A Sorpresa. È De Luca il 1° “vip”. De Magistris: “Abuso di potere”

Tra i primi 700 campanivaccinati ieri al Covid 19 c’è anche il governatore Vincenzo De Luca. È il primo personaggio pubblico italiano vaccinato durante il V Day dedicato a operatori sanitari e anziani delle Rsa. Ha ricevuto il siero Pfizer al Cotugno di Napoli. Per il sindaco Luigi de Magistris è stato “un inqualificabile e indegno abuso di potere”. Secondo i parlamentari e i consiglieri regionali M5s, “De Luca ha tolto una dose a chi ne aveva diritto, mancando di rispetto a medici e infermieri che salvano vite”. A difendere De Luca, la coordinatrice Italia Viva Graziella Pagano: “Polemiche ridicole, subcultura manichea”. Proprio sotto la sua bacheca social, un dirigente medico dell’Azienda ospedaliera Colli di Napoli ha protestato per il gesto di De Luca con un commento poi rimosso: “L’ha sottratto (il vaccino, ndr) a un medico o un infermiere che stava in fila al Cotugno. Io dopo 4 ore di fila non l’ho fatto poiché, essendo contati, l’aveva fatto De Luca e anche personale amministrativo e della direzione sanitaria… sottraendolo a qualche medico come me che sta davvero in prima fila”.

Le passioni della Javarone per Salvini e le poltrone

Milano

La lirica e il Capitano. Sono le due irrefrenabili passioni di Daniela Javarone, la “signora dei salotti” di Milano, fino a venerdì scorso “madrina” dei City Angels, oltre che presidente dell’associazione “Amici della lirica” e vicepresidente del Conservatorio. A scrivere la parola fine sulla collaborazione tra la signora e l’associazione durata 16 anni c’è il giorno di Natale trascorso con Matteo Salvini a consegnare pacchi ai clochard. I City Angels non l’hanno preso bene: “Salvini, a completa insaputa dell’associazione, si è aggregato al gesto personale della nostra madrina Daniela Javarone. Se lei mi avesse chiesto un parere avrei detto di no”, ha dichiarato ieri il presidente Mario Furlan al Corriere.

“Mi dimetto da madrina dei City Angels perché in un movimento schierato politicamente non ci sto”, ha tuonato lei. Anche se le associazioni con una chiara passione politica la signora non le disdegna affatto. A cominciare da quegli “Amici della Lirica” che, da ensemble di amanti del bel canto voluti nel 1974 dal marchese Alberto Litta Modigliani, sotto la gestione Javarone, ha fatto parlare di sé soprattutto come cenacolo politico. Di destra. E negli ultimi sette anni l’attenzione della Javarone è andata soprattutto a un uomo: Salvini. Tanto che ogni 9 di marzo, soci e sostenitori dell’associazione sono chiamati in un hotel milanese per festeggiarne il compleanno. Nel 2019 mentre a Roma il governo giallo-verde litigava sul Tav, l’allora ministro degli Interni fuggiva per presenziare al ricevimento organizzato dall’amica al Principe di Savoia: 250 invitati, tutti paganti. La “Milano bene” che omaggiava l’Uomo forte, perdonandogli anche alcuni scivoloni. Come il gesto irripetibile con il quale Salvini accompagnò l’augurio di “lunga vita” rivoltogli dalla Javarone al brindisi. E, tra un risotto all’ossobuco e un selfie, la padrona di casa profetizzò: “Tornerà da presidente della Repubblica”. Lui rispose: “Meglio re. Torniamo alla monarchia”. Quel giorno, tra gli invitati, oltre al console generale russo Alexander Nurizade, c’era anche l’allora sovrintendente della Scala Alexander Pereira, del quale solo poche ore prima la Lega aveva chiesto la testa, perché aveva rivelato come fosse stato proprio il Carroccio a portare i dollari Sauditi nel cda scaligero. Inconvenienti di ogni party… L’associazione è nota anche per l’annuale riconoscimento “Uomo dell’anno”. Nel 2017 il vincitore a sorpresa è stato: Matteo Salvini; “per la sua difesa della milanesità e molto altro”, la motivazione.

Ma anche la Lega ha riconosciuto le doti della Javarone. Di certo la competenza musicale, designandola nel 2019 vicepresidente del Conservatorio di Milano. Una nomina arrivata quando a capo del ministero c’era il leghista Marco Bussetti, ospite fisso dei compleanni del Capitano. Anche se sembra che la signora ancora non abbia lasciato un segno indelebile nella vita dell’istituzione culturale milanese (“Non è che ce ne siamo accorti del suo arrivo in cda”, commenta sarcastico un docente di via Conservatorio).

Ma i legami con Salvini riguardano l’intera famiglia Javarone: il genero, Pietro Antonio Marrapodi, è consigliere del Municipio 3 a Milano. Salvini lo aveva candidato alle ultime regionali nella lista “Fontana presidente”, dove era risultato il più votato, pur non riuscendo a entrare al Pirellone. Marrapodi aveva allora tentato con le Europee col Carroccio (famosa la lettera inviata a tutti i lombardi e piemontesi di origine calabrese, che iniziava con “Carissima/o. Sono Pietro Marrapodi, calabrese come Te!”), ma non andò bene. Anche a causa di alcune intercettazioni contenute nell’inchiesta “Mensa dei poveri”. Lui non fu indagato, ma era stato registrato in alcune conversazioni col consigliere comunale Pietro Tatarella (Fi), uomo del “Mullah” Nino Caianiello, come scritto ai tempi dal Fatto. In vi Bellerio sono sicuri che Marrapodi ci riproverà con le comunali, ma con un occhio alle prossime politiche. Forte dell’aiuto dell’amico di famiglia Matteo Salvini.

Anche Astrazeneca verso l’ok: così il vaccino basterà per tutti

Erano lì in attesa del loro turno, nel cortile dello Spallanzani di Roma. Maglione verde militare con la scritta “Uscar” sulla schiena, sul petto “medico” e il nome di battesimo. Gianmarco Dutti da Foggia, 27 anni, vicecoordinatore e Angelo Bastone, 28, da Cosenza. “Abbiamo fatto gli screening nei focolai, poi le forze dell’ordine, i drive in, gli aeroporti e le visite domiciliari anche con l’ecografo, perché la polmonite interstiziale si vede con l’ecografo”, raccontano i due giovani dottori, laureati a Roma e specializzandi, Angelo in chirurgia toracica e Gianmarco in medicina generale. “Sto spingendo anche lui verso la medicina generale: si è visto cosa succede senza medici di famiglia…”, ironizza Gianmarco.

