicina”

Matteo Renzi non ha ancora finito di accusare e avvertire, quando un big del Movimento lo sussurra così: “Ora bisogna capire se rispondergli o meno, perché è evidente che cerca pretesti per la crisi di governo”. Invece una fonte ben introdotta a palazzo Chigi soffia di nuovo la possibile soluzione, quella d’urto: “In questi giorni Giuseppe Conte lo ha detto anche ad alcuni parlamentari del Movimento: ‘Se la situazione precipita potremo fare qualcosa d’altro’”.

Scene e parole che raccontano il clima da sprofondo prossimo venturo che si annusa nel M5S, e nei dintorni di palazzo Chigi. Da dove peraltro in serata ostentano calma, anche di fronte al Renzi che ringhia di “piano raffazzonato” per il Recovery Fund: “Una volta arrivate, le proposte di Italia viva verranno valutate e discusse come quelle di tutti gli altri partiti, per poi arrivare a una sintesi politica”.

Pare un paradosso il solo evocarla, la sintesi. Eppure la cercheranno nei tavoli con i partiti, proprio sul Recovery: “riunioni tecniche sui progetti” assicurano, che inizieranno da oggi. A partire da questo pomeriggio, tutte le forze politiche della maggioranza incontreranno al Mef il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e quello agli Affari europei, iniziando con il M5S e continuando con il Pd. Mentre domani sarà la volta di Leu, Autonomie e soprattutto di Italia Viva. La creatura di quel Renzi che ieri ha passato gran parte della conferenza stampa ad attaccare tutti i totem del M5S, dal reddito di cittadinanza al no all’alta velocità (o per meglio dire al Tav), ritirando fuori un termine vecchio stile, “il giustizialismo”, per cercare di (ri)dipingere i grillini come forcaioli. Ovviamente nel M5S lo notano. Ma alla fine, pare anche dopo essersi consultati con palazzo Chigi, decidono di non rispondere dritto. In serata, solo una nota in apparenza anodina firmata dal capo politico reggente Vito Crimi e dal capodelegazione Alfonso Bonafede: “La proposta del M5S sul Recovery Fund è pronta e nei prossimi giorni la discuteremo con le altre forze di governo. Al centro ci sono i giovani, che hanno già pagato lo scotto di due crisi a causa di leggi che precarizzavano il lavoro e dei tagli ai servizi pubblici essenziali, come la scuola”. Ed è una indiretta replica al capo di Iv, che ieri lamentava i “soli due miliardi” riservati ai giovani. Penalizzati, lasciano intendere dal Movimento, anche da certe leggi dell’ex premier Renzi.

Quel che non dicono è che anche loro hanno da eccepire sulla bozza del Recovery, lontana dalle loro esigenze. E allora nella contro-proposta che presenteranno già oggi al Mef chiederanno altri miliardi per estendere il superbonus (l’agevolazione fiscale per le spese di efficientamento energetico come il fotovoltaico) a tutto il 2023 e due miliardi per favorire le esportazioni delle imprese (nell’attuale documento sono previsti 400 milioni). Inoltre il Movimento vorrebbe due miliardi in più per gli ammortizzatori sociali e le politiche attive del lavoro. Queste e altre richieste finiranno sul tavolo di Conte. “Ma tanto dipende tutto da Renzi” riassume in serata un 5Stelle di governo. Stanco.

Recovery: Renzi fa Ciao a Conte, ma non molla ancora le poltrone

Indossa la cravatta rossa, fa proiettare delle slide, non evita la locuzione “io da premier” (come se il tempo non fosse passato), Matteo Renzi in conferenza stampa in Senato. Ma il messaggio più esplicito è il titolo del suo documento con ben 61 punti di critica al Recovery Plan di Giuseppe Conte: si chiama “Ciao”. Quello che è ufficialmente un acronimo (Cultura, Infrastrutture, Ambiente, Opportunità) evoca tanto i “Ciaone” dei (suoi) bei tempi che furono, lanciato all’indirizzo di “Giuseppi”.

Naturalmente, lui smentisce l’interpretazione, ma alla fine dello show in tono minore, visto che evidentemente c’è una pandemia, lo esplicita: “Non si può tirare troppo per le lunghe, se non c’è accordo sul Recovery faranno senza di noi e le ministre e il sottosegretario si dimetteranno”.

Parla di “settimane” per arrivare a un accordo Renzi. Una tempistica inquietante: più si va per le lunghe, più l’Italia rischia il ritardo nella presentazione del Piano alla Commissione per ricevere i fondi europei. Cosa che potrebbe davvero mettere all’angolo Conte e a rischio il governo. Anche per la reazione delle Cancellerie del Vecchio Continente. Tanto è vero che ieri al Nazareno commentano con un unico concetto: “Conte deve rispondere a lui e al Pd. Deve fare il capo della maggioranza”.