Il vaccino non l’hanno fatto davanti alle telecamere ma subito dopo, quando si è sciolto l’assembramento di giornalisti, operatori tv, politici, addetti vari, poliziotti e carabinieri convenuti per il Vaccine Day. Alle 14,30 toccava a loro, 50 medici e 50 infermieri delle Uscar, le Unità speciali di continuità assistenziale regionale che hanno la centrale operativa in un padiglione dell’ospedale infettivologico: 370 medici e 700 infermieri. “Facciamo fino a 90 visite domiciliari al giorno e potremmo farne di più se tanti medici di famiglia imparassero ad attivare il servizio, che poi basta un’email al servizio di prevenzione della Asl”. Altro che paura del vaccino, sono fieri di farlo. “Ci dobbiamo fidare, se il primo a cui è stata data la penicillina non si fosse fidato cureremmo ancora le infezioni con la camomilla”, taglia corto il dottor Bastone. E dopo averlo fatto? “Nessuna reazione avversa – se la ride il dottor Dutti –, neanche l’iniezione ho sentito. Ma il liquido è denso, se alzo il braccio lo sento”.

Claudia: “Vaccinatevi per voi e per tutti”

Il Vaccine day romano è andato. Alle 7,20 le prime iniezioni, poi i discorsi del presidente del Lazio Nicola Zingaretti, del commissario Domenico Arcuri e del ministro Roberto Speranza. Sui giardinetti dello Spallanzani è arrivato anche il sole. Restano l’emozione, l’orgoglio e l’appello di Claudia Alivernini, l’infermiera 29enne vaccinata per prima, che poi è andata a vaccinare la sua capa: “È il Covid a fare paura, non il vaccino. Lo dico col cuore: vacciniamoci, per noi, per i nostri cari e per la collettività”, dice Claudia, che ha passato questi mesi in prima linea allo Spallanzani e nelle Uscar. Un’altra donna simbolo della giornata è la professoressa Maria Rosaria Capobianchi, direttrice del laboratorio che per primo isolò il nuovo coronavirus nel nostro Paese: “In Italia facciamo poche sequenze, mancano i finanziamenti alla ricerca, ma soprattutto c’è chi tende a non condividerle”, dice spiegando le ultime varianti del virus. Quasi una festa, magari un po’ affollata. A un certo punto è arrivato anche un raggiante Gianni Letta, accolto dal direttore sanitario Francescio Vaia, per lodare “l’eccellenza” dello Spallanzani.

Le decisioni Ora l’attesa è per Moderna e Oxford

Sembra aver funzionato in tutta Italia, da Milano ad Alzano Lombardo (Bergamo) e al Sud. Un’iniezione di vaccino e di fiducia. Le prime 9.750 dosi consegnate al nostro Paese dovrebbero essere esaurite in pochi giorni. Si parte, come sappiamo, da operatori sanitari e ospiti e personale delle residenze sanitarie assistite; chi ha meno di 80 anni, allo stato attuale, attenderà la primavera. Per consegnare i vaccini a tutte le Regioni, il giorno di Santo Stefano, si sono mobilitate le forze armate con aerei e mezzi speciali. D’ora in poi arriveranno 470 mila dosi a settimana, le prime entro il 31 dicembre, spiegano dal ministero della Salute e dall’ufficio di Arcuri, direttamente nei 287 punti di vaccinazione indicati dalle Regioni. Che dovranno sbrigarsela da sole. Il calendario potrebbe cambiare in meglio se il vaccino prodotto dall’americana Pfizer con la tedesca Biontech, che si chiama Corminaty, non sarà più l’unico. Il 6 gennaio l’Ema, l’agenzia europea del farmaco, deciderà sul vaccino dell’americana Moderna. Ma intanto il ceo di AstraZeneca, l’azienda anglo-svedese su cui la Commissione europea e l’Italia stessa hanno puntato molto, assicura che a giorni sarà autorizzato anche il loro prodotto, almeno in Gran Bretagna. Vedremo poi se l’Ema seguirà. Da Pfizer Biontech sono previste per l’Italia 26,92 milioni di dosi, di cui 8,749 milioni nel primo trimestre, da Astrazeneca ben 40 milioni di cui 16 entro marzo.

Il caso le dosi tedesche

C’è stata qualche polemica sulle dosi Pfizer Biontech perché le forniture contrattate dall’Ue sono uguali per tutti, le prime simboliche e le altre in rapporto al peso demografico. L’Italia ne ha il 13,46 per cento. E invece la Germania ne ha già avute 150 mila il 26 dicembre, ogni Land la stessa quota dell’Italia; la Francia 19.500, il doppio del nostro Paese ma anche di Spagna, Bulgaria, Croazia, Ungheria, Slovenia e perfino Malta. Dal ministero della Salute spiegano che alla Germania è stata anticipata una parte delle successive forniture, lo dice anche la sottosegretaria Sandra Zampa. Nei giorni scorsi il ministro della Sanità tedesco Jens Spahn ha parlato di 1,3 milioni di dosi entro l’anno (mentre da noi ne arriverebbero solo 470 mila) e addirittura 10 milioni entro gennaio (da noi sarebbero 2,3 milioni). Ieri però lo stesso ministro, secondo l’agenzia Dpa, ha fatto sapere che la Germania riceverà “almeno 670 mila dosi a settimana”, quota poco più che proporzionale rispetto alla popolazione (83 milioni di abitanti contro i nostri 60). I contratti li ha fatti la Commissione Ue, sulle consegne però ogni Stato fa da sé. E Corminaty, prodotto in Belgio, è un vaccino in parte tedesco.

Ma mi faccia il piacere

Un americano a Roma. “Le voci di un incarico negli Usa per Renzi” (Repubblica, 10.12). Oddìo, volesse il cielo: dove si firma?

Braccia rubate. “La verifica prosegue. Per durare bisogna avere una visione” (Teresa Bellanova, Iv, ministro delle Politiche Agricole e Forestali, Stampa, 23.12). Hai mai provato a Lourdes?

Valori aggiunti. “É un dato di fatto: la Lombardia è il motore di tutto il Paese. Quindi se si ammala un lombardo vale di più che se si ammala una persona di un’altra parte d’Italia” (Angelo Ciocca, eurodeputato Lega, Antenna3, 18.12). Se invece muoiono col Covid 25mila lombardi su 70mila in tutta Italia, valgono meno?

Col fiato sospeso. “L’avvertimento di Renzi agli alleati: Conte 2 già finito, parliamo del dopo. Contatti col Pd sull’ultimo intervento tv del premier. E si lavora a una road map della crisi. Pronte le osservazioni di Italia viva sul piano per i fondi Ue” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 27.12). Non stiamo più nella pelle.

Tu scendi dalle stelle. “Il governo galleggerà, ma meglio un governo Draghi. Si può fare” (Paolo Mieli, Foglio, 22.12). “Il premier è un pirata. Conte usurpa i poteri di ministri e governatori. Un governo Draghi? Avrebbe autorevolezza” (Sabino Cassese, Libero, 22.12). “Il ‘modello italiano’ ha fatto vittime e danni. Draghi? Ci può salvare” (Luca Ricolfi, sociologo, il Giornale, 27.12). “Una intera generazione di politici dovrebbe saper ricorrere a uomini di esperienza come Prodi e Draghi” (Marco Damilano, Espresso, 27.12). Draghi, Draghi, Draghi, paraponziponzipò.

Il grande umorista. “Un centrodestra di governo guidato da noi liberali. Siamo nati nel ‘94 e abbiamo sempre lavorato per tradurre le idee e i valori cristiano, europeisti, garantisti in un credibile progetto politico e di leadership del Paese” (Silvio Berlusconi, presidente FI, pregiudicato, Corriere della sera, 27.12). Ogni parola, una battuta.

L’esperto. “Flop di una stagione politico-giudiziaria. Assolti Filippo Penati… Cota… Pietro Vignali… E poi, per non dimenticare: assolto Nicola Cosentino… Assolti Raffaele Fitto… Beppe Sala… Renato Schifani” (Pierluigi Battista, Corriere della sera, 14.12). A parte il fatto che l’articolo è identico a uno del 16 novembre (prendi uno, paghi due), ne avesse azzeccata una. Penati è stato per metà assolto e per metà prescritto dopo aver giurato che avrebbe rinunciato alla prescrizione.

Cota è imputato nel secondo processo d’appello. Vignali ha patteggiato 2 anni e risarcito 1 milione. Cosentino condannato definitivamente a 4 anni. Fitto in parte assolto e in parte prescritto. Sala condannato e poi prescritto in appello dopo aver giurato di non volere la prescrizione. E Schifani non è stato mai assolto per la semplice ragione che non è stato mai processato.

L’esperto/2. “Ora si rifletta sui pm che arrestano innocenti” (Enrico Costa, deputato ex FI e ora Azione, Il Dubbio, 22.12). Cioè su nessuno, visto che gli arresti li fanno i gip.

L’Innominato. “L’atteso risveglio della politica” (Luigi Manconi a proposito dell’annuncio della Farnesina sul ritorno in Italia di Chico Forti, condannato all’ergastolo negli Usa e detenuto da 20 anni in Florida, Stampa, 24.12). Quella politica chiamata Di Maio.

Ritirare l’apposito numeretto. “Sbagliato aumentare i posti in cella. Sì alle liste di attesa. Il modello sono Germania e California: si entra in carcere quando c’è posto” (Davide Mosso, avvocato dell’Osservatorio carceri, Stampa, 24.12). Oppure si avvertono i gentili delinquenti di astenersi dal commettere reati finchè non si libera un posto.

Cuperlusconi. “Credo che la separazione delle carriere non debba essere un tabù e credo non lo sia già da tempo, ma tanto più andrebbe affrontata senza scorciatoie o manicheismi” (Gianni Cuperlo, Riformista, 27.11). Meno male che Silvio c’era.

Riccihard/1. “Il nuovo Covid è a Roma. Ricciardi: ‘Ora serve il lockdown. Dobbiamo chiudere tutto’” (Messaggero, 21.12). Soprattutto la bocca di Ricciardi.

Riccihard/2. “Australia e Nuova Zelanda hanno fatto un lockdown precocissimo per un periodo breve e lì in questo momento il Natale si celebra normalmente” (Walter Ricciardi, consulente ministero Salute, L’aria che tira, La7, 20.12). Non sarà che lì in questo momento è estate e qui è inverno?

Le colpe dei figli. “Esposito via dalla magistratura. Il padre condannò Berlusconi” (Giornale, 22.12). E quindi?

Il titolo della settimana/1. “Il virus è mutato. Il governo incapace no. La variante inglese era nota, ma nessuno ha fatto nulla. Impreparati a tutto” (Giornale, 22.12). “Virus cinese, variante inglese, follia italiana” (Verità, 22.12). Variante inglese, governo (italiano) ladro.

Il titolo della settimana/2. “Bertolaso può lanciare il centrodestra di governo” (Nicola
Porro, Giornale, 24.12). Uahahahahahah.

Il titolo della settimana/3. “L’Agenda Draghi e la necessità di riformare il diritto fallimentare” (Foglio, 23.12). Ma una normale agenda Nazareno Gabrielli no?

Giovanni Legrenzi: l’“Orfeo” del Barocco che mise le parole sul trono della musica

Di recente, parlando di Beethoven e delle partizioni della storia della musica, abbiamo detto che Bach non è un compositore propriamente barocco. Occupiamoci ora del Barocco musicale e di uno dei più importanti compositori del suo periodo medio, Giovanni Legrenzi. Il suo nome dice poco o nulla ai musicofili. A parte la sua importanza in fatto, la sua attività di operista, benché fosse sacerdote, attrae l’interesse dei pochi che a lui si sono dedicati. L’operista si manifestò soprattutto a Venezia, città ricca di teatri: e pare un continuatore fedele del grande Francesco Cavalli. Oltre che alla Cantata e alla musica strumentale, Legrenzi, nato nel 1626 a Clusone e morto nel 1690 a Venezia, si dedicò in particolare alla musica sacra, e in questo genere le sue opere sono quasi tutte pubblicate. Venne giudicato, come peraltro non pochi compositori, “Orfeo” e “Anfione” “dell’età nostra”.