Ma intanto, l’ex premier procede per step. Se Conte recepirà un numero di proposte sufficienti, si va avanti, altrimenti, si dichiara pronto ad aprire la crisi, dopo la Befana. Il punto è: quali proposte? Perché, la critica è feroce e radicale: “Il piano manca di ambizione, è senz’anima, si vede che non c’è un’unica mano che scrive. È un collage talvolta raffazzonato di pezzi di diversi ministeri”. La frecciatina – implicita – è anche al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, “reo” di non ricordare esattamente ogni locuzione riferita alla giustizia. “Serve un salto di qualità”, precisa Renzi.

Ma oltre a smontare nel dettaglio vari capitoli (dai 2,1 miliardi per i giovani considerati troppo pochi, alla proposta di dare 6 miliardi ai Comuni), l’ex premier tira fuori esattamente le questioni più ostiche per il M5S. Tanto per cominciare chiede di implementare i fondi per la sanità con il Mes. E poi propone al governo di fare lo ius culturae, mentre boccia senza mezzi termini il reddito di cittadinanza. Così come attacca il M5S che ha votato contro il parere del governo sul Tav. Poi ribadisce un altro tema per lui essenziale: “Il presidente del Consiglio affidi la delega ai servizi ad una persona terza”. Conte non ha intenzione di cedere. Ma in queste ore, in casa dem, riappare il nome di Marco Minniti come candidato. Almeno sulla carta, potrebbe andar bene anche al leader di Iv.

Ma poi sono più d’uno i temi su cui renziani e dem sono d’accordo: dalla struttura di governance, che deve tenere conto dei ministeri, ad alcune debolezze del piano. “I punti che Renzi può portare a casa sono potenzialmente tutti, tranne il Mes”, commenta un senatore dell’ala più governista del Pd.

La palla è di nuovo nella metà campo di Conte. Renzi si è indispettito rispetto alla sua performance a Porta a Porta. Troppo poco disposto a prenderlo in considerazione. La trattativa si preannuncia complessa. “Io non ho paura di niente”, dice il senatore di Scandicci, commentando Bettini, che parla di elezioni con una lista Conte e un’alleanza Pd-M5S. Cosa in parte vera: con il 2% ha poco da perdere. E il suo obiettivo reale resta il Conte-ter, magari con un ministero in più non per se stesso, ma per Maria Elena Boschi o Ettore Rosato.

Ieri sera, intanto, ha avuto una riunione con i suoi parlamentari. Gli stessi che continuano a giurare ai colleghi Pd che non hanno intenzione di aprire una crisi. Nel rispondere a una domanda sul tema fatta da Daniela Preziosi del Domani, Renzi equivoca e le risponde definendola giornalista del Fatto. Un’occasione per scagliarsi contro questa testata e le esortazioni a Conte a “sfancularlo”.

Il prossimo round domani, quando la delegazione di Iv si recherà al tavolo al Mef.

De Micheli: “A scuola orari scaglionati ma over 12 a rischio”

Tenere sotto controllo la curva epidemiologica dopo le festività e garantire la sicurezza dello svolgimento dell’attività didattica in presenza per tutti, o quasi. È l’obiettivo “prioritario” del governo in vista del 7 gennaio quando riapriranno tutte le classi, anche le superiori, sebbene inizialmente con una presenza ridotta al 50%. Ma a tenere banco è soprattutto il tema legato al trasporto pubblico locale. “Abbiamo preparato un piano di riorganizzazione in modo di essere pronti per il 7 gennaio per la riapertura della scuola fino al 75% in presenza”. È questo il punto più volte ribadito ieri dalla ministra dei Trasporti Paola De Micheli, in audizione alla commissione della Camera. “Il rischio di contagio nella popolazione scolastica – ha spiegato la ministra – non evidenzia livelli superiori rispetto al rischio cui è esposta la popolazione in generale”. Tuttavia “si è osservata una maggior incidenza tra le fasce maggiori di 12 anni, che è stata esposta a occasioni di rischio più rilevanti anche per via dei trasporti”. Per questo ci sarà una differenziazione di orari con due fasce orarie di entrata e di uscita di almeno 120 minuti (8,30-10,30 e 14,30-16,30). Stesso orario distanziato per le lezioni universitarie, soprattutto quelle della mattina. Uno scaglionamento già utilizzato da tanti sindaci per scuola, uffici e negozi. E che ha consentito di non avere situazioni di criticità negli scorsi mesi. Non sono però previste multe per chi non rispetta il limite di capienza del 50% sui mezzi del trasporto pubblico locale, ma almeno nella fase iniziale è prevista un’opera di moral suasion per abituare le persone alla novità. “Alle fermate – ha detto la ministra rispondendo alle domande sul rispetto della capienza su mezzi al 50% – ci sarà o un dipendente dell’azienda dei trasporti o un ausiliario del traffico a dire quando l’autobus in arrivo è già pieno al 50% e che bisogna aspettare quello successivo. La ministra non ha nascosto che all’inizio ci saranno dei problemi.