Legrenzi ebbe una carriera particolarmente prestigiosa per qualità di sedi ove occupò la carica di Maestro di Cappella. Dall’agosto del 1645 al novembre del 1656 fu organista in Santa Maria Maggiore in Bergamo; dal novembre di quest’anno fino al gennaio 1665 fu Maestro di Cappella dell’Accademia dello Spirito Santo in Ferrara, sotto la protezione della più potente famiglia cittadina, i Bentivoglio. Il suo orgoglio gli fece respingere altri impieghi per i quali era stato votato senza il consenso pieno. Fra il 1670 e il 1671 fu Maestro di Cappella presso l’“Ospedaletto” di Venezia. Trascorse di nuovo alterne vicende; per un voto perdette il posto di Maestro di Cappella in San Marco; ma il 26 aprile 1685 lo ottenne e lo mantenne fino alla morte. Suoi allievi furono due sommi compositori della prima metà del Settecento, Antonio Lotti e Antonio Caldara.

La grandiosa struttura della cattedrale marciana esigeva musica pomposa, prevalentemente accordale. Legrenzi, seguace, oltre che di Cavallli, di Monteverdi, era cultore finissimo della polifonia. Non di quella nello stylus antiquus sul modello di Palestrina: ma di quella che, senza rinunciare alla fittezza e all’intreccio delle linee orizzontali, desse alla parola sacra il giusto rilievo affinché venisse non solo percepita ma colta sotto il profilo espressivo. A Ferrara, forse anche per compiacere al gusto sofisticato del marchese Bentivoglio, compose (pubblicazione: Venezia, 1662) le Compiete con le Lettanie e Antifone della B.V.. La Compieta è il completorium, ultima delle Ore Liturgiche, e comprende una successione di Salmi e Antifone simili a quella dei Vespri. Le Compiete di Legrenzi sono a cinque voci con basso continuo; escono ora in una esecuzione squisita per la Naxos interpretate dalla Nova Ars Cantandi diretta da Giovanni Acciai con Ivana Valotti che realizza il basso continuo.

Si vuole esistano oggi molti cultori del Barocco musicale. Di solito, prediligono esili Arie d’Opera. Vorrei che si dedicassero al globo rotante di queste linee contrappuntistiche le quali ti avvolgono e lasciano che la parola sia sempre, alla fine, padrona della musica, secondo la formula di Monteverdi.

 

Costretti alla “panchina”: medaglie fermate dal Covid

Incerto e da dimenticare. Letteralmente, a causa della pandemia, il 2020 è l’anno dei numeri. Crescenti, decrescenti e altalenanti come i positivi, i negativi, i ricoverati, i dimessi, (purtroppo) i morti. Ma è anche l’anno di cifre a molti zeri, per il mondo dello sport. La privazione maestra (simbolica ed economica) che lo sport ha subìto è il rinvio delle Olimpiadi di Tokyo2020. Aprendo una svelta parentesi sul capitale economico di un evento di tale portata, basti dire che organizzare un’olimpiade estiva costa in media 5,2 miliardi di dollari. Ebbene, dopo aver rovistato nelle tasche, concentriamoci su un capitale difficilmente quantificabile: quello umano. Cosa ha significato per un atleta saltare l’appuntamento più importante della carriera per cui ci si prepara quattro lunghi anni?

Lo abbiamo chiesto ai campioni azzurri. Sebbene tutti comprendano l’inevitabilità del rinvio e rispettino l’ineluttabilità di una motivazione così grande, per tutti il fatto in sé è stato uno shock da elaborare. Ognuno riponeva nei giochi speranze diverse. C’è chi doveva confermarsi il numero uno, come lo schermidore catanese Daniele Garozzo. Oro a Rio nel fioretto individuale, ammette: “So perfettamente che ero il favorito. Ma sarò pronto anche l’anno prossimo a difendere la mia medaglia d’oro”. Insieme a un veterano come lui, anche una giovane nuotatrice che a un’olimpiade non c’è mai stata ma si sarebbe presentata come la favorita nelle categorie 800 e 1.500 m stile libero: Simona Quadarella. Stella dei Mondiali di Gwangju in Corea del 2019, per i suoi tempi in vasca era la più temuta: “Quest’anno, è vero, mi sono vista sfuggire le medaglie di mano, ma la questione è solo rimandata”. Come la collega Pellegrini anche lei è risultata positiva al Covid: “Ora ne sono uscita, ma la stagione è stata difficile: mesi lontana dall’acqua e senza gare”.

Con la nuotatrice romana concorda anche l’anellista Marco Lodadio. Argento ai Mondiali 2019, anche lui tra i favoriti a Tokyo: “Ero lanciato come un treno. Sapevo sarei andato a medaglia. La cosa più difficile è stata trovare la carica giusta per entrare in palestra”. E anche per chi qualche gara l’ha fatta, come il velocista Filippo Tortu (primo italiano a scendere sotto il tetto dei 10 secondi nei 100 m) “era davvero complicato trovare la motivazione”. Ma, come conferma il quattrocentista Davide Re (primatista italiano): “Un anno, alla fine, non cambia nulla. Ho chiaro il mio obiettivo, centrare la finale nei 400”.

Nei mesi in cui impianti e palestre erano chiusi, molti si sono arrangiati. Lodadio ha piazzato nel cortile di casa una specie di struttura di altalena a cui ha appeso due anelli. L’altista Gianmarco Tamberi, invece, ha disseminato il proprio giardino di ostacoli e materassini. Per Tamberi, che tra l’altro è stato beffato dal destino già un’altra volta (un mese prima dei giochi di Rio2016, dove era il favorito, si è infortunato), Tokyo sarebbe stata un riscatto: “È stata una bella pugnalata della sorte, le aspettavo da troppi anni. Quando l’ho saputo, ho vissuto un giorno molto difficile, ma dall’indomani mi sono rimboccato le maniche”. In cerca di riscatto erano anche i nostri pallavolisti, che vengono da un argento a Rio. “La medaglia d’oro è l’unica a mancare nel nostro palmares”, si rammarica il capitano della nazionale, Ivan Zaytsev. Oltre a palleggiare e fare “bagherone” contro il muro di casa durante il lookdown, ci racconta: “Abbiamo avuto un momento di down psicologico alla notizia dei Giochi, e ovviamente anche il fisico ne ha risentito. Ma se l’ho vissuta meglio rispetto ad altri atleti, magari di discipline individuali, è grazie alla squadra”. Far parte di una squadra è stato fondamentale anche per Alessia Maurelli, capitana delle farfalle della ritmica (la nazionale italiana più medagliata, cui manca solo l’oro olimpico), che – pur ammettendo di essersi trovata di fronte “all’anno più arduo della mia carriera da agonista, senza gare e con le giornate una uguale all’altra” – ci rassicura: “Siamo sempre tra le squadre più forti”.

“Tuttavia, non è stato un anno buttato – Paola Egonu, stella del volley femminile, è certa – ma un momento di apprendimento. Alle prossime olimpiadi arriveremo più forti, e sapremo quanto vale un abbraccio, ogni volta che ci stringeremo una all’altra al centro del campo dopo ogni punto”.

“Totò mi baciò sul seno. Sordi era un vero galletto. Eduardo è il mio maestro”

Come lei (quasi) nessuna. “Ho avuto la fortuna, la gioia e l’onore di lavorare con i più grandi registi del cinema, del teatro e della televisione; il 3 dicembre ho compiuto 83 anni e ne ho 67 di carriera”.

Il grazie. “A Eduardo (De Filippo), è stato il mio maestro, accanto a lui ho imparato le basi, e non solo, di questo mestiere. Ho capito la magia e cos’è la dedizione assoluta al teatro”.

Il nome. “Mi chiamo Angela Luce perché ispirata dall’allora ambasciatrice degli Stati Uniti in Italia, donna bellissima. E mi ha portato fortuna”.

Se ci fosse una Rosa dei Venti dedicata all’arte, Angela Luce avrebbe ogni direzione possibile, a favore o contro, sul palco o davanti a una cinepresa, nazionalpopolare con Totò, o di rottura come nel Decameron di Pasolini; ha cantato a Sanremo, ha conosciuto Margaret d’Inghilterra, ha girato il mondo con Garinei e Giovannini (“Dal Canada al Sudamerica”), e c’è un punto che la amareggia, per non dire peggio: “Wikipedia censura la mia carriera come se non fosse possibile”.

Il suo primo palco.

La Festa di Piedigrotta. Lì ho cantato una canzoncina, ed ero bellissima, con un ‘però’: ero molto giovane, mancava ancora un mese e mezzo al compimento dei miei 14 anni, per questo mi accompagnava mamma. Poi ho partecipato a un concorso di bellezza.

Vinto.

Premesso: ero proprio bella, bella e naturale, senza bisturi né punturine; mi eliminarono perché mancavano due mesi all’età minima per partecipare.

Mortificata.

Non avevo più lacrime, mi consolò Francesca Bertini (storica attrice): era tra i giurati insieme a Curzio Malaparte.

Da dove arriva l’ispirazione artistica?

Sono un’autodidatta assoluta, non ho mai studiato canto, recitazione, o altro. Proprio niente.

Natura.

Probabile, ma Napoli ha nella sua pancia una vena artistica; comunque, come attrice, devo la mia scoperta a Eduardo De Filippo: con lui non sono passata neanche dal classico provino, ma ho subito firmato il contratto.

Folgorato.

(Sorride) Sul giornale avevo letto che Eduardo cercava nuove reclute sia per la sua compagnia che per quella ‘Scarpettiana’ al Teatro San Ferdinando di Napoli; allora chiesi a Ugo D’Alessio (noto attore napoletano), grande amico di famiglia, in particolare di mio padre, dove si tenevano queste audizioni.

E lui le diede le dritte.

In realtà la sua prima reazione fu di stupore: ‘Ma come, hai già debuttato da cantante…’ ‘E allora? Voglio diventare attrice’. ‘Come vuoi’. Così Ugo il giorno dopo mi portò da Eduardo, e sul palco il maestro mi chiese: ‘Cosa hai portato?’. ‘Due poesie: una di Salvatore Di Giacomo e l’altra di Garcia Lorca’. Attenzione: pronunciai ‘Garcia’ con la lingua tra i denti, in maniera perfetta, tanto da colpire Eduardo che si rivolse a D’Alessio: ‘Questa non ha bisogno di provini. Va bene il contratto’.

Eduardo aveva fama di uomo molto severo. Proibiva le storie d’amore in compagnia.

Aveva ragione: il teatro va rispettato, è un luogo cosparso di polvere sacra, e non basta solo l’amore e la passione, ma è fondamentale la totale dedizione.

Anche allora la pensava così.

A quel tempo presi una scuffia per un collega di compagnia ed Eduardo mi punì non rinnovandomi il contratto. Eppure non ero colpevole.

Aveva ragione lo stesso?

Questo attore dedicava le sue attenzioni a un’altra attrice del gruppo, e per fare il galletto con lei, entrò in scena fuori tempo: errore gravissimo, e da lì mi accusarono di averlo distratto. Peccato che quella sera non c’ero, non lavoravo.

E allora?

Fui punita, e in quel momento odiai Eduardo, poi con il tempo ho capito le sue ragioni, le sue dinamiche, la sua integrità. Per lui contava solo la sacralità del palco; anni dopo mi richiamò per ruoli da protagonista, e ho recitato in Natale in casa Cupiello…

Come giudica la versione con Castellitto?

(Prende tempo, riflette, media con se stessa) È bello. È sempre bello rappresentare Eduardo. E va bene così.

Eduardo fuori dal teatro…

Non c’erano molte occasioni, lui era perennemente concentrato sul palcoscenico; ricordo però un pranzo a Ischia e lì ho scoperto un uomo più semplice, disponibile, meno severo; con quel volto lì, così scavato, sofferente, teatrale, non gli serviva accentuare certi lati del carattere; (ci pensa) ho lavorato con tutti e tre i De Filippo.

Titina la meno celebrata.

Una donna semplice, mite, suscitava quasi tenerezza, anche per le sue precarie condizioni fisiche dovute a un cuore debole; però era facile percepire la sua grandezza. Mentre il più estroverso, anche con me, era Peppino.

Innamorato di lei.

No, lui era molto serio; (cambia tono) in realtà, sul lavoro, giusto qualche volta ci hanno provato, tra questi Alberto Sordi, un vero galletto; (ride) era un modo per divertirci, non per creare imbarazzo.