Doppio favore del Mit a Onorato: proroga della concessione e nomina amica a Livorno

È passato più di un mese da quando il Fatto ha rivelato il problema, ma la proroga del contratto fra lo Stato e la Cin del gruppo Moby dell’armatore Vincenzo Onorato per il servizio di continuità marittima con Sardegna e Tremiti è un’eventualità sempre più concreta. L’accordo di 8 anni con la società, morosa verso lo Stato di 115 milioni di euro per l’acquisizione nel 2012 dell’ex compagnia di bandiera Tirrenia, vale 72,7 milioni l’anno. In scadenza a luglio, l’accordo è stato prorogato fino a fine febbraio dal ministero dei Trasporti (Mit). Il dicastero di Paola De Micheli però avrebbe dovuto inviare all’Autorità di regolazione dei trasporti la documentazione per i nuovi bandi, ma al garante non è mai arrivato nulla. Così, visto che dall’invio alla ricezione devono passare minimo 5 mesi per la riassegnazione delle sovvenzioni, il 28 febbraio non si potrà che allungare il contratto con Cin. Questa non è l’unica buona notizia per Onorato che viene dal ministero dei Trasporti. De Micheli, giorni fa, d’intesa col governatore toscano Eugenio Giani, ha nominato Luciano Guerrieri presidente del porto di Livorno, uno dei più importanti per l’armatore. Nomina avvenuta in modo irrituale: mancano ancora tre mesi alla scadenza dell’attuale vertice, Stefano Corsini. Per altri porti la ministra, da tempo in odor di rimpasto, non ha provveduto nemmeno alla scadenza. Guerrieri, ex sindaco e presidente del porto di Piombino quando Moby ha acquisito la compagnia regionale Toremar e il dominio dei collegamenti con l’Elba, è persona apprezzata nel gruppo Onorato. Oltre a sedere nel consiglio dell’associazione Federlogistica col manager Moby Matteo Savelli, lo ha preceduto come ad di Porto Livorno 2000, privatizzato al 66% nel 2019. Guerrieri è stato nominato nel 2017 dopo l’aggiudicazione provvisoria alla cordata formata da Moby e Msc e prima del passaggio del controllo ha impugnato alcuni atti dell’Autorità portuale che pure era allora il suo azionista di riferimento. Il ricorso contro un’apertura alla concorrenza sgradita al proprietario in pectore Moby è stato perso al Tar, ma da presidente del porto Guerrieri potrebbe ora ridefinire un quadro più confacente ai futuri interessi di Onorato. Resta da vedere il piano concordatario che Moby e Cin dovevano presentare ieri al Tribunale di Milano e per il quale hanno chiesto un’altra proroga che soddisfi i titolari di oltre 600 milioni di crediti. Fra essi c’è lo Stato, rappresentato dalla De Micheli, che si è mostrato ancora una volta indulgente.

Conti correnti, allarme di Abi & C. sulla stretta Ue

Dal 1° gennaio entra in vigore la nuova definizione di default prevista dal Regolamento europeo. Sul Fatto economico di ieri abbiamo spiegato le ripercussioni gravi per imprese e famiglie che si ritroveranno classificati come deteriorati (default) se si è in arretrato da oltre 90 giorni (180 per la Pa) nel pagamento di un’obbligazione, come ad esempio andare in rosso sul conto corrente; la banca giudica improbabile che il debitore adempia all’obbligazione. Tanto da spingere l’Abi e un gruppo di associazioni di imprese a chiedere di “ripensare urgentemente” le nuove norme. Ieri pomeriggio Bankitalia ha così pubblicato un approfondimento su questa stretta. Chiarimenti che confermano quanto abbiamo spiegato: con uno sconfinamento che supera sia la soglia assoluta (100 o 500 euro, a seconda del debitore) sia quella relativa (1% dell’esposizione) e che si protrae per oltre 90 giorni, si viene segnalati in default. Le banche a discrezione potranno continuare a consentire ai clienti di utilizzare il conto, anche per il pagamento di utenze o stipendi.