Ha recitato con i più grandi.

L’altra sera, in televisione, hanno trasmesso un film con protagonisti Alberto Sordi, Marcello Mastroianni e Ugo Tognazzi: ho recitato con tutti loro, e solo io sono ancora viva. Quasi mi vergogno.

Nella sua lista c’è Totò…

Quando cantavo mi guardava e con i suoi gesti sentenziava: ‘La tua voce mi fa sentire il profumo di Napoli’…

Il principe in Signori si nasce la bacia sul seno.

In teoria doveva essere sulla guancia, e invece puntò alle tette e sono stata costretta a darmi un pizzico per non scoppiare a ridere; poi, da sciocca, risolsi quel momento come una ‘scena sbagliata’, tanto da raggiungere il regista, Mario Mattoli, per segnalargli l’errore. E lui: ‘Quale?’ ‘Invece delle guance ha puntato alle tette’. ‘Tu sei pazza, questa è una scena cult, ne parlerà l’Italia intera e per sempre’. Aveva ragione.

Un rimpianto professionale.

Dovevo entrare nel cast di Rocco e i suoi fratelli, Visconti mi aveva scelto, ma poco prima delle riprese salii su una bicicletta senza accorgermi che non aveva i freni. Finii in ospedale.

Però era ne Lo straniero

E durante le riprese Visconti mi chiese di cantare So’ Bammenella ’e copp’ ’e Quartiere, e io ‘volentieri, conte’; lo spettacolo di Bammenella l’ho portato anche a Londra, e al ricevimento del Consolato ho conosciuto Margaret d’Inghilterra, e Wikipedia non accetta questa notizia. Questo ostracismo mi offende

Che succede?

Ogni volta che provo ad aggiornare la mia pagina, quel sito sostiene che non sono notizie verificabili, e mi provoca un nervoso assoluto, mette in dubbio la mia serietà. Vorrei sbattergli in faccia le centinaia di pagine di rassegna stampa che certificano la realtà..

Torniamo alla sua carriera: Pasolini.

Mi ripeteva: ‘Non mi guardare così, con quegli occhi mi scavi dentro’.

Con lui ha girato Decameron, uno dei più censurati.

Oggi sarei una donna ricchissima, se avessi accettato le proposte successive a quel film. Sempre rifiutate.

La desideravano nuda.

Spogliarsi è facile, rivestirsi è difficile, per questo ho risposto di no pure a Tinto Brass; dopo ogni rifiuto, registi e produttori mi ripetevano sempre la stessa frase: ‘Ma lei si è già denudata sul set’. E io: ‘Sì, per Pier Paolo Pasolini, non con voi’; ho cambiato idea solo nel 1995 e con Mario Martone.

Ne L’amore molesto.

Ho vinto il David e neanche volevo accettare, non credevo di avere l’età per spogliarmi, ed è grazie a Mario se mi sono convinta.

Del Me Too cosa ne pensa?

Anche a me è successo, ma quell’episodio lo lascio nel passato, non intendo riesumarlo, altrimenti avrei la sensazione di specularci.

Sul set ha mai avuto soggezione di qualcuno?

(Ci ripensa e torna a prima) Ho strappato il contratto in faccia a un produttore del quale non rivelerò mai il nome, e non per rispetto a lui, che è anche morto, ma per me stessa; il giorno della rottura mi disse che voleva portarmi a cena e poi sarei dovuta restare con lui, e io: ‘Sono qui in quanto attrice non come prostituta’.

E…

Se avessi firmato, quell’anno avrei partecipato a sei o sette film, e invece l’ho stracciato e sbattuto in faccia. Lui diventò rosso. Io senza alcun rimpianto, perché tutto quello che ho realizzato, è solo grazie a me stessa.

Solo lei.

(Sorride) Confesso: solo una volta ho cercato la raccomandazione di un politico, attraverso amici comuni.

Per cosa?

Una trasmissione televisiva, ma quando ho conosciuto il politico, me ne sono innamorata al primo sguardo. E lui di me.

Per la carriera a cosa ha rinunciato?

A un figlio; (ci pensa e cambia tono) una volta sono rimasta incinta, ma il mio compagno di allora non lo voleva, ‘altrimenti mi rovini la carriera’. Lo persi. Poco tempo dopo lui tornò da me, ‘abbiamo sbagliato’, ma chiusi la porta. La situazione era oramai rovinata; (abbassa la voce) alla fine la mia di carriera è proseguita e bene, lui è quasi finito.

Vittorio De Sica…

Un grande signore e un grande attore, da uno così s’imparava anche solo standogli accanto; con lui ho girato tre film, in Gastone ho improvvisato il mio primo spogliarello, però mi toglievo solo il reggiseno e lo sbattevo in faccia a Magali Noël.

Una lezione fondamentale che ha ricevuto?

Forse non è chiaro, ma ho la quinta elementare, sono un’autodidatta, e le mie medie, superiori e università le ho superate con la scuola di Eduardo.

I suoi di cosa si occupavano?

Papà artigiano di scarpe, medaglia d’oro per la professione; mamma realizzava fiori di stoffa, ma pensava più a badare a noi figli e al negozio con in vendita l’opera di mio padre.

Lei celebre anche per la musica.

Sono arrivata seconda a Sanremo con Ipocrisia (1975) e per quel brano mi sono arrivati i complimenti di Peter Ustinov e Alain Delon.

Come giudica Sofia Loren?

È bravissima, una grande attrice, con lei dico solo ‘chapeau’.

Chi ha deciso di chiamarla ‘Luce’?

Io e da ragazzina: a Napoli venne l’ambasciatrice degli Stati Uniti, Clare Boothe Luce, andai a vederla e la trovai altissima e bellissima; un giorno anche Eduardo mi chiese il perché e io iniziai a balbettare: temevo non gli piacesse, e invece mi riempì di complimenti ‘ti sta proprio bene’; il maestro prima di morire stava scrivendo una commedia dal titolo ‘Angela Luce’, me lo rivelò lui, ma non finì in tempo.

Il regalo più bello?

La mia vita e la mia arte.

Chi è lei?

Una donna semplice. Vera. Sincera. Fortunata. E suscettibile.

 

Sconci e modernissimi: greci e latini come uno di noi

Continuiamo la nostra allegra passeggiata in compagnia dei comici greci e latini.

METATASSI

SOSTITUZIONE

Chiasmo. SCAFA: Cosa preferisci? Essere criticata a torto o esser lodata a ragione? Io preferisco essere lodata a torto piuttosto che essere criticata a ragione. (Most.,178-180). O dei, se fosse lecito chiedervi una così grande grazia, e voi foste disposti a concedere un bene così prezioso, fareste in modo che Flogis avesse il corpo di Chione, e Chione il prurito di Flogis. (Epigr., XI, 60)

Sillessi (infrazione della concordanza). Scimus te prae litteras fatuum esse (“Lo sappiamo che, a forza di studiare, sei diventato scemo”), dice il cenciaiolo Echione ad Agamennone nel Satyricon (46,1). Ma l’insulto gli si ritorce contro: prae regge l’ablativo, non l’accusativo.

Metafora sintattica. CLITIFONE: La mia amica è prepotente, procace, superba, spendacciona e sontuosa. E io cosa posso darle? Dei “Bene, bene”. (Heau., 227-28)

METASEMEMI

AGGIUNZIONE

Antonomasia. Tutte le volte che ti alzi dalla sedia, Lesbia, l’ho notato spesso, la povera tunica ti si infila fra le chiappe. Ti sforzi con la destra e la sinistra di tirarla via: ci riesci, ma con lacrime e gemiti, tanto tenacemente è stretta nelle due Simplegadi del tuo culo. (Epigr., XI, 99, 1-5)

Le natiche di Lesbia sono così sode che a Marziale ricordano le due rocce sul Bosforo che, nel mito, avvicinandosi fra loro schiacciavano la nave in mezzo! Nel Miles gloriosus, Plauto prende in prestito da Demostene questa antonomasia:

PLEUSICLE: È un’Iliade di malumori. (Mil., 743)

La casta Levina, che era più rigida del rigidissimo marito, mentre passava dal Lucrino all’Averno e si ristorava con le acque di Baia, cadde nel fuoco dell’amore: abbandonò il marito e seguì il suo ragazzo. Era arrivata Penelope, ne ripartì Elena. (Epigr., I, 62)

Metafora in absentia. Plauto usa una metafora militare dove la preda è un mantello prezioso, il nemico è la moglie e l’alleato è Erozia, l’amante:

MENECMO I: Ho strappato la preda al nemico, per il bene dell’alleato. (Men., 134)

GETA: Eccolo che esce dalla sua palestra. (Pho., 484) dove la “palestra” è la casa in cui vive la citarista amata da Fedria.

Nell’Asinaria, due servi si salutano con definizioni che alludono alla loro condizione di vessati:

LEONIDA: Salve, palestra della frusta. LIBANO: Ave, leccornia dello staffile. (Asin., 297-298)

MENECMO I: Annusa qui. Di cosa odora? SPAZZOLA: Ruberia, arpia, leccornia. (Men., 170)

SOSTITUZIONE

Metonimia. “Dove buoi morti danno addosso a uomini vivi”, dice il servo Libano nell’Asinaria di Plauto, per alludere alle sferze ricavate dal cuoio dei buoi. Marziale allude invece alla pederastia di un tale richiamando il colore indossato a Roma dagli effeminati: Benché indossi sempre abiti scuri, ha costumi di colore verde chiaro. (Epigr., I, 96, 8-9)

METALOGISMI

SOTTRAZIONE

La reticenza. GETA: Vuoi dire…? ANTIFONE: Voglio dire. GETA: Bel consiglio che mi dai, accidenti. (Pho., 542)

AGGIUNZIONE

Metafora in praesentia. LIBANO (alla prostituta Pilenia): Trasformami in un serpente, in modo che io abbia due lingue in bocca. (Asin., 695)

Risveglio della metafora. ANFITRIONE: Se hai perduto il pudore, cerca almeno di prenderlo in prestito. (Amph., 819)

Pleonasmo. ACANTIONE: Ma quel porco ha cominciato a palpeggiarla. CARINO: Santo cielo! A lei? ACANTIONE: Volevi che palpeggiasse me? (Merc., 203-204)

SOSTITUZIONE

Ironia. Aristofane chiama Strepsiade (da strefein = torcere) il protagonista delle Nuvole che diventa un azzeccagarbugli frequentando la scuola di Socrate. In Plauto, il protagonista del Miles gloriosus (“Il soldato fanfarone”) è Pirgopolinice (“l’espugnatore di fortezze e città”).

Antifrasi. Marziale chiama Eutrapelo, cioè svelto, un barbiere noto per la sua lentezza.

Doppio senso. COMMISSARIO: Un altro dice al calzolaio, giovane ma ben dotato: “Calzolaio, a mia moglie la fibbia fa male al mignolo, che è così delicato. Verso mezzogiorno vai ad allentarla. Allargala un po’”. (Lys., 414-19)

CLEONICE: Che affare è? LISISTRATA: Grande. CLEONICE: E anche grosso? LISISTRATA: Grosso, sì. CLEONICE: E allora com’è che non siamo corse? LISISTRATA: Ma non quello che dici tu! Allora sì che saremmo lì da un pezzo! (Lys., 23-25)

EUCLIONE: Dammelo. SERVO: Vecchio, mi sa che piace a te, darlo. (Aul., 637)

La personificazione. Il povero stomaco sta a guardare il pranzo del culo: uno muore di fame, l’altro si rimpinza. (Epigr., II, 51, 5-6)

CORO: E che fumo! Mi è saltato addosso dalla pentola come una cagna rabbiosa, a mordermi gli occhi! (Lys., 295-98)

La depersonificazione. BDELICLEONE: Perdio, cos’è questo rumore nel camino? (Nel comignolo compare FILOCLEONE.) E tu chi sei? FILOCLEONE: Io? Sono fumo che vola via. (Sfe., 143-44)

L’allegoria. “Per una mezzana, l’innamorato è come il pesce: se non è fresco, puzza. Fresco, è gustoso, saporito, puoi cucinarlo come ti pare, in umido o alla griglia, puoi rivoltarlo come ti piace”, dice la ruffiana Cleareta nell’Asinaria di Plauto. Più avanti, Cleareta usa un’altra allegoria, stavolta aviaria, per descrivere il suo mestiere in modo allusivo:

CLEARETA: Non lo sai? Il nostro mestiere è simile in tutto a quello dell’uccellatore. L’uccellatore, dopo aver preparato il terreno, vi sparge del becchime: gli uccelli prendono confidenza… Gli uccelli mangiano spesso: ma una volta presi, ripagano l’uccellatore. Lo stesso vale per noi: la casa è il nostro terreno, l’uccellatore sono io, il becchime è la puttana, il letto è il laccio, e i clienti gli uccellini. (Asin., 215-221)

(36. Continua)

 

Taglia da 300 mila dollari sul bombarolo di Nashville

Una taglia da 300 mila dollari per sollecitare notizie sul responsabile, o i responsabili dell’esplosione che la notte di Natale a Nashville in Tennessee ha fatto ripiombare gli Stati Uniti nell’incubo del terrorismo domestico, mentre il presidente Donald Trump, dai campi di golf della Florida, “lancia una granata” politica sul Congresso – l’espressione è della Ap – e minaccia di fare slittare aiuti straordinari agli americani colpiti dalla pandemia e di innescare uno shutdown dell’Amministrazione pubblica. Sull’esplosione di Nashville, indaga l’Fbi. Ci sarebbe una persona identificata come sospetta, connessa al veicolo esploso. A organizzare la raccolta fondi per la taglia, diversi personaggi pubblici, come l’uomo d’affari Marcus Lemonis. L’attentato non è stato rivendicato né ne sono chiari gli obiettivi, ma gli inquirenti non hanno dubbi: si tratta di “un atto deliberato”. Nashville è la capitale del Tennessee, ma è soprattutto la capitale della musica country: ogni anno, organizza il Grand Ole Opry, il maggiore evento del country Usa. A Nashville, Robert Altman dedicò un suo film cult, che si chiude con un attentato.

Secondo le ricostruzioni finora disponibili, la notte di Natale è saltato in aria un camper posteggiato in centro città, vicino a obiettivi potenzialmente sensibili, lungo la Second Avenue che è sempre affollata durante il giorno, su cui si alternano honky-tonk – locali dove si balla – e ristoranti. La polizia ha risposto a una chiamata d’emergenza, che segnalava una sparatoria, poco prima delle 6 del mattino: gli agenti intervenuti non hanno trovato traccia della sparatoria, ma hanno notato un veicolo sospetto, dal quale proveniva un messaggio audio che annunciava un’esplosione imminente, che ci sarebbe stata entro 15 minuti. I poliziotti hanno chiamato artificieri e unità cinofile e messo in sicurezza il perimetro, cercando, nel contempo, di fare allontanare i residenti della zona. Ci sono stati momenti d’ansia e di panico, con la gente che s’affrettava ad allontanarsi dall’area.

“Londra ha già avuto una lezione Fuori dall’Unione la vita è dura”

Cosa cambia con l’accordo di divorzio fra Regno Unito e Unione europea? Chi ha vinto e chi ha perso? Georgina Wright dell’Institute for Government ha seguito da vicino il negoziato sulla Brexit.

Si confrontano due visioni opposte del futuro: quella britannica, basata sull’idea di sovranità, e quella europea, un progetto sovranazionale e centralista. Qual è la lezione?

Per il Regno Unito è che negoziare con la Ue non è come negoziare all’interno dell’Ue, e che è molto difficile ottenere quello che si vuole, che era l’aspettativa iniziale di Londra. E i negoziatori britannici hanno imparato a loro spese l’importanza dei dettagli, che nel caso di divergenza sono cruciali. L’Ue ha avuto conferma che la sua forza è nell’unità degli Stati membri: non frequente nelle negoziazioni interne ma fondamentale all’esterno. L’altra grande lezione? Se il Regno Unito ha preferito lasciare la Ue malgrado le ripercussioni economiche, è venuto il momento che l’Unione accetti un dibattito sul proprio futuro, non necessariamente nel bianco e nero di pro e anti-Europa, visto che ci sono molte alternative, ma reale ed onesto.

Londra ha spinto sul recupero di sovranità, a spese dell’impatto economico di Brexit. Con questa ‘nuova libertà’, il Regno Unito potrà attuare politiche che non poteva adottare prima?

La spinta fondamentale della Brexit è stata quella di riprendere il controllo di frontiere, leggi, economia. Il Regno Unito potrà decidere più liberamente in una serie di campi, per esempio gli aiuti di stato a settori specifici, o la politica agricola ed energetica. Ma è anche vero che questo governo promettendo di rendere la vita migliore di quella dentro la Ue, ha creato grandi aspettative di ridistribuzione delle risorse alle regioni tagliate fuori dallo sviluppo economico. Non sappiamo se sarà in grado di mantenerle, e di farlo senza perdere accesso a quote di mercato europeo.

Ma perché Londra si è inflitta un danno economico in cambio di benefici che potrebbero non esserci?

Perché alla radice di tutto c’è sempre stata una spinta puramente politica, non economica. Molti nel Regno Unito si sentono profondamente diversi dagli europei e hanno frainteso il vero ruolo di Londra a Bruxelles. E ora che sono fuori, la realtà di quei rapporti non è più rilevante: Brexit diventa un progetto domestico e globale in cui non c’è più posto per l’Europa.

Quale sarà l’impatto sull’unità territoriale del Regno? Penso alle spinte indipendentiste in Scozia ma anche in Irlanda del Nord.

L’Irlanda del Nord resta soggetta di fatto a regole europee, e questo può inasprire i rapporti. Ma la vera domanda credo sia questa: quando il Regno farà scelte divergenti dall’Ue, per esempio sugli aiuti di Stato o le politiche agricole, Scozia e Irlanda del Nord seguiranno Londra o invocheranno la loro autonomia? E fino a che punto?

La Ue ha ottenuto quello che voleva?

Ci sono stati compromessi e concessioni, per esempio sui diritti di pesca, ma Bruxelles non avrebbe mai accettato un accordo che non fosse nel suo interesse, sia dal punto di vista politico che commerciale.

Il ruolo globale del Regno Unito esce sminuito da Brexit?

C’è una reale preoccupazione fra gli alleati che dietro l’idea di Global Britain lanciata da Boris Johnson manchi una strategia reale. Ma darei al governo il beneficio del dubbio: malgrado Brexit, il Regno Unito resta un attore globale importante in finanza, sicurezza internazionale, difesa, geopolitica